APRILE 2017

 

 


 

 

 

ELEZIONI IN GERMANIA IN SETTEMBRE 

 

SCHULZ - SPD

 

 

Per chi prende seriamente le notizie dei media tedeschi (cosa che è sempre rischioso) nelle ultime settimane è stato scosso da una grossa sorpresa.

Ancora alla fine del 2016 sembrava essere già tutto predefinito per quello che poteva riguardare l’esito delle elezioni nazionali in settembre di quest’anno 2017: la cancelliera al governo Angela Merkel conduceva indiscutibilmente tutti i sondaggi. 

Anche se “la sua politica sugli immigrati” poteva essere definita “discutibile”, ma il suo concorrente elettorale l’SPD, che contemporaneamente è anche suo partner di governo, si trovava da anni al 20% nei sondaggi elettorali. Con le elezioni quindi, si può dire, si sarebbe potuto tranquillamente rinunciare alle elezioni così costose.

Ma all’inizio del 2017 avviene un miracolo! Il “santo Martin da Würselen” appare e fa ripartire il partito SPD paralizzato. I valori nei sondaggi schizzano improvvisamente di un 10% e più all’insù e i media mostrano i fans del partito gridanti alle manifestazioni elettorali come se stessero vedendo una popstar.

Si, il miracolo, la popstar è proprio lui: Martin Schulz! 

In una riunione speciale dei dirigenti del partito Spd viene votato, con una maggioranza del 100% che richiama alle votazioni nordcoreane, candidato Spd a cancelliere per il governo. 

Raramente i media riportano un fatto così realisticamente, come per esempio quello che è accaduto alle elezioni regionali in marzo nel Saarland, dove l’SPD invece di vincere, come i media da settimane preannunciavano, perde, e perde addirittura un percentuale Allora dai media si sentono frasi del tipo: “Il partito non è riuscito a trasmettere agli elettori il suo entusiasmo per Martin Schulz”.

Che cosa propone Schulz in questa campagna elettorale?

Si pone come rappresentante con origini modeste, e quindi come lottatore per la giustizia sociale, contro la repressione e lo sfruttamento. L’SPD vuole ritornare ad essere il partito delle persone semplici.

Un piccolo sguardo su Schulz e l’SPD basta però per capire bene come questo ruolo di vendicatore dei diseredati sia ridicolo.

Anche se in origine i socialdemocratici iniziarono come partito dei lavoratori non è rimasto proprio nulla salvo le classiche canzoni rivoluzionarie e l’appellativo “compagno”.

Fin dal consenso ai crediti di guerra nell’agosto 1914 questo partito non ha mai perso l’occasione per dimostrare agli imprenditori il suo “impegno per la patria”. Nel 1918/19, dopo aver annegato nel sangue la rivoluzione tedesca sotto il governo Ebert e Noske (Noske: “Qualcuno deve essere cane da sangue”), Tucholsky negli anni venti scrisse così a riguardo l’SPD: “Sono  giocatori di briscola che hanno letto Marx”. 

Poi nel 1959 nel “Programma di Bad Godesberg” i dirigenti rinunciavano definitivamente anche a Marx. Da allora l’SPD è un altro partito della borghesia, sempre a disposizione degli imprenditori quando la CDU-CSU è “indisposta” (cioè ha bisogno di aiuto). Per questo negli ultimi 20 anni l’Spd ha partecipato a ben 15 anni di governo.  

Sotto direzione o partecipazione SPD è stato adottato proprio tutto ciò contro cui il “Santo Martin” sta predicando ora:  chi ha approvato la prima partecipazione della Germania alla guerra dal 1945? Chi ha introdotto la Hartz-IV? Chi ha creato la più vasta paletta di lavori a salario minimo in Europa? Chi ha aperto tutte le serrature per la speculazione finanziaria? Chi ha regalato agli imprenditori la più grande riduzione delle tasse di tutti i tempi?  

Esatto: i socialdemocratici !

“Martin”, il piccolo libraio di Würselen vicino alla città imperiale di Aachen, pensa veramente che noi possiamo dimenticare così facilmente tutto questo?

Questa persona siede nella direzione del partito dal 1999, come presidente del Parlamento Europeo ha approvato tutte le terribili cose adottate contro i lavoratori degli ultimi 20 anni; ha portato tutti i peggioramenti introdotti in Germania come esempio per tutti gli altri paesi; autorevolmente ha contribuito all’imposizione dell’egemonia tedesca in Europa nell’interesse della borghesia tedesca. 

