IL NOSTRO COMPITO
Il partito internazionalista esiste in Europa.
Dopo che lo stalinismo lo aveva praticamente fisicamente sterminato, un piccolo gruppo di giovani in Italia nell’immediato dopoguerra lo avevano ripreso in mano ripristinandone i principi dell’internazionalismo proletario.
Un lavoro di immane durezza, se si pensa che in quel periodo in tutto il mondo il socialismo o il comunismo veniva automaticamente e categoricamente associato alla Russia e ai suoi Paesi satelliti che tutto erano fuorchè socialisti o comunisti. I fondatori del partito leninista dovettero lottare duramente contro gli stalinisti che erano di una brutale durezza e che in Italia erano molto numerosi. Quindi fu fondamentale in quella fase la lotta per chiarire scientificamente i criteri del capitalismo di stato, che era la struttura economica-sociale su cui si basava la Russia e che tanta confusione e inganno creava. Capitalismo di stato non compreso appieno a suo tempo da Trotzki, ma chiaro all’italiano Amedeo Bordiga fondatore del Partito Comunista d’Italia per la 3° Internazionale nel 1921.
Su queste solide basi il partito leninista potè estendersi su tutto il territorio nazionale italiano assumendo il nome nel 1965 di Lotta Comunista e nell’ultimo decennio aprire circoli in diversi paesi d’Europa.
Ovviamente l’installazione del partito rivoluzionario si pone anche per la Germania.
Essendo la Germania il motore economico e quindi politico trainante in Europa è chiaro che la presa del potere europeo senza la rivoluzione in Germania, non reggerebbe a lungo, sarebbe estremamente significativa, ma durerebbe poco. Quindi il territorio tedesco è, in questa prospettiva, per lo sviluppo del partito una questione di estrema importanza.
Negli anni 50 i fondatori italiani del partito rivoluzionario avevano ben presente questo. L’insediamento e lo sviluppo del partito in Italia veniva giustamente visto come punto di partenza, come piattaforma di lancio per un successivo sviluppo europeo e poi mondiale.
L’esperienza più che decennale permette ora di tentare l’insediamento anche tedesco.
La situazione in Germania in cui ci troviamo a muovere i primi passi è, nei tratti fondamentali quella che accomuna tutte le Nazioni europee in cui il partito si sta muovendo: innanzitutto una fase controrivoluzionaria, in una situazione internazionale in cui nuove potenze borghesi, prima fra tutte quella cinese, si affacciano sulla scena mondiale. Ci troviamo di fronte ad un imperialismo americano che con queste nuove potenze ne deve fare i conti e reagisce con guerre preventive nel Golfo Persico, in Afganistan e Iraq e aumenta enormemente il suo arsenale militare. Un imperialismo europeo che è ancora in fase di unione, ma che è ancora lungi dall’essere ultimata. Un padronato europeo, che pressato dalla concorrenza internazionale vuole farne pagare le conseguenze ai lavoratori dipendenti ed è impegnato a ridurre i salari, ad aumentare la disoccupazione e il lavoro precario.
In Germania, nazione industriale europea per eccellenza, l’attacco padronale contro i lavoratori è oggettivamente più attenuato per i larghi margini di guadagno che la borghesia tedesca ancora ha. I lavoratori, ma soprattutto i giovani, non vivono le situazioni drammatiche dei loro compagni in Grecia, Spagna, Portogallo e Italia. Perciò l’insediamento del partito in Germania, in questa fase, non risente dei benefici della crisi di sfiducia nello stato e in generale verso le istituzioni che investe i giovani di quei paesi in forte crisi economica..Il nostro lavoro sarà quindi improntato principalmente sui principi e sui giovani.
In una società capitalistica piena di contraddizioni non mancheranno le persone che vogliono capire, vogliono reagire, sono contro le ingiustizie e hanno l’esigenza di una società superiore, comunista.
Il nostro compito, il nostro “Che fare?” sarà in questa situazione dare ai giovani spiegazioni scientifiche esaurienti, far capire i principi del comunismo e quindi organizzarli per estendere e consolidare il partito internazionalista.
