LA VIOLENZA INFINITA DEL SISTEMA CAPITALISTICO:

LE GUERRE

I CAPITALISTI NON POSSONO VIVERE

SENZA LE GUERRE

 

I SANGUINOSI CONFLITTI ARMATI PARTE NORMALE DELLA POLITICA CAPITALISTA. QUESTO E’ IL MOTIVO PER CUI LA SOCIETA’ CAPITALISTA NE E’ SEMPRE PIENA

 

 

I capitalisti non ripudiano le guerre. Assolutamente no. 

Per i capitalisti le guerre sono uno dei mezzi per raggiungere i loro scopi. Nella lotta di espansione tra capitalisti per la conquista dei mercati, quando i mezzi diplomatici non bastano più, lo scontro armato, nella logica degli affaristi capitalisti, diventa un elemento del tutto normale, necessario, per abbattere la concorrenza. Nella logica capitalistica gli affari devono sempre avere la precedenza, se necessario anche con la guerra. 

Il carattere espansivo guerrafondaio dei borghesi non è stato solo visto e affermato da Marx e dai grandi rivoluzionari, ma espresso chiaramente anche dal generale prussiano Clausewitz. Il quale nella sua esperienza militare pratica aveva osservato come “la guerra fosse la continuazione della politica con altri mezzi”. 

Quindi per i capitalisti non esiste nessun problema provocare e condurre una guerra al fine di espandere gli affari. Il problema per loro invece è convincere la propria popolazione proletaria, che con corrotti affari e con le nefaste guerre nulla ha che fare, che l’aberrante guerra in certi casi diventa giusta, necessaria, e che quindi bisogna sostenerla, bisogna attivarsi per abbattere il nemico.

Ed è quando i capitalisti vogliono far scoppiare una guerra, che attivano i politici e socialmedia di trovare un pretesto, un motivo plausibile, per convincere i lavoratori, cosicchè la massa della popolazione veda nel “nemico” (il concorrente) un grosso pericolo e aderisca al sostegno della repellente e sanguinosa guerra borghese.

Ed è qui, nella fase antecedente e durante una guerra all’estero che i media capitalisti di ogni nazione per coinvolgere le proprie masse lavoratrici nel conflitto mostrano foto, reportage sulla nazione “nemica”, di ingiustizie e violenze che la accadono (che nel capitalismo non mancano mai) mostrano filmati di scene cruente che avvengono nel paese contro cui muovere guerra, creando in questo modo l’immagine di un nemico malvagio, nel quale dirigenti despoti-esaltati (che invece nel loro paese vengono ritenuti eroi) sono talmente cattivi e pericolosi per cui è necessario combatterli per eliminarli (… se si osserva, esattamente come viene mostrato nei film).

Nel gioco capitalistico quindi è compito della stampa e delle tv borghesi mostrare le disfunzioni, la ferocia del fronte “nemico” (e tenere però ben nascoste le proprie).

Quindi il sistema capitalistico, come ben analizzato e evidenziato da Marx, non produce solo momenti di relativo benessere, è invece un meccanismo perverso pieno di contraddizioni, ingiustizie, disfunzioni, tra cui le mostruosità delle guerre.

Si può senz’altro affermare che I CAPITALISTI VIVONO NELLA VIOLENZA:

 

-           - nella violenza per battere la concorrenza degli altri capitalisti,

-           - nella violenza quotidiana come minoranza per tener sottomesse le masse proletarie,

-           - nella violenza della fabbrica per sfruttare i lavoratori dipendenti,

-           - nella violenza delle crisi economiche e sociali,

-           - nella violenza delle guerre per abbattere i concorrenti e conquistare nuovi mercati,

-           - nella violenza per reprimere i moti rivoluzionari dei proletari.

 

IN SINTESI si può senz’altro ribadire che il sistema capitalismo è un sistema BASATO ESSENZIALMENTE SULLA VIOLENZA, contro cui i rivoluzionari marxisti contrappongono la società senza più profitto, ne concorrenza, ne classi. Una società dove la suddivisione dei beni prodotti offre invece una tranquilla, superiore, e storicamente società comunitaria da venire.

AUMENTA LA PRESENZA MILITARE DELL’ IMPERIALISMO TEDESCO 

 

I FORTI INTERESSI CAPITALISTICI DI BANCHE E IMPRESE SPINGONO ANCHE IL GOVERNO TEDESCO AD ESPANDERE L’INTERVENTO MILITARE ESTERO.

 

 

E si, questa è la realtà. I tedeschi ritengono la Germania sia un paese pacifico, di cultura, antiguerrafondaio, esportatore di concetti democratici, di pace, umanitari e di tolleranza …  perché questo è quanto i politici e i media propagandano all’interno della nazione.

Ma esiste poi la vera realtà. E la realtà è che anche la cosiddetta “pacifica e acculturata Germania” è un paese capitalistico, ma non solo, è anche un paese imperialista. Imperialista significa che anche le banche e le multinazionali tedesche hanno zone di succulenti affari in diversi paesi esteri. Affari che ai grandi capitalisti tedeschi portano enormi profitti, che non vogliono assolutamente perdere (come qualsiasi capitalista).  

E se per tenersi questi abbondanti e lucrosi affari significa muovere l’esercito fuori nazione e addirittura muovere guerra, come il passato dimostra, anche per i capitalisti tedeschi non esiste problema. Questa è la realtà anche per la “apparente tranquilla Germania”. La realtà di sempre.

Naturalmente - come di continuo dimostriamo - com’è prassi in queste situazioni di intervento militare estero, la stampa e i politici di ogni nazione per non irretire la popolazione che quotidianamente viene sfruttata ed è contro le guerre, giustificano il loro orrendo comportamento delle missioni militari estere sempre come “difesa per la pace” “salvaguardia della democrazia” “missioni umanitarie”, contro “spietati nemici fanatici” che vogliono rovinare il mondo. Mai la stampa specifica che invece le zone di intervento militare all’estero sono luoghi dove i capitalisti ne vedono grandi interessi economici con grandi guadagni, e se li vogliono tener stretti contro i concorrenti. 

E’ proprio prassi che in queste situazioni gli interessi imprenditoriali e bancari non vengano mai citati ne divulgati. I capitalisti devono rimanere sempre nell’ombra e dietro le quinte dirigere i politici.

Quindi anche la borghesia tedesca con i suoi governi si muove in questa direzione.

Le ultime notizie riportano come la Grosse Koalition abbia in programma la promozione di due nuove “missioni” estere, una in Africa e una in Asia, per rafforzare la sua presenza militare sul pianeta. Per la prima in Africa così viene riportato dal portale SPIEGEL Online del 15 nov: “La Francia ha richiesto alla Germania - secondo informazioni SPIEGEL – di partecipare alla costituzione di una nuova unità di comando in Mali. Nel corso della missione “Tacouba” (sciabola) prevista per l’anno corrente, verranno addestrate forze speciali del Mali”  ma aggiunge poi SPIGEL: “ … Questo cosiddetto “tutoraggio” [formazione di militari in Mali n.d.r.] viene considerato come il più pericoloso delle missioni di addestramento fin’ora condotte dall’esercito tedesco”. Quindi la Bundeswehr in Africa, oltre ad essere presente in Sudan, Sudsudan, Marocco, Gibuti e già in Mali (fonte Bundeswehr) rafforza ora ancor di più la sua presenza in Mali.  

Riguardante invece l’altra “missione” in Asia, continua SPIEGEL Online: “E’ in trattativa il piano per mandare una nave Fregata tedesca nel Mar Cinese del Sud o nella fascia dei 180 km di mare che dividono Taiwan dalla terra ferma cinese … La missione è parte del controllo sulle sanzioni imposte alla Cina, ma anche un segnale per essa”. Perciò anche in Asia, dopo essere presente militarmente in Afghanistan, Siria, Iraq e Libano (sempre fonte Bundeswehr) l’imperialismo tedesco si intromette ora con l’esercito anche contro la Cina.

Quindi senza tanta pubblicità, anche i capitalisti tedeschi espandono la loro presenza militare sul globo. Ed è naturale, come gli altri imperialismi dimostrano, che se sarà necessario useranno anche le armi per “difendere gli interessi tedeschi nel mondo“ cioè gli interessi capitalisti che i grandi gruppi economici speculativi tedeschi in queste aree hanno.

