OTTOBRE 2017

100° ANNIVERSARIO della RIVOLUZIONE RUSSA

 

LA BORGHESIA E’ REAZIONARIA

IL SOCIALISMO E’ IL FUTURO

  

 

«La storia di ogni società sinora esistita è la storia delle lotte di classe. Libero e schiavo, patrizio e plebeo, barone e servo della gleba, mastro artigiano e garzone, in breve oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte latente a volte aperta; una lotta che è sempre finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta.»                                                                                                                               K. Marx – F. Engels “Manifesto del partito comunista”

 

 

Anche la società capitalistica è una società di passaggio. Lo affermano Marx ed Engels, ma è evidente nei fatti.

Così come le società precedenti, anche il sistema basato sul profitto ha avuto un inizio e uno sviluppo. Nell’attuale stadio il sistema non può offrire un ulteriore salto di benessere, può solo perpetuare all’infinito le sue contraddizioni e limiti insiti nel suo naturale funzionamento: l’alternarsi di momenti di relativo andamento pacifico con momenti disastrosi di crisi e guerre.

Per il suo superamento già due volte si è mossa la classe che ne segnerà la fine. Le insurrezioni che ci indicano la strada sono già un dato di fatto.

La rivolta spontanea della Comune di Parigi del 1871 (Die Pariser Kommune) è stato il primo tentativo. A seguito quello pianificato della rivoluzione bolscevica russa dell’ottobre 1917.

Quest’anno ne scade il centenario. Con grande onore e orgoglio lo celebriamo. 

Grande è l’insegnamento che tale evento ci ha dato. Esattamente come ci indica Marx, una rivoluzione può, o forse è meglio dire: deve, attraverso la costruzione di un partito, essere programmata e pianificata. Questo diventa possibile conoscendo approfonditamente il meccanismo della società capitalistica, nei suoi punti forti, ma anche nei suoi momenti deboli e contradditori. 

 

Per Marx ed Engels sono i comunisti “l’avanguardia cosciente e organizzata del proletariato” che guideranno la rivoluzione della classe sfruttata

«I comunisti lottano per raggiungere i fini e gli interessi immediati della classe operaia, ma nel movimento presente rappresentano in pari tempo l'avvenire del movimento»                                                    - Manifesto del Partito Comunista

 

Il maestro Lenin è superlativo in questo lavoro di organizzazione. Ancora giovane, ma già superesperto in conoscenza di funzionamento del capitalismo, ha già chiaro che prima o poi, come analizzato da Marx, le contraddizioni del sistema alla ricerca del profitto, esploderanno, creando le condizioni per una rivoluzione.

E’ nei primissimi anni del ‘900, quando ancora la situazione internazionale si presentava ancora del tutto normale e dove revisionisti del calibro di Bernstein, massimo teorico politico del partito socialdemocratico tedesco, cominciava a mettere in dubbio la teoria di Marx sull’avvento delle crisi incontrollabili del sistema, che Lenin comincia a tessere la tela organizzativa del partito per il futuro momento rivoluzionario. Con effetto stupefacente.

Poi le contraddizioni esploderanno devastanti.  Una brutale guerra imperialista, dove le borghesie del pianeta si scontreranno per una nuova spartizione del mercato globale per poter perseguire la strada del profitto, causerà per la prima volta nella storia immani distruzioni e milioni di morti. Saranno “la carne da macello all’altare del profitto”.

Sarcasmo della storia, i revisionisti di Marx, sostenitori dell’inesattezza dell’analisi marxista, visti gli eventi anzichè unirsi ai proletari insorti, si intrupperanno come collaboratori di una borghesia crudele. 

Al contrario Lenin con i suoi bolscevichi, forti delle conferme che l’analisi marxista offriva, saranno pronti alla rivoluzione, con cura preparata e pianificata in precedenza.

E nell’Ottobre del ’17: la Rivoluzione, “l’assalto al cielo”.

Il dado era tratto. La “cosa” aveva funzionato ed ora era da ripetersi.

Purtroppo le altre organizzazioni rivoluzionarie marxiste che, sottovalutando l’aspetto organizzativo, non avevano prestato così attenzione  alla programmazione, alla pianificazione dei quadri rivoluzionari e si erano affidate allo spontaneismo, non otterranno il successo che i bolscevichi avevano avuto. Saranno sconfitte.

L’onore va ai rivoluzionari ungheresi, agli spartachisti tedeschi di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, ai comunisti italiani di Bordiga e Gramsci.

Cento anni sono passati dal ‘17, ed eventi rivoluzionari proletari non si sono ripetuti. Altri revisionisti della teoria di Marx si sono nel frattempo alzati sostenendo la non esattezza o il superamento dell’analisi marxista, ma le dure contraddizione viste da Marx nel sistema capitalistico rimangono tutte. Una seconda guerra mondiale è poi sopraggiunta devastando ancor di più il pianeta, per poi proseguire con un’infinità di piccole guerre fino al giorno d’oggi, senza fine. L’analisi marxista ci aiuta a capire perfettamente, come ha aiutato Lenin, e nuove organizzazioni marxiste si preparano per “l’assalto al cielo”.

La rivoluzione bolscevica ha segnato una strada, e come dice Lenin, nessuno ce la  può più togliere.

100° ANNIVERSARIO della RIVOLUZIONE RUSSA

 

A CENT’ANNI DALLA RIVOLUZIONE ESISTE UN PARTITO RIVOLUZIONARIO CHE PUO’ RIPETERE L’EVENTO?

 

IL FENOMENO LOTTA COMUNISTA  

ENORME PARTITO MARXISTA RIVOLUZIONARIO EXTRAPARLAMENTARE

 

 

 

 

Molte sono le organizzazioni in Europa e nel mondo oggigiorno che si richiamano al marxismo, così com’erano numerose le organizzazioni socialiste che ai tempi dei bolscevichi si definivano rivoluzionarie.

Come distinguere quindi, se una organizzazione è effettivamente rivoluzionaria e se avrà successo?

Dipende dal suo programma, dal suo reale e conseguente comportamento pratico, dal suo grado di consistenza numerica.

Nel multiforme mondo marxista, tra i gruppi più significativi coerentemente marxisti dobbiamo senz’altro segnalare le organizzazioni della Sinistra Comunista (Räte Kommunisten) veri e seri comunisti di tutto rispetto, molto numerosi nel dopoguerra, ma ora sulla soglia della scomparsa a causa di carenze organizzative. Poi, in diverse sfumature abbiamo le organizzazioni trotzkiste, alcune delle quali molto serie e coerenti nelle loro pratica politica, ma senza peso dal punto di vista politico poichè presenti in piccoli o piccolissimi gruppi. Poi troviamo le organizzazioni staliniste e maoiste, si definiscono marxiste, in realtà sono nazionaliste, il loro obbiettivo, come l’evidenza dimostra a Cuba o in Cina o nell’ex Ddr o Unione Sovietica, è il capitalismo di stato in un solo paese, quindi nulla a che spartire con il socialismo.

Poi esiste LOTTA COMUNISTA. 

In questo universo marxista Lotta Comunista rappresenta la diversità, la riuscita. Corrisponde a tutti i requisiti che possiamo trovare nei bolscevichi.

Si richiama a Lenin e considera Stalin un controrivoluzionario. Le sue posizioni politiche e teoriche internazionaliste corrette e il suo metodo di organizzazione efficace diverso da tutti gli altri gruppi, ha fatto si che da piccolo gruppo qual’era negli anni ’50 in Italia, diventasse l’enorme partito extraparlamentare del giorno d’oggi con molte migliaia di militanti in continua espansione. I suoi innumerevoli attivisti di tutte le età, svolgono un’attività intensa nelle grandi fabbriche italiane del nord industrializzato e i giovani sono presenti attivi in quasi tutte le università italiane ed anche in alcune in Europa.

L’organizzazione Lotta Comunista in sintonia con il marxismo, considera il parlamento uno strumento della dittatura della borghesia e il suo astensionismo conseguente serve a rimarcare che la lotta proletaria va fatta all’infuori del parlamento, nelle fabbriche, nelle piazze, nelle scuole.

E’ una politica coerente di grande risultato, attrae giovani in continuazione dalle scuole e dalle università e sempre in maggiore quantità dalle fabbriche e dai luoghi di lavoro di tutti i settori.

E’ esattamente il lavoro che si ripete come ai tempi dei bolscevichi nei lunghi anni precedenti la rivoluzione.  Un lungo lavoro paziente, nell’ombra, dove il marxismo viene portato all’interno delle masse lavoratrici sfruttate dalle quali poi se ne trae la formazione di specialisti rivoluzionari. Un lavoro efficace, di successo, che ha permesso ai bolscevichi guidati da Lenin di arrivare alla rivoluzione. Un lavoro che anche noi qui in Germania con entusiasmo eseguiamo.

