MALI – L’IMPERIALISMO TEDESCO IN AZIONE

 

 

 

Con oltre 4 miliardi di euro spesi solo per l’inutile intervento militare in Mali ad uccidere persone, quante tasse sugli stipendi potrebbero essere diminuite e quante pensioni aggiuntive potrebbero essere pagate? Molte, sicuramente. Eppure ci viene detto che i fondi pensione sono in deficit e che la riduzione del carico fiscale sui salari è pura utopia. È evidente che ci prendono in giro. C'è denaro (e non poco, come dimostrato), ma viene utilizzato per favorire gli interessi della parte più ricca della popolazione, che diventa sempre più ricca.

L’INTERVENTO MILITARE IN MALI. L’imperialismo tedesco, ossia le grandi multinazionali tedesche in costante spasmodica ricerca di profitti, cerca di inserirsi in regioni del mondo dove la presenza di altri imperialismi concorrenti è minima: il Mali - uno dei paesi più poveri al mondo - è una di queste.

La tattica di inserimento nella zona è sempre la stessa, utilizzata da tutti gli imperialismi: approfittando di opportunità di guerre interne, crisi, e conflitti etnici, Berlino invia i suoi soldati in avanscoperta e poi seguono le imprese con i loro affari.

Anche l’imperialistico tedesco, copiando altri imperialismi, utilizza il pretesto di “combattere il terrorismo islamico” (molto in voga al giorno d'oggi) per giustificare l’intervento militare. In altri casi gli interventi militari sono stati “per esportare la democrazia” (guerra in Jugoslavia 1999)  (Afghanistan) o “per il ripristino della pace” (Medio Oriente) o altri pretesti/fandonie simili. 

È più che ovvio che la "lotta al terrorismo islamico" sia una menzogna, poiché il "terrorismo islamico" è presente in tutto il mondo: dall'intero continente africano al Medio Oriente, dal Caucaso al Sud-est asiatico. Ma solo "in Mali" l'imperialismo tedesco è interessato a "combattere il terrorismo islamico"! Non occorre essere geni per capire che si tratta di un pretesto, di un'strumentalizzazione. È più che evidente.

E’ da 10 anni, che i vari governi tedeschi spendono miliardi per la presenza militare tedesca nell'Africa nord-occidentale (Sahel), allo scopo di ampliare il campo d'azione per le imprese tedesche.

Per l'intervento militare in Mali, il governo tedesco, nei 10 anni, ha già impegnato oltre i 4 miliardi di euro già menzionati, a rotazione, più di 25.000 soldati tedeschi.

Ovviamente anche se minima, in Mali l’imperialismo tedesco deve fare i conti con la concorrenza. In questo caso Berlino opera assieme ai francesi, ma “Il paese [Mali] è ora governato da una giunta militare che si sta adoperando per legami più stretti con la Russia e sta rendendo più difficile per le truppe internazionali stabilizzare il paese” riporta il “Tagesschau” del 25 aprile 2023. Per “sta rendendo più difficile per le truppe internazionali stabilizzare il paese” in lingua politica significa che i russi stanno rendendo più difficile alle truppe tedesco-francesi “controllare completamente il paese”.

Si perché alcune grandi multinazionali francesi e tedesche sono già operative nella rete economica del Mali.

Ad esempio, France Telecom è presente in Mali con Ikatel, una delle maggiori compagnie di telecomunicazioni del paese. In contemporanea, l'azienda tedesca Siemens AG è presente in Malitel, che fornisce servizi di telefonia mobile e smartphone.

Il colosso mediatico francese Vivendi era proprietario maggioritario (53%) di SoTelMa, una grande azienda di telecomunicazioni privata in Mali, fino al 2013, quando ha poi venduto la sua quota azionaria a "Sotelma" a Etisalat, un'azienda degli Emirati Arabi Uniti.

L’interesse delle compagnie francesi-tedesche ad espandersi nel paese è quindi molto forte.

Gli esperti riportano che il continente africano è considerato dagli imperialismi europei - Germania compresa - come una vasta riserva di futuri profitti. Pertanto anche il governo tedesco, capitalista, a prescindere dai suoi attori politici (o burattini) di turno, è più che impegnato a cogliere le opportunità per favorire gli interessi multimiliardari delle aziende tedesche nella regione. Anche se questo costerà guerre in futuro. Questo è più che certo. 

GUERRE     LIBIA-SIRIA-YEMEN

LE  POTENZE IMPERIALISTE SI COMBATTONO IN “PERIFERIA”

 

 

YEMEN: ribelli Huthi sostenuti da Iran-Russia(e Cina),

Governativi sostenuti da Arabia Saudita-StatiUniti-Francia.

LIBIA: ribelle Haftar sostenuto da Egitto-Francia-Russia-Arabia Saudita.

Governativi sostenuti da Italia-StatiUniti-Onu-Turchia.

SIRIA: ribelli sostenuti da StatiUniti-Francia-Gran  Bretagna.

Governativi sostenuti da Iran-Russia-Cina

 

 

 

Non si può immaginare il capitalismo senza le guerre. E’ utopia pura. Chi lo ha pensato e lo pensa è sempre stato destinato - e lo sarà sempre - alla delusione.

I revisionisti di Marx, Bernstein e Kautsky, all’inizio ‘900 avevano pubblicamente teorizzato un capitalismo armonioso, dove i capitalisti si sarebbero sempre accordati per evitare le guerre. Dopo due guerre mondiali e cento altre, questi revisionisti sono ora spazzatura storica.

Le borghesie possono tentare di spostare, allontanare le guerre, ma non le possono evitare. Quando per i capitalisti diventa necessario togliere di mezzo un concorrente, anche la guerra, in dati momenti storici, diventa uno strumento di normalità, necessità. Questa è la logica capitalista.

Si può constatare che in determinate fasi, anche lunghe, quando i presupposti di concorrenza lo permettono, le grandi potenze imperialiste non si attaccano direttamente militarmente frontalmente, ma si scontrano, conducono guerre militari in “periferia”, per accaparrarsi fette di mercato. Cioè producono guerre per la conquista delle famose “zone di influenza”. In altre parole, i paesi altamente industrializzati, mentre all’interno delle proprie nazioni parlano di “civiltà”, “democrazia”, “pace”, “cultura”, ecc. nei paesi arretrati fomentano e incentivano guerre furiose per rubarsi a vicenda quote di mercato capitalistico.

E questo rispecchia esattamente anche la situazione odierna. Mentre all’interno dell’Europa, America, Russia e Cina, si fanno grandi discorsi sui “diritti”, l“amore”, l’omosessualità, ecc. le borghesie imperialiste aizzano in contemporanea all’estero, incentivano cruenti guerre in giro per tutto il pianeta. E le attuali guerre in Libia, Yemen, Siria, rispecchiano perfettamente questa situazione.

La tattica usata da tutte le potenze industrializzate “civili” in queste situazioni di guerre “periferiche” è la classica di sempre: possibilmente non intromettersi direttamente negli scontri, ma usare forze locali per rovesciare militarmente i governi avversi. Facendo leva per es. come pretesto, sulle rivalità religiose o etniche, oppure costruendo opposizioni anche armate con la scusa di abbattere corruzioni o disfunzioni dei vari governi, corruzioni che in ogni paese capitalista non mancano mai. E dietro le quinte ovviamente, cercando di non apparire, questi conflitti religiosi o etnici vengono foraggiati dai governi industrializzati “civili” con copiosi sostegni finanziari e militari. Poco importa ai capitalisti se questo causerà migliaia o centinaia di migliaia di vittime e distruzioni immani, l’importante è che nei bilanci delle proprie aziende compaia il + , ovvero il bilancio positivo. Ovviamente la prassi prevede che in patria dei paesi “civili” dagli “alti valori” questi eccidi e distruzioni vengano giustificate per combattere dei “cattivi” e portare quindi la “democrazia”, la “pace”, il “benessere” o la “civiltà”.       

Quindi anche le attuali guerra in Siria, Libia, Yemen, ultime di una serie infinita di piccole e medie guerre che  hanno causato fin’ora un’infinità di centinaia di migliaia di morti, non possono altro, per l’ennesima volta, che confermare questo schema.

Ed ecco, come riprova, che nella guerra in Siria sono proprio gli Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Turchia che nel 2011 tentano di rovesciare il governo filo russo Assad, armando i ribelli siriani anti Assad, poi sconfitti dal governo stesso sostenuto dalla coalizione Iran-Russia-Cina. E adesso sono sempre gli Usa che sostengono i ribelli curdi in funzione anti Assad. Queste parti di guerra si invertono nell’attuale conflitto in Yemen: qui sono gli iraniani assieme a Russia (e Cina) che fomentando e armando l’etnia Huthu cercano di abbattere il governo in carica filo occidentale sostenuto dalla coalizione Arabia Saudita, Stati Uniti e Francia.  La situazione si rovescia di nuovo ancora nella guerra civile in Libia, dove sono ancora i francesi che dietro le quinte assieme a Egitto e Emirati Arabi Uniti, a cui si è aggiunta poi anche la Russia, che supportano il generale ribelle Haftar perché militarmente rovesci il governo di Tripoli, governo che sostiene gli interessi petroliferi italiani e che a sua volta oltre ad essere sostenuto da Roma, gode l’aiuto della Turchia, Stati Uniti e ONU.  