 

Uno stato capitalistico “pacifico” senza guerre, come molti auspicherebbero, non è possibile, non può esistere in questa società basata sul guadagno. E’ la furiosa concorrenza per i profitti che porta i capitalisti a scontrarsi economicamente, finanziariamente, ma anche militarmente. 


 

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L’INCESSANTE INSTABILITA’ DEL CAPITALISMO

 

ELIMINAZIONE SOLEIMANI

E REAZIONE IRANIANA:

SFIORATA UN’IMPROVVISA ESCALATION MILITARE?

 

 

 

 

Le violente proteste di piazza  avvenute in Iraq nello scorso dicembre risultavano essere state causate dalle correnti della componente sciita irachena diretta dagli sciiti iraniani contro il governo di Bagdad, governo costituito soprattutto da rappresentanti filoccidentali. 

Disordini che hanno avuto una forte e inaspettata escalation, fino all’esagerazione di attaccare l’ambasciata americana nella stessa capitale irachena Bagdad.

Dal punto di vista politico è stato da subito evidente che queste proteste in Iraq non erano spontanee e venivano fortemente strumentalizzate e pilotate dalle forze del vicino Iran. E già allora molte fonti internazionali individuavano e denunciavano come mente direzionale delle ribellioni sciite irachene il generale iraniano Soleimani. Proteste che hanno lasciato sul campo più di un centinaio di vittime, tra manifestanti e forze di polizia.

All’esagerato attacco all’ambasciata americana, la reazione americana è stata - guidata personalmente dall’irato presidente Trump - estremamente drastica: l’eliminazione fisica della “mente” delle proteste, il generale Soleimani, con alcuni altri dirigenti iracheni sciiti, capi delle proteste stesse. 

Una reazione così “radicale” da parte americana, cioè l’eliminazione fisica del generale, gli ayatollah iraniani proprio non se l’aspettavano, e lo shock da parte dell’establishment di Teheran e per l’Iran intero è stato impressionante. Provocando nel paese le note immense manifestazioni di massa gridanti vendetta contro gli americani. Immense manifestazioni che hanno spinto il governo iraniano ad una pericolosa scelta: o procedere a sua volta alla vendetta-ritorsione contro gli americani, con il rischio di provocare però un’ulteriore reazione di Washington - rischiando di innescare una reazione a catena di reciproche ritorsioni-vendette tra americani e iraniani, oppure … lasciar perdere.

Ma anche lasciar perdere era quasi impossibile. La frittata da parte di Teheran era stata fatta. Gli Ayatollah avevano esagerato nel provocare e condurre la protesta sciita in Iraq, causando la reazione shoccante americana. Ed ora si trovavano nella situazione pericolosa di dover portare avanti la vendetta per l’uccisione di Soleimani chiesta a gran voce dalle sconvolte masse iraniane. Mentre il fronte dei media internazionali spaventati dall’eventuale reazione iraniana gridavano l’inizio di una involuzione in una guerra senza fine tra America e Iran, e i leader politici di mezzo mondo invitavano le parti alla moderazione.  

La rischiosa scelta degli Ayatollah alla fine è stata, com’è noto, di bombardare le due basi americane situate in Iraq, premunendosi però di avvisare anticipatamente e accuratamente sia gli americani che il governo di Bagdad del loro imminente attacco, in modo che la ritorsione-vendetta non causasse nessuna vittima. E così è stato. E la faccenda si è chiusa così.

A cosa finita si può osservare come Trump e il governo iracheno abbiano avuto, con l’uccisione di Soleimani conduttore dei forti disordini provocati dagli iraniani in Iraq, la loro ritorsione-vendetta. E come gli Ayatollah, bombardando le basi americane (senza pero “esagerare”) abbiano potuto placare la sete di rivalsa richiesta dalle folle iraniane infuriate.

Trump alla fine si è dichiarato soddisfatto, così come gli Ayatollah di Teheran. 

Il terrore di una escalation militare tanto temuta e gridata da molti, alla fine quindi non c’è stata. E l’atmosfera ha potuto distendersi. 

Questo fatto però ha confermato ancora una volta quello che temono tutti ed a tutti è chiaro: in questa società, al di là delle tante belle parole retoriche di “pacifismo” o “democrazia”, una guerra può facilmente, per un qualsiasi motivo e in qualsiasi momento, scoppiare.

E il caso dell “omicidio Soleimani” è li a ricordarlo: nessuno nella società del capitalismo può dormire sonni tranquilli (se qualcuno l’avesse scordato).

 

 

FRANCIA: SCIOPERI CONTRO  IL PEGGIORAMENTO DELLE PENSIONI.

LA DURA LOTTA COMINCIA A VINCERE

 

I LAVORATORI FRANCESI ALL’APICE

DELLA LOTTA EUROPEA 

 

Ancora una volta sono i lavoratori francesi a far storia: sono loro che di nuovo, decisi e senza titubanze, si oppongono all’ennesimo peggioramento condotto dal governo: portare l’età pensionabile da 62 a 64 anni per alcune categorie importanti del settore lavorativo. Non è una scelta che l’esecutivo francese ha preso da solo e conduce da solo, ma nel suo attacco ai lavoratori sta procedendo in sintonia con tutta la borghesia europea.

Perché anche questo nuovo attacco ai salariati francesi è parte integrante della generale politica europea, la UE, organismo sovranazionale diretto dall’imprenditoria di tutta Europa, banche e multinazionali comprese. Lo scopo dell’attacco è aumentare i profitti delle imprese aggravando le condizioni di vita dei giovani e di lavoro dei salariati (e delle loro famiglie) nonostante che nello sfruttamento quotidiano tutte le economie del continente godano ottima salute. E’ un attacco UE che viene condotto simultaneamente in tutte le nazioni e da tutti i governi europei, indistintamente se di destra, centro o sinistra.

Ma sono i lavoratori francesi in Europa con le loro lotte intense, dure, lunghissime, talvolta brutali, che si trovano ad essere, come sempre, in prima fila nel contrastare l’attacco padronale, dando l’esempio ai proletari e ai sindacati di tutte le nazioni europee.

Lo sciopero ad oltranza indetto contro l’attacco alle pensioni è iniziato più di un mese fa, e tenacemente sta proseguendo ancora adesso. I settori interessati alla lotta sono i lavoratori del pubblico impiego, del commercio e dei trasporti, in cui lottano e scioperano senza paura e senza sosta ferrovieri, personale delle metropolitane, infermieri, medici, postini, impiegati, avvocati, personale artistico, e molti altri.

Lo spavaldo presidente francese Macron si è mostrato all’inizio molto risoluto e beffardo nel perseguire gli interessi degli imprenditori. Ma con il passare del tempo e dopo più di un mese di duri e intensi scioperi con totale caos nazionale ha dovuto dare segni di cedimento, fino al punto, all’inizio di gennaio di mandare una lettera di compromesso ai sindacati, dove accetta di “sospendere temporaneamente” l’innalzamento dell’età pensionabile dei 64 anni.

Un forte cedimento, certo, “ma parziale” dichiarano le organizzazioni sindacali, che affermano di continuare con gli scioperi duri fino a quando tutte le misure contro i lavoratori contenute nel “pacchetto” Macron non saranno ritirate.

ANCORA UNA VOLTA, come già successo nel passato, E’ LA MENTALITA’ COMBATTIVA FRANCESE  che si conferma  VINCENTE contro i governi.  E come nel passato il proletariato francese si sta posizionando COME L’AVANGUARDIA della lotta proletaria europea. Avanguardia che in seguito è seguita dalle altre nazioni.

 

Infatti  ANCHE IN ITALIA I SINDACATI, sulla scia delle proteste francesi, hanno comunicato la posizione ufficiale di voler abbassare l’età pensionabile a 62 anni (o a 41 anni di contributi senza limiti di età) anzichè gli attuali 67 anni previsti dall’attuale legge Fornero.

Dove invece tutto rimane immobile  è qui in Germania, con l’età pensionabile a 67 anni, e dove recentemente la Bundesbank ha proposto addirittura di portarla a 69, senza che il sindacato muova la più piccola reazione di contrarietà.