LOTTA COMUNISTA quindi, un esempio da seguire. Posizioni politiche bolsceviche corrette, un comportamento politico coerente senza ombre e un sistema organizzativo efficace tratto dall’esperienza pratica bolscevica.

A cent’anni dall’evento memorabile della rivoluzione d’ottobre possiamo senz’altro dire che la lotta della classe sfruttata per la sua liberazione dall’oppressione per una società superiore procede senza perdere colpo.

E oggi si può senza indugio affermare che tra le tante organizzazioni marxiste rivoluzionarie che lottano per l’emancipazione dell’umanità, Lotta Comunista ne è la punta avanzata.

Siamo con Marx quando afferma che nessuno può fermare la ruota della storia. 


 

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LA BORGHESIA TEDESCA HA IL SUO IV° GOVERNO MERKEL

I GOVERNI (O LE COALIZIONI) PASSANO, MA LE POLITICHE AL SERVIZIO DI RICCHI INDUSTRIALI E BANCHIERI

E CONTRO I GIOVANI E I LAVORATORI RIMANGONO

 

 

Il teatrino elettorale è terminato e il nuovo governo “Giamaica”, nel momento in cui scriviamo, è ancora in via di formazione.

I media, come risultato di questa tornata elettorale, hanno dato grande risalto all’avanzata dell’AfD razzista e xenofoba, come se il fenomeno riguardasse solo la Germania e di cui aver gran paura e contrastare. L’estensione del razzismo in realtà è un fatto che sta caratterizzando tutte le nazioni europee ed è la reazione di pregiudizio al forte flusso immigratorio che l’Europa intera sta attraversando. La xenofobia non è solo l’AfD tedesca, ma anche la Lega in Italia, la Le Pen in Francia, il Pvv di Geert Wilders in Olanda, il Fpoe di Norbert Hofer in Austria e così via.  L’allarmismo diffuso che in Germania i tedeschi siano più razzisti rispetto ad altri paesi è del tutto ingiustificato ed è esagerato dai media (bisogna stare attenti ai media). Le tv e giornali diretti dall’imprenditoria che li posseggono, ne gonfiano il pericolo come diversivo (come sempre) per distogliere l’attenzione della classe sfruttata dai veri problemi a cui sono sottoposti e all’attacco a cui, anche il nuovo governo, seguendo la politica dei governi precedenti, si appresterà a perseguire.

In realtà la campagna elettorale si è svolta proprio sulle tematiche politiche che avevamo preavvisato su questo giornale nei numeri precedenti.

Come scritto, vedevamo profilarsi nella campagna elettorale nazionale quanto avvenuto nelle precedenti elezioni regionali nella Saarland e in Nord Reno-Westfalia. Come sottolineato, in una situazione di forte immigrazione dove giornali e tv ingrandivano in senso negativo il fenomeno immigrati presentandoli come criminalità e fanatismo religioso, la Merkel con la CDU-CSU impostavano la loro campagna elettorale sul forte contenimento e regolamentazione dell’immigrazione. Non solo, il governo Merkel per accentuare il senso antistranieri e creare un clima di difesa nazionale (naturalmente come tattica per raccogliere voti) accentuava anche la polemica contro Erdogan e il suo governo. Questo, che in politica viene definitivo “cogliere l’onda”, ha fatto si che la CDU-CSU oltre che vincere le elezioni regionali citate, abbia potuto rimanere il primo partito anche nel parlamento federale nazionale.

L’SPD con Schulz invece (sempre come scrivevamo) ha impostato il suo teatrino elettorale contro le “ingiustizie sociali” esattamente come avvenuto nelle citate precedenti elezioni regionali. Schulz in campagna ha posto l’accento su cose banali di facciata, cose che dicono tutti, come essere per “una politica concreta per giusti salari”, “buone scuole”, “pensioni sicure” e “un’Europa democratica per le libertà”, dimenticando (o facendo finta di dimenticare) di essere stata proprio l’SPD, il suo partito con lui ai vertici, con la famigerata Hartz IV, l’artefice “delle ingiustizie sociali” di oggi contro cui vorrebbe battersi. Chiaramente una farsa. Poi Schulz dimenticava o non si accorgeva, quando accusava la Merkel di “ingiustizie sociali”, che il suo partito SPD era parte integrante del governo Merkel stesso. Una SPD quindi assolutamente non credibile e farsesca. La debacle di voti che ne è conseguita è stata quindi la naturale conseguenza.

Adesso, per recuperare voti (e solo per questo) i trasformisti e opportunisti socialdemocratici hanno scelto di porsi all’opposizione, un’opposizione che definiscono sarà “responsabile”. E tocca proprio all’ex ministra del lavoro del governo Merkel, la SPD Nahles (adesso promossa capogruppo parlamentare SPD) tentare di guidare il partito al recupero, nella sceneggiata tipica di tutti i partiti di opposizione di criticare in continuazione il governo, per poi nei momenti fondamentali collaborare con esso. Tipica sceneggiata.

Non difficile anche prevedere, senza illusioni, le grandi linee sulle quali il nuovo governo si muoverà al di la del diversivo AfD. Seguirà e favorirà la linea dell’imperialismo tedesco, a guida dell’imperialismo europeo, per un aumento dell’armamento e un maggior intervento militare nelle molteplici situazioni di crisi e guerra nel pianeta.

Poi proseguirà, come citato, sulla politica dei governi precedenti di Grosse Koalition per l’estensione del lavoro precario soprattutto giovanile ed elevare l’età pensionistica, come richiede insistentemente la ricca imprenditoria tedesca, la quale, come riportano i dati ufficiali, sta denunciando un andamento più che ottimo degli affari e dei guadagni (ma che afferma essere sempre pochi).

Anche sul fronte immigrazione c’è da aspettarsi un irrigidimento da parte governativa, almeno formale. A nostro parere verrà però a crearsi una situazione dove la grande imprenditoria europea (che ha tutto l’interesse a far entrare immigrati che poi diventeranno manodopera a basso prezzo) farà pressione sul governo, dietro le quinte, perché le porte dell’immigrazione rimangano ben aperte. Ufficialmente però il governo tedesco potrebbe porsi per un forte contenimento immigrazione, così da arginare i partitini xenofobi.

In sostanza prevediamo che anche il prossimo governo Merkel “Giamaica”, al di la delle lotte per gli equilibri interni, continuerà sulla politica della “Grosse Koalition”, cioè proseguire nella politica UE che tutti i governi del continente a fotocopia stanno seguendo: sacrifici per i lavoratori e grandi guadagni per gli azionisti. Non pensiamo ci saranno grosse sorprese in merito.

In politica estera è da sottolineare il riavvicinamento tra Germania e il governo Trump per riprendere il negoziato sul TTIP. Anche su questioni come “Clima”, “Nato”, dopo i noti screzi iniziali tra i due governi sembra stia ritornando il sereno.

Interessante sarà seguire anche come si porrà il governo della borghesia imperialista tedesca di fronte all’emergente e potente Cina, che lentamente sta sconvolgendo tutti gli equilibri finora esistenti creando allarmismo nelle borghesie concorrenti.

La lotta operaia proseguirà quindi per la difesa degli interessi dei lavoratori, come sempre senza distinzione di “Grosse Koalition” o “Giamaica” o ecc. Per una società senza classi.

-SCONTRO TRA BORGHESIE-

TRUMP, IL DIVERSIVO NORD COREA, E LA CINA 

STRATEGIE DI LOTTE INTERIMPERIALISTE

 

 

 

Ci siamo chiesti un’infinità di volte perché il governo dell’imprenditoria di stato cinese lasci l’insignificante Corea del Nord testare costosi missili e bombe nucleari. Già in questo giornale di maggio chiarivamo - con tanto di dati - come l’economia capitalistica di  Pyongyang pesi meno del Pil della città di Berlino, un nulla quindi nel gioco interimperialistico. Come mai allora tanto clamore?

La prima domanda che ci facevamo era: nonostante questa situazione di insignificanza economica - e di conseguenza politica - può il giovane presidente Kim Jong-un essere così indipendente e forte da poter sfuggire al controllo del dragone cinese e fare ciò che vuole?

No, questo non è possibile, è stata la nostra risposta. L’economia borghese nordcoreana è totalmente dipendente dalla Cina. Pyongyang riceve più del 95% del petrolio da Pechino, dove, per pagarlo esporta carbone e manufatti. Senza questo petrolio fondamentale la nazione capitalista Nord Corea crollerebbe immediatamente. Quindi Kim Jong-un dipende anima e corpo da Pechino.