LA NUOVA POLITICA DELL’IMPERIALISMO AMERICANO DI FRONTE ALL’EMERGERE DI NUOVE POTENZE
Nuove potenze borghesi si stanno affacciando più o meno velocemente sulla scena mondiale: parliamo di quella a capitalismo di stato cinese, di quella indiana, brasiliana, indonesiana ecc. Questo pone all’imperialismo americano enormi problemi, perché queste nuove borghesie pretendono nei confronti degli Usa più spazio a loro vantaggio nell’economia mondiale, nella finanza e nella politica.
Dopo aver vinto la 2° guerra mondiale il padronato americano aveva una produzione economica (Pil) che era il 50% di tutta la produzione economica mondiale. Grazie a questo fortissimo peso i ricchi americani hanno potuto praticamente dominare la scena mondiale per lungo tempo.
Adesso dopo 70 anni, le cose sono profondamente cambiate, la produzione economica (Pil) Usa è solo del 20% di tutto il mercato mondiale e quindi si possono ben capire le difficoltà della borghesia americana nel continuare a gestire a proprio favore “ l’ordine mondiale”.
Le nuove borghesie emergenti, Cina, India, Brasile, Indonesia, Russia ecc. che adesso nel mercato mondiale pesano economicamente parecchio, battono i pugni nei confronti dell’imperialismo Usa per avere più vantaggi (naturalmente economici, finanziari e politici) a loro favore. E domani, diventando ancora più forti economicamente, saranno ancora più esigenti.
I ricchi americani però non sono d’accordo di rinunciare ai loro interessi nel mondo e stanno mettendo in atto tutte le misure possibili per lasciare meno spazio di manovra alle altre borghesie concorrenti.
Negli anni 90 si è discusso a lungo in America della perdita di peso economico Usa nel mercato globale e dell’emergere di altre potenze e si è discusso a lungo sul come gli americani dovevano reagire di fronte ad una tale situazione. Si è anche valutato come altre potenze del passato, per esempio l’Inghilterra, che avevano un impero e l’hanno dovuto abbandonare, si erano mosse in questa circostanza.
Dopo tutte queste discussioni, una parte della borghesia americana sembra aver trovato la strada da intraprendere per “salvare l’America” e si è messa in moto. Seguiamo come si è svolta e come procede la cosa.
Verso la fine degli anni 90, sotto la presidenza Clinton, un gruppo di prestigiosi e influenti politici, statisti, industriali e magnati della finanza,che si erano radunati sotto la sigla PNAC, hanno scritto una lettera all’ Amministrazione Clinton in cui si poneva il problema dell’emergere di queste nuove potenti borghesie e si dava indicazione sul come procedere per salvaguardare gli interessi americani. Il prof. Chalmers Johnson nell’articolo “Le guerre in Iraq” descrive così la situazione: “In una lettera al presidente Clinton datata 26 gennaio 1998 richiesero la destituzione del regime di Saddam Hussein”. Nella lettera poi si proseguiva: “ ‹‹Dobbiamo stabilire e mantenere una forte presenza militare, essere pronti a usare questa forza per proteggere i nostri interessi vitali nel Golfo Persico e, se necessario, appoggiare la destituzione di Saddam››”.
Wikipedia nel “Progetto per un nuovo secolo americano” (PNAC) entra nello specifico della lettera e riporta la traduzione dei punti focali contenuti nel documento:
“‹‹la leadership americana è un bene sia per l’America che per il resto del mondo››, il PNAC è a favore di ‹‹una politica di forza militare e di una chiarezza morale›› che includa: ‹‹un significativo incremento della spesa militare degli USA, consolidare i legami con gli alleati degli USA, sfidare i regimi ostili agli interessi e ai valori americani››”.
Wikipedia poi prosegue: “Il gruppo è dell’idea che quando la diplomazia e le sanzioni falliscono gli Stati Uniti dovrebbero essere preparati ad intraprendere azioni militari. Nel testo in questione,” continua Wikipedia “ a proposito del processo di trasformazione della difesa statunitense, troviamo una precisazione cruciale, molto dibattuta alla luce dei successivi eventi degli attentati dell’11 settembre 2001: ‹‹ Inoltre, il processo di trasformazione, anche se porterà un cambiamento rivoluzionario, risulterà molto lungo, se non si dovesse verificare un evento catastrofico, come una nuova Pearl Harbor›› ”.