 

E’ evidente però che per essere più efficaci ed avere più peso contrattuale le organizzazioni sindacali europee si dovrebbero presentare tutte unite in un unico cartello solidale europeo contro il padronato europeo-Ue, e costituire così un fronte sindacale compatto su pensioni europee, salario europeo, contratti di lavoro fisso europeo, ecc. per il padronato europeo-UE sarebbe molto più difficile attaccare i lavoratori per peggiorarne le condizioni, cosa che gli riesce invece più facile adesso nazione per nazione.


 

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-DEUTSCH-KORRUPTION STORY-

CORRUZIONI E TRUFFE CONTINUE ANCHE NELLA GRANDE e (presunta)

“ONESTA” GERMANIA

 

 

 

Dopo la truffa della Volkswagen sulla manipolazione dei gas di scarico delle auto diesel inquinando l’atmosfera di mezzo mondo; dopo l’indagine in corso sull’export illegale di 

rifiuti (si sospetta anche tossici) verso la Polonia da parte delle ditte tedesche addette allo smaltimento, adesso è il grande complesso industriale Siemens con le sue ex dirigenze ad essere beccato dalla giustizia per malaffare.

In Grecia ad Atene, l’ex dirigente capo della Siemens Heinrich von Pierer è stato condannato dal tribunale a 15 anni di carcere. Con lui anche 21 altri suoi collaboratori.

Sono stati tutti condannati dai 6 a 15 anni di carcere per tangenti e lavaggio di denaro sporco  Di questi 22 manager Siemens - riporta Spiegel-Online del 2 dic. - 7 sono tedeschi. “Non ci si aspetta però che la Germania estradi i cittadini tedeschi” anche se condannati, precisa però Spiegel. Vale a dire che le autorità tedesche, anche se i responsabili di questi crimini sono stati riconosciuti colpevoli,  non consegneranno i malfattori alla giustizia greca - intende Spiegel.

Entrando nel dettaglio dei reati, il portale chiarisce che i manager Siemens avrebbero elargito copiose bustarelle a importanti dirigenti in Grecia “per accaparrarsi la digitalizzazione della rete telefonica greca” (ibidem).

Insomma, fatti di normale corruzione capitalistica, diciamo noi. “Tutto il mondo è paese” cita un noto proverbio. Visto che anche la Germania come paese affaristico appartiene al mondo della corruzione, delle truffe industriali, delle manipolazioni finanziarie, delle bustarelle.

Ma la stampa tedesca al contrario, assieme ai politici, vorrebbe far credere, è intenta nel creare invece l’immagine, nei sui articoli e reportage,  di una Germania si capitalistica, ma onesta, perbene, sensibile alle tematiche sociali, solidale. Vorrebbe far credere che il paese tutto sommato è un paese capitalista, ma “diverso”, “onesto” …

Non può essere così, naturalmente, e i fatti criminosi lo dimostrano. Anche la Germania  ha i suoi casi di truffe capitalistiche, come in tutto il mondo.

Quello che suona strano però in tutti questi fatti criminosi di malavita industrial-finanziaria tedesca, è che tutti i crimini contestati ai gruppi tedeschi, avvengono sempre all’estero, sempre fuori dal suolo tedesco, mai all’interno della nazione Germania. Se si osserva accade proprio così.

La Volkswagen per es. per la truffa delle emissioni è stata beccata in America. Ma è chiaro, logico, che il suo meccanismo truccato di emissione illegale di scarico dei diesel era già operante da molto tempo in Europa e sopratutto sul suolo germanico. Ma in Germania questo non è stato stranamente scoperto, mai, nonostante la nota severità e precisione dei tedeschi sui controlli. 

Il fatto poi del sospetto di export illegale di immondizia tedesca verso la Polonia. Anche questo è stato denunciato dalle autorità di Varsavia, non da quelle tedesche. Anche qui: eppure i camion tedeschi pieni di presunta immondizia illegale hanno sempre transitato tranquillamente dalla frontiera tedesca verso la Polonia, ma stranamente le autorità tedesche, note per il loro rigore, non si sono mai accorte di nulla (… strano).

 

E la corruzione della Siemens in Grecia. Sembra che anche questo crimine abbia le sue radici in Germania ad Essen. Ma nessuna indagine è partita dalla Germania.

Anche il tragico fatto del rogo in Italia di una fabbrica ThyssenKrupp suona strano. Disastro avvenuto nel 2007 che ha causato la morte di 7 operai. Dove la multinazionale tedesca eludendo tutte le essenziali norme di sicurezza ha creato i presupposti per il rogo e la tragedia. Anche in questo caso non è partita nessuna indagine dalla Germania e il procedimento penale è stato portato avanti solo ed esclusivamente dalla magistratura italiana. ( …. ma la magistratura tedesca cosa fa ??? … dov’è ????)

Osservando bene questi fatti, sembra quasi che le autorità tedesche abbiano delle reticenze ad indagare scrupolosamente sul comportamento delle proprie aziende e sul mondo politico che le circonda.

E alla luce di questi fatti delittuosi, la logica domanda che viene spontanea da porsi quindi è: possibile che solo le magistrature degli altri paesi scoprano i crimini delle aziende tedesche?

L’ovvia risposta non può che essere: NO! Certo che NO!

Forse nascondendo questi fatti criminosi l’establishment dirigenziale tedesco cerca di accreditare la Germania come ”seria”, “unica”, “onesta”. Ma anche questa è un enorme menzogna.

PROTESTE - SCONTRI - SCIOPERI 

ANCHE IN CILE LOTTA DI CLASSE DURA CONTRO L’ AUSTERITA’, IMPOSTA dal Fondo Monetario Internazionale

 

 

 

In Cile è il Fondo Monetario Internazionale (FMI) a dettar legge. Impone direttive di ferrea austerità economico-sociale.

Il governo, gli imprenditori e le banche cilene hanno chiesto grossi prestiti a questo istituto bancario internazionale, il quale come garanzia per la restituzione del denaro prestato, come successo in passato in Grecia, in Italia e in molti altri paesi ancora, detta regole economiche, politiche e sociali nazionali che devono essere rispettate se i capitalisti vogliono avere i crediti richiesti. In sostanza ciò che questo istituto bancario sovranazionale è sua prassi richiedere ai governi è che siano le masse lavoratrici (nel caso cileno: i lavoratori dipendenti e i contadini), messe sotto ferrea austerità, a pagare le rate di restituzione.

Chiarendo meglio, il meccanismo affaristico di prestito del FMI funziona che i capitalisti cileni ricevono dal FMI crediti enormi che poi usano per i loro affari e interessi. Il governo si incarica poi, risparmiando soldi attraverso una dura austerità, con duri sacrifici sociali e ferree rinunce imposti alla popolazione lavoratrice, di restituire questi prestiti.

Sembra un’assurdità, un paradosso, ma anche questa è una delle contraddizioni perverse dell’OPPRESSIVO sistema capitalistico: I CAPITALISTI RICEVONO, I LAVORATORI PAGANO.

Quindi da molto tempo le masse lavoratrici cilene sono sotto forte tensione per un’austerità dispotica che colpisce le famiglie, con stipendi che non permettono un tenore di vita decente, infierisce sul sistema pensionistico già di per se stesso insufficiente, sgretola il settore sanitario ormai non più aggiornato, impoverisce l’istruzione senza quasi più personale, e così via in tutti i settori. A questo bisogna aggiungere una elevata tassazione nazionale.

L’evidenza ci dice quindi che in Cile si sono accumulati tutti gli elementi deflagranti perchè la situazione sociale diventi esplosiva (cosa però agli occhi dei gruppi capitalistici dominanti e dei politici a loro asserviti, del tutto indifferente e irrilevante).  

 

LA RIBELLIONE.

Quindi l’esplosione. In ottobre a creare il motivo dell’improvviso inizio di un’enormità di scioperi spontanei è stata la classica goccia: l’aumento dei biglietti dei servizi pubblici per gli studenti. Questi hanno reagito protestando duramente, innescando una catena di moltitudine di proteste e scioperi spontanei violenti che hanno sconvolto tutti i settori della società cilena: dai minatori ai metalmeccanici, dai portuali ai ferrotranvieri, dagli insegnanti agli infermieri, e così via. A fronte delle legittime e giuste richieste di miglioramenti dei lavoratori, l’atteggiamento borghese del governo Sebastiàn Piñera è stato etichettare gli scioperanti come “pigri fannulloni”.