Adesso diventa improvvisamente un Robin Hood che prende ai ricchi per dare ai poveri. Questo sarebbe troppo anche per una favoletta di Hollywood …

 

                                                                                                                  k.k. valentin

 

 

 

Elezioni in settembre in Germania

 ACCADRA’ COME IN OLANDA? 

METODI DI DOMINIO DEI POTENTI

SPERIMENTATI DA SECOLI

 

Mark Rutte e Geert Wilders
Mark Rutte e Geert Wilders

 

Sembrava che in Olanda l’estremista populista di destra Geert Wilders dovesse vincere le elezioni. Invece no.

Ha vinto Mark Rutte, il premier al governo appartenente al partito di destra.  La cosa, 10 giorni prima delle elezioni (avvenute poi il 15 marzo) non era affatto scontata. I sondaggi per l’appunto, davano come favorito Wilders e sembrava che per il premier al governo non ci fosse nessuna speranza.

Poche settimane prima del voto però è accaduta una strana svolta nella politica olandese, una virata nella usuale politica tollerante del paese. Con grande eco dei media, tv e giornali, proprio il primo ministro al governo Rutte ha iniziato ad assumere una posizione xenofoba rispetto agli immigrati arabi e alla Turchia. Dapprima ha cominciato a criticare gli arabi dicendo che questi “venuti da fuori” si permettono di criticare i valori tradizionali olandesi con i loro giudizi sulle minigonne, sui gay, ecc, invitandoli a “lasciare il paese” se questo a loro non piace. Poi, pochi giorni prima delle elezioni, ha impedito a due funzionari politici del governo turco di entrate in Olanda per svolgere la loro attività di campagna elettorale a favore del referendum che si svolgerà in Turchia in aprile.

Questo naturalmente ha provocato grande sensazione in Europa spingendo alla reazione il governo turco che dopo aver espresso forti proteste, lo stesso Erdogan ha apostrofato il governo olandese come “nazista”

L’effetto di questo scontro è stato che, creando in Olanda un clima di paura, il problema xenofobia è entrato prepotentemente nella campagna elettorale olandese alzando enormemente l’attenzione della popolazione sulle elezioni e compattandola attorno al governo contro il “nemico islamico”. Così descrivevano la situazione i giornali europei del momento: “Olanda, il premier gioca a fare lo xenofobo” (il Fatto Quotidiano, 24 gennaio), “Erdogan piomba sul voto e Rutte vira a destra per respingere Wilders” (La Stampa, 14 marzo).

Il risultato, come ben espresso dai giornali, è stato che molti elettori che prima vedevano come paladino contro l’Islam l’estremista di destra Wilders, dopo questa svolta politica ne vedevano adesso come saldo difensore il governo personificato nella persona del premier Rutte spostando le loro preferenze elettorali su di lui.   

La mossa ha ben funzionato, ha portato al premier Rutte ad un risultato stupefacente, addirittura superiore alle aspettative. Il forte clima di paura creato ha spinto ad andare a votare l’82% degli aventi diritto, una percentuale altissima. Il premier Rutte ha potuto così conquistare 56 seggi su 150 (prima ne aveva 41) mentre l’estremista Wilders, pur aumentando, ne ha avuto solo 34. 

Queste tattiche o strategie elettorali funzionano molto bene nei paesi dove il livello degli immigrati e dove le comunità turche sono molto estese come appunto in Olanda o in Germania.

Poi finita la tornata elettorale, tutto, più o meno, torna come prima.

Noi siamo del parere che questo stratagemma probabilmente verrà usata anche qui in Germania per le prossime elezioni di settembre. Infatti già da adesso è possibile percepire come il livello di scontro con la Turchia si stia già alzando. Addirittura il governo regionale del Saarland, dove si sono svolte le elezioni il 26 marzo, ha proibito l’entrata di delegati turchi nella regione per svolgere la loro campagna elettorale per il referendum che avverrà in Turchia, anche se nessuno di questi delegati aveva fatto richiesta di entrarvi.

Da sempre gli imprenditori con i loro politici cercano di dividere la popolazione in frazioni etniche per creare un sentimento nazionalistico da usare per la loro politica, e contemporaneamente cercano di isolare i gruppi di estrema destra come Geert Wilders o AfD in Germania. E il fatto, come detto, che in paesi come Germania o Olanda vi siano grosse comunità con milioni di turchi e arabi, facilita per i governi e i partiti dell’establishment sfruttare le situazioni nelle occasioni delle elezioni per creare questo sentimento anti immigrati e di paura, e vincere.