E’ più che evidente che nelle guerre le borghesie cinicamente, macabramente giocano a tutto campo, senza problemi e non hanno ne regole ne limiti, ma solo interessi. La realtà dimostra che le alleanze si intrecciano e si interscambiano a secondo della convenienza, che per i capitalisti significa “affari” e “profitti”.

Perché sicuramente, per i capitalisti le guerre sono solo una questione di bilanci

 


 

__________________________________________________________________________

 

 

 

 

LA MISERABILE VITA DEI LAVORATORI IMMIGRATI

NELLA CAPITALISTICA

GERMANIA

TUTTO ATTENTAMENTE NOSCOSTO DAI MEDIA

 

IN CERTI SETTORI DELL’ECONOMIA TEDESCA TUTTO E’ RIMASTO FERMO COME ALL’INIZIO DEL 900

 

 

“Una tesi essenziale del nostro libro, che andrebbe esaminata e approfondita, è che il diritto di residenza e il lavoro precario in Germania sono uno dei principali motori della precarietà multipla, perché mettono le persone in posizioni in cui devono accettare qualsiasi cosa pur di esistere formalmente come lavoratori dipendenti.” – Dr Peter Birke   (Isabel Fannrich-Lautenschläger – “Deutschlandfunk” – 20.01,2022).

______________________________

 

Il fatto che un paese sia altamente industrializzato non significa che sia anche un paese civile nei rapporti con le masse lavorative. Poiché i capitalisti appena hanno la possibilità non hanno alcun problema, pur di portare i profitti al massimo livello, a ripristinare condizioni di lavoro ottocentesche, molto dure e brutali. 

Oggi nel decennio 2020, questa selvaggia situazione lavorativa ottocentesca in Europa, ma soprattutto nella capitalistica Germania, è imposta alle masse degli immigrati, che a milioni, quasi invisibili, producono nelle fabbriche e nella rete della struttura economica delle innumerevoli  piccole aziende.  

La stampa e l’informazione collegate strettamente al mondo politico e ovviamente complici, sono tenacemente impegnati a nascondere sistematicamente questa imbarazzante realtà dilagante, nell’intento di presentare al contrario una società pubblica tedesca dei diritti, degli uguali, dei non discriminati. Infatti in questo settore non indifferente dell’economia non si trovano ne dati e ne statistiche statali riguardanti la manodopera, ne ricerche scientifiche che reportage, materiale invece molto abbondante per ciò che riguarda gli altri settori della società produttiva tedesca.

Essendo che non viene riportato, ufficialmente quindi quasi nessuno è al corrente di cosa succede agli immigrati nelle fabbriche tedesche, come vengono trattati, quali siano le loro vere condizioni lavorative nelle sterminate piccole aziende, nei retrobottega dei negozi o nelle campagne. Di quali siano realmente i loro salari e che in condizioni igieniche lavorino e come vivano le loro famiglie. Il silenzio sociale organizzato su questa parte di società che produce valore e ricchezza è vergognosamente pressoché totale.  

Per nascondere questo enorme drammatico aspetto sociale, la grande stampa, ovviamente coesa, da più importanza sulle pagine dei giornali, cerca in tutti i modi di spostare l’attenzione, accanto agli argomenti di economia e politica - a frivoli eventi di moda e spettacolo, sugli insulsi litigi sentimentali tra irruenti e viziati attori e personaggi dello spettacolo e della moda, e sciocchezze del genere. Ma della durissima e incivile vita riservata agli immigrati e delle interminabili prepotenze e ingiustizie a cui queste persone sono sottoposte, sulla stampa o nei reportage non esiste alcun accenno. E’ qui che si  evidenzia la vergognosa complicità di ipocriti giornalisti che si dichiarano di pensiero libero e emancipato, con i rabbiosi padroni e padroncini assetati di soldi, il tutto assieme a politici accondiscendenti.

Chi invece in Germania si occupa di questo controverso ambiguo tema sociale, di denunciarne le miserabili contraddizioni, tutte le prevaricazioni e vessazioni, sono, oltre alle organizzazioni marxiste, le associazioni sindacali e umanitarie.   

E le testimonianze riportano, la cruda realtà ci dice, che oggi nella capitalistica Germania, proprio come ieri nell’Inghilterra dei primi 800, gli immigrati e molti giovani, se vogliono trovare lavoro, lo trovano essenzialmente nella giungla dei lavori precari, nei controversi contratti a termine, oppure nel grande mare del lavoro in nero. Dove molto spesso le regole di lavoro non vengono rispettate (e a volte neanche considerate) così come i pagamenti salariali e le norme di sicurezza. E che i molti immigrati (e giovani) che  in queste condizioni lavorano, trovandosi in situazioni di precarietà – spesso anche estrema - sono sotto continuo ricatto di licenziamento immediato. Per cui devono sottostare a tutte le innumerevoli ingiustizie e vessazioni sopra citate, visto che i padroni sfruttano la brutale situazione per accumulare insaziabilmente sempre più denaro.  

E’ indagando ed esaminando questo nascosto sotterraneo ma esteso ambiente produttivo della struttura economia tedesca, come detto attentamente non pubblicizzato, che Isabel Fannrich-Lautenschläger scrive l’articolo “Prekäre Beschäftigung in Deutschland – Ausgrenzung durch Arbeit” (“Lavoro precario in Germania – marginalizzazione attraverso il lavoro”) del 20.01.2022 (sitoweb 

“Deutschlandfunk”). Portando l’attenzione su due particolari settori colpiti da questa piaga capitalistica di supersfruttamento padronale: l’industria della carne  e le consegne a domicilio.

Questi i punti salienti della sua analisi: "L'industria della carne è un'attività molto moderna e in rapida espansione. E’ chiaramente al centro dello sviluppo tecnologico. Eppure ci sono condizioni di lavoro che fanno sì che il 100% dei dipendenti, quasi il 100% in molte aree, non abbiano un permesso di soggiorno tedesco e siano costretti ad accettare talune condizioni di lavoro, almeno per un certo periodo. E’ questa simultaneità di enorme espansione economica e sfruttamento che ci ha particolarmente interessato". prosegue citando poi Peter Birke: “Tuttavia, non si tratta solo di lavoro precario, sottolinea Peter Birke. I migranti vivono in una condizione di precarietà multipla, il che significa che le loro condizioni di lavoro e di vita sono complessivamente insicure e non consentono loro di pianificare il futuro. Il permesso di soggiorno per le persone senza cittadinanza tedesca svolge un ruolo importante in questo senso”. 

E’ cioè esattamente la mancanza del “permesso di soggiorno” non concesso dalle autorità tedesche che rende questi lavoratori provenienti dall’estero così ricattabili dalle aziende tedesche che li impiegano nelle loro fabbriche, chiarisce Peter Birke. Poiché è da sottolineare, che queste persone senza il “permesso di soggiorno” non hanno alcun diritto sul suolo tedesco, per lo stato tedesco è come se non esistessero, di conseguenza devono accettare, sottostare a tutto ciò che viene loro imposto. E’ questo il trucco usato dalle aziende tedesche in accordo con il governo tedesco per spremere fino all’osso questi lavoratori e far schizzare i profitti alle stelle. 

E per meglio chiarire quali siano le reali condizioni di lavoro in cui queste centinaia di migliaia di persone immigrate nella capitalistica Germania devono sottostare, Fannrich-Lautenschläger porta come esempio la testimonianza di 2 immigrati impiegati nell’industria della carne. “Valentina e Rafael non vogliono fornire i loro veri nomi per paura di essere licenziati. Sono impiegati nell'industria della carne. «Volevo guadagnare un po' meglio perché ho due figli che voglio mantenere. Sono arrivata qui attraverso un intermediario non ufficiale, i miei figli sono in Romania». Prosegue Isabel Fannrich-Lautenschläger: “Entrambi trovano difficile il lavoro alla catena di montaggio e spesso lavorano su più macchine contemporaneamente. Sono particolarmente stressati dagli orari di lavoro irregolari: «Non abbiamo alcun controllo su questo. Chi lavora al secondo turno sa quando inizia, ma non quando finisce il turno. La situazione è ancora più grave durante le feste e a Natale, quando c'è molta richiesta di carne. Dobbiamo iniziare a lavorare alle tre del pomeriggio, per esempio, e continuare fino alle quattro del mattino. È particolarmente difficile al sabato, quando dobbiamo lavorare ancora di 

più. Allora abbiamo solo la domenica per recuperare. Il lunedì, invece, a volte non c'è molto da fare e dobbiamo tornare a casa prima. (…) Di norma dovrei ricevere un bonus per questo. Ma io non lo prendo.  Non sono stato addestrato alla macchina, ho imparato da solo. Secondo il contratto, guadagniamo undici euro all'ora. Ma le ore di lavoro non sono tutte retribuite».  Rafael aggiunge poi che le condizioni di lavoro sono spesso pessime. Durante il periodo trascorso alla fabbrica di carne, raramente ha saltato il lavoro per malattia. In seguito, il suo orario di lavoro è stato ridotto e ha guadagnato molto meno. Inoltre, parte del suo stipendio è stato trattenuto, come pure per la sua collega ".  Conclude infine Fannrich-Lautenschläger: “Non è stata prestata sufficiente attenzione alle politiche di precarizzazione. Oggi si sa di più sul lavoro precario, anche se i suoi protagonisti sono spesso invisibili o inosservati”.