 

I GRANDI ASSENTI ALLE PROTESTE.

Fortissime ribellioni di lotta di classe in Cile quindi. E più che mai legittime.  

Riguardante la situazione di lotta, molto interessante è quanto riporta il portale “La voce delle lotte.it” del 25 ott. 2019:  “I grandi assenti di queste ore sono, però, proprio la CUT [Central Única de Trabajadores de Chile. n.d.r.] dal punto di vista sindacale, e la ‘sinistra politica’ istituzionale, rappresentata dal Frente Amplio (una coalizione di centro-sinistra con partiti di matrice liberale, ecologista e social-democratica), dalla Convergencia Progresista (Radicali e Laburisti) e dal Partito Comunista”. Prosegue poi il portale: “ … La CUT ha fatto resistenza il più possibile prima di cedere e associarsi allo sciopero generale che ha bloccato ieri il paese”.  (articolo “SPECIALE CILE: “I rivoluzionari cileni rivendicano lo sciopero generale fino alla caduta del governo Piñera”). 

Si, molto interessante l’opposizione che queste organizzazioni hanno opposto agli scioperanti. Perché il governo in carica Piñera si proclama di destra, mentre le opposizioni citate e il sindacato di sinistra. Come mai allora questi partiti-organizzazioni che si proclamano di sinistra non si sono subito associate alle dure e giuste proteste dei lavoratori, ma hanno fatto di tutto per frenarle?

E’ l’ennesima conferma di quanto Marx - e noi marxisti - da sempre affermiamo: il parlamento con i partiti di destra o sinistra è solo una “facciata”, i partiti sono solo teatralità. Alla fine tutti questi partiti sono al servizio dei ricchi capitalisti, e le liti e i finti scontri che insorgono tra di loro in parlamento sono solo show.  

E lo si vede bene in Cile in questo momento di crisi, dove ecologisti,  social-democratici, liberali, radicali, laburisti e perfino il (finto) Partito Comunista e le dirigenze sindacali si sinistra (che da tutti questi partiti sono controllate) frenano sugli scioperi. E’ in questi momenti cruciali che le destre e le sinistre parlamentari si ritrovano (sempre) unite nel gioco di difesa del governo e dei capitalisti (in questo caso quelli del Fondo Monetario Internazionale).

Queste sono esperienze importanti, fatti significativi, che i giovani e i lavoratori devono ben imparare, ne devono far tesoro: i partiti, i politici, al di la delle belle parole e delle tante promesse sono sempre e comunque AL SERVIZIO DEI RICCHI CAPITALISTI.

 

LA DURA REPRESSIONE

 

Come successo contro gli scioperanti in Iran e in Russia, la repressione anche in Cile si dimostra estremamente brutale e sanguinosa. Con militari che sparano sulla folla, arresti di massa e violente azioni poliziesche. E’ proprio in queste occasioni di forte proteste proletarie che i capitalisti mostrano la loro vera faccia repressiva e oppressiva, di solito nascosta dietro la facciata “democratica”. Questo accade regolarmente in ogni democrazia nel mondo quando i lavoratori disperati protestano duramente.  


 

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- IL GOVERNO CONTRO I GIOVANI-

PIU’ “LAVORO FLESSIBILE” SIGNIFICA “PIU’ LAVORO PRECARIO PER I GIOVANI”

I PADRONI HANNO INTERESSE A PIU’ LAVORO PRECARIO

“Il ministro Heils sta considerando l’introduzione 

di una legge per il lavoro mobile “

 

 

Leggendo l’articolo del Tageschau:  “Heil vuole incentivare il lavoro flessibile“, è interessante subito notare come tutto l’articolo sia impostato affrontando i problemi citando solo le esigenze degli imprenditori, mai quelle dei lavoratori dipendenti o dei giovani. Per es. scrivendo del “lavoro mobile” così si esprime il Tagesschau: “Il lavoro mobile … in questo modo i datori di lavoro devono risparmiare tempo per poter avere più tempi extra per Assistenza e compiti di riordino, ulteriore qualificazione o Volontariato, ecc ….” per poi sul lavoro fisso proseguire: … “I datori di lavoro causa motivi di azienda, devono poterlo anche rifiutare. Precisamente molti imprenditori offrono la possibilità del lavoro mobile”. Quindi, alla constatazione, tutti gli sforzi del ministro del lavoro, com’è evidente, sono orientati solo ad agevolare gli imprenditori, escludendo i lavoratori o i giovani, anche se è stato votato da quest’ultimi  .  

Questa contraddizione, tra il voto e il fare tutto il contrario dopo le elezioni da parte dei politici, è la conferma di quanto Marx afferma - e che noi avvaloriamo e ripetiamo - che le elezioni sono una farsa e  i governi nel sistema capitalistico sono al servizio sempre e comunque dei ricchi capitalisti.

 

MA PERCHE’ QUANDO SI PARLA DI “FLESSIBILITA’” NOI MARXISTI SOSTENIAMO CHE IL GOVERNO INTENDE SEMPRE IL DILATARE IL LAVORO PRECARIO A SFAVORE DEI SALARIATI?

 

Perché questo è quello che stanno facendo e intendono tutti i governi europei, Francia, Italia, Spagna, ecc. quando affrontano il tema “flessibilità” ed è l’esperienza di tanti anni di attività e di lotte che ci conferma che è questo che intendono i governi.  

L’articolo infatti rileva come nella bozza di governo si diano di proposito (com’è prassi di come operano tutti i governi) poche spiegazioni sui contenuti di cosa si intende “incentivare il lavoro flessibile”. Questo è la tattica usata per non allarmare i sindacati.       

Si citano solo temi secondari come  “il lavoro a casa”, il “lavoro mobile”, la “riqualificazione”, la “modifica dell’Hartz IV”, gli “incentivi ai figli per i genitori che lavorano”, ecc, non specificando in realtà quasi niente anche su questi. Ma di proposito si da solo un accenno “all’estensione del lavoro flessibile”, il nocciolo, la cosa più importante per gli imprenditori, che poi, come d’uso di tutti i governi europei, si tradurrà in più lavoro precario e bassi salari per i giovani che entrano nel mondo lavorativo (cosa che i giovani conoscono molto bene).

 

LE DIRETTIVE EUROPEE  (leggasi borghesia europea)

Anche la Große Koalition sta seguendo scrupolosamente le direttive UE, le quali, dirette dalla imprenditoria europea, sono protese agli interessi dei padroni e non dei salariati.

 

Tutti conosciamo le terribili “Direttive UE”. Nonostante le imprese denuncino in continuazione attivi enormi, e nonostante i PIL delle nazioni siano in costante aumento e i bilanci delle banche siano sempre più che mai positivi, le direttive UE indicano ai governi non l’aumento degli stipendi o più posti fissi di lavoro, o aiuti alle famiglie dei lavoratori, ma insistono senza tregua perché i governi si adoperino per peggiorare le condizioni dei salariati, con l’indicazione di frenare invece gli stipendi, di diminuire i posti fissi e aumentare il lavoro precario e i contratti a termine, che ai giovani vengano fatti contratti d’ingresso con stipendi molto bassi, che la spesa sociale alla famiglie venga diminuita, che si aumentino le tasse sugli stipendi e premono per la riduzione delle pensioni. 

Per togliere ogni dubbio sulla politica contro i lavoratori perseguita dalla UE basti leggere cosa essa impone nel suo “Bollettino Economico BCE” (Banca Centrale Europea), documento direttivo di guida ferrea per i governi europei. Lontano dagli occhi proletari, nel Bollettino, nella voce “Riquadri” - capitolo n° 5 - con titolo “Necessità di riforme strutturali nell’area euro” possiamo trovare di fatto tutta la politica che i governi europei attualmente stanno conducendo contro i salariati, cioè tutte le misure peggiorative sopra descritte.  Anche qui come fonte dei problemi da risolvere, il Bollettino”, (così come il ministro del lavoro Heil dell’SPD) si riferisce alle esigenze non dei sindacati dei lavoratori europei, ma quelle di 55 grandi imprese europee, dove la loro prima e maggiore preoccupazione è ottenere maggiore flessibilità”, esattamente come poi nella pratica il ministro Heil esegue. Leggendo attentamente il testo diventa subito chiaro come tutto il contenuto sia proiettato a rispondere alle esigenze imprenditorial-finanziarie sui problemi economici (incremento dei bilanci, meno spese sociali, taglio del welfare, maggior flessibilità, ecc.). In sostanza la politica dei governi europei viene impostata come un grande bilancio europeo per incrementare le già possenti ricchezze delle banche e delle imprese europee.