Anche Erdogan dal canto suo in Turchia sta usando lo stessa tecnica per aggiudicarsi il referendum costituzionale: attacca gli europei, soprattutto i tedeschi, anche lui per compattare la popolazione attorno al governo contro il nemico “europeo”, cosicché la popolazione gli voti il referendum da lui proposto.  

 

 

c.p- k.k.valentin


_____________________________________________________________________________________________________________

 

 

 

 

TRUMP AUMENTA ANCORA LA SPESA MILITARE

E PRETENDE ANCHE DAGLI ALLEATI NATO UN MAGGIOR RIARMO.

COME MAI?

PROBLEMA ASCESA CONCORRENTI CINA-INDIA? 

_______________________________________________

 

 

Trump e il suo governo, come rappresentanti della potente borghesia imperialistica americana, chiama le borghesie europee e giapponese alleate nella NATO ad un aumento dell’arsenale militare.

La borghesia Usa è già la potenza più armata al mondo. Secondo il SIPRI di Stoccolma (Stockolm International Peace Research Institute), l’organismo internazionale che monitorizza l’andamento militare sul pianeta, gli Usa da soli detengono il 36% dell’intero armamento mondiale. Oltre ad una infinità di bombe atomiche (all’incirca 7.500) possiede ben 11 flotte navali in servizio con annesse portaerei, più 2 in costruzione (la Cina 1 in servizio e 1 in costruzione , l’India 1 in servizio e 1 in costruzione, la Russia 1 e 1, ecc.) e una forza aerea composta di più di 8.600 velivoli, di cui 2200 aerei da caccia  (Germania sui 700 velivoli, Inghilterra sui 900. Cina sui 2800 ecc.). In pratica gli Usa si confermano la più grande potenza bellica della terra, spendendo da sola per il militare (602 miliardi dollari nel 2015) più di quando non spendano le altre 10 seguenti nazioni più potenti al mondo messe assieme.     

Nonostante questa micidiale gigantesca macchina bellica il governo Trump ha intenzione di aumentare la spesa militare di ulteriori 52 miliardi di dollari (più di quanto spenda la Germania in un anno).

Ma contro chi è rivolto questo imponente armamento viste che le spese militari delle altre borghesie nel mondo sono già notevolmente inferiori? Qual è lo scopo di questa politica militare che appare assurda?

Come marxisti abbiamo un’idea alquanto precisa di cosa stia succedendo.

Negli ultimi 2 decenni è in atto nell’establishment politico ed economico degli Usa un dibattito acceso sul come rapportarsi, quale politica e quali alleanze adottare di fronte all’emergere di nuove potenti nazioni (borghesie) concorrenti, che nel futuro diverranno così forti da essere dominanti. Il chiaro riferimento è all’ascesa della Cina, India, Brasile.

Questo dibattito politico di potenza è già accaduto in passato allorchè a fine ‘800 in Gran Bretagna quella borghesia imperialista, strapotente, si trovava ad affrontare l’ascesa di nuove borghesie: erano quella americana e quella tedesca.  E anche allora il quesito dei ricchi inglesi era come contrastare, con chi allearsi per tener testa alle nuove borghesie emergenti.

Il padronato imperialista americano si trova oggi, come ieri quello inglese, nella stessa situazione, vedendosi nel prossimo futuro venir messo in pericolo i suoi interessi, i suoi profitti.

Gli esperti prevedono che fra qualche anno l’economia cinese, con 1 miliardo e mezzo di abitanti sarà la prima economia del mondo superando quella americana e poi aumenterà ancora. L’economia indiana, con 1 miliardo e 300 milioni di persone viene data come 3° economia del mondo e con il tempo seguirà lo stesso sviluppo dell’economia cinese.

Questo è il problema, a nostro parere (e anche di altri esperti) che non fa dormire i capitalisti americani e che viene vissuto come un dramma. Un domani queste nuove economie borghesi strapotenti di Cina, India, ecc. cominceranno a mettere in discussione gli interessi e i guadagni americani (e non solo) e pretenderanno, come già comincia ad avvenire adesso, più spazio sul pianeta per i loro affari imperialistici.

La ricca borghesia americana è perfettamente consapevole di questo, come detto ha già osservato nella storia questo fatto, quindi sta cercando, dal suo punto di vista, il modo possibile per preservare al massimo i suoi interessi imperialisti, costi quel che costi.

Ieri la guerra in Afghanistan,  poi l’invasione dell’Iraq, poi la guerra civile in Libia e Siria, ecc. e adesso l’ulteriore aumento del già, come visto, enorme armamento, stringere più forte l’alleanza con le nazioni alleate aderenti alla NATO  e pretendere che queste borghesie aumentino di più la loro spesa militare, viene visto dal governo dell’imperialismo americano come il miglior modo per difendere i propri profitti, i propri interessi in giro per il mondo di fronte all’ascesa di queste nuove potenti borghesie.