Andando ad indagare, ricercare in internet, di queste testimonianze se ne possono trovare diverse. Scabrose situazioni che ricordano le dure situazioni lavorative nelle  fabbriche inglesi dei primi 800. Son passati da allora 200 anni, ma i barbari capitalisti sono rimasti sempre uguali, appena possono.

Sull’argomento è poi il portale ILO-Berlin nell’articolo del 12 dicembre 2020 “Das Lohngefälle bei Migranten vergrößert sich in vielen Ländern mit hohen Einkommen“ (Il divario salariale degli immigrati si sta ampliando in molti paesi ad alto reddito) che aggiunge: Secondo gli ultimi dati negli ultimi cinque anni il divario salariale tra migranti e autoctoni è aumentato in alcuni Paesi ad alto reddito: In Italia ad esempio, i lavoratori migranti guadagnano il 30% in meno dei nativi rispetto al 27% del 2015, in Portogallo il divario retributivo è del 29% rispetto al 25% del 2015; e in Irlanda del 21% rispetto al 19% del 2015. (…) In tutti i Paesi i migranti devono affrontare problemi di discriminazione ed esclusione che sono stati esacerbati dalla pandemia COVID-19, come dimostra lo studio dell'ILO”. Naturalmente a questi paesi è da aggiungersi la Germania.

Per cui secondo i dati  i lavoratori migranti nei paesi altamente industrializzati non solo sono di norma discriminati, ma con la crisi pandemica Covid questa discriminazione si è esacerbata notevolmente ancor più.  In altre parole, questi padroni europei “altamente civilizzati” non si son persi l’occasione di sfruttare  anche la crisi pandemica per spremere ancor più gli immigrati, ridurre ulteriormente i già bassi salari di questi lavoratori provenienti dall’estero.

Il capitalismo, i capitalisti non finiscono mai di confermare l’analisi marxista: ossia mostrare la loro natura di insaziabili selvaggi sfruttatori. Siano essi capitalisti di paesi arretrati in via di sviluppo o, come in Europa, capitalisti di paesi altamente industrializzati.

Contro i salariati locali autoctoni, che sono organizzati e ben uniti nelle organizzazioni sindacali, i padroni sono costretti al compromesso e concedere sui salari e sulle condizioni di lavoro, ma con i lavoratori immigrati, disorganizzati e isolati, estremamente ricattabili, i padroni non hanno più nessun freno e senza scrupoli si lanciano nello sfruttamento più totale e barbaro senza problemi, paragonando questi lavoratori alle bestie.

Molti ingenuamente pensano che con la “democrazia” molti problemi nel capitalismo siano superati. Si sbagliano. Anche oggi tutto è esattamente come analizzato da Marx nel “Capitale”. La differenza nei paesi industrializzati sta che i lavoratori locali organizzati riescono con le dure lotte a porre un freno, una maggiore resistenza allo sfruttamento dei padroni. Solo questo cambia. Ma per il resto, il selvaggio capitalismo, con il suo sfruttamento, ingiustizie, crisi, guerre, disastri, rimane sempre lo stesso.


 

_______________________________________________________________________________________

 

 

 

SCONTRO TRA BRIGANTI CAPITALISTI: UNO SGUARDO NEL FUTURO

 

PUO’ L’MPERIALISMO CINESE IN UNO SCONTRO MILITARE TENER TESTA A QUELLO AMERICANO?

 

 

 

 

Ormai è fisso: nei paesi occidentali la Cina viene additata come il grande pericolo (e nemico) del futuro. Un pericolo destinato ad essere ampliato sempre più dai media delle borghesie europee-americana in crescente competizione contro l’emergente gigante imperialismo asiatico.     

E’ in questa prospettiva che molti commentatori descrivono le varie nazioni che si stanno posizionando per il futuro scontro contro l’irrompere del dragone nella scena mondiale. Nell’importante documento uscito dalla riunione congiunta NATO-UE il 10 gennaio a Brussel, per esempio viene sottolineato: "Viviamo in un'epoca di crescente competizione strategica. La crescente assertività e le politiche della Cina presentano sfide che dobbiamo affrontare, rimarcano la Ue e la Nato” (ANSA 10.01.2023).  Quindi senza dubbio sarà un futuro “di crescente competizione strategica“ ciò che ci aspetta, con tutte le incognite e dilemmi che ciò comporta.

E’ uno scontro che già negli anni 1950 i futuri fondatori di Lotta Comunista grazie all’analisi marxista avevano già individuato. Ne “LE TESI DEL 1957” così viene scritto: “Indirettamente il risveglio dei paesi arretrati, da un lato, mina le posizioni politiche dell’imperialismo e ne provoca alcune delle più tipiche contraddizioni [ le crisi e le guerre - n.d.r.] mentre dall’altro ne favorisce economicamente la sopravvivenza. Un chiaro esempio ci è dato dal movimento di indipendenza politica afroasiatico che indebolendo le posizioni coloniali anglo-francesi ha permesso però, nello stesso tempo una vertiginosa espansione e penetrazione di capitali americani e tedeschi”.

“Il risveglio dei paesi arretrati” si è concretizzato nei decenni successivi con l’emergere delle potenze asiatiche e particolarmente con il costituirsi del gigante Cina, che, mentre da un lato ciò  “ha permesso però, nello stesso tempo una vertiginosa espansione e penetrazione di capitali americani e tedeschi” dall’altro “mina le posizioni politiche dell’imperialismo”. Che oggi significa la messa in discussione da parte cinese dell’ordine politico imposto dall’imperialismo americano, che nel contesto attuale si manifesta  nello scontro  tra Cina e USA per l’indipendenza di Taiwan,

C’è da osservare, ma veramente, che queste previsioni, oggi realtà evidente, allora erano estremamente rare e controcorrente, sostenute da pochissime persone, in un contesto dove negli anni ’50 nel mondo imperversavano le organizzazioni maoiste terzomondiste che sostenevano che l’agricoltura, e non l’industria, avrebbe impresso il futuro del pianeta, altri vedevano invece la terza guerra mondiale alle porte,  mentre i dominanti partiti stalinisti sostenevano che l’Unione Sovietica  si sarebbe espansa in tutto il globo. 

Per cui oggi la messa in discussione dell’ordine geopolitico mondiale, cioè lo scontro interimperialistico USA-Cina, è concentrato, si manifesta in superficie, su quello che noi definiamo “il pretesto Taiwan”, dove l’imperialismo di Pechino dichiara l’isola essere territorio integrante cinese e gli USA ne difendono l’indipendenza (… da osservare che questa contesa per l’isola viene presentata in Europa essere l’esercito cinese con i suoi aerei e navi a provocare di continuo Taiwan invadendone lo spazio autonomo, mentre in Cina si sostiene esattamente l’opposto, siano gli americani con le loro navi e aerei che provocano i militari cinesi. Nello scontro tra imperialisti banditi è chiaro che è difficile, se non impossibile capire quale sia la vera verità).

La domanda chiave però è: è veramente in atto una vera provocazione militare o è solo aggressività politica verbale, come spesso accade?

Per capire in caso di vero scontro militare-bellico cosa potrebbe accadere, molti specialisti e commentatori stanno provando a fare un’analisi, un confronto di forze militari tra i due contendenti, per trarne delle conclusioni.  

In queste numerose analisi emerge da subito lo strapotere militare americano. Per es: la spesa militare globale statunitense nel 2021 è stata di 801 miliardi di dollari, mentre la Cina, secondo paese al mondo per investimenti nel settore militare, ha stanziato nel 2021 circa 293 miliardi di dollari per le sue forze armate (Sipri 2022); nel settore carri armati gli Stati Uniti dispongono (analisi “Forbes”) di 6.333 mezzi, ossia la seconda più grande armata al mondo dopo la Russia (Russia analizzata però prima dell’attuale guerra in Ucraina) mentre la Cina è terza con 5.800 carri armati. Nella potenza aerea gli USA posseggono più di 13,000 aerei militari, mentre la Cina ne ha sui 2.500. Se a questo si aggiunge poi l’enorme supremazia americana nelle testate nucleari, la superiorità nella flotta marina - portaerei e sottomarini compresi, la tecnologia militare spaziale, la missilistica, le innumerevoli basi americane sparse per il mondo, si ha la visuale netta dell’enorme superiorità bellica americana in confronto a Pechino.        