Quindi non vi sono dubbi che dietro alle dichiarazioni del ministro Heil, SPD, esecutore governativo, quando afferma di “esigere maggiore flessibilità” non ci sia dietro la trappola di “esigere” più lavoro precario giovanile.  

NEL PAESE DEGLI AYATOLLAH SCIOPERI E LOTTA DI CLASSE

IRAN: IN NOVEMBRE CI SONO STATE VIOLENTE LOTTE, SCIOPERI E PROTESTE CONTRO

L’AUMENTO DEI PREZZI

NELLO SCONTRO TRA CAPITALISMI, IL FORTE CALO DEL PREZZO DEL PETROLIO VOLUTO DA TRUMP E LE DURE SANZIONI IMPOSTE, HANNO PORTATO L’ECONOMIA IRANIANA - COME QUELLA RUSSA - IN UNA CRISI PROFONDA.  IL GOVERNO CAPITALISTA DI TEHERAN CERCA DI FARNE PAGARE LE CONSEGUENZE AI LAVORATORI.

 

 

 

Il mese di novembre dell’anno scorso ha visto in Iran l’insorgere di violente proteste contro il caro vita, proteste balzate sulle prime pagine di tutti i giornali. A scatenare la rabbia popolare è stata la decisione del governo di raddoppiare il prezzo dei carburanti. Ci sono stati scioperi duri e estesi in tutto il paese, seguiti da violente manifestazioni di piazza. Questi scioperi contro il caro vita sono il proseguo di quelli già avvenuti nel 2018, e altri ancora negli anni precedenti.

Anche l’economia iraniana (come quella russa e del Venezuela) dipende essenzialmente dall’estrazione e dalla vendita del petrolio. E il forte ribasso del prezzo del greggio voluto da Trump, aggiunto alle dure sanzione imposte da Washington a Teheran, hanno avuto l’effetto di mettere l’economia iraniana in ginocchio.

Lo scontro tra gli Usa e l’Iran è parte dell’incessante lotta che le varie borghesie conducono tra di loro per raggiungere i propri interessi. Ma, come sempre accade in queste situazioni di crisi causate dagli scontri tra capitalisti, nel meccanismo perverso capitalistico, sono sempre i lavoratori a pagarne poi le vere conseguenze.

Per effetto della crisi, il governo della borghesia di Teheran, per rimpolpare il calo delle finanze, ha deciso di raddoppiare improvvisamente il prezzo della benzina. Ma con questa misura non solo vengono colpiti gli autoveicoli circolanti, ma a cascata si traduce in un generale aumento di tutti i prezzi al consumo. Perché le industrie iraniane che producono merci di vendita al dettaglio hanno bisogno di energia per la produzione, e questa energia viene presa dai prodotti petroliferi, il cui il prezzo è stato raddoppiato.  

 

Quindi anche il governo borghese di Teheran, come quello russo e tutti i governi, nel momento di crisi, non va a prendere i soldi dai ricchi capitalisti iraniani o dalle straricche banche, ma sempre dalle tasche dei lavoratori, impoverendo non poco le famiglie. Ai lavoratori perciò non rimane altra scelta che reagire, protestando e scioperando, anche violentemente.

 

 

Il governo capitalista di Teheran, come i molti reportage hanno mostrato, ha represso brutalmente le proteste proletarie, confermando il suo status di servizio alla borghesia.

La stampa riporta di arresti di massa e cecchini sui tetti che hanno sparato continuamente sugli scioperanti causando centinaia di vittime nelle varie città. Gli scioperanti hanno risposto con barricate, incendi di banche e di stazioni di benzina. Scene di vera guerriglia urbana quindi, di lotta di classe dura.

Il governo ha addirittura oscurato l’internet nazionale (ma non per i politici e le imprese) per impedire il collegamento tra gli scioperanti nelle varie zone del paese.

Da rilevare, anche in questa situazione, come spesso accade, come vi sia stata una manipolazione interpretativa internazionale, della giusta protesta dei lavoratori iraniani. Il regime di Teheran ha accusato “… essere potenze straniere responsabili delle insurrezioni” (Tagesschau 18 nov. 2019) intendendo ovviamente gli americani. Mentre per la Casa Bianca la portavoce Stephanie Grisham rispondeva: “Gli Stati Uniti sostengono il popolo iraniano nella sua libera protesta contro il regime” (ibidem). In altre parole, il regime di Teheran vuol far credere all’opinione internazionale che gli scioperi non sono legittime proteste proletarie contro il caro vita, ma frutto di provocatori (provenienti dall’estero - americani). Mentre Washington ha interesse che le proteste destabilizzino il regime iraniano.

Come marxisti esprimiamo fermamente la nostra solidarietà ai proletari iraniani in lotta. Anche loro, come tutti proletari delle altre nazioni, sono costretti a subire l’oppressione continua della borghesia e difendersi da capitalisti, nazionali e internazionali, affamati di profitti.

 

Solo un’altra società può por fine a tutto questo.


 

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NELLE FONTI INTERNAZIONALI:

SI PARLA SEMPRE PIU’ SPESSO DI "DE-DOLLARIZZAZIONE".

PERCHE’?

E’ L’EFFETTO DELL’EMERGERE DELLE POTENZE ASIATICHE E DEL DECLINO AMERICANO

 

 

A fronte dell’inevitabile crescita delle enormi economie asiatiche - Cina e India in prima fila - l’imperialismo americano sta perdendo progressivamente peso sulla scena internazionale. Peso conquistato grazie alla vittoria, sia sul fronte asiatico che su quello europeo, nella seconda guerra mondiale.

La crescita asiatica, era stata vista negli anni ’50 dai due grandi marxisti Cervetto e Parodi nel loro ormai famoso saggio “Le tesi del ‘57” (considerati allora dai coetanei per questo loro saggio come mosche bianche, se non mezzi pazzi - essendo allora gli Usa al loro apice come grandi vincitori della guerra, e le economie asiatiche erano invece considerate “zero”). Per i due grandi marxisti la giusta analisi era necessaria per avere una corretta visuale su un futuro realista per impostare la politica rivoluzionaria. Corretta analisi che ha potuto produrre nel ’65 la fondazione dell’organizzazione Lotta Comunista, organizzazione marxista che oggi in Italia conta un’estensione considerevole.   

Perciò è grazie all’analisi marxista che i due grandi rivoluzionari hanno potuto vedere già all’ora quello che oggi è un’eclatante enorme realtà: l’emergere asiatico. E già allora, negli anni ’50, prevedere che l’imperialismo americano in futuro come conseguenza avrebbe perso peso sulla scena mondiale.  

Oggi tutto questo è realtà, e uno degli effetti del lento declino americano si traduce nel fatto, come riportano i giornali, che grandi potenze emergenti come Cina e India, ma anche Russia e Europa, comincino ad essere propense a lasciare il dollaro nel commercio internazionale e usare le proprie monete per gli interscambi internazionali. Commercio internazionale che com’è noto, dal 1971 con l’accordo di Bretton Woods, si basa essenzialmente sull’uso della moneta dollaro.

 

 

Tutti gli specialisti internazionali tendono a parlare di lunga durata per una effettiva dismissione del dollaro sulla scena mondiale. Potrebbe essere, ma non è detto, sosteniamo noi. L’acuirsi dello scontro commerciale tra i due colossi Usa e Cina potrebbe spingere l’imperialismo del Dragone a lasciare velocemente il dollaro nel commercio internazionale, sostituendolo con il proprio Juan, tirandosi dietro tutte le economie asiatiche. Ma anche una prossima grande e profonda crisi economica potrebbe accelerare questo processo di de-dollarizzazione.

 

 

In sostanza tutto questo ci sta dicendo una cosa: grandi cambiamenti si stanno prospettano per il futuro, cambiamenti che, come citato, si intravedono all’orizzonte.

E’ noto a tutti che il capitalismo è un tipo di società estremamente instabile e imprevedibile. E che il sopraggiungere di grandi avvenimenti, anche catastrofici, possono cambiare improvvisamente completamente lo scenario internazionale. E anche riportare di nuovo tutto nel disastro.     