Il PNAC non fu preso in considerazione dall’Amministrazione Clinton.
Ritorniamo a Chalmers Johnson che descrive così il proseguo della situazione: nel 2000 “dopo che George Bush diventò presidente, molti di questi uomini [PNAC] ritornarono a coprire posizioni di potere nell’ambito della politica estera americana, stavano aspettando,
(segue a pag. 2)
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LA BORGHESIA TEDESCA HA IL SUO 3° GOVERNO MERKEL
Nel nov. 2013 si sono svolte le elezioni dove si è scelto il governo che timonerà la Germania per i prossimi 4 anni.
I programmi di fondo di tutti i partiti in lizza erano uguali: 1° deciso proseguimento verso l’integrazione economica-politica europea; 2° più competitività. Più competitività ha due significati: uno interno alla nazione, che vuol dire continuazione nel frenare l’aumento dei salari e proseguire nell’aumento del lavoro precario e dei contratti a termine. Secondo esterno, cioè rivolto agli altri Paesi europei, che vuol dire alle altre borghesie europee, che hanno alti debiti pubblici, Paesi che per poter aver prestiti dalla banca centrale europea per poter pagare il debito statale dovranno fare le cosiddette riforme, cioè diminuire la spesa pubblica con tagli al numero dei dipendenti pubblici e contenimento-diminuzione dei loro stipendi. I pensionati dovranno accontentarsi di meno pensione e per i lavoratori del settore privato più lavoro precario e contratti a termine, più disoccupazione e contrazione del salario.
Su questi punti basilari tutti i partiti erano d’accordo. CDU-CSU e SPD si sono differenziati in campagna elettorale su cose minimali.
Sentiamo al proposito il parere del compagno Klaus P. attivista internazionalista.
Dom: - cosa ne pensi del documento programmatico che CDU-CSU e SPD congiuntamente hanno sottoscritto per formare il governo di Grande Coalizione?
Risp: -“ la borghesia tedesca attraverso il governo di Grande Coalizione conferma la sua determinazione ad essere il Paese determinante e trainante per la costruzione di una borghesia europea unita. Nel documento programmatico ci sono ben 11 pagine dedicato a questo. Si vuole un’Europa “forte” e “competitiva” e le altre borghesie europee si dovranno adeguare a questo”.
Dom:- cosa ne pensi del salario orario minimo di 8,5 euro voluto dall’SPD?
Risp: - “l’SPD, che possiamo definire falsa sinistra, nelle precedenti elezioni del 2005 e del 2009 aveva perso contro la CDU-CSU. Inserendo nel programma per la campagna elettorale del 2013 la proposta della paga oraria minima di 8,5 euro l’SPD pensava di recuperare voti se non di vincere. Invece non è andata così, la sconfitta è stata sonora, tanto che i dirigenti socialdemocratici si sono sentiti in dovere, per la prima volta nella loro storia, di sottoporre ai loro 474.000 aderenti a referendum il “Contratto di Coalizione”, un bisogno di legittimazione dopo l’ennesima e pesante sconfitta”.
Dom: - i giornali riportano che l’SPD ha ottenuto più ministri di quelli che gli aspettavano e che questo è dovuto alla grande abilità del suo presidente Sigmar Gabriel.
Risp: -” si è vero che hanno avuto più ministeri dentro la coalizione di governo in rapporto al loro peso elettorale ottenuto. Ma io ritengo che non sia dovuto alla bravura di Gabriel, penso sia una strategia della CDU-CSU, una trappola per logorare l’SPD. All’SPD vengono concessi, per me volutamente, come nel precedente governo di Grande Coalizione del 2005 , soprattutto i ministeri sociali e innanzitutto il lavoro, ministeri direi “sensibili” che sono sottoposti continuamente a tagli, riduzioni, ridimensionamenti. Naturalmente l’elettorato, in particolar modo quello socialdemocratico, vede come responsabili di questi peggioramenti i politici che al momento dirigono questi ministeri, per l’appunto i socialdemocratici. Direi che questa tattica CDU-CSU ha funzionato e i socialdemocratici hanno perso le elezioni. La CDU-CSU adesso ci riprova”.