Ma, esiste un punto dove oggi le armi cinesi possono creare notevoli problemi militari all’esercito USA: i “missili balistici”. E qui è bene riportare per intero l’interessante chiarificazione del portale “RSINEWS” del 7 agosto 2022 con il titolo “Le armi cinesi che fanno paura agli Stati Uniti” che spiega bene questo ganglio militare: “I missili, vera spada di Damocle [per gli USA - n.d.r.]. Ci sono poi armi che fanno maggiormente paura agli Stati Uniti. «Tra le tante sicuramente è il settore dei missili a impensierire di più [gli USA - n.d.r.] - spiega Gilli-. Sia per la tecnologia che per le riserve che [la Cina n.d.r.] ha accumulato in questi anni. Parliamo di missili balistici e anche da crociera. Fanno paura perché potrebbero mettere in discussione la capacità delle forze aeree americane di intervenire prontamente in difesa di Taiwan qualora dovesse scoppiare la guerra. Questo perché le forze aeree americane partirebbero dalle portaerei nell’Oceano Pacifico, oppure dalle base statunitensi a Guam e Okinawa. I missili che ha la Cina però possono colpire questi bersagli danneggiandoli o distruggendoli. Oppure obbligherebbero le portaerei a operare a distanza tale da limitare la capacità dei caccia statunitensi»". Interessante poi è, come l’articolo entra nel dettaglio di questi missili cinesi: “Ad impensierire però maggiormente sono i cosiddetti Dongfeng 21D (D-F 21D), 

i cosiddetti “Carrier Killer”, missili balistici ipersonici a capacità nucleare anti nave, in grado di colpire a grandi distanze basi e portaerei. Preoccupano anche i Dongfeng-17 (o DF-17), nuovi missili che sarebbero stati lanciati per la prima volta dalla Cina al largo di Taiwan in questi giorni. Rientrano nella categoria degli HGV, (Hypersonic glide vehicles) sistema d’arma manovrabile, difficilmente intercettabile, in grado di bucare i sistemi anti-missilistici oggi esistenti, compresi quelli americani” (ibidem). Continua poi l’articolo spiegando che, se la Cina si dovesse impegnare in un eventuale scontro militare contro gli USA per la conquista di Taiwan “… La Cina nella zona Indopacifica è superiore. «Se consideriamo la geografia sicuramente la Cina ha un vantaggio - specifica Gilli - Gli Stati Uniti, per quanto riguarda le tecnologie avanzate, come ad esempio i caccia, i bombardieri, i sottomarini di attacco o con missili balistici sono avanti. Però la Cina ha un vantaggio, ossia la vicinanza all’isola di Taiwan, con lo stretto che ha un'ampiezza massima di 180 chilometri circa. Questa vicinanza si contrappone quindi alla grande distanza delle forze americane. Ciò vuol dire che sia da un punto di vista operativo che logistico il vantaggio è chiaramente da parte della Cina»"(ibidem).

In sostanza spiega l’articolo, l’imperialismo cinese in ascesa è nettamente inferiore dal punto di vista militare rispetto alla strapotenza militare americana, sia nel campo aereo, che navale, sia nei carri armati, che nelle bombe atomiche, per le basi militari, i satelliti militari, ecc. Pechino lo sa e lo ha ben chiaro. Ha però un asso nella manica: ha sviluppando un gran numero di questi missili balistici a corta e a lunga gittata definiti “killer delle portaerei”, che pur essendo molto economici nella loro produzione in rapporto alla spese che devono essere sostenute per fabbricare navi da guerra, aerei militari, satelliti, ecc. sono però estremamente efficaci e possono, o forse è meglio dire: “potrebbero”, tener lontano le navi da guerra statunitensi in una eventuale invasione dei militari cinesi sull’isola di Taiwan.  

Per capire bene l’efficacia e la convenienza di questi non costosi missili cinesi “Dongfeng” di nuovissima generazione si può fare un paragone con i missili anticarro “Javelin” e i missili antiaereo “Stinger”, ampiamente usati adesso dai militari ucraini contro i russi nell’attuale conflitto in Ucraina. Mentre l’esercito russo schiera carri armati e aerei costosissimi, i soldati ucraini usano in gran numero questi “economici” ma estremamente efficaci Javelin e Stinger contro i carri armati e aerei russi, avendone la meglio. E’ il nuovo sistema di combattimento che si sta imponendo.

Perciò in sostanza, nella diaspora “Taiwan” è su questi missili “Dongfeng” che il governo imperialistico di Pechino basa la sua aggressività politica. Mentre, riportano i dati, incrementa velocemente il suo armamento complessivo.

In tutto questo casino LA GRANDE DOMANDA PERO’ è: i predoni imperialisti cinesi-americani, in questo momento di espansione del mercato mondiale, dove possono espandere i loro affari e ricavare enormi profitti senza tanti problemi HANNO INTERESSE IN UNA GUERRA DIRETTA TRA DI LORO, DEVASTANTE PER ENTRAMBE LE NAZIONI, CHE PORTEREBBE SICURAMENTE A DISTRUZIONI INIMMAGINABILI?

La prima risposta spontanea che verrebbe sicuramente è:  NO !  

Alcuni osservatori fanno notare che questi scontri tra nazioni con parole offensive e aggressive reciproche molto spesso nascondono, vengono usate dai vari governi per “uso interno”. Spieghiamo. I governi usano spesso la cosiddetta “tattica della paura” per stringere, compattare, unire la popolazione attorno al governo centrale: per es. viene detto: “Ci sono nemici all’estero molto pericolosi che ci vogliono distruggere, annientare. Dobbiamo difenderci. Dobbiamo stare tutti uniti, concentrati per proteggerci, lasciar perdere le beghe interne, gli scioperi e le proteste, non lamentarsi e produrre di più per sconfiggere questo nemico e salvare la patria”. E’ quello che veniva detto per es. in Unione Sovietica contro gli americani e al contrario in America contro i russi; nell’ex DDR contro la Germania dell’ovest e viceversa nella Germania Federale contro la DDR; quello che ora in Israele e Arabia Saudita viene detto contro l’aggressività dell’Iran e il contrario, e in Cina ora con il “pretesto” Taiwan, dove si paventa un intervento militare americano, il quale con la scusa di difendere Taiwan vuole in realtà distruggere la “grande Cina”. La “tattica della paura” per tener oppresse le masse salariate è molto usata dai governi delle borghesie. Hitler per es. sostenuto massicciamente dalla potente stampa delle grandi imprese e banche tedesche, presentava come “grande pericolo e nemico” della patria non un nemico esterno, ma un nemico “interno”: gli ebrei. Lo scopo politico contro questo nemico era compattare la popolazione attorno al governo nazista che stava militarizzando il paese e portare poi tutti nel disastro bellico, con l’intento di sconfiggere i concorrenti esteri e conquistare nuovi mercati per le imprese e banche tedesche.

Pertanto il vero motivo dell’aggressività politica cinese su Taiwan potrebbe anche essere questo di “ragioni interne”: stare tutti uniti contro il “pericolo americano”, stringere le enormi masse proletarie cinesi a sostenere il governo stalinista. Potrebbe.

Dall’altro però, bisogna rilevarlo, ci sono correnti politiche negli USA che sostengono che sarebbe adesso il momento in cui bisognerebbe attaccare militarmente la Cina e sconfiggerla, finchè è ancora debole, poiché più avanti diverrà un grosso problema. Sono correnti politiche in America ancora molto minoritarie, ma ci chiariscono, ci aprono gli occhi, di come funziona il brutale sistema capitalista. E in Cina questi americani “anticinesi” vengono usati come pretesto, ampliati dai media per creare appunto “paura”.       

In sintesi, possiamo concludere dicendo che in questa fase di ancora forte espansione economica mondiale dove le multinazionali cinesi che americane hanno ancora enormi spazi di mercati dove condurre grandi affari e profitti, una devastante guerra tra Cina e Stati Uniti per contendersi l’isola di Taiwan è molto, MOLTO IMPROBABILE.

Però attenzione, non impossibile, nella lotta tra i banditi imperialisti.

Basti vedere cosa successo con l’Ucraina, dove Putin con il suo establishment, convinto con un colpo di mano veloce di far di un boccone l’Ucraina e mettere il mondo di fronte al fatto compiuto, come successo con la Crimea, si è inguaiato in una lunga guerra che lo sta portando al disastro.

Pertanto non è proprio da escludere che il governo imperialistico di Pechino, chissà per quali calcoli politici, decida improvvisamente con un colpo di mano di impossessarsi di Taiwan e poi con i micidiali missili “Dongfeng” tener lontana la flotta USA e mettere il mondo di fronte al fatto compiuto. 

Sui nostri cartelli scriviamo: SONO I CAPITALISTI LA CAUSA DI TUTTE LE GUERRE ! E’ proprio così. Perché, non bisogna mai dimenticarlo: viviamo nel capitalismo, e “capitalismo” significa non solo concorrenza, profitti, mercati, banche, finanza, interessi, ecc. ma anche crisi, guerre, distruzioni, stragi, disperazioni infinite. E le guerre per i capitalisti non sono cose così terribili, come noi persone normali le viviamo e interpretiamo, ma parte integrante del loro condurre gli affari. E’ questo il motivo per cui le guerre sono sempre presenti e non smettono mai.

I lavoratori aspirano ad una società equa, senza differenze sociali, dove tutti possano godere senza discrepanze, in pace e armonia, i prodotti generati dal loro lavoro. Per arrivare a questo, per ottenere questo e far finire le guerre l’umanità ha bisogno però di rivoluzioni.


 

_______________________________________________________________________________________________________

 

 

 

ANCHE LO STATO E’

IMPRESARIO CAPITALISTA

DIRIGENDO BANCHE E AZIENDE AGISCE COME UN PRIVATO PER OTTENERE UN PROFITTO, IN CONCORRENZA CONTRO GLI ALTRI CAPITALISTI .