Altra domanda: se Pyongyang è sotto il controllo completo di Pechino, come mai allora Cina e Russia si sono unite alle sanzioni Onu dell’11 sett. contro il Nord Corea proposte da Washington? Se si va a leggere attentamente cosa riportano i giornali in merito all’embargo cinese contro i nordcoreani, al di la dei titoli roboanti, si scopre che le sanzioni sono assolutamente innocue e di facciata. 

Le sanzioni parlano certo di restrizione di esportazione di petrolio verso il Nord Corea  da parte cinese, ma è stata aggiunta una clausola in cui la restrizione non deve penalizzare la parte di petrolio di cui ha bisogno la popolazione. In altre parole, tutti gli specialisti concordano nel fatto che, con questa clausola tutto rimane esattamente come prima, poiché la Cina, farà figurare che tutto il petrolio in Nord Corea esportato sarà per la necessità  della popolazione.

Quindi il governo borghese cinese sta facendo finta di sculacciare il suo figlioccio insolente e bizzarro. Infatti come risposta Kim, invece di spaventarsi e calmarsi, alcuni giorni dopo le sanzioni Onu fa partire un nuovo missile che sorvola il Giappone e dichiara che il programma militare proseguirà fino alla fine come previsto.  Nessuna paura quindi.

Altra domanda: può essere che il vero scopo dei test missilistici e nucleari nordcoreani, al di la delle altisonanti parole d’accusa, servano alla fine a Trump per giustificare al mondo, come risposta a questa “enorme” minaccia, l’aumento notevole del suo arsenale militare e dare altresì il permesso alla borghesia nipponica e sudcoreana di aumentare la loro forza bellica?

Risposta: ma se fosse così allora l’imperialismo cinese avrebbe tutto l’interesse a fermare veramente il vassallo Kim poiché starebbe facendo il gioco del concorrente Washington e dei suoi alleati nella regione asiatica.

Anche questo quindi non regge.

La nostra conclusione: alla borghesia statale cinese è molto utile che tutta l’attenzione internazionale sia concentrata sui test missilistici e nucleari di Pyongyang. Così da avere la possibilità nell’ombra, di procedere all’aumento poderoso del proprio armamento militare. Dopo aver costruito una base militare su un’isola artificiale nel mar cinese meridionale, adesso - riportano le riviste specializzate - Pechino sta impiantando, al riparo dagli occhi pubblici, una mega base militare a Gibuti, e sta stringendo collaborazioni diplomatiche e militari oltre alla Russia, con sempre più paesi come Pakistan, Venezuela.

Non solo: dopo aver varato l’importante sua seconda portaerei ad altissima tecnologia, ne ha messo in progetto la costruzione di altre 5 o 6, ovviamente dichiarando che il tutto non ha nessun scopo bellico. Nello scontro tra borghesie, questo è un aumento considerevole di armamento, di cui l’opinione pubblica non se ne occupa, visto che, come detto, è tutta concentrata sul diversivo del cattivo Kim, il pivello che ride.

Nello scontro tra predoni imperialisti potrebbe essere proprio lui, Trump, con la sua “America first” (l’America per prima) che rischia di essere il “pollo” cucinato. In altre parole, mentre il “lupo” Trump si avventa sull’osso spolpato nordcoreano, in disparte il “dragone” cinese si fornisce di nuovi e poderosi artigli, per prepararsi domani a sferrare “il colpo micidiale”. 


 

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SCONTRO TRA BORGHESIE CATALANA E EUROPEA-SPAGNOLA

CATALOGNA 

CHI HA INTERESSE AD UNA SECESSIONE NAZIONALE DA SEMPRE SONO I CAPITALISTI.

I LAVORATORI SFRUTTATI CHE NON HANNO PATRIA

 HANNO INVECE INTERESSE AD UNIRSI TRA LORO.

 

 

DISILLUSIONE – Scene raccapriccianti di anziane picchiate, la polizia che spara e  manganella senza distinzione donne o bambini in braccio ai genitori, anziani che scappano da tutte le parti, queste erano le immagini che le televisioni di tutto il mondo mandavano in onda domenica 1° ottobre durante la votazione, non riconosciuta dal governo di Madrid, per l’indipendenza della Catalogna. Molti si erano illusi, per il fatto che si è in “democrazia” tutto sia possibile, basta votare. La cruda realtà ci dice però che non è così. I marxisti da sempre precisano che siamo nella “democrazia” certo, ma nella “democrazia borghese”, ovvero nel rivestimento (o travestimento) democratico con cui la dittatura dei capitalisti controlla e dirige le masse dei lavoratori. Con i fatti accaduti in Catalogna adesso questo è chiaro a tutti. Il voto viene accettato solo quando fa comodo ai governi centrali e i governi sono sempre gli esecutori della borghesia, cioè dei grandi gruppi industrial-bancari.

Nella lotta intercapitalistica, LA GRANDE BORGHESIA EUROPEA NON PUO’ PERMETTERE che ogni borghesia regionale faccia quello che vuole esigendo di diventare stati a se stessi, altrimenti le nazioni europee aderenti si disintegrerebbero. Quindi le aspirazioni di indipendenza della Catalogna adesso, ma anche dei Paesi Baschi ieri, o quelle della Lombardia e del SȕdTirol in Italia del passato, o di chiunque altro, non hanno nessuna possibilità di concretizzazione. Gli imprenditori di queste regioni lo sanno perfettamente, ma altresì sanno che, nel gioco borghese, spingere la popolazione sull’indipendenza porta, come risultato realistico, a conquistare lo statuto di “Regione Autonoma”, con ottimi frutti fiscali ai profitti delle aziende.

NELLA FACCENDA “INDIPENDENZA CATALOGNA”, la rivendicazione di sovranità è una richiesta storica ed è rimasta sempre in sordina. Il contrasto intenso, così come lo viviamo oggi, inizia in realtà nel sett. 2012, come strascico della grande crisi iniziata nel 2008, allorchè l’ex presidente della Catalogna, Artur Mas chiedeva al governo centrale Rajoy una maggiore “autonomia fiscale”, che però veniva negata (cosa invece ottenuta dai Paesi Baschi). Emmanuel Dalle Mulle, ricercatore dell’Istituto Studi Internazionali di Ginevra definisce queste pretese locali di regioni come i Paesi Baschi o Catalogna, ecc. “il nazionalismo delle regioni ricche” cioè di regioni che vogliono mantenere alto il loro livello standard.  Ovviamente “l’autonomia fiscale” reclamata riguarda solo le aziende, non certo i lavoratori.

VISTO IL NETTO RIFIUTO DEL GOVERNO RAJOY per la maggiore autonomia fiscale, inizia da parte dei media e dei politici catalani una intensiva e martellante campagna per “l’indipendenza della Catalogna” manipolando e spingendo la popolazione a lottare per questo obbiettivo. Nella scontro contro il governo, la borghesia catalana può sfruttare e pompare il forte malcontento popolare dovuto alle pesanti manovre peggiorative UE contro i lavoratori spagnoli, che nel 2011 avevano generato forti proteste portando alle grosse manifestazioni di piazza a Madrid. Come adesso il caso “indipendenza Catalogna”, (così come per la Palestina o il Kurdistan) spesso nello (sporco) scontro tra borghesie viene spinta la popolazione a lottare su una rivendicazione, con il vero scopo di ottenere altro. Esemplare il caso “Paesi Baschi” prima: si rivendicava “la sovranità” ma l’obiettivo era ottenere più soldi. Una volta ottenuto, il tutto è stato lasciato smorzare.

IN QUESTO SPORCO GIOCO BORGHESE, senza nessun scrupolo vengono scagliate e sacrificate centinaia e migliaia di persone. Ed ecco i filmati televisivi delle vecchiette insanguinate che lottano per andare a votare orgogliose per l’indipendenza della “loro Catalogna”. Sono  state pompate e invasate da televisioni e politici. Le hanno convinte che questo porterà benefici per tutti. In realtà, come in altri mille casi analoghi precedenti, tutto rimarrà uguale per i lavoratori, per i pensionati, per i giovani, se non peggio. Gli interessi dei lavoratori sempre in queste istanze non hanno nulla a che fare. Anzi, di solito sono proprio i lavoratori manipolati quelli che in queste situazioni ne escono alla peggio: hanno lottato, vengono sconfitti, ne escono indeboliti e divisi (tra favorevoli e contrari). I ricchi banchieri e industriali invece, nascosti dietro giornali, tv e politici, ne escono con montagne di soldi nelle tasche.