Grazie compagno.
Segue da pag. 1: (LA NUOVA POLITICA DELL’IMPERIALISMO AMERICANO …..)
per dirla con le parole del documento del PNAC ‹‹ un evento catastrofico e catalizzante, una nuova Pearl Harbor›› che avrebbe mobilitato l’opinione pubblica e avrebbe consentito loro di mettere in pratica le loro teorie e i loro piani. L’11 settembre era quello che ci voleva.”
Con l’opinione pubblica a favore il padronato americano invade prima l’Afganistan poi l’Iraq.
Il Golfo Persico è visto dai ricchi americani come uno dei punti fondamentali per gli interessi strategici globali dell’imperialismo USA. E’ la zona dove le vecchie potenze concorrenti, ma soprattutto le nuove e in particolare la borghesia di stato cinese si approvvigionano di energia per far funzionare le loro economie. E quando le nuove potenze emergenti saranno ancora più potenti e aggressivamente batteranno i pugni per esigere accordi a loro favore nel mercato mondiale, la borghesia americana avrà la possibilità, gestendo il petrolio della zona del Golfo, di frenare e contenere le loro pretese, minacciandole di limitare o chiudere il rubinetto dell’energia, vitale per le loro economie.
Come previsto dal documento del PNAC il risultato dell’invasione dell’Afganistan e dell’Iraq è stato un aumento considerevole delle basi militari Usa non solo nei due paesi, ma anche nei paesi arabi limitrofi.
Il compito del successivo governo Obama è stato consolidare queste basi militari e aprirne di nuove nella regione.
Sembra di capire che all’imperialismo americano non interessi la conquista militare stabile dell’ Afganistan e dell’Iraq, (almeno per il momento), lo scopo è, appunto l’installazione delle mega basi militari, poi il grosso delle truppe si potrà ritirare e lasciare in mano a governi fantocci i paesi conquistati.
Come considerazione possiamo affermare che, se da una parte l’imperialismo americano di fronte all’emergere di nuove potenti borghesie perde peso specifico economico nell’insieme del mercato mondiale, dall’altra aumenta vertiginosamente il suo peso militare.
Il padronato americano reagisce così.
Questo è il modo che sceglie per preservare il più a lungo possibile i suoi interessi globali. Un calo relativo economico che non può assolutamente evitare, che è inesorabile e costante, di cui in passato, come detto, anche altre potenze ne hanno dovuto fare l’esperienza. E tutte questa potenze hanno reagito nello stesso modo.
Tutto questo naturalmente ha un prezzo per l’imperialismo americano : la spesa militare USA è aumentata (poco pubblicizzato) del 69% nel periodo 2000 – 2009 e l’aumento del debito pubblico americano è passato tra il 2000 e il 2012 da quasi il 70% al 100% costringendo il governo Obama, per ben due volte, ad innalzare il tetto massimo della spesa pubblica stabilito per legge.
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L’UNIONE EUROPEA OVVERO
L’UNIONE DEL PADRONATO EUROPEO
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Più volte la borghesia ha tentato di riunire il mercato europeo.
Il primo tentativo è stato con Napoleone.
A fine 800 la Francia era in forte sviluppo e cercava, creando una forza europea continentale, di contrapporsi ad un imperialismo inglese che aveva colonie in mezzo mondo. La forza economica francese e il genio di Napoleone non sono però bastate ad avere il sopravvento sulle altre borghesie.
Il secondo tentativo di riunificazione europea è stato portato dalla borghesia tedesca con Hitler..
Dopo la riunificazione germanica attuata dalla Prussia con la guerra del 1870, l’industria tedesca aveva avuto un forte impulso e l’intero mercato europeo, occupato e tenuto stretto dalle altre nazioni, non lasciava spazi per gli affari accresciuti della borghesia tedesca in forte espansione. Quindi il padronato tedesco cercherà con le armi, nel primo conflitto mondiale di ottenere quei territori necessari per permettergli di continuare ad avere guadagni lucrosi.