 

Gli stalinisti e molte correnti trotzkiste divulgano l’idea che le aziende statalizzate significa “socialismo”. Niente di più sbagliato. E’ chiaro che non hanno la minima cognizione di cosa sia ne il “capitalismo” ne il “socialismo”. Quello che i militanti di queste organizzazioni non conoscono è però Wikipedia che nel portale “Öffentliches Unternehmen” (Imprese pubbliche) correttamente chiarisce cosa in questa società capitalistica una impresa statale è: “Le imprese pubbliche (dette anche imprese statali) sono imprese di diritto pubblico o privato che sono a maggioranza o interamente possedute dallo Stato o da sue suddivisioni”. In altre parole: nella società capitalista le aziende di stato definite “di diritto pubblico” devono essere intese come elementi affaristici paragonabili a qualsiasi altra azienda privata, svolgendo la funzione di accumulatore di capitale. E questo naturalmente, come nelle aziende private, include lo sfruttamento dei dipendenti, l’ottenimento di profitti, il battere la (anche brutale) concorrenza e così via. 

E per meglio chiarire il concetto precisa poi Wikipedia, “In senso più ampio appartengono al settore delle imprese pubbliche tutte le istituzioni federali e statali e le società di diritto pubblico, nonché le imprese organizzate in base al diritto privato e possedute in maggioranza da un ente di diritto pubblico” (ibidem). Spieghiamo: devono essere intese aziende appartenenti allo stato sia “le società di diritto pubblico” ossia le aziende dei servizi sociali che svolgono attività sul territorio senza scopo di lucro, che “le imprese organizzate in base al diritto privato” cioè con l’obbiettivo del profitto. In queste “imprese organizzate in base al diritto privato” essendo che l’obbiettivo è, come per le imprese private, l’ottenimento del massimo profitto, troveremo imprese statali pubbliche fuse con imprese private, altre aziende pubbliche con percentuali di imprese private al loro interno, e viceversa, imprese private con partecipazioni societarie di imprese pubbliche nel loro pacchetto azionario. 

Questo mixum di imprese statali e private sono presenti non solo nelle nazioni staliniste del “falso socialismo” tipo Cina, Cuba, Vietnam, Corea del Nord, ecc, dove le aziende e le banche di stato affariste capitaliste sono numerosissime e ne caratterizzano l’economia (così come nello Stato del Vaticano) ma naturalmente anche in tutti i paesi a economia cosiddetta “privata” come in Francia, Italia, Gran Bretagna, ecc., Germania compresa.

A conferma, Wikipedia riporta le grandi imprese appartenenti allo stato “organizzate in base al diritto privato”  presenti sul territorio in Germania: "Die Autobahn GmbH des Bundes, Bundesdruckerei,   Bundesgesellschaft für Endlagerung GmbH, 

Bundesrepublik  Deutschland  Finanzagentur, BVVG Bodenverwertungs und verwaltungsgesellschaft, BWI GmbH, Deutsche Flugsicherung, Deutsche Gesellschaft für Internationale Zusammenarbeit“. Queste grandi aziende pubbliche tedesche (ed altre minori ancora) hanno il compito come detto, attraverso lo stato con il profitto, di accumulare denaro.

In quanto lo scopo comune tra aziende pubbliche e private è il profitto capitalistico, nella fusione di entrambe Wikipedia analizza per es. il pacchetto azionario della Bundesdruckerei”, e riporta come al suo interno vi siano azioni della “D-TRUST GmbH- Berlin, Maurer Eletronics GmbH- München,  Inco.Sp.zoo.Wawròw-Polen,  genua GmbH-München, Emirates German Security Printing LLC. Abu Dabi.VAE, cv cryptovision GmbH, Gelsenkirchen, Shangai MITE Speciality & Precision Printing Co.Ltd.Shangai-China, Dermalog Identification Systems GmbH-Hamburg. Veridos GmbH-Berlin” (Wikipedia “Bundesdruckerei“). Un insieme di aziende pubbliche e private tedesche, arabe e cinesi accumunate dallo scopo di trarre un profitto.

Così come azionarmente è strutturata l’azienda pubblica Bundesdruckerei” altrettanto troveremo anche le altre imprese statali “organizzate in base al diritto privato” riportate da Wikipedia "Die Autobahn GmbH des Bundes, Bundesgesellschaft für Endlagerung GmbH, Bundesrepublik  Deutschland  Finanzagentur,” e così via.

Prendendo visione di questa realtà è perciò fondamentale non lasciarsi influenzare, ingannare dagli stalinisti e dai trotzkisti quando affermano che una azienda “statale” è sinonimo di “socialismo” o “anticipo di socialismo”, perché queste organizzazioni o mentono (gli stalinisti) o confondono la “fase di transizione rivoluzionaria” (o socialismo) con il capitalismo (trotzkisti).

CAPIRE COME RAGIONA LA BORGHESIA 

ROCKFELLER PROPONE ALL’ONU IL DECREMENTO DELLA POPOLAZIONE MONDIALE

Le idee dementi di chi è strapieno di soldi

 

E’ nel maggio 2009, che il Sunday Times in un articolo riporta dell’incontro tra supermiliardari :  “Durante la cena, prendendo spunto da Gates, si ritrovarono tutti d’accordo sul fatto che  la sovrappopolazione è il problema”

 

 

MA LA CAUSA DEI PROBLEMI SOCIALI NON E’CERTO  IL NUMERO DI POPOLAZIONE, MA IL DISASTROSO

SISTEMA CAPITALISTICO!

 

LA PRODUZIONE MONDIALE E’ PIU’ CHE SUFFICIENTE PER SFAMARE E FAR VIVERE BENE TUTTE LE PERSONE SUL PIANETA. MA LA SOCIETA’ DEVE  PERO’ ELIMINARE IL PERVERSO SISTEMA DI COMPRAVENDITA MERCANTILE E ADDOTTARE IL METODO DI SUDDIVISIONE EQUILIBRATA SE VUOLE RISOLVERE I SUOI PROBLEMI.

_____________________________________________________________

 

L’imperialismo cinese sta con prepotenza emergendo. E questo fa paura. Ai borghesi affaristi occidentali fa molto paura. A fronte di questo, cosa può uscire dalla mente dei miliardari? Stronzate! Sconvolgenti cavolate dettate solo dall’interesse capitalistico: come proporre che i governi devono operare per diminuire la popolazione mondiale

CAPIRE COME RAGIONANO I CAPITALISTI: per tutti i capitalisti, le persone alle loro dipendenze non sono persone, ma mezzi, strumenti, macchine per far soldi, che devono produrre guadagni in modo che il bilancio aumenti sempre, e produca un +.

Perciò per i capitalisti, essendo le persone strumenti, mezzi, macchine, come le macchine i dipendenti devono aumentare, diminuire, essere dimezzati o raddoppiati a secondo del bisogno (affaristico)  cosicchè sul bilancio appaia sempre il famoso +. E’ così che ragionano i capitalisti.

Poi se queste persone sono degli esseri viventi, con le loro famiglie, le loro vite, i loro bisogni, i figli, questo per i capitalisti sono solo “seccature” “disturbi”. Fondamentale è il + sul bilancio.

Quando Marx ci dice che per un imprenditore il suo operaio “è solo un mezzo da estorcergli plusvalore”, eccone qui quindi la traduzione pratica del giorno d’oggi.

Nella logica che per i miliardari le persone non hanno alcun valore, non contano assolutamente niente, ROCKEFELLER va quindi all’ONU e propone di diminuire la popolazione mondiale. Paragonabile alla conta delle formiche, che se sono troppe e infastidiscono, bisogna eliminarne un po’.

E’ sconvolgente per noi persone normali sentire cose così. Il mondo dei capitalisti e il mondo dei salariati sono due mondi completamente diversi, mondi “opposti” come afferma correttamente Marx.

 

Sono due mondi che chiaramente devono finire. E naturalmente deve rimanere il “mondo delle persone”.


 

____________________________________________________________________________________

 

 

 

PUNTI FERMI DELLA POLITICA PROLETARIA

IL SOCIALISMO O “FASE TRANSITORIA” DOPO LA RIVOLUZIONE. IL RUOLO DELL’INTERNAZIONALE

“FASE TRANSITORIA” DA NON CONFONDERE CON “IL SOCIALISMO

IN UN  SOLO PAESE”  DI MATRICE  STALINISTA, O  CON  LE  LOTTE NAZIONALISTE   CAPITALISTE    DI   INDIPENDENZA   DEI    CURDI,

CATALANI   O   DEI  PALESTINESI,   SOSTENUTE   DAI   TROTZKISTI.

 

 

 

Vi è un acceso dibattito  (che non finirà mai) tra la nostra organizzazione leninista e gli stalinisti e i trotzkisti. E’ l’occasione per ribadire le corrette posizioni marxiste rivoluzionarie contro tutte le deformazioni nazionaliste degli stalinisti o fantasiose di ogni tipo dei trotzkisti.

 

La politica comunista marxista è chiara: arrivare ad una società superiore dove non esistano più le leggi capitalistiche del commercio e della compravendita causa di tutte le contraddizioni del sistema, e che le persone finalmente possano godere in pace il benessere prodotto.

Per arrivare a questo c’è bisogno però di rivoluzioni. Poiché i capitalisti impediscono e impediranno  in tutti i modi e con tutti i mezzi che il proletariato giunga al potere per azzerare la società capitalistica e organizzarne una nuova.