IL PROSEGUO DELLA BATTAGLIA “CATALOGNA” adesso dipende dalla contrattazione e dalla mediazione tra Bruxelles e Barcellona, cioè tra la borghesia europea e catalana. In altre parole gli industriali catalani dovranno decidere se dichiararsi soddisfatti di quanto il governo Rajoy e l’Europa offrirà loro e lasciar perdere con i loro media e i loro politici la pretesa di “indipendenza”, oppure se continuare lo strumento di pressione manipolando la popolazione e incoraggiando lo scontro mandando i giovani, le vecchiette, i lavoratori, a farsi bastonare. Di solito in queste contrattazioni tra borghesie i toni da entrambe le parti si scaldano fino a diventar anche minacciosi e catastrofici, quasi sempre è una tattica per cercare di intimorire l’avversario ed ottenere il più possibile. Vedremo comunque cosa effettivamente succederà e come andrà a finire. Seguiremo con estremo interesse.      

CAPIRE, APPROFONDIRE: è una necessità inderogabile per non farsi coinvolgere dagli odiati interessi e manipolazioni dei capitalisti, e porsi invece dalla parte del futuro, dalla parte dei lavoratori. E per questo lottare.

I GIOVANI E IL FENOMENO ASTENSIONE IN EUROPA

 

DESTRA O SINISTRA SONO PAROLE SEMPRE PIU’ VUOTE.

ADDIO ALLE IDEOLOGIE E AL SENSO DI APPARTENENZA

 

 

I vecchi schemi politici si stanno logorando, nelle masse lavoratrici in generale, ma tra i giovani in particolare.

Sempre più giovani in Europa ritengono non esista nessuna differenza tra i partiti istituzionali di sinistra, centro o destra. La disillusione si sta diffondendo, lentamente, ma inesorabilmente.

E’ l’effetto dei duri fatti quotidiani. Partiti governativi senza distinzione di posizione partitica o colore, perseguono senza esitazioni la stessa medesima politica, peggiorare le condizioni di lavoro e di vita dei giovani e dei lavoratori.

Le vecchie promesse di benessere, di un futuro migliore, di sicurezza sociale, non sono più garantite e sotto i colpi continui di leggi europee la fiducia nelle istituzioni si sfalda.  La classe dirigente viene ritenuta responsabile di tutti i mali, quindi le ideologie di appartenenza si scollano, decadono.

E’ un mondo che cambia. Di conseguenza anche le vecchie ideologie non reggono più. 

 

 

Le analisi riportano che una parte consistente di giovani ritiene che il voto non serva a nulla. Altri giovani non votano aspettando che si presenti un’offerta politica adeguata alle loro esigenze. Un’altra ancora - sono i giovani più istruiti con diploma o laurea (dicono le statistiche) - si sentono più propositivi e seguono la politica sperando che porti dei miglioramenti.

In questo particolare momento di forte immigrazione è il sentimento di difesa dei valori e di appartenenza locale e una certa diffidenza verso l’immigrazione che prevale tra le masse e anche tra i giovani europei .

I media borghesi approfittano della situazione particolare per accentuare il solco delle differenze culturali e sociali tra le popolazioni immigrate e gli autoctoni. Lo scopo è sfruttare il contesto per creare una frattura e un diversivo ai veri problemi che i giovani e i lavoratori sotto attacco padronale devono subire.

La classe dirigente sta studiando ovviamente tutti i modi per arginare la delusione e attirare i giovani alla loro politica. Oltre che affrontare l’argomento immigrazione con tutte le sfumature possibili, tutti i partiti, ma in particolare i partiti populisti ribelli, stanno presentando in tutta Europa come candidati facce giovanili, fresche, che sappiano parlare la lingua dei giovani e che provino ad intercettarne la fiducia. Ma devono fare i conti con una contraddizione difficile da superare, ossia, non possono pretendere di agganciare i giovani mentre allo stesso tempo l’imprenditoria con i governi ne peggiora le condizioni di vita, con contratti a termine, lavoro precario e bassi stipendi.   

A nostro parere, come marxisti che vedono nel parlamento lo strumento che legifera solo e unicamente per gli interessi della classe dominante borghese, il fenomeno delusione-astensione, nonostante tutti i trucchetti che i partiti della classe dominante possano mettere in atto, si estenderà. Nessuno alla fine può nascondere a lungo la dura realtà. Gli opportunismi parlamentari non basteranno certo a coprire alle masse giovanili l’insicurezza sociale  crescente.  


 

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IL BRASILE DI LULA

 

SUPERFICIALMENTE ALCUNI PRESIDENTI SUDAMERICANI POPULISTI (E OPPORTUNISTI) VENGONO RITENUTI “SOCIALISTI” 

 

IL RUOLO DELL’OPPORTUNISMO

La collaborazione di classe, il rinnegamento della dittatura del proletariato, la rinuncia alle azioni rivoluzionarie, il servilismo di fronte alla legalità borghese, la mancanza di fiducia nel proletariato, la fiducia nella borghesia …”

 (Lenin – “L’opportunismo e il fallimento della 2° Internazionale”)

 

 

La  vicenda Lula in Brasile la si può definire il classico percorso di un partito populista. E’ destino di tutte queste organizzazioni sorgere dalle proteste popolari per poi giunte al potere servire la ricca borghesia imprenditoriale. Gli esempi storici che si ripetono, diventano perfino noiosi. Si può partire dai menscevichi russi, per passare ai socialdemocratici tedeschi, per arrivare poi ai giorni nostri con  Peron l’argentino,  Allende il cileno, il polacco Walesa, il greci di Syriza, gli italiani di Rifondazione Comunista, e continuare con i venezuelani Chàves e Maduro e così via (e chissà quanti ne arriveranno ancora). La caratteristica che accomuna questi personaggi o partiti (a parte Walesa) è di definirsi “socialisti” e di atteggiarsi ad essere “sulla via del socialismo”. In realtà sono organizzazioni o leader che sfruttano il malcontento popolare causato dal forte sfruttamento padronale e dalle forti contraddizioni insite nel sistema per raccogliere voti e consensi, giungere al governo per poi fare l’esatto contrario di quanto a lungo promesso. Un classico. 

Il parlamento è un ottimo strumento borghese per distogliere le masse proletarie dall’unica azione che può dare un risultato reale positivo contro il padrone: LA LOTTA. Il voto non conta assolutamente niente, è l’illusione, LA LOTTA è il risultato, la concretezza, da sempre.

Lula rappresenta fedelmente lo schema populista-opportunista. 

Il mercato industriale brasiliano è in fase di forte ascesa e sviluppo. L’intensissimo sfruttamento a cui sono sottoposti i lavoratori e i bassissimi salari fanno si che i ricchi industriali e banchieri locali e stranieri estorcano profitti enormi. Le dure lotte che i lavoratori mettono in atto per migliorare le loro condizioni di vita sono la reazione e la conseguenza a questo stato di cose. La situazione ci ricorda molto quanto accadeva all’inizio del 1800 in Inghilterra, così ben descritta da Engels nel suo noto libro. 

 Lula - Chàvez - Castro
Lula - Chàvez - Castro

Lula (Luis Inàcio da Silva) ex operaio metalmeccanico ed ex capo sindacalista, cofondatore e dirigente del partito Pt (Partido dos trabalhadores) (si faceva vedere in pubblico con Castro e Chavez), nel 2002 aveva infervorato la campagna elettorale con la sua “Hambre cero” (fame zero) presentandosi con richieste dirompenti: - riforma agraria, riforma delle pensioni, riforma tributaria, aumento dei salari, lotta contro la corruzione; istruzione - assistenza sanitaria e previdenza sociale per tutti, rilancio del progetto Mercosur in contrapposizione al progetto statunitense dell’Alca, rinegoziazione del debito brasiliano.                                              

Con questi altisonanti slogan era riuscito a vincere le elezioni.  

Ma subito dopo l’elezione la musica cambia radicalmente. Già da come compone il governo si ha il preavviso di come procederà il seguito politico: vicepresidente al governo sarà Josè Alencar grande imprenditore tessile del Partito Liberale, all’industria andrà Furlan del partito socialdemocratico, antagonista in campagna elettorale a Lula, all’economia Palocci ultraliberista, all’agricoltura il latifondista reazionario Rodriguez, alla direzione della Banca Centrale sarà H. Mairelles già presidente della BankBoston arricchitasi sulla speculazione del debito brasiliano, poi, tipico, per dar l’impressione del governo operaio, metterà a dirigere il ministero dello Sviluppo Pubblico il trotzkista M.S. Rossetto del Pt (il partito di Lula).