La sconfitta del 1918 fermerà momentaneamente i suoi propositi.
Ed è appunto con Hitler che il padronato tedesco ci riprova una seconda volta. Questa volta la forza militare è maggiore e meglio attrezzata di prima, quella messa in campo nella prima guerra mondiale.
La borghesia americana con il suo intervento massiccio militare, ma soprattutto economico, a sostegno degli alleati farà fallire l’intervento tedesco. Con la vittoria gli Usa si assicureranno che non venga a formarsi una borghesia unica europea, che sarebbe stata una concorrente troppo pericolosa per gli affari e per i guadagni americani nel mercato globale.
Per il padronato tedesco il risultato è, che con la sconfitta non solo non riesce a riunire il mercato europeo, ma si ritrova addirittura con la stessa Germania divisa!
Il problema di una Europa unita però è sempre stato ben presente nei gruppi industriali e finanzieri europei. E’ una questione vitale di sopravivenza nella giungla della concorrenza tra potenze nel mercato globale. Chi è più grande e forte economicamente è avvantaggiato rispetto ai piccoli. E’ la legge inesorabile del capitale.
Dopo la seconda guerra mondiale sono le borghesie tedesca – francese –italiana che, riprovando, instaurano accordi economici per la creazione del mercato unico europeo (MEC). Il processo però è lungo e lento.
Con la riunificazione tedesca del ‘89 e il crollo Urss del ’91 l’integrazione trova un forte impulso. Nel ’92 viene stipulato il trattato di Maastricht e nel 2002 avviene l’introduzione dell’euro.
Da allora la riunificazione europea subisce un nuovo forte rallentamento.
Nei 10 anni successivi all’introduzione dell’euro il fatto più significativo è l’accordo che regola per legge le banche a livello europeo conclusosi l’anno scorso in dicembre.
C’è da chiedersi come mai dopo lo slancio degli anni 90, quando l’unione politica e militare europea sembrava quasi a conclusione, il processo di unificazione abbia subito un tale rallentamento.
Vien da pensare che il padronato americano, forte della vittoria della seconda guerra mondiale sui due fronti europeo e asiatico, tolleri una Europa unita solo sul piano economico e finanziario, cioè dal loro punto di vista un’Europa “debole”, ma non la voglia “forte”, cioè unita politicamente e tantomeno militarmente.
Si deduce che l’imperialismo americano può vedere, nel gioco di potenze globali, in un’Europa economica e finanziaria unita un contrappeso da porre alle nuove potenti borghesie emergenti, soprattutto asiatiche, che hanno una stazza continentale. Ma sembra chiaro che nel rapporto con gli europei il padronato americano vuole avere un ruolo predominante e dirigente, sia politico che, in particolar modo militare.
(continua da pag. 2: LA NUOVA POLITICA DELL’IMPERIALISMO AMERICANO …..)
Marc Vandepitte sul Le Grand Soir del 22 dic. 2013 coglie i punti fondamentali dell’incontro, seguiamolo nella sua esposizione: “Nel 1992, un anno dopo la caduta dell’Unione Sovietica, il Pentagono dichiarava: ‹‹ Il nostro obiettivo è di impedire che un nuovo rivale appaia sulla scena mondiale. Dobbiamo dissuadere i potenziali concorrenti anche solo dal giocare un ruolo più importanti a livello regionale o mondiale ››. E’ la dottrina che è stata mantenuta da qualsiasi presidente. Oggi questi proponimenti fanno pensare in primo luogo alla Cina. Per Hillari Clinton l’attenzione strategica degli USA deve spostarsi verso l’Oceano Pacifico: ‹‹ L’avvenire della politica si deciderà in Asia, non in Afganistan o in Iraq. E gli Stati Uniti si troveranno esattamente al centro dell’attenzione ››. In un dibattito televisivo con Romney, Obama è stato ancora più esplicito, ha definito la Cina un avversario”.