Le rivoluzioni sono possibili perché esistono, come ne passato, momenti rivoluzionari. Ossia, sono i capitalisti stessi che nella terribile concorrenza tra di loro creano in certi momenti situazioni così catastrofiche, con profondissime crisi, guerre, (esattamente come il passato conferma) nelle quali le masse proletarie stremate e disperate possono reagire contro il sistema, ribellarsi, e con rivolte arrivare al potere.

Per poter eliminare le leggi economiche capitaliste così da arrivare alla società superiore, comunista, c’è bisogno di molte rivoluzioni. Perché solo in un mercato economico mondiale molto esteso si può arrivare a quella economia autonoma che può permettere di eliminare la compravendita commerciale e imporre la suddivisione equa dei beni, cosa impossibile in una sola nazione.

Il compito di una rivoluzione è quindi necessariamente, come correttamente perseguito dai bolscevichi sotto la guida di Lenin, di innescare, di iniziare questa serie di rivoluzioni. Non bisogna fermarsi alla propria rivoluzione, perché non avrebbe senso. Il compito della rivoluzione è quindi quello di formare immediatamente (come fatto correttamente dai bolscevichi-Lenin) l'INTERNAZIONALE così da mettere in moto tutti i partiti rivoluzionari del pianeta per organizzare le rivoluzioni in tutti i Paesi.

Poiché la rivoluzione viene immediatamente attaccata dalle borghesie di tutto il mondo, i rivoluzionari cercheranno conseguentemente di rimanere al potere il più a lungo possibile, in attesa delle rivoluzioni che seguiranno, anche se è più che chiaro che i proletari al potere in una sola nazione non possono resistere a lungo se queste non arrivano, dal momento che la rivoluzione, nel mondo, è più isolata che mai economicamente. E l'attacco ai rivoluzionari potrebbe arrivare dall'esterno, militarmente, guidato dalle borghesie democratiche di tutto il mondo, oppure potrebbe, date le disastrose condizioni socio-economiche dovute all'isolamento economico internazionale, venire dall'interno con l'emergere di movimenti nazionalisti controrivoluzionari (vedi Stalin).  

Tuttavia ciò che è fondamentale è che la rivoluzione - a prescindere dalle ragioni della sconfitta - abbia formato l'Internazionale affinché la rivoluzione internazionale possa proseguire attraverso le altre nazioni. Questo è l'aspetto fondamentale per cui una rivoluzione viene condotta, non per altri motivi. Infatti Lenin nel 1921, realisticamente nel capitolo “Comunismo possibile solo dopo rivoluzione internazionale” afferma: “Quando abbiamo iniziato a suo tempo la rivoluzione internazionale, lo abbiamo fatto non perché fossimo convinti di poter anticipare lo sviluppo, ma perché tutta una serie di circostanze ci spingevano ad iniziarla. Pensavamo: o la rivoluzione internazionale ci verrà in aiuto e allora la nostra vittoria sarà pienamente garantita, o  faremo il nostro modesto lavoro rivoluzionario, consapevoli che, in caso di sconfitta, avremo giovato alla causa della rivoluzione e la nostra esperienza andrà a vantaggio di altre rivoluzioni. Era chiaro per noi, che senza l’appoggio della rivoluzione mondiale la vittoria della rivoluzione proletaria era impossibile. Già prima della rivoluzione e anche dopo di essa pensavamo:  o la rivoluzione scoppierà subito, o almeno molto presto negli altri paesi capitalistici più sviluppati, oppure, nel caso contrario, dovremo soccombere”. 

Qui è evidente che Lenin sottolinea in modo chiaro e senza ombra di dubbio il ruolo della rivoluzione russa, concepita come primo passo di inizio dell’organizzazione della rivoluzione internazionale. E rimarca che se la rivoluzione mondiale non dovesse arrivare e la rivoluzione russa deve soccombe, lui e i bolscevichi hanno in ogni caso ed eccellentemente svolto il loro compito storico: non hanno perso tempo hanno subito costituito la nuova INTERNAZIONALE.

Perché qui va sottolineato che la rivoluzione russa non è stata concepita e condotta con lo scopo di portare al potere il proletariato russo perché esso potesse gestire l'economia capitalista russa, ma, come detto, concepita come primo passo della

rivoluzione internazionale per arrivare a un'economia diversa, non più commerciale ma di condivisione di beni, possibile solo attraverso la rivoluzione internazionale.

Questa in breve la strategia comunista rivoluzionaria proletaria. Questo il compito di una rivoluzione proletaria. 

Completamente distorto è ciò che sostengono gli STALINISTI.

Gli stalinisti usano la tattica di parlare come marxisti ma di agire come capitalisti. Con parole marxiste si definiscono rivoluzionari contro il capitale privato e per una società nazionalizzata. Sostengono che questa società nazionalizzata, in cui vigono ancora le leggi capitalistiche del commercio, del profitto, delle banche, ecc. sia l’obbiettivo da raggiungere, cioè il "socialismo (o fase transizione)" o "comunismo" (o società superiore) e questo è il motivo per cui appoggiano la Cina, la Corea del Nord, Cuba, il Vietnam, l'ex Unione Sovietica, la DDR, ecc.

È più che ovvio che i sopraddetti Stati stalinisti non possono avere nulla a che fare ne con il "comunismo" o "società superiore"  in termini di distribuzione dei beni prodotti, poiché in questi Stati le leggi capitalistiche prevalenti, come la compravendita, i profitti, ecc. operano esattamente come nei paesi occidentali privati. (Ed è proprio questo ciò che distingue il comunismo come società superiore, dal capitalismo).  

Ne che può trattarsi di "socialismo" o "fase transitoria", visto che questi stati stalinisti non sono assolutamente interessati alla rivoluzione mondiale (se non  retoricamente) per arrivare ad una società diversa, superiore. Se davvero si trovassero in "fase di transizione" verso la rivoluzione internazionale (come falsamente gli stalinisti affermano) questi stati, innanzi tutto sarebbero strettamente associati tra di loro in un’unica federazione rivoluzionaria,  secondo, sarebbero poi super impegnati ad organizzare l'INTERNAZIONALE, unico mezzo con cui, appunto, si può  rendere possibile la rivoluzione planetaria (esattamente come fatto dai bolscevichi dopo la rivoluziona russa). Ma è evidente che non è così. Che siamo di fronte al contrario. Non siamo ne stupidi ne ingenui. A conferma del carattere capitalistico delle suddette nazioni staliniste, è bene di continuo riportare e sottolineare che per perseguire rigorosamente e categoricamente solo i loro interessi nazionali, sono arrivate al punto addirittura di condursi guerre uno contro l’altro, come la guerra dell'Unione Sovietica contro la Cina nel 1969 e quella tra Cina e Vietnam nel 1979.  Va da se che in questa prospettiva rigorosa nazionalista-capitalista questi paesi stalinisti non abbiano alcun interesse a sconfiggere il capitalismo, e che nella pratica al contrario, si oppongano alle organizzazioni marxiste che lo vogliono abolire.

In sostanza, l'obiettivo politico reale degli stalinisti è essenzialmente arrivare alla conquista del potere capitalistico per potersi sostituire ai capitalisti privati, e gestire loro stessi gli affari delle imprese, delle fabbriche, delle banche come capitalisti di Stato e goderne i benefici, mentre le masse proletarie rimangono sfruttate, sottomesse, utilizzate.

L'altro aspetto è rappresentato dalle organizzazioni TROTZKISTE.

Ce ne sono decine, forse un centinaio, e tutte in linea di principio (correttamente) lottano per la rivoluzione mondiale e sono per l'Internazionale. Ma hanno la caratteristica di non avere un'analisi realistica della società e sono senza un minimo di strategia. Sono completamente in balia di tattiche così fantasiose, così bizzarre da risultare incredibili. Per capire la loro eccentricità: alcune organizzazioni difendono risolutamente la democrazia capitalista come trampolino di lancio attraverso le elezioni verso il comunismo. Altre si battono con veemenza al fianco di Fridays for Future contro il cambiamento climatico, per il femminismo, contro le molestie e così via, presentando questo come il possibile da fare oggi nel capitalismo. Altre sono antifascisti convinti per opporsi alle dittature.  Altre sono dalla parte delle lotte sindacali per lasciare un segno storico, altre …  chi più ne ha più ne metta.  Tutte istanze di fantasia che non possono portare a nessun risultato e aver nessun seguito. 

E’ questo il motivo per cui le vecchie organizzazioni trotzkiste del passato, dopo aver accanitamente lottato e non aver ottenuto nulla, si sono arrese e sono scomparse. Per poi arrivarne altre, anch'esse scomparse dopo il fallimento, e ora ve ne sono di nuove ... E questo spiega il perché oggi le attuali organizzazioni trotzkiste siano composte esclusivamente da giovani, visto che  i vecchi attivisti hanno ceduto. E la delusione sarà ovviamente il destino anche di questi nuovi giovani attivisti trotzkisti, così completamente sprovveduti, illusi e allo sbaraglio.   