Poi la concretizzazione della sua politica. …  Com’è prassi dei partiti populisti, anche Lula, dopo un inizio dove vuol far vedere che si da seguito alle promesse fatte in campagna elettorale, per dimostrare che si è sulla strada giusta, aumenterà il salario minimo da 200 a 240 real, una misura di facciata, se si considera che nel 2002 l’inflazione era stata del 17%. Dopo questo però (come da prassi) è subentrata (come sempre) la fase dell’impossibilità nel proseguire sui miglioramenti promessi, giustificandone la causa nelle enormi problematiche che il paese stava attraversando. Infatti il proseguo sarà un disastro per i lavoratori. Vediamolo in sintesi: secondo le promesse, nel 2003 doveva essere distribuita la terra a 60mila famiglie (la richiesta dei contadini era di 180mila famiglie), ma alla fine solo 15mila la riceveranno. Nel frattempo il ministro all’agricoltura, il latifondista reazionario Rodriguez, fa arrestare migliaia di contadini che avevano occupato le terre e copre le squadracce paramilitari dei latifondisti che assassinano gli occupanti (50 morti nel 2003 con centinaia di feriti), tutto questo in un paese dove il 10% dei latifondisti possiede l’80% delle terre (spesso incolte) e 4 milioni di contadini non possiedono assolutamente nulla.  Dei soldi stanziati per l’agricoltura solo il 25% verrà effettivamente erogato, il resto verrà speso per rispettare il pagamento del debito al FMI (Fondo Monetario Internazionale), debito che lo stesso Lula in campagna elettorale aveva detto di voler rinegoziare (di cui però adesso non parla più). Nel 2003 l’occupazione calerà del 10% e l’età minima per andare in pensione verrà innalzata, mentre verrà tolta l’indicizzazione delle pensioni ai salari. Anche la sanità, l’istruzione e il programma “Hambre Cero” subiranno forti riduzioni per pagare le banche per il debito.  Nel frattempo però ai padroni verrà fatto un eccellente regalo: 150 milioni di real (40 miliardi di euro) di evasione verranno amnistiati. 

 (foto Reuters)
(foto Reuters)

Un rivoltamento politico che fa dire al capo degli industriali di San Paulo (che in campagna elettorale aveva duramente osteggiato l’ascesa di Lula): “Lula non è un pericolo, ma una soluzione!”. E ripartono gli scioperi e le lotte più feroci che mai. 

Questo è l’opportunismo, il populismo.

Come prima dell’era Lula e poi durante il suo governo, i  lavoratori brasiliani non hanno mai smesso di lottare con i loro duri scioperi, fino al giungere dei giorni nostri dove a momenti le loro lotte riempiono le pagine dei giornali e dei notiziari. I benefici che la classe lavoratrice ha ottenuto non sono certo dovuti, com’è evidente, alla politica del presidente ex operaio, come alcuni giornali vogliono far apparire, ma al sacrificio costante che le masse sfruttate con le loro battaglie hanno ottenuto, come accade senza eccezione in tutto il mondo. 

Anche qui un insegnamento, una conferma: la superficialità in politica non aiuta a capire, mentre il duro lavoro di approfondimento invece da i suoi buoni risultati.  

I PARTITI OPERAI BORGHESI

L’INFLUENZA POLITICA DELLA BORGHESIA SUL PROLETARIATO

 OVVERO: L’OPPORTUNISMO

1922, dirigenti SPD: Pfannkuch, Bernstein, Kautsky, sua moglie e un accompagnatore
1922, dirigenti SPD: Pfannkuch, Bernstein, Kautsky, sua moglie e un accompagnatore

 

“L’opportunismo consiste nel sacrificare gli interessi fondamentali delle masse agli interessi temporanei di un’infima minoranza di operai, oppure in altri termini, nell’alleanza di una parte di operai con la borghesia contro la massa del proletariato”

Lenin, “Il fallimento della 2° Internazionale”

 

Abbiamo osservato nel dettaglio come i partiti operai borghesi del brasiliano Lula e dei venezuelani Chàvez e Maduro a parole si definiscano “socialisti”, nei fatti siano al servizio della borghesia.

Riescono a farsi passare per “socialisti progressisti” perché provengono dal basso e si basano sul fatto che le masse non conoscono effettivamente cos’è il socialismo. In realtà la funzione dei dirigenti di questi partiti operai borghesi è portare le idee borghesi all’interno del proletariato sotto forma di “socialismo” o “comunismo”.

L’imprenditoria capitalista poi ha tutto l’interesse ad avallare questo finto “socialismo pratico” attraverso i suoi strumenti di persuasione come i media, ossia giornali e tv, ma non solo, ma anche attraverso economisti e politici, ecc, isolando, mettendo così nell’angolo e screditando i gruppi di veri socialisti e comunisti.

Naturalmente la politica opportunista dei partiti operai borghesi rispecchierà, si adatterà alla la politica borghese della regione in cui operano. In Germania per esempio l’SPD, in Gran Bretagna il Laburparty, in Francia il Partito Socialista, rappresenteranno gli interessi del grande capitale europeo, delle grandi multinazionali. Nei paesi emergenti del Sud America, altro esempio, rappresentano gli interessi dell’estesa piccola borghesia e dei nascenti grandi gruppi. In Cina, ma anche nell’ex Unione Sovietica, il partito opportunista rappresenterà gli interessi del grande capitale di Stato.

E’ nel modo d’essere dei partiti operai borghesi non aver bisogno di grandi teorie comuniste da proporre nelle masse lavoratrici, è sufficiente, con il sostegno della grande stampa e tv imprenditoriale, definirsi “operai socialisti”, “rivoluzionari e progressisti” e propugnare in continuazione promesse, speranze, illusioni di una vita migliore, per essere creduti dai lavoratori. La borghesia poi si preoccupa di confermare in continuazione le tesi opportuniste.

Ma che cos’è che spinge lavoratori o organizzazioni operaie cosiddette “socialiste” a rinnegare gli interessi della propria classe, delle masse sfruttare e passare nell’opposto campo borghese?

 

“… le istituzioni politiche del capitalismo contemporaneo – la stampa, il parlamento, le associazioni, i congressi, ecc. – creano per gli impiegati e gli operai riformisti e patriottici, rispettosi e sottomessi, elemosine e privilegi politici corrispondenti alle elemosine e ai privilegi economici. Posticini redditizi e tranquilli in un ministero e nel comitato dell’industria di guerra, nel parlamento e nelle varie commissioni, nelle redazioni dei ‘solidi’ giornali legali o nelle amministrazioni di sindacati operai non meno solidi e ‘obbedienti alla borghesia’: ecco con che cosa la borghesia imperialista attira e premia i rappresentanti e i seguaci dei partiti operai borghesi.

Il meccanismo della democrazia politica agisce nella medesima direzione. Nel nostro secolo [per la borghesia ndr.] non si può fare a meno delle elezioni, non si può fare a meno delle masse, nell’epoca della stampa e del parlamentarismo è impossibile trascinare le masse al proprio seguito senza un sistema largamente ramificato, metodicamente applicato, solidamente attrezzato, di lusinghe, menzogne, truffe, giochetti con paroline popolari e alla moda, di promesse – fatte a destra e sinistra – di ogni sorta di riforme e di ogni sorte di benefici per gli operai, purchè essi rinuncino alla lotta rivoluzionaria per abbattere borghesia”

Lenin, “L’imperialismo e la scissione del socialismo” 1916

 

 

Possiamo osservare come non sia cambiato assolutamente niente da quando Lenin scriveva queste frasi e il giorno d’oggi. Chi ha esperienza come noi da diverse generazioni di lotta nei sindacati e nella vita politica sociale, non può altro che confermare questa realtà.

Ma le organizzazioni operaie borghesi non sono solo di sinistra, possono anche assumere caratteri di destra, xenofobe, razziste. Qui gruppi di lavoratori e proletari perdendo la bussola  vedono in un operaio immigrato o in un lavoratore proveniente da un’altra regione un concorrente, un nemico. Non un compagno di classe sfruttato come loro con cui fare fronte comune contro il padrone sfruttatore. Anche qui l’ideologia borghese passa attraverso questi partiti per dividere il fronte operaio, non certo per unirlo.

 

L’opportunismo: diversi pensieri, diverse organizzazioni, ma lo stesso carattere che li unisce: attraverso di loro la ricca borghesia entra nelle masse proletarie e le porta contro i propri interessi. 


 

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100° ANNIVERSARIO della RIVOLUZIONE RUSSA

 

LA FASE DI PASSAGGIO

 

LA RIVOLUZIONE IN UN PAESE NON PUO’ ALTRO CHE ESSERE “L’ INIZIO DELLA RIVOLUZIONE”

 

Marx: “Tra la società capitalistica e la società socialista vi è un periodo di trasformazione rivoluzionaria dell’una nell’altra. Ad esso corrisponde anche un periodo politico transitorio in cui lo Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato”.

                                                                            (Marx: “Critica al programma di Gotha”)

 

Il governo del proletariato rivoluzionario significa i lavoratori produttori al potere che dirigono anche le fabbriche. I borghesi vengono espropriati di esse. Dopo la rivoluzione la fase di transizione che ne consegue viene definita scientificamente da Marx “dittatura del proletariato”, concetto più che corretto, visto che gli operai alla direzione della rivoluzione devono spezzare la resistenza della minoritaria ma rabbiosa borghesia, determinata a riprendere il potere.