-CHI E’ CHE VERAMENTE DIRIGE NEL MONDO?-

CHI COMANDA IL MONDO?

COME I CAPITALISTI COMANDANO LA SOCIETA’“senza mai apparire” 

- E I PARLAMENTI DEVONO ESEGUIRE –

 

COME I RICCHI COMANDANO

 

Quante volte ci siamo chiesti “come funziona la politica”, “chi è che comanda”? “Ma perché tutti questi problemi” ecc. ecc.? Poi le discussioni, i dibattiti, le conferenze …

Interessanti sono le molte versioni che vengono date su “chi comanda veramente nel mondo”.

C’è chi vede una “Plutocrazia” che impera attraverso un meccanismo di accumulo di denaro che gli stati producono stampando moneta. Impossessandosi e ammassando così capitali enormi la “Plutocrazia” diventa sempre più potente. Questa “Plutocrazia” sarebbe in grado di determinare l’inflazione monetaria, attraverso la quale ottengono una “redistribuzione del reddito” spostando finanze a loro favore e impoverendo invece la popolazione.

Altri vedono in chi “comanda il mondo“ una “ristretta élite finanziaria”, ma potentissima, identificabile nelle 1000 maggiori multinazionali al mondo, che si dispiegano e controllano tutti i settori dell’economia-finanza. L’elite finanziaria sarebbe responsabile del degrado sociale-economico, ma soprattutto ambientale e delle persone, portando una parte dell’umanità al “sovrappeso” (nei paesi industrializzati) mentre il resto del mondo è nel degrado, nell’arretratezza e in “sottopeso”. Questi 1000 colossi finanzial-industriali controllerebbero per intero la finanza mondiale, definita “economia virtuale” che avrebbe il potere di controllare le emissioni delle monete di tutto il pianeta (a loro favore, naturalmente).

Una recente versione sostiene ora che sarebbe invece “internet” il “vero potere attuale” nel mondo. Con il fondatore e reggente di Facebook Zuckerberg, che influenzando e controllando “attraverso il sito” all’incirca 1 miliardo di persone si appresta ad offrire loro una propria moneta che in futuro destabilizzerà il mondo.

Ma c’è anche la versione che vede come forza occulta che controlla il pianeta le sette segrete della “Massoneria”. Nelle quali gli aderenti, persone estremamente influenti e potenti, attraverso un patto di sangue dirigerebbero il mondo.

Tutte queste versioni concordano su un punto: i politici, i governi, i capi di stato, sono “marionette”, sono “attori” che recitano “copioni già scritti da altri” e che la stampa, come le tv, sono “sotto stretto controllo dei potenti”.

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Noi marxisti abbiamo una nostra propria visione di come realisticamente funziona la società e di chi è che effettivamente comanda nel mondo.

Senz’altro confermiamo che sono i grandi gruppi economici finanzial-industriali, le enormi forze multinazionali, che dirigono nell’insieme la società capitalista contro i salariati.

Ma questi enormi grandi agglomerati economici mondiali non sono in sintonia l’uno con l’altro, come appare nelle versioni sopra descritte, perseguono invece ciascuno interessi propri e diversi, e sono certamente in concorrenza (per il profitto) tra di loro. Perciò non esiste quell “armonia”, quell “unione” planetaria tra i “potenti” nel comandare la società, cosa che tutte le tesi su “chi comanda il mondo” danno.

Per il marxismo esiste invece “un reale contrasto di interessi” tra capitalisti che, come detto, è dovuto alla concorrenza, alla necessità di portare a casa un profitto.

Che questi potentissimi agglomerati finanzial-industriali ricerchino costantemente un accordo, una mediazione tra di loro è senz’altro vero. A volte ci riescono, com’è visibile, altre volte però no. Quando non ci riescono esplodono le guerre con i noti disastri o le crisi dove le fabbriche e le banche entrano nel baratro del fallimento.

Concordiamo anche noi: si, sono le potenti multinazionali (basti pensare che la General Electric americana ha un fatturato pari al PIL del Sud Corea) che controllano pienamente nazioni e governi. E concordiamo che i politici, i governi, sono delle “marionette”, degli “attori” che “recitano copioni scritti da altri” e l’esempio dei governi europei che recitano il copione scritto dall’Unione Europea ne è la conferma attuale più concreta. E concordiamo sul fatto che stampa e tv sono sotto stretto controllo dei gruppi capitalistici.

Ma nessuna delle versioni che individua a suo modo “chi comanda nel mondo” ha la minima idea di quale può essere la soluzione del problema.

Il marxismo invece si. E’ attraverso i momenti rivoluzionari che è possibile l’edificazione di un’altra società, superiore, senza più “potenti”.


 

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MA LO STATO IN REALTA’ CHE COS’E’ E DA CHE PARTE STA?

 

LO STATO, ESPRESSIONE DELLA CLASSE DOMINANTE

 

Spesso ci facciamo la domanda: come mai i politici dicono una cosa e poi ne fanno un’altra? Perché le leggi colpiscono sempre i lavoratori e mai i ricchi?

Cerchiamo ad approfondire la questione.

Scrive Engels nell’Antidühring: “Lo stato moderno, qualunque ne sia la forma, è essenzialmente una macchina capitalistica, uno Stato dei capitalisti, il capitalista collettivo ideale”.

Per capire cosa ha che fare il comportamento dei politici e quanto dice Engels intervistiamo Mario B. attivista politico internazionalista in Italia che ci illustra la questione.

 

Dom :- trovi un collegamento con ciò che dice Engels e la società dei giorni nostri?

Risp: - “un po’ tutti si lamentano che i politici di  dx, sx ecc. non sono coerenti. Penso che quando i lavoratori vanno a votare non abbiano ben chiaro come funziona il meccanismo. Se i politici, tutti, e sottolineo “tutti”, non sono coerenti  il motivo c’è, non è un caso.”

 

Dom : -spiegati meglio.

Risp : -“I politici dicono sempre che loro lavorano per il bene della Nazione, del Paese, del popolo ecc.

Ma dobbiamo approfondire: chi sono  la Nazione, il popolo? Certo, la Nazione, il popolo sono i lavoratori, il proletariato. Ma non solo: ci sono anche i ricchi, gli industriali, i magnati della finanza ecc.

Questi hanno un sacco di soldi e nella loro testa ne vogliono fare sempre di più. Se andiamo ad approfondire scopriamo che loro posseggono i giornali, le tv, le squadre di calcio e quant’altro.

I lavoratori invece non posseggono niente, non possono, col loro stipendio riescono, chi più e chi meno, a mantenere la loro famiglia, se è possibile si comperano l’appartamento ecc.

Con i giornali e le tv i ricchi influenzano e dirigono l’opinione pubblica. E poi fanno grosse donazioni di denaro ai partiti. Ovviamente le donazioni non le fanno per niente,  senza uno scopo.”

 

Dom:  - E questo secondo te condiziona la politica?

Risp:  -“I partiti, tutti, presentano i loro candidati da votare. In campagna elettorale promettono tante belle cose. Ma cosa sappiamo noi veramente di loro, delle loro vere intenzioni?

Ultimo esempio la campagna elettorale appena svolta in novembre: SPD e CDU-CSU si sono affrontati accanitamente uno contro l’altro. Dopo le elezioni si sono però messi assieme nella Grande Coalizione. Sapeva chi andava a votare, di dx o sx, che sarebbe poi finita così? Nessuno! Probabilmente i partiti si erano già messi d’accordo prima

 

Dom: - I politici tengono quindi nascoste le loro vere intenzioni?

Risp: -“Certo! Lo si vede bene  quando arriva una crisi economica. Chissà perché, i politici di tutti gli schieramenti, in tutti i Paesi, chiedono sempre sacrifici solo ed esclusivamente ai lavoratori.

Non ai ricchi. Perché?

In Germania gli industriali, gli economisti, le tv, i giornali, i politici ecc, dicono che il Paese deve essere più concorrenziale. E come si traduce questo in pratica? Che i ricchi devono rinunciare alle mega ville o agli Yacht?  No! I lavoratori dipendenti devono avere meno aumenti salariali, i giovani in futuro si dovranno accontentare di trovare posti di lavoro sempre meno fissi e più a tempo determinato  e ai padroni viene data la possibilità di assumere persone per 3 mesi a stipendio bassissimo. E questo avviene non solo in Germania, ma ancor di più in Grecia, Spagna, Italia dove sono io, Portogallo ecc, in ogni Nazione, senza eccezione. I politici di tutte i Paesi si comportano tutti allo stesso modo!