“Non si tratta solo di parole. Tutto intorno alla Cina gli USA hanno dislocato truppe, basi militari, punti di appoggio o centri di addestramento in 17 paesi o territori marittimi: Tajiikistan, Kirghizistan, Afganistan, Pakistan, Mare d’Arabia, Oceano Indiano, Stretto di Malacca, Australia, Filippine, Oceano Pacifico, Taiwan, Crea del Sud, India, Bangladesh, Nepal e Malesia. Nuove basi sono previste in Thailandia, Vietnam e nelle Filippine. Vi è una collaborazione militare con la Mongolia, Uzbekistan, Indonesia e recentemente con la Birmania. Entro il 2020 il 60% della flotta stazionerà nella regione. Se si esamina la cartina non è esagerato dire che la Cina è militarmente accerchiata”
Dopo questa lunga e necessaria premessa Marc Vandepitte passa a chiarire l’essenza dell’accordo tra Obama e Teheran, dove il governo iraniano ha ottenuto l’abolizione delle sanzioni economiche da parte americana: “ Zbigniew Brzezinski, superconsigliere di diversi presidenti Usa e attuale direttore d’orchestra della politica estera di Washington, si esprime in questi termini: ‹‹ Grazie all’accordo concluso con l’Iran, Washington ottiene più spazio [militare] per concentrarsi su altre regioni, in particolare sulla regione dell’Oceano Pacifico ››”.
Dopo essersi ben piazzato nel luogo strategico dell’approvvigionamento energetico del Golfo Persico da dove può ricattare i possibili concorrenti, il padronato americano passa ora all’accerchiamento militare del prossimo “avversario”.
Alla luce di tutti questi elementi si può dire che il futuro della scena internazionale sia chiaramente delineata. Che la strada intrapresa dall’imperialismo americano di “un significativo aumento della spesa militare”, di “sfidare i regimi ostili agli interessi e ai valori americani”, che “quando la diplomazia o le sanzioni falliscono, gli Stati Uniti dovrebbero essere preparati ad intraprendere azioni militari” sia ben segnata. Ma attenzione: non è solo la borghesia statunitense cattiva e guerrafondaia che ha questo modo di pensare. Tutti i padronati di tutte le nazioni sono di questo parere, tutti agiscono così, dipende solo dalla situazione, come il passato due guerre mondiali e centinaia di guerre locali hanno tragicamente dimostrato. La brutale lotta tra le borghesie nel sistema capitalistico trova qui solo la sua ennesima conferma.
Il prof. Chalmers Johnson ha tutta l’aria di essere un illuso pacifista, preoccupato, nei suoi articoli, che l’eccessiva spesa militare, assieme ad altre spese, che fanno schizzare la spesa pubblica possano portare gli Stati Uniti ad un default finanziario e al tracollo dell’economia americana.
Marc Vandepitte è un belga, un europeo e nel superattivismo di espansione militare americano vede un pericolo concreto che la borghesia Usa nel suo “ impedire che un nuovo rivale appaia sulla scena mondiale” possa mettere i bastoni tra le ruote al proseguo dell’integrazione dell’Unione Europea, cioè delle borghesie europee, che, dopo vent’anni, non hanno ancora raggiunto l’unità politica statale e militare.
Noi invece siamo internazionalisti, sappiamo che una società superiore è possibile. Sappiamo molto bene, come già tristemente successo nel passato, a cosa porterà questa rincorsa al militare.
Una società superiore non è solo possibile, ma necessaria. L’economia mondiale ha sufficiente produzione perché tutti possano star bene. Per questo ci battiamo.
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Punti fermi della scienza marxista
LO STATO, ESPRESSIONE DELLA CLASSE DOMINANTE
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Spesso ci facciamo la domanda: come mai i politici dicono una cosa e poi ne fanno un’altra? Perché le leggi colpiscono sempre i lavoratori e mai i ricchi?
Cerchiamo ad approfondire la questione.
Scrive Engels nell’Antidühring: “Lo stato moderno, qualunque ne sia la forma, è essenzialmente una macchina capitalistica, uno Stato dei capitalisti, il capitalista collettivo ideale”.
Per capire cosa ha che fare il comportamento dei politici e quanto dice Engels intervistiamo Mario B. attivista politico internazionalista in Italia che ci illustra la questione.