Questa situazione post rivoluzionaria con i lavoratori al potere non è ancora però il socialismo, cioè la nuova società organizzata su “da ogn’uno secondo le sue capacità, ad ogn’uno secondo le sue necessità”, ma è ancora una società capitalistica. E’ una “fase di passaggio” per l’ appunto.

 

 

Lenin 1921, 4 anno dopo la rivoluzione: "L'espressione 'Repubblica sovietica socialista' significa decisione del potere sovietico di attuare il passaggio al socialismo, ma ciò non significa affatto riconoscere che l'attuale sistema economico è socialista"

(Lenin in “Sull’imposta in natura”, 1921)

 

 

La fase di transizione rivoluzionaria dal capitalismo al socialismo non è una frase inventata dagli operai o dai rivoluzionari, ma una fase oggettiva, una necessità inevitabile, ineludibile, a cui nessuno può sfuggire, poiché lo stato espugnato dai lavoratori rivoluzionari è parte integrante di un mercato capitalistico globale. E’ un’area di mercato rivoluzionaria conquistata che per poter funzionare ha bisogno delle materie prime, dei prodotti, delle parti intercambiabili che costituiscono le fabbriche, provenienti dal mondo intero capitalistico. Senza questi elementi, realisticamente, la rivoluzione operaia collasserebbe subito.

Se lo scambio commerciale borghese è indispensabile per far funzionare le economie capitalistiche, questo è altrettanto necessario (accettandolo naturalmente come situazione transitoria) anche per lo stato proletariato rivoluzionario. Pensare di poterlo evitare è pura utopia.

Ma, è chiaro, lo scopo rivoluzionario non è perpetuare questa fase transitoria, ma arrivare alla società superiore socialista, dove il capitalismo con tutte le sue disastrose contraddizioni sia superato. Ciò è possibile, è evidente, solo quando il mercato rivoluzionario conquistato diventi talmente esteso, talmente grande da essere autosufficiente nella produzione dei prodotti così da eliminare l’interdipendenza dalle altre economie borghesi. In questa nuova situazione, e solo allora, con la scomparsa della compra-vendita e tutto basato sulla nuova organizzazione sociale della società socialista del “da ogn’uno secondo le sue capacità, ad ogn’uno secondo le sue necessità”,ossia la società del benessere perpetuo, il salto storico tanto agognato, diventa realtà.

In questa prospettiva è quindi naturale che una rivoluzione deve essere seguita da più rivoluzioni, necessariamente, per ottenere quell’allargamento fondamentale da permettere l’unione delle economie rivoluzionarie.

Finchè questo non accade, il socialismo rimane ancora un progetto, un sogno.

La fase di passaggio perciò non può altro che essere il resistere dei rivoluzionari, finchè le altre rivoluzioni non seguono.  

La rivoluzione in un paese è quindi “l’inizio della rivoluzione” e non l’impossibile “socialismo in un paese solo” di stampo stalinista, maoista, castrista, dove tutto ancora è capitalismo.

100° ANNIVERSARIO della RIVOLUZIONE RUSSA

 

“I DIECI GIORNI CHE SCONVOLSERO IL MONDO!”

 

 

ILLUMINANTE LIBRO TESTIMONIANZA DIRETTA DELLA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE DESCRITTA OBIETTIVAMENTE DAL GIORNALISTA AMERICANO JOHN REED.

 

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Un libro che vale la pena leggere.

Al momento della rivoluzione John Reed è un giornalista non comunista che ama descrivere le situazioni nella loro realtà, come avvengono, cercando di essere il più obiettivo possibile. E’ già stato presente in prima persona alla rivoluzione contadina messicana guidata da Pancho Villa descrivendola nei minimi dettagli vissuti. Adesso si è precipitato dagli Stati Uniti in Russia per raccontare quella bolscevica. Un documento eccezionale di rarità storica.

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La situazione in Russia è rivoluzionaria e John Reed è pronto a stillare il reportage.

L’esercito assieme alla popolazione armata guidati dai bolscevichi stanno combattendo per la conquista di San Pietroburgo.

John Reed presente a questo momento storico, passa dal fronte bolscevico a quello nemico menscevico e viceversa per raccogliere le impressioni, gli stati d’animo, i sentimenti, i discorsi di entrambi i fronti.

Ne emergono due mondi completamente diversi anche se accomunati dalla violenta guerra civile.

Uno, popolare-proletario bolscevico proiettato nell’eroico obbiettivo socialista da raggiungere, con tutte la speranze, la fiducia, ma anche le ansie e tensioni del caso. Si sentono essere parte con orgoglio di un evento eccezionale, ma non locale, bensì internazionale, si sentono parte della rivoluzione internazionale. A momenti si percepisce perfino  l’entusiasmo dei protagonisti per questo eccezionale evento.

Dall’altra il fronte menscevico controrivoluzionario. Pieno di paure per l’incombente percepita sconfitta e speranzosi in generali o chissà cos’altro che li possa togliere da questa situazione disperata. Si respira, si palpa, la rabbia, il risentimento, l’angoscia. Si spera che denigrando i bolscevichi e in particolare il loro leader Lenin si possa convincere i lavoratori ad abbandonare il fronte rivoluzionario e passare nel loro.

I bolscevichi e in particolare Lenin vengono definiti “agenti o spie dei tedeschi”, che una volta giunti al potere porteranno la Russia nel caos e passeranno al servizio del nemico. Lenin viene accusato di alto tradimento che si rifiuta di presentarsi al processo.

Le pagine descrivono in modo vivo le discussioni che si susseguono: la fiducia per il futuro da parte dei lavoratori e dei giovani soldati del fronte bolscevico che  ignorano completamente le menzogne dei nemici, dall’altra la denigrazione continua.

Da un lato l’attenzione è tutta concentrata alla costruzione di una società migliore, dall’altra invece l’insulto, cercando in tutti i modi di nascondere, deformare, le vere intenzioni dei bolscevichi.

Scorrendo il libro è forte la percezione di essere presenti ai forti stati d’animo vissuti nelle varie situazioni, sia di un fronte, che a quello opposto.

La guerra civile, gli scontri, sono il corollario di questo esplodere di sentimenti, valutazioni, dibattiti, discussioni, controversie.

Non può essere diversamente in un evento politico che segnerà la storia per sempre.

Un documento vivo di eventi che appartiene alla storia. 


 

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100° ANNIVERSARIO della RIVOLUZIONE RUSSA

 

Punti fermi della scienza marxista

Riproponiamo qui al lettore un articolo tratto dalle dispense

“Teoria e pratica del marxismo” edito da “Lotta Comunista” nel 1996.

  

               LA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE          (parte prima)

                                                                        

 

 

(…) La rivoluzione d’Ottobre non è stata il tentativo di instaurare una impossibile società socialista nel paese più arretrato del continente europeo. E’ stata l’inizio di una rivoluzione mondiale che avrebbe dovuto e potuto vincere solo espugnando il cuore tedesco dell’Europa. Lo stalinismo e il “socialismo” in Russia sono perciò figli della sconfitta tedesca del 1919, non della vittoria russa del 1917.

La strategia bolscevica prima del ’17 attribuiva al proletariato russo il compito di portare a fondo, appoggiandosi sui contadini, quella rivoluzione borghese contro l’autocrazia zarista che la borghesia russa non aveva ne il coraggio ne la forza di compiere. Il nuovo obiettivo della rivoluzione proletaria viene posto all’ordine del giorno dalla prima guerra mondiale, dopo che questa nel febbraio del ’17 aveva già travolto il regime semifeudale dello zar.

E’ Lenin che, rientrato dalla  Svizzera sul famoso treno piombato fornito dai tedeschi, impegna una dura battaglia dentro il partito bolscevico per convincerlo della necessità di cambiare linea. Il proletariato russo deve rivendicare il potere non perché la guerra abbia reso possibile l’instaurazione del socialismo in un paese contadino, ma perché la rivoluzione in Germania è alle porte.

  Il menscevico Suchanov, protagonista di secondo piano, ma attento cronista della rivoluzione russa, ricorda così il primo discorso di Lenin alla stazione di Finlandia dove il treno lo ha condotto: “Cari compagni, soldati, marinai e operai!  Sono felice di salutare in voi la rivoluzione russa vittoriosa, di salutare in voi il reparto di avanguardia dell’esercito proletario mondiale … La guerra imperialista di rapina è l’inizio della guerra civile in tutta Europa … Non è lontana l’ora in cui, rispondendo all’appello del nostro compagno Karl Liebknecht, i popoli rivolgeranno le armi contro i propri sfruttatori capitalisti … L’alba della rivoluzione socialista mondiale è già sorta ,

(Lenin parla dal treno)
(Lenin parla dal treno)

… La Germania è già tutta in fermento … Se non oggi, domani, ogni giorno può crollare tutto l’imperialismo europeo. La rivoluzione russa che voi avete compiuto ne ha posto le premesse e ha aperto una nuova epoca. Evviva la rivoluzione socialista mondiale” (“Cronache della rivoluzione russa”. Editori Riuniti).