 A questo punto dobbiamo porci la domanda: ma da che parte stanno realmente? Ed ecco che l’affermazione di Engels: “Lo stato moderno,qualunque ne sia la forma,è una macchina essenzialmente capitalistica” ci da la risposta. Allo Stato appartengono senz’altro anche i partiti. Direi che l’affermazione di Engels del 1878 è più che mai attuale. Siamo nel capitalismo e politici lavorano senza dubbio per i ricchi. Naturalmente lo devono assolutamente negare!

 

 

 

 

CHE COS’E’ VERAMENTE IL CAPITALISMO

E PERCHE’ VALE LA PENA LOTTARE PER IL COMUNISMO?

 

IL CAPITALISMO NON E’ SOLO BENESSERE, MA ANCHE CRISI, GUERRE, DISTRUZIONI, DISPERAZIONE, FAME, POVERTA’ OLTRE CHE SFRUTTAMENTO

 

 

                                                                           da "Der kommunistische Kampf" ottobre 2015

 

Molti sono convinti che questa sia la società del benessere.

Ma, come tutti sappiamo, questa società è basata sugli affari e gli affari sono un brutto mostro. A momenti van bene, a momenti van male. Tutti sappiamo che sono estremamente imprevedibili.

La caratteristica degli  affari è che ad un certo punto si trasformano in crisi e poi ancora peggio in guerre e poi da guerre si ritrasformano  nuovamente in affari e così via. Un ciclo inarrestabile, ineliminabile nella società capitalistica.

Engels dice che l’unica cosa sicura nella società capitalistica è l’insicurezza e la storia è strapiena di conferme, di queste insicurezze, imprevedibilità.

Per esempio:  chi l’avrebbe detto all’inizio dell’anno scorso che in Ucraina sarebbe scoppiata la guerra?  Nessuno!

Chi l’avrebbe detto, sempre all’inizio dell’anno scorso, che in Iraq, sotto il controllo della megapotenza militare americana, i combattenti dello Stato Islamico avrebbero dichiarato guerra non solo agli americani, ma al mondo intero? Nessuno!

 

 

E ancora, chi l’avrebbe detto che dalle tanto acclamate “Primavere Arabe”, salutate da tutto il mondo come il trionfo della democrazia sul dispotismo, sarebbero scaturite guerre civili in Libia, Siria, Yemen, ecc.?   Ancora nessuno!

E ancora, chi l’avrebbe detto che la crisi economica avrebbe duramente colpito Grecia, Spagna, Portogallo, Italia, ecc.? ...

E stiamo parlando dei fatti più recenti!

Ci  soffermiamo a pensare e riflettere su questo?

E adesso, cosa ci riserva il futuro? Chi saranno i futuri predestinati delle prossime catastrofiche imprevedibili  crisi? 

Nel mondo degli affari niente è sicuro. Neanche il benessere, come ben vediamo.

E’ la vendita dei prodotti per trarne un guadagno la causa di tutto. E’la vendita dei prodotti che rende tutto così estremamente non sicuro …..

Tutto questo potrebbe essere evitato? Certo che potrebbe essere evitato!

 

SOLO QUANDO IL SISTEMA SARA’ CAMBIATO E  I PRODOTTI NON SARANNO PIU’ VENDUTI E COMMERCIATI, MA  SARANNO SUDDIVISI EQUAMENTE TRA LA POPOLAZIONE  SI POTRA’ INTERROMPERE QUESTA ANGOSCIANTE INSICUREZZA! SOLO COSI’ POTRANNO SPARIRE LE CAUSE  CHE PRODUCONO LE CRISI, LE GUERRE, LE DISTRUZIONI, LE DISPERAZIONI E TUTTE LE DISFUNZIONI DOVUTE  AL SISTEMA IN CUI VIVIAMO E SI POTRA’ GARANTIRE IL BENESSERE PERMANENTE  A CUI TUTTI NOI GIUSTAMENTE  ASPIRIAMO.

BENESSERE  CHE LA PRODUZIONE MONDIALE POTREBBE GARANTIRE GIA’ DA ADESSO, PER TUTTI!

MA PER OTTENERE QUESTO CI VUOLE UNA RIVOLUZIONE!

 

ECCO PERCHE’ VALE LA PENA LOTTARE PER UNA SOCIETA’ SUPERIORE COMUNISTA!

 

                                                                             "Der kommunistische Kampf" ottobre 2015

 


 

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ALLEGATO

 

LA DIFFERENZA TRA LA POLITICA RIVOLUZIONARIA DI LENIN  E QUELLA NAZIONALISTA CONTRORIVOLUZIONARIA DI STALIN E’ NOTEVOLE. PER APPROFONDIRE LA QUESTIONE PORTIAMO ALLA RIFLESSIONE DEL LETTORE QUESTO ARTICOLO DEL APRILE 2015.

 

 

L’INTERNAZIONALISMO DI LENIN

IL CAPITALISMO DI STALIN

 

Chiarezza nella differenza tra politica comunista di Lenin e la politica capitalistica del falso socialismo di Stalin.

 

 

 

Dal punto di vista pratico il comunismo è la società superiore. E’ una società superiore perché i prodotti non vengono più venduti, ma distribuiti tra la popolazione. In questo modo sparisce la ricerca del massimo guadagno, spariscono le classi sociali, sparisce la concorrenza, che è la causa delle crisi economiche e sociali con enormi sprechi di produzione, concorrenza che è la causa delle guerre con ancora più enorme spreco di produzione e soprattutto di vite umane.

Per arrivare a questo bisogna però necessariamente arrivare ad una rivoluzione, perché la borghesia, cioè il padronato, cioè i ricchi, assolutamente si oppongono e si opporranno allo stravolgimento del sistema capitalistico, come  è stato dimostrato nelle due esperienze di governo proletario della Comune di Parigi del 1871  e della rivoluzione bolscevica del 1917.

Dopo la  conquista del potere da parte del proletariato in una nazione, realisticamente parlando, economicamente, non è possibile passare subito  al comunismo, cioè alla distribuzione della  produzione tra la popolazione, perché il mercato nazionale di un paese, in questo caso il paese dove il  proletariato è arrivato al potere, non essendo autonomo nella produzione dei prodotti, è talmente intrecciato con le economie delle altre nazioni che obbligatoriamente deve  commerciare (comperare e vendere)  con esse e deve commerciare anche all’interno del proprio paese. 

Facciamo degli esempi: quando si costruisce un’automobile c’è bisogno del ferro per la carrozzeria, il ferro viene estratto nelle miniere dell’Australia, Brasile e Cina  e la bisogna comprarlo, c’è bisogno dei pneumatici,  i  cui maggiori  produttori sono il Giappone, la Francia e gli Usa e la bisogna comprarli, c’è bisogno del vetro per i finestrini e bisogna comperarlo,  c’è bisogno del carburante per farla viaggiare e quello lo si compera nei paesi arabi, e così via. Altro esempio: per costruire i mobili c’è bisogno del legno, il legno lo si può trovare soprattutto nei paesi nordici o in Africa o in sud America. Per costruire  un frigorifero c’è bisogno dell’acciaio, quindi bisogna comperare il ferro, ecc. ecc,  e così via per tutti i prodotti che usiamo giornalmente.

Questa è la situazione realistica in cui si viene a trovare  un proletariato quando conquista il potere.  Solo in un secondo momento, dopo una rivoluzione a livello mondiale o quasi   sarà possibile passare al comunismo.

I bolscevichi con Lenin,  avevano ben presente questo  quando nel ’17  conquistano il potere in Russia. Infatti nei vari scritti dell’epoca Lenin e i bolscevichi non parlano mai di comunismo in Russia, ma di fase transitoria, con una economia a capitalismo di stato a gestione rivoluzionaria. 

La rivoluzione in Russia viene quindi giustamente vista dai bolscevichi come inizio, un inizio  di una rivoluzione internazionale che dovrà portare al

comunismo. Per arrivare alla rivoluzione internazionale è però necessario ricostituire l’Internazionale Comunista, in modo che anche gli altri proletariati delle altre nazioni facciano le rivoluzioni per giungere al potere e  così unire le

varie economie a gestione proletaria.