E tra di loro la novità assoluta adesso è il Rojavas. Rojavas è una regione situata nel Kurdistan che lotta per la propria autonomia o indipendenza capitalista. Come ieri i trotzkisti sostenevano le lotte per l’indipendenza dei palestinesi, dei baschi, degli irlandesi, dei catalani e così via, e hanno perfino addirittura salutato come rivoluzionaria nel 1974  la rivolta dei militari in Portogallo e nel 1978 l’ascesa al potere in Iran del prete Khomeini e oggi appoggiano in Sud America Lula e Maduro, ora è il momento del sostegno incondizionato ai Curdi del Rojavas nella loro lotta per l’autonomia, che ovviamente come nelle precedenti lotte dei palestinesi, catalani, ecc. non può che essere capitalistica. La loro usuale tesi politica sarebbe che adesso in Curdistan (così come prima in Palestina, in Irlanda, nei Paesi Baschi, ecc.) la popolazione curda nella sua lotta per l’indipendenza avrebbe creato una “situazione rivoluzionaria”. I trotzkisti appoggiando i curdi in questa loro rivendicazione di indipendenza capitalista, una volta raggiunta l’indipendenza, essi trotzkisti, possono poi passare a guidare le masse alla rivoluzione proletaria.

Stranamente però essi non fanno mai alcun accenno al fatto che questa strategia in passato con i palestinesi, con gli irlandesi, con i baschi, con i catalani, con Khomeini, ecc. o con Tito nella seconda guerra mondiale, non ha mai funzionato, non ha mai assolutamente portato a niente. Perché, spieghiamo noi, le masse in queste loro lotte per l’indipendenza capitalistica sono sotto pieno controllo e dirette dalla borghesia, e una volta raggiunto l’obbiettivo dell’indipendenza capitalista, si fermano. La tattica bolscevica nelle “situazioni rivoluzionarie” è stata ben altra: sempre chiaramente contro i propri capitalisti.. E’ questo il motivo per cui i precedenti attivisti trotzkisti delusi hanno abbandonato. Di questo però nessun accenno da parte loro. Onde per cui adesso i giovani trotzkisti sognano con il Rojavas.

Concludendo: la politica pratica di Lenin con i suoi bolscevichi ha già più che evidenziato nella realtà cosa sia “LA FASE TRANSITORIA” o “SOCIALISMO” con l’INTERNAZIONALE.

Ed è evidente, è tutt’altro di quanto storpiato dagli stalinisti e venduto come “socialismo in un solo paese”, o quanto fantasticato dai trotzkisti nel vedere nelle lotte per l’indipendenza capitalistica situazioni dove le masse possano lottare per la rivoluzione proletaria.

I leninisti come noi tengono invece ferma la via maestra realistica e concreta tracciata da Marx e Lenin: la rivoluzione mondiale possibile solo attraverso l’INTERNAZIONALE. E’ questo che spiega il successo del LENINISMO in Europa.


 

_______________________________________________________________________________

 

 

 

 

CHE COS’E’ VERAMENTE

L’UNIONE EUROPEA?

 

 

Europa:  unione  delle borghesie europee.

 

L’Unione Europea viene presentata come l’unione dei popoli europei: niente di più falso!

L’Unione europea è la necessità dei padronati europei di unirsi tra di loro per tener testa alla concorrenza di altre grandi potenti borghesie. Nel ’51 quando in Europa si forma la “CECA”, cioè il trattato che istituisce “La Comunità europea del carbone e dell’acciaio” lo scopo del padronato europeo era di essere concorrenziale contro gli Stati Uniti. Nel frattempo le cose sono notevolmente cambiate ed oggi le borghesie europee si trovano di fronte anche altri giganti economici da battere: la Cina. E altre grandi imprenditorie si stanno profilando all’orizzonte: India, Brasile, Indonesia, ecc. 

In queste operazioni borghesi di unione (e scontro)  i lavoratori (che non hanno patria) ne vengono inevitabilmente trascinati, coinvolti: pro o contro. Ieri in ben 2 guerre mondiali di scontro, oggi per l’unione.

La fase di Unione Europea, dopo il trattato costitutivo di unione siglato a Maastricht 25 anni fa, è ancora in forte rallentamento e il suo compimento definitivo sembra essere ancora molto lontano.

Il motivo di questo non completamento EU non è perchè, a nostro avviso, le borghesie europee non sono in grado di farlo, come sembra, assolutamente no, ma perché la potente borghesia americana, che ha vinto la 2° guerra mondiale, non lo permette. Nello scontro tra potenti borghesie sul pianeta, in quello che si sta profilando il futuro scontro contro la potentissima borghesia cinese e le altre potenze emergenti India, Brasile, Russia, Indonesia, il padronato americano ha sicuramente bisogno di alleati come gli europei e i giapponesi (già suoi alleati nella NATO).  Ma gli americani, a nostro avviso, nell’organizzandosi per il futuro scontro,  in questa alleanza con le borghesie europee e giapponese vogliono mantenere un ruolo dirigenziale, trainante, come già dal dopoguerra nella NATO hanno. E un’Unione Europea definitivamente unita, forte, con un proprio governo e un proprio esercito unito metterebbe sicuramente in discussione il ruolo di dirigenza/direzione Usa nella coalizione. Perciò la borghesia americana sta permettendo un’Unione Europea “debole”, con solo un’unione monetaria e finanziaria (che più di tanto non la disturba), ma senz’altro non permette (almeno per il momento) un’unione politica e tantomeno militare.

 

                                                      Da “Le nostre posizioni politiche”

 

 

 

LE LOTTE DEI CURDI, DEI CATALANI, DEI PALESTINESI, SONO LOTTE PER IL COMUNISMO?

 

Le lotte nazionaliste borghesi dei palestinesi, curdi, baschi, ecc. 

 

Alcuni partiti marxisti vedono una corretta politica comunista nel sostegno a rivendicazioni nazionalistiche di alcune etnie sottomesse  (che poi sul pianeta sono numerosissime).

Se nel passato, quando le potenze imperialistiche adottavano politiche colonialiste nella conquista di zone precapitalistiche, occupandole, super sfruttandole e impedendo a loro uno sviluppo capitalistico, queste lotte nazionalistiche avevano un senso marxista, comunista, in quanto queste nazioni dovevano liberarsi del giogo colonialista per poter sviluppare le leggi capitalistiche e così porre le basi per lo sviluppo  del proletariato, oggi, che il capitalismo è sviluppato su tutto il pianeta e il colonialismo non esiste più, le lotte tra i predoni imperialisti sul pianeta si sono trasformate in lotte per l’accaparramento di “zone di influenza”, cioè in lotte tra potenti borghesie per la conquista di paesi che sono già capitalisti e in fase di sviluppo, dove il proletariato è già notevolmente esteso.

Perciò lo scontro oggi, non è più come in passato tra borghesie imperialiste e paesi precapitalistici, ma è diventato un puro scontro tra padronati, cioè tra borghesie potenti contro altre meno potenti.

In altre parole, al giorno d’oggi le cosiddette “lotte o guerre di liberazione nazionale” non sono altro che lotte di padronati nazionalisti di etnie “deboli” che bramano a diventare più “indipendenti” da altre borghesie che li sottomettono, per poter arrivare a guadagnare di più.

E’ il solito meccanismo di scontro tra borghesie per l’accaparramento del plusvalore sul proletariato.

Per i lavoratori, in queste cosiddette  “lotte di liberazione nazionale”, che vinca la borghesia nazionale o straniera non cambia assolutamente nulla: sarà sempre sfruttamento, lavoro salariato, lotta contro i padroni sia nazionali che stranieri.

In questa realtà perciò la politica comunista di “liberazione nazionale” non ha più senso di esistere.

Oggi che il proletariato è diffuso in ogni anglo del pianeta, che è internazionale e non ha patria, la lotta all’ordine del giorno è la lotta per il superamento di questa società capitalistica, per una società superiore.

 

 

                                                                Da “Le nostre posizioni politiche”

 


 

 

_________________________________________________________________________________________

 

 

ALLEGATO

 

Visto l’interesse riscontrato, riportiamo ancora una volta al nostro lettore un articolo del giornale di aprile 2016 riguardante l’argomento “la Rivoluzione”

 

 

 

LA RIVOLUZIONE E’ POSSIBILE?

 

IN UNA SOCIETA’ CAPITALISTICA CHE SI MUOVE A CICLI : 

MOMENTI ADATTI ALLA RIVOLUZIONE, ALTRI NO!

 

Una delle domande più frequenti che ci vengono poste durante la nostra attività è: “MA LA RIVOUZIONE E’ POSSIBILE?”

A tal riguardo intervistiamo I.L. nostro attivista internazionalista.

Dom: - Cosa ne pensi di questo argomento?

Risp: “Si, effettivamente questa è una delle domande  più ricorrenti. E trovo che sia del tutto normale che venga posta”.

Dom: - Cosa ti viene chiesto?

Risp: “Quando sono in diffusione del giornale  spesso mi viene chiesto perché faccio questo lavoro, cioè perché mi occupo di una politica così radicale  e quale ne sia lo scopo.”

Dom: - Si. E allora?

Risp: “Ma per ‘ARRIVARE ALLA RIVOLUZIONE!’  rispondo io. Spiego  che:  noi siamo contro questo sistema pieno di contraddizioni, sfruttamento, guerre, crisi e che vediamo la possibilità e la necessità di arrivare ad una società superiore. Ma per ottenere questo c’è bisogno di una rivoluzione. E qui, quando affermo queste cose, la curiosità di chi mi ascolta aumenta.”