I documenti ufficiali sono altrettanto espliciti. Le dieci Tesi D’Aprile con cui Lenin pone al partito bolscevico la necessità di cambiare, insieme alla linea, il programma e persino il nome, indicano al punto 8: “Come compito immediato, non “l’instaurazione” del socialismo, ma per ora, soltanto il passaggio al controllo della produzione sociale e della ripartizione dei prodotti da parte dei Soviet dei deputati operai”.  E al punto 10: “Rinascita dell’Internazionale. Prendendo l’iniziativa della creazione di un’Internazionale rivoluzionaria contro i socialsciovinisti e contro il “centro” (“La rivoluzione d’ottobre”. Newton Compton).

Stabiliti quello che non voleva essere –“l’instaurazione” del socialismo in Russia–   e definito quello che la sconfitta in Germania gli ha impedito di diventare - l’inizio della rivoluzione mondiale- si può comprendere meglio il giudizio sull’Ottobre espressa da Lenin quattro anni più tardi: “… per la prima volta dopo centinaia e migliaia di anni, la promessa di “rispondere” alla guerra tra gli schiavisti con la rivoluzione degli schiavi contro tutti gli schiavisti, è stata mantenuta fino in fondo malgrado tutte le difficoltà. Noi abbiamo cominciato quest’opera. Quando, entro che termina precisamente, i proletari la condurranno a termine? Ed a quale nazione apparterranno coloro che la condurranno a termine? Non è questa la questione essenziale? E’ essenziale il fatto che il ghiaccio è rotto, la via è aperta, la strada è segnata”  (“Per il quarto anniversario della rivoluzione’ 1921” Opere complete, vol. 33).

L’importanza fondamentale della rivoluzione russa è precisamente questa. Non solo avendo vinto ha provato una volta per sempre che si può vincere ancora, ma la sua vittoria ha lasciato una ricchissima esperienza da cui ripartire per condurre a termine ciò che al partito di Lenin non è stato concesso di concludere.

 

BREVE STORIA DELLA RIVOLUZIONE

 Nel febbraio 1917, tre anni e mezzo di guerra, la fame e un ennesimo rovescio militare portano Pietroburgo alla rivoluzione. La caduta dello zarismo produce in Russia una situazione, storicamente inedita, di “dualismo di potere”. Mentre la borghesia si riconosce nel governo provvisorio del principe L’vov, il proletariato e i contadini, dalle cui fila proviene il grosso dell’esercito, fanno riferimento al Soviet degli operai e dei soldati che si è costituito a Pietroburgo.

Prima preoccupazione del governo è rassicurare sulla prosecuzione della guerra gli alleati. Francia e Inghilterra, del resto, hanno appoggiato la rivoluzione di febbraio proprio perché ormai il corrotto regime zarista rappresentava un pericolo alla tenuta del fronte orientale.

 

 

Ogni decisione governativa deve però passare al vaglio del Soviet, che esercita così di fatto il controllo dell’esercito. I soviet sono egemonizzati dai socialisti rivoluzionari e menscevichi, ostili alle parole d’ordine rivoluzionarie e favorevoli  ad appoggiare lo sforzo militare del governo provvisorio.

Tra i contadini e tra gli stessi operai in questa fase è ancora diffusa l’idea, sostenuta dai partiti maggioritari nei Soviet, che la difesa della rivoluzione comporti la necessità di difendere la Russia dall’aggressione tedesca. Persino le campagne di calunnie lanciate dai partiti borghesi contro i bolscevichi “spie dei tedeschi” fanno una qualche presa tra le masse.

(soviet di S. Pietroburgo)
(soviet di S. Pietroburgo)

Data questa situazione, Lenin nelle Tesi sostiene la necessità di spiegare minutamente e ostinatamente alle masse che la guerra è rimasta una guerra di rapina e che non ha senso chiedere ad un governo di borghesi una pace “democratica”. Occorre, per la pace, che il proletariato rovesci la borghesia e prenda il potere. Anche se i Soviet sono in mano ai loro avversari, i bolscevichi rivendicano per i Soviet tutto il potere: “Finchè saremo in minoranza, faremo un lavoro di critica e di delucidazione degli errori, sostenendo in pari tempo la necessità del passaggio di  tutto il potere statale ai Soviet dei deputati operai, affinchè le masse, sulla base dell’esperienza, possano correggere i loro errori”.(Lenin – “La rivoluzione d’ottobre” – Newton Compton)

Il calcolo si rivelerà giusto. Ma come fa Lenin ad avere già in aprile la certezza di essere alla testa dei Soviet quando questi prenderanno il potere? Lenin si basa su due valutazioni. La prima riguarda il carattere di classe dei Soviet. Scrive Lenin nell’aprile che il dualismo del potere ha la sua radice nelle due classi in lotta: “Non si vuol vedere che nella misura in cui questi Soviet esistono, nella misura in cui costituiscono un potere, esiste in Russia uno stato del tipo della Comune di Parigi” (ibidem).

Indipendentemente dai partiti che per il momento li egemonizzano, i Soviet sono, come la Comune, un embrione di governo operaio.

La seconda valutazione è che lo sviluppo della situazione in Russia porterà necessariamente allo scontro tra la borghesia che deve continuare la sua guerra, e i contadini e gli operai per cui la pace è la cosa più importante.

Da queste due valutazioni Lenin ne ricava in primo luogo che lo scontro tra Soviet e Governo provvisorio sarà inevitabile e, in secondo luogo, che le posizioni conciliatrici di menscevichi  e socialisti rivoluzionari dentro il soviet sono destinate ad essere travolte.

Il corso degli avvenimenti non tarda a dar ragione a Lenin. Scrive Suchanov, testimone ostile ma acuto: “Abbiamo già detto come due mesi prima i soldati considerassero il problema della guerra e della pace. Chi parlava di pace veniva considerato traditore e disertore e passato per le armi, ma già un mese dopo la rivoluzione, nel periodo in cui arrivò in Russia Lenin, avevo notato i primi sintomi di cambiamento. Ora, dopo poco più di due mesi, sullo sfondo del lavoro svolto dalla coalizione, gli umori dei soldati si stavano trasformando nell’opposto di ciò che erano stati prima” (“Cronache della rivoluzione russa” – Editori riuniti).

In luglio un nuovo rovescio militare porta Pietroburgo sull’orlo dell’insurrezione. I bolscevichi si rendono conto che i tempi non sono maturi e frenano gli operai e i soldati. Le manifestazioni armate del 4 luglio non si trasformano in una vera e propria insurrezione, ma il governo provvisorio che le reprime coglie l’occasione per scatenare l’offensiva contro il partito bolscevico e porlo fuori legge. Lenin sfugge alla cattura rientrando nella clandestinità, ma non così Trotzki insieme a molti altri dirigenti e militanti. Le carceri del governo rivoluzionario si riempiono di bolscevichi.

(generale Kornilov)
(generale Kornilov)

A svuotare nuovamente è ancora la crisi politica russa: nell’agosto il generale Kornilov tenta di rovesciare il governo e di assumere il potere. La maggioranza menscevica e social rivoluzionaria del Soviet costituisce un Comitato rivoluzionario che ha un ruolo decisivo nel sconfiggere il colpo di stato. Gli esiti tuttavia sono imprevisti. Racconta Suchanov: “Ma, nonostante questa eccezionale funzione del Comitato militare rivoluzionario nella liquidazione del complotto di Kornilov, il blocco del Soviet, bisogna pensare, non avrebbe preso un’iniziativa del genere se avesse previsto la futura funzione di quest’organo” (ibidem).                                      

Sarà infatti questo stesso Comitato, voluto dai menscevichi per difendere Kerenskij, a organizzare militarmente la rivoluzione d’Ottobre.

                                                                                                       (prosegue sul prossimo numero) 



 

 

 

ALLEGATO

 

LENIN, TROTZKJI, TROVANO CORRETTA L’ANALISI DI MARX, LA SEGUONO E QUESTO LI PORTA ALLA RIVOLUZIONE. ALTRI MARXISTI NON RIESCONO A CAPIRE LA VALIDITA’ DELL’ANALISI MARXISTA E PASSERANNO DALLA PARTE DELLA BORGHESIA. LA STORIA LI RICODERA’ COME DEI PERDENTI.