L’Internazionale Comunista viene perciò prontamente costituita dai bolscevichi nel 1919.

Lenin nei suoi testi precisa che se la rivoluzione europea non arriva presto, anche la rivoluzione russa è destinata a soccombere.  Questo dovuto al fatto che, da una parte ci sono  le pressioni esterne delle borghesie internazionali che fanno di tutto per far crollare l’economia russa,

 impedendo di vendere  ad essa i prodotti di cui ha bisogno; dall’altra dovuto alle tensioni  e  proteste interne come conseguenza  delle grandi difficoltà economiche in cui versa la Russia rivoluzionaria per la mancanza di prodotti dovuti appunto ai boicottaggi delle altre nazioni borghesi. Senza escludere poi i continui interventi militari armati che le varie borghesie perseguono per far crollare la rivoluzione.

 

La controrivoluzione

Sarà Stalin e la sua cricca ad incarnare la controrivoluzione in Russia, poco dopo la morte di Lenin.  Attraverso lo slogan “ La costruzione del socialismo in un paese solo” verrà abbandonato il concetto di rivoluzione russa come inizio della  rivoluzione internazionale (così da arrivare alla società superiore),  per dichiarare la falsità che il “socialismo” o il “comunismo” già esiste in Russia e che bisognava rafforzarlo. Verrà abbandonato  di conseguenza l’obbiettivo primario di favorire le rivoluzioni proletarie nelle altre nazioni e lentamente verrà sciolta l’Internazionale Comunista.

 

Togliendo questi punti fondamentali alla politica comunista, di fatto la politica di Stalin e della sua cricca diventa apertamente borghese, in questo caso chiaramente controrivoluzionaria. Dalla gestione proletaria rivoluzionaria temporanea a capitalismo di stato  dell’economa russa di Lenin si passa alla gestione definitiva borghese a capitalismo di stato di Stalin.  In altre parole,  Stalin e suoi seguaci nascondendosi dietro lo slogan del “Socialismo in un paese solo” diventano i nuovi gestori borghesi statali dell’economia russa,  sostituendosi ai capitalisti privati nella direzione degli affari, abbandonando definitivamente l’obbiettivo  di arrivare alla società superiore.   

Però la mistificazione, l’imbroglio del “ socialismo in un paese solo” non può cambiare  la realtà delle cose  e cioè che nella Russia  di Stalin tutte le caratteristiche capitalistiche rimangono: il lavoro salariato, lo sfruttamento, i borghesi incarnati nei burocrati del partito finto “comunista”, la concorrenza, il commercio, le banche, gli interessi, i guadagni e non ultimo e meno importante le politiche di espansione e aggressione imperialistica staliniste (con le alleanze con il nazista Hitler prima e le alleanze con le potenze “imperialistiche” nemiche  dopo).

 

Molti grandi dirigenti bolscevichi, conseguenti nel proseguire sulla via internazionalista comunista (di Lenin)  perderanno la vita nel contrastare la politica controrivoluzionaria borghese di Stalin: da Zinov’ev a Kamenev, da Bucharin a Trockij.

 

Ma l’esperienza bolscevica e il sacrificio dei dirigenti bolscevichi antistalinisti non sono stati vani.

L’esperienza bolscevica con Lenin ha per noi un incalcolabile valore: ci ha mostrato e ci mostra la via maestra su cui ci dobbiamo dirigere e su cui dobbiamo proseguire. Il sacrificio dei dirigenti bolscevichi antistalinisti è un enorme insegnamento di come noi dobbiamo evitare che un altro Stalin sorga. 

Dobbiamo impedire che nelle nostre fila personaggi come Mao o Castro spaccino “il comunismo o socialismo in un paese solo” cioè il capitalismo di Stato borghese per società superiore cioè per il vero comunismo. Ormai l’esperienza accumulata è enorme e come comunisti scientifici abbiamo chiaro come procedere e cosa bisogna fare e cosa bisogna evitare. Adesso deve essere l’impegno  quotidiano che ci deve far giungere all’obbiettivo. 

 

 

“Der kommunistische Kampf” – aprile  2015 


 

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ALLEGATO

MOLTO DISCUSSA  E‘ LA QUESTIONE SE I PAESI EX DDR E UNIONE SOVIETICA SIANO STATI ’COMUNISTI‘ O NAZIONALISTI. UN ARTICOLO DI “Der kommunistische Kampf” del maggio  2014   PUO’ AIUTARE A DISTRICARE IL PROBLEMA

 

Punti fermi della scienza marxista

 

 

 

IL FALSO SOCIALISMO

 DELL’EX DDR

 

 

 

 

 

 

I comunisti internazionalisti hanno sempre avuto le idee chiare su che cos’è il comunismo o  socialismo e cos’è il capitalismo.

A tal proposito riportiamo uno scritto di Arrigo Cervetto del dicembre 1965: “Noi marxisti abbiamo sempre detto, che la natura sociale [la struttura economica] di un Paese è data dai rapporti di produzione predominanti in quel Paese. I rapporti di produzione esistenti  nell’Urss,  Polonia, Ungheria, [Repubblica Democratica Tedesca] ecc. erano e sono rapporti di produzione capitalistici e quindi non potevano e non possono dar vita che a manifestazioni tipiche del capitalismo”.

Come si può ben vedere non c’erano dubbi per i marxisti scientifici che i Paesi cosiddetti  “socialisti” fossero capitalisti.

In Germania però l’opinione pubblica era (e lo è ancora)  convinta che nella DDR ci fosse il socialismo e che con il crollo del muro sia  crollato anche il comunismo.

Niente di più sbagliato.

L’ex DDR, come l’ex Urss ecc. era un  Paese a Capitalismo di Stato, come ben spiegato da Cervetto nel 1965 ed è stata appunto la concorrenza capitalistica internazionale a farla fallire.

Per i marxisti scientifici il crollo di  queste nazioni a falso socialismo è stata senz’altro una conferma che la loro analisi concreta  su cosa era comunismo o non era, era giusta, più che giusta!

Per chi si sentiva di sinistra invece e sentimentalmente era convinto, ma non aveva ben approfondito, che nell’ex DDR  ci fosse il socialismo, il crollo del muro è stato un momento di grande delusione, grande sconforto.

Per il padronato e tutti i suoi servitori è stata l’occasione per gridare alla sconfitta del comunismo, alla sua inferiorità , alla sua non praticità.

In realtà è crollato un grande equivoco.

Le leggi capitalistiche erano ben presenti nell’ex DDR:

 

-          - Vi era la produzione di merci

-          - Le merci venivano vendute all’interno del paese e all’esterno.

-          - Nelle aziende vi erano i dipendenti che in cambio di lavoro venivano pagati con un               salario.

-          - Le banche facevano prestiti con interessi, guadagni ecc.

-          - Il commercio funzionava con la compravendita, con dipendenti, guadagni ecc.

 

Nel comunismo tutti questi elementi non ci sono. Vi è una produzione generalizzata e organizzata che viene distribuita.

Il grande equivoco su cui si è tanto speculato era che il Capitalismo di Stato presente nell’ex DDR,  veniva spacciato per socialismo perché a dirigerlo non c’erano i capitalisti privati, ma un partito.

Per capire bene si può fare un parallelo con il capitalismo di Stato della chiesa: la chiesa ha molti capitali,  affari, banche ecc. ma a dirigere questi affari non sono singoli capitalisti privati, bensì dei burocrati clericali, che si possono paragonare ai burocrati statali di un partito.

 

Poi anche il fatto che ci fosse una forte assistenza sociale veniva equivocata e spacciata per socialismo. Però l’assistenza  sociale e gli ammortizzatori sociali sono presenti  in tutte le nazioni. Solo che nei paesi a Capitalismo di Stato era senz’altro più elevata ed è stata uno dei motivi (certamente non il solo e certamente non il più importante) del perché non hanno retto la concorrenza capitalistica  internazionale e sono falliti.

 

Sempre bisogna cercare di capire e approfondire. Altrimenti veniamo influenzati da concetti che sono l’esatto contrario di quello che dicono di essere.

 

 

Der kommunistische Kampf” del maggio  2014 


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