Dom: - E perché aumenta?

Risp: “Mi chiedono: -Com’è possibile pensare di fare una rivoluzione con le persone che non si interessano dei problemi della società, tantomeno di politica, pensano più a divertirsi? E poi con questo apparato statale, che ha tutto sotto controllo, controlla bene la popolazione e conosce mille trucchi per dargli falsi obbiettivi per distoglierla dai suoi veri problemi?’ -  domande che per me sono più che legittime”.

Dom: - E tu cosa rispondi?

Risp: “Che forse loro non sanno che il capitalismo si muove a cicli. Non bisogna farsi ingannare dal momento in cui si vive. Certo, adesso è così, viviamo in un momento di relativo benessere e la gente non pensa certo alla rivoluzione, questo è normale. 

Ma  non è sempre stato così e non sarà certo sempre così! Chi si interessa di politica, a chi piace la politica, deve avere la consapevolezza profonda che la società capitalistica è in continuo movimento: lunghi momenti di espansione con relativo benessere che si alternano a corti, ma intesivi momenti, di crisi, anche molto gravi, che si possono trasformare in guerre. Tutto questo non dipende dalla volontà delle persone, ma è il  movimento oggettivo del sistema affaristico.  La gente comune queste cose non le conosce, ma noi che ci interessiamo di politica, le dobbiamo conoscere. Alla gente comune, che adesso sta vivendo un lungo momento di benessere, sembra impossibile che possano ritornare ancora momenti terribili ed è normale che pensi che la situazione non si modificherà mai più in negativo e rimarrà sempre così. Ma noi marxisti scientifici, esperti del ciclo capitalistico e quindi di realtà, sappiamo benissimo che il mondo degli affari è controverso e orribile e che causerà ancora situazioni terribili. E’ il ciclo capitalistico individuato a suo tempo da Marx e da Engels e confermato mille volte dalla realtà. E noi sappiamo  benissimo che la gente oggi è tranquilla e non pensa alla rivoluzione e ad una società superiore, semplicemente perché la situazione è tranquilla, ma se la situazione cambiasse e si modificasse , si esasperasse, anche le persone si modificheranno e una volta arrivati all’ esasperazione cominceranno in massa a pensare alla società superiore. E quello sarà il momento della rivoluzione! Esattamente come hanno fatto a suo tempo i bolscevichi con successo.” 

Dom: - Quindi ci sono momenti adatti alla rivoluzione e altri no?

Risp: “Esattamente! E’ questo che sfugge a molti di sinistra. E anche loro fanno l’errore di pensare che la situazione tranquilla e di relativo benessere in cui viviamo rimarrà sempre così. Quindi non capiscono perché si parli di rivoluzione, di società superiore. A loro sembra strano che ci siano attivisti rivoluzionari “veri”, cioè che vedono un futuro realmente rivoluzionario e si mobilitino per questo”.

Grazie compagno.

 

                                                                “Der kommunistische Kampf”  - aprile 2016


 

 

_________________________________________________________________________________________________

 

 

ALLEGATO

 

Riteniamo della massima importanza evidenziare di continuo le differenze politiche tra il rivoluzionario Lenin e il controrivoluzionario Stalin, differenze che nelle lezioni

non vengono chiarite.

 

 

COSA NON VIENE CHIARITO NELLE LEZIONI UNIVERSITARIE

LENIN RIVOLUZIONARIO:

LA NECESSITA’ DELLA FASE TRANSITORIA DOPO LA RIVOLUZIONE ASPETTANDO LE ALTRE RIVOLUZIONI

 

STALIN CONTRORIVOLUZIONARIO:

IL RITORNO ALLA POLITICA BORGHESE CON L’ELIMINAZIONE DELLA FASE TRANSITORIA

DOPO LA RIVOLUZIONE E DICHIARANDO LA STATALIZZAZIONE, CIOE’ IL CAPITALISMO DI STATO COME “COMUNISMO”

 

 

 

 

Chi nelle università o nelle scuole assiste alle lezioni sul marxismo o sulla storia, si rende subito conto di una cosa: che i professori fanno tutto un calderone sulla vicenda della rivoluzione bolscevica russa del 1917. La questione viene trattata molto superficialmente e spesso senza cognizione di causa. Non vengono chiariti i contenuti dell’eccezionale evento storico, non viene spiegato il contesto in cui l’evento  accade, ne tantomeno i suoi veri scopi. E soprattutto non viene chiarita l’importante differenza politica tra Lenin e Stalin. I professori nelle lezioni riprendono i concetti comuni che vanno per la maggiore nell’opinione pubblica, opinione costruita dai Mass Media, cioè da giornalisti supponenti, ma ignoranti o da pennivendoli al servizio della borghesia. La borghesia poi, cioè i ricchi, si incarica di diffondere, attraverso i suoi giornali, tv, politici, storici, preti, ecc. questa comoda e distorta realtà.

Viene perciò normale pensare che anche i professori riprendano questa deformata realtà per comodità.  Comodità che per loro vuol dire non impegnarsi in ulteriori approfondimenti, non fare alcun altro sforzo mentale, ma soprattutto non andare controcorrente.

Ben diversa è la situazione per noi che abbiamo bisogno di capire.

STALIN NON E’ STATO LA CONTINUAZIONE DELLA POLITICA RIVOLUZIONARIA DI LENIN, NE DEI BOLSCEVICHI! Anche se Stalin, furbescamente, nella sua politica borghese controrivoluzionaria ha continuato a mantenere tutte le parole tipiche comuniste, come “Stato socialista”, “compagni”, “partito comunista bolscevico”, “Comunismo”, ecc. ecc.

E la conferma del tradimento borghese staliniano e del suo cambio di politica è dimostrata anche dal fatto che per poterla attuare Stalin ha dovuto far eliminare fisicamente quasi tutti i dirigenti bolscevichi.  

 

Alla morte di Lenin (1924) 22 erano i membri rimasti (sui 31 di cui si hanno notizie) del Comitato Centrale del Partito Bolscevico che promosse e diresse la rivoluzione d’ottobre del ’17. L’80% cadde sotto i colpi della controrivoluzione staliniana.

 

Nelle lezioni i professori non spiegano i veri contenuti dello scontro tra i dirigenti bolscevichi e Stalin. Spiegano genericamente che le famose purghe staliniane erano dovute a lotte per la conquista del potere tra il cattivo Stalin e i capi bolscevichi poi eliminati, o erano dovute a  lotte causate da antipatie personali reciproche, o per  oscure tresche di carrierismo politico o cose di questo genere.

NIENTE DI PIU’ FALSO E ARTIFICIALE .

LA SOSTANZA  DELLA ALLORA DURA BATTAGLIA ALL’INTERNO DEL PARTITO BOLSCEVICO ERA BEN ALTRA.

 

Chi approfondisce può facilmente scoprire che i bolscevichi con Lenin affermavano che la rivoluzione russa non era ancora il socialismo. Ma solo il primo passo verso il socialismo! Un primo momento verso una rivoluzione generale che avrebbe portato poi,  all’economia comunista. In questo primo passo, il proletariato rivoluzionario russo giunto al potere,  aspettando le altre rivoluzioni, avrebbe gestito l’economia russa con il capitalismo di stato. I bolscevichi sottolineavano e  ripetevano  in continuazione che questa fase di governo operaio a capitalismo di stato era inevitabile nel percorso verso il comunismo e sarebbe stata solo transitoria, temporanea.

Ma alla  morte di Lenin, Stalin con la sua teoria del ”Socialismo in un paese solo”  stravolgerà tutto! Affermerà  falsamente che  subito dopo la rivoluzione si era instaurato il comunismo! In altre parole sosterrà  che il capitalismo di stato, cioè la statalizzazione, era il comunismo. Ed è qui che comincia la furiosa battaglia contro i capi bolscevichi. Nella falsità che si era già nel socialismo Stalin dirà che la fase transitoria non era più necessaria e che quindi non era più da considerarsi. Di conseguenza sosterrà che le altre rivoluzioni proletarie non erano più necessarie e quindi scioglierà la 3° Internazionale Comunista costituita poco prima da Lenin.

 

Nella sua menzogna del “Socialismo in un paese solo” Stalin non si accorgeva (oppure nascondeva) che nella Russia rivoluzionaria tutto funzionava capitalisticamente: i prodotti continuavano ad essere venduti (e non diffusi tra la popolazione, come avrebbe dovuto essere nel comunismo). I prezzi delle merci si alzavano o abbassavano a secondo della domanda e dell’offerta come in un qualsiasi altro paese capitalistico. Nascondeva che esisteva ancora un proletariato (cosa che nel socialismo non esiste più) con un salario e con i suoi sindacati  e che le imprese e le banche statali (anche le banche nel socialismo non esistono più, perché i prodotti che vengono distribuiti tra la popolazione e non più venduti non hanno bisogno delle banche) erano condotte e dirette affaristicamente da componenti del partito invece che da privati.

Come detto, tutte queste fondamentali nozioni  nelle lezioni non vengono chiarite, oppure vengono sottaciute o chiarite in minima parte. Tutto questo crea confusione, non aiuta a capire come funziona questa società, ma soprattutto fa il gioco della borghesia.

 

 

“Der kommunistische Kampf“ – Aprile 2016

 

 



Email

Visits

Social

Blog

Home