 

Riproponiamo l’articolo dell’APRILE 2016

 

 

I GRANDI REVISIONISTI DI MARX

fine 1800: BERNSTEIN

 

 

-SMENTITO CLAMOROSAMENTE DALLA STORIA-

 

 

Quante volte sentiamo dire che Marx è superato? In continuazione. Alla tv, nei dibattiti, nelle tavole rotonde, non vi è  persona che non affermi questo ( e in proposito chiediamoci: come mai questi presunti ultrademocratici conduttori televisivi non invitano mai i veri marxisti a questi dibattiti?). Nelle scuole, nelle università i professori parlano di un grande Marx, che ha visto giusto nel funzionamento del capitalismo, ma che ha sbagliato sulla rivoluzione, quindi da non prendere come esempio.

La critica a Marx non è però una novità nella storia.

Ci sono stati momenti nel passato in cui la critica ha avuto un eco così grande che qualcuno si era spinto addirittura a dare Marx definitivamente per sorpassato. 

ILLUSI.

Prendiamo il caso interessante del revisionista Eduard Bernstein.

Tedesco, nato il 1850, morto il 1932.

Segretario di Engels, era considerato a fine ‘800 con Kautsky uno dei massimi marxisti esistenti ed è stato uno dei  dirigenti e fondatore con Bebel e Liebknecht padre, del Partito (allora rivoluzionario) Socialdemocratico Tedesco (SPD). 

Ma alla morte di Engels (1895) comincia a criticare il marxismo. Fuorviato dal lungo ciclo di sviluppo capitalistico di fine ‘800 e di conseguenza dal lungo ciclo di benessere e pensando che questo lungo ciclo non sarebbe più finito,  Bernstein  comincia a sostenete che Marx si era sbagliato sulla crisi di sovrapproduzione, sovrapproduzione che nella visuale marxiana avrebbe causato  profonde crisi, guerre, che a loro volta avrebbero dato la possibilità di aprire la strada a rivoluzioni. Bernstein comincia a sostenere che il caotico sistema capitalistico può essere controllato dai capitalisti attraverso accordi tra di loro, così da mitigare la concorrenza, evitando così le crisi. Visto che dal suo punto di vista  le crisi non sarebbero mai arrivate,  sostiene che il proletariato, pur mantenendo sempre l’obbiettivo della  conquista del potere, deve però arrivarci non attraverso rivoluzioni, ma attraverso riforme, attraverso il parlamento.

Quello che arriverà qualche anno dopo, crisi,  guerre,  crisi di sovrapproduzione e successivamente ancora guerre, smentirà clamorosamente ciò che  sosteneva.

Ma la critica a Marx che Bernstein aveva sviluppato, aveva trovato sui giornali del suo tempo, naturalmente controllati dalla borghesia, un clamore incredibile. Ci si può ben immaginare come ai ricchi non sembrasse vero che uno dei due massimi esponenti del marxismo mondiale ripudiasse il marxismo stesso! Un’occasione per loro senz’altro da non perdere, per dare spazio sui loro giornali  e denigrare Marx.

Saranno Lenin, Kautsky,  Rosa Luxemburg , che si scaglieranno senza riserve contro le tesi di Bernstein per ripristinare la chiarezza scientifica del marxismo. Poi, dagli eventi successivi, puntualmente confermata.

Se noi prendiamo le critiche che oggi vengono rivolte al marxismo: Marx superato; la società d’oggi è profondamente cambiata da quella da lui analizzata; la classe operaia si è evoluta e non pensa più alla rivoluzione; non esiste nessun ciclo capitalistico; i capitalisti adesso sono intelligenti e sanno come gestire la situazione, ecc. ecc. come si può ben notare, non sono poi molto cambiate da quelle dei tempi di Bernstein. Se noi per esempio le critiche che Bernstein muoveva a Marx le mettessimo in bocca a tanti intellettuali di oggi, nessuno si accorgerebbe che sono identiche alle sue. E’ molto strano, che i critici del marxismo d’oggi, che affermano di essere sopra le parti, democratici, si ritengono sapientoni, gran intelligenti, istruiti, pomposi, smerdosi, non si rendano conto che la storia ha in continuazione e in mille maniere confermato Marx e non Bernstein. E per capire questo non è che bisogna essere tanto dei geni. Eppure  queste considerazioni non trovano una parola nei dibattiti televisivi, nelle tavole rotonde, nelle lezioni. 

Come mai?

Eppure anche adesso, chi è attento può constatare che tutte le caratteristiche capitalistiche individuate da Marx sono presenti e che il ciclo capitalistico sta seguendo la sua parabola come ai tempi di Bernstein.

 

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ALLEGATO

 

100° ANNIVERSARIO della RIVOLUZIONE RUSSA

 

COME CAPIRE QUANDO E‘ IL MOMENTO DI CONDURRE UNA RIVOLUZIONE?

DUE MASSIMI RIVOLUZIONARI CE LO SPIEGANO.

 

 

LE CONDIZIONI DELLA RIVOLUZIONE PROLETARIA

 

 

“Per un marxista è cosa certa che nessuna rivoluzione è possibile in mancanza di una situazione rivoluzionaria. Non è poi detto che ogni situazione rivoluzionaria scaturisca in una rivoluzione. 

Quali sono in generale i sintomi di una situazione rivoluzionaria? Siamo sicuri di non sbagliare indicando i tre elementi seguenti:

 

-           -  L’impossibilità da parte delle classi dominanti  di conservare integro il proprio dominio, una “crisi” dei circoli dirigenti, crisi politica           della classe al potere produce una falla nella quale penetrano il malcontento e l’indignazione delle classi oppresse. Affinchè abbia           luogo la rivoluzione non basta, in genere, che “non si accetti più in basso”, bisogna altresì che non si possa più vivere come il                 passato.

-           - Il peggioramento abnorme delle privazioni e delle sofferenze delle classi oppresse.

-            - L’incremento sensibile, in funzione di quanto precede, dell’attività delle masse le quali, “in tempo di pace” si lasciano                                tranquillamente derubare, ma che in momenti di crisi sono incitate da tutta la situazione, e anche dai dirigenti, a prendere                        un’iniziativa di un’azione storica.

 

In mancanza di queste modificazioni oggettive, indipendenti dalla volontà dei gruppi isolati e dei partiti, nonché da quella delle classi, la rivoluzione è, in linea generale, impossibile. L’insieme di queste modificazioni oggettive costituisce esattamente la situazione rivoluzionaria. Una situazione di questo tipo si ebbe in Russia nel 1905 e in tutti i paesi dell’occidente nell’era delle rivoluzioni, ma si è avuta anche in Germania nel 1859-60 e in Russia nel 1879-80, quantunque fosse mancata la rivoluzione. Perché? Perché non è detto che da ogni situazione rivoluzionaria  scaturisca la rivoluzione. Perché la rivoluzione si compie soltanto quando, ai fattori enumerati, si aggiunge l’elemento soggettivo, ossia l’attitudine della classe rivoluzionaria all’azione rivoluzionaria, l’attitudine di masse abbastanza forti da spezzare o scuotere il vecchio regime che, anche all’apice della crisi ‘non cade se non lo si fa cadere’ ”.

 

                                                                                                                                                                                                                         LENIN: “Il fallimento della 2° Internazionale nel 1915”

 

 

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UN INTERVENTO COSCIENTE IN UN PROCESSO OGGETTIVO

 

“Benchè si tratti di un’immagine abusata, l’intervento dell’ostetrica in un parto continua ad essere la più chiara illustrazione di un intervento cosciente in un processo spontaneo. Una volta Herzen accusava il suo amico Bakunin di avere sempre scambiato, nelle sue azioni rivoluzionarie, il secondo mese di gravidanza con il nono. Da parte sua Herzen era piuttosto incline a negare la gravidanza anche al nono mese.

(…) La parola “momento” non dev’essere presa troppo alla lettera, come se si trattasse di un determinato giorno o di una determinata ora: anche per i parti esiste un notevole margine di tempo, che non interessa solo l’ostetrica, ma anche la casistica del diritto di successione.  Tra il momento in cui un tentativo di provocare un’insurrezione non può che essere prematuro e portare a un aborto rivoluzionario, e il momento in cui un’occasione favorevole deve essere considerata perduta irrimediabilmente, c’è una certa fase della rivoluzione –che può essere di qualche settimana, a volte di qualche mese- nel corso della quale l’insurrezione può essere realizzata con maggiori o minori possibilità di successo. Cogliere questa fase relativamente breve e scegliere poi un momento preciso –dal punto di vista del giorno e dell’ora- per sferrare l’ultimo colpo, è il compito di maggiore responsabilità per una direzione”.                                   

 

                                                                                                                                          TROTZKJI: “Storia della Rivoluzione Russa”

 


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