Dom :- trovi un collegamento con ciò che dice Engels e la società dei giorni nostri?
Risp: - “un po’ tutti si lamentano che i politici di dx, sx ecc. non sono coerenti. Penso che quando i lavoratori vanno a votare non abbiano ben chiaro come funziona il meccanismo. Se i politici, tutti, e sottolineo “tutti”, non sono coerenti il motivo c’è, non è un caso.”
Dom : -spiegati meglio.
Risp : -“I politici dicono sempre che loro lavorano per il bene della Nazione, del Paese, del popolo ecc.
Ma dobbiamo approfondire: chi sono la Nazione, il popolo? Certo, la Nazione, il popolo sono i lavoratori, il proletariato. Ma non solo: ci sono anche i ricchi, gli industriali, i magnati della finanza ecc.
Questi hanno un sacco di soldi e nella loro testa ne vogliono fare sempre di più. Se andiamo ad approfondire scopriamo che loro posseggono i giornali, le tv, le squadre di calcio e quant’altro.
I lavoratori invece non posseggono niente, non possono, col loro stipendio riescono, chi più e chi meno, a mantenere la loro famiglia, se è possibile si comperano l’appartamento ecc.
Con i giornali e le tv i ricchi influenzano e dirigono l’opinione pubblica. E poi fanno grosse donazioni di denaro ai partiti. Ovviamente le donazioni non le fanno per niente, senza uno scopo.”
Dom: - E questo secondo te condiziona la politica?
Risp: -“I partiti, tutti, presentano i loro candidati da votare. In campagna elettorale promettono tante belle cose. Ma cosa sappiamo noi veramente di loro, delle loro vere intenzioni?
Ultimo esempio la campagna elettorale appena svolta in novembre: SPD e CDU-CSU si sono affrontati accanitamente uno contro l’altro. Dopo le elezioni si sono però messi assieme nella Grande Coalizione. Sapeva chi andava a votare, di dx o sx, che sarebbe poi finita così? Nessuno! Probabilmente i partiti si erano già messi d’accordo prima
Dom: - I politici tengono quindi nascoste le loro vere intenzioni?
Risp: -“Certo! Lo si vede bene quando arriva una crisi economica. Chissà perché, i politici di tutti gli schieramenti, in tutti i Paesi, chiedono sempre sacrifici solo ed esclusivamente ai lavoratori.
Non ai ricchi. Perché?
In Germania gli industriali, gli economisti, le tv, i giornali, i politici ecc, dicono che il Paese deve essere più concorrenziale. E come si traduce questo in pratica? Che i ricchi devono rinunciare alle mega ville o agli Yacht? No! I lavoratori dipendenti devono avere meno aumenti salariali, i giovani in futuro si dovranno accontentare di trovare posti di lavoro sempre meno fissi e più a tempo determinato e ai padroni viene data la possibilità di assumere persone per 3 mesi a stipendio bassissimo. E questo avviene non solo in Germania, ma ancor di più in Grecia, Spagna, Italia dove sono io, Portogallo ecc, in ogni Nazione, senza eccezione. I politici di tutte i Paesi si comportano tutti allo stesso modo!
A questo punto dobbiamo porci la domanda: ma da che parte stanno realmente? Ed ecco che l’affermazione di Engels: “Lo stato moderno,qualunque ne sia la forma,è una macchina essenzialmente capitalistica” ci da la risposta. Allo Stato appartengono senz’altro anche i partiti. Direi che l’affermazione di Engels del 1878 è più che mai attuale. Siamo nel capitalismo e politici lavorano senza dubbio per i ricchi. Naturalmente lo devono assolutamente negare!
Punti fermi della scienza marxista
IL CAPITALISMO DI STATO
Riportiamo qui un articolo del 1997 del partito internazionalista leninista ” Lotta Comunista” dal titolo “Capitalismo di stato e falso Comunismo”, che indica con concetti semplici e chiari i punti fondamentali di riconoscimento del Capitalismo di Stato.
Per decine di migliaia di lavoratori, generazione dopo generazione, la Russia e, più in generale, il blocco dei paesi cosiddetti socialisti ( Est Europa, Cina, Cuba …) hanno continuato a rappresentare l’espressione concreta delle aspettative e delle speranze per una società diversa, una società socialista in cui si potesse realizzare l’emancipazione dei lavoratori. Generazioni di lavoratori sono cresciuti nella convinzione che la Russia fosse la dimostrazione tangibile che il socialismo è una realizzazione possibile, questo è stato lo sfondo permanente del proprio impegno politico, con la Russia socialista contro l’imperialismo americano. Ci sono stati certo momenti di difficoltà e di incertezze nel corso del tempo: dall’improvvisa alleanza Stalin-Hitler che mise in grave difficoltà chi tentava in Italia e fuori d’Italia di organizzarsi per combattere il fascismo, al drammatico XX Congresso del PCUS che vide il mito di Stalin improvvisamente e violentemente abbattuto, fino ai momenti egualmente drammatici della rivolta di Ungheria e poi della Cecoslovacchia che videro i soldati dell’Armata Rossa contro i lavoratori ungheresi e cecoslovacchi. Difficoltà e incertezze che sono state superate, riconoscendo anche gli errori, sempre nella convinzione della necessità di difendere la patria del socialismo dall’aggressione dell’imperialismo.
Da parte di tutti gli schieramenti ideologici si riconosceva una divisione bipolare nel mondo che contrapponeva al blocco capitalista un blocco socialista.
In realtà in Russia, con lo stalinismo si affermò un modello di formazione economico-sociale che, ideologicamente definito e propagandato tra le masse operaie come “socialismo”, trova invece la sua caratterizzazione principale nell’affermazione economica e politica delle forze del capitalismo di Stato nell’industria, col permanere di zone di capitalismo privato e precapitalistiche, in particolare nelle campagne.
La “pianificazione” [russa n.d.r.] svolse la funzione di centralizzare i capitali disponibili nelle mani dello Stato, al fine di attuare l’”accumulazione” accelerata del capitale industriale, ma l’economia nel suo complesso era organizzata secondo le categorie del capitalismo.
1) Le imprese sono “uguali” e “autonome”; siamo in presenza dei “produttori indipendenti” privati, dell’economia mercantile, che stabiliscono rapporti tra di loro sulla base di contratti.
2) Esse comprano e vendono. Non consegnano il loro lavoro alla società, che assegna a loro le risorse, ma producono per vendere.
3) I loro prodotti sono quindi merci. Esse circolano nella società scambiandosi con denaro, confrontandosi come valore di scambio.
4) E’ il valore di scambio quindi che costituisce il nesso “sociale” tra le imprese: la loro produzione non è “direttamente sociale”.
Abbiamo quindi tutti gli elementi dell’economia mercantile capitalistica:
1) Il lavoro salariato, salario in moneta.
2) Valore che si valorizza: il criterio della gestione è “il confronto tra le spese e i risultati espresso nella forma di valore” e la validità della gestione si valuta sulla base della redditività = profitto/C+V = marxiano “saggio di profitto”.
Ma un valore che ha la funzione di valorizzarsi è un “CAPITALE”, e il suo aumento di valore è:
3) Plusvalore. Si divide in: profitto netto, rendita, interesse (o remunerazione dei fondo forniti dallo Stato).
Abbiamo tutto quello che ci serve per definire CAPITALISTA il modo di produzione dell’industria di Stato russa.
L’economia russa mostra dunque, ad una più attenta analisi delle leggi obbiettive che regolano i rapporti di produzione, tutti i caratteri tipici della “specie capitalismo”.
Ne esce il quadro di una società certamente piena di caratteri peculiari che derivano dal processo storico con cui si è formata, in modo del tutto anomalo, una formazione economico-sociale a prevalente carattere di capitalismo di Stato.
Una società alle prese con problemi molto complessi, alle prese con la necessità di trasformazioni profonde. Problemi che, in qualche modo con la crisi di ristrutturazione e l’accelerata mondializzazione dell’economia, hanno coinvolto tutte le metropoli imperialistiche, problemi che in nessun modo sono riferibili ad una presunta natura sociale.