Anche a Pekino vi è un forte dibattito nell’establishment governativo capitalstatale su come la borghesia americana e quelle occidentali (definite tutte “declinanti”) potrebbero e potranno reagire quando la Cina sarà la prima e forte potenza mondiale.

Una situazione quindi gravida di future tensioni e che potrebbe presto diventare anche esplosiva.   

Questo è il capitalismo, ossia la società dove tutto è finalizzato a raggiungere un profitto.

 

Il fatto che nei paesi europei si stia vivendo a lungo in una situazione di relativa pace e benessere non significa affatto che il mondo rimanga fermo e che le contraddizioni del sistema non possano improvvisamente esplodere. Come è evidente, nel sottofondo  capitalistico del profitto tutto è invece in movimento.

Ripartizione spesa militare 2015 nel mondo in % (fonte SIPRI)
Ripartizione spesa militare 2015 nel mondo in % (fonte SIPRI)
(fonte Wikipedia)
(fonte Wikipedia)

__________________________________________________________________________________________________

 

 

 

 

I MEDIA CONTRO TRUMP

________________________

ALTRO SCONTRO SIMILE NELLA STORIA RECENTE:

GUERRA IN LIBIA DEL 2011:

LA LOTTA DEI MEDIA TEDESCHI (cioè degli imprenditori) FAVOREVOLI ALL’INTERVENTO MILITARE, CONTRO IL PROPRIO GOVERNO, INVECE CONTRARIO.

 

 

 

Nel 2003, quando gli americani decisero di invadere l’Iraq, si svolsero in Germania enormi manifestazioni di massa contro la guerra con milioni di partecipanti in tutto il paese. I media sostenevano e incoraggiavano apertamente queste manifestazioni, schierandosi contro la guerra.

Il tutto era in sintonia con il padronato tedesco, il quale (assieme a quella francese) non vedeva un interesse all’adesione all’intervento militare assieme agli americani e ai loro alleati, e lo diceva chiaramente suoi giornali e sulle sue tv.

In sostanza succedeva che l’imprenditoria tedesca per sottolineare la diversità di interesse da quella Usa, orientava, mobilitava, dirigeva la popolazione con i suoi media perché in massa manifestasse contro la guerra in Iraq.. 

Grande era l’entusiasmo dei partecipanti nel vedersi essere in così tanti su un principio   così nobile.

Ma la cosa non si ripetè 10 anni dopo durante lo scoppio della guerra in Libia nel 2011 e dopo ancora nel 2016 quando il governo tedesco decise di partecipare al conflitto in Siria mandando aerei e navi.

Dov’erano le grandi masse di protesta tedesche in queste due situazioni di belligeranza?

Non avvenne nessuna protesta di massa contro. Come mai?

La risposta sta nel fatto che a differenza del 2003, nel 2011 l’imprenditoria tedesca non era più contraria all’intervento militare di Libia e nel 2016 si dichiara favorevole alla partecipazione militare in Siria. Adesso i ricchi tedeschi ne vedevano un interesse a prendere parte alle guerre. E quindi i loro giornali e tv non spingevano più per protestare e manifestare contro, ma al contrario, essendone adesso favorevoli, apparivano sulle prime pagine dei giornali e nei dibattiti televisivi politici, esperti, professori, ecc. che a gran voce sostenevano la validità, per la grande Germania, di partecipare alle operazioni belliche all’estero, portando a pretesto il combattere il terrorismo islamico e i cattivi estremisti.  

La motivazione della “lotta al terrorismo” era naturalmente la scusa ufficiale (usata da tutte le borghesie) per coprire il vero motivo della guerra, e cioè la conquista di nuove mercati (sfere di influenza, così definite) dove espandere i lucrosi affari.

Però nella circostanza del fatto della guerra in Libia del 2011 si è assistito ad una situazione particolare in Germania.

Di solito i governi operano in sintonia con quanto gli imprenditori e i media con forza sostengono. Nel caso della guerra in Libia del 2011 invece non è successo questo (è moto raro che questo accada), si è verificata una rottura di questo “modus operandi” unitario: si è assistito ad una situazione dove, da una parte i media, gli imprenditori, molti esperti, parecchi politici, ecc. che sostenevano con forza l’utilità di intervenire militarmente, dall’altra il governo tedesco che invece ne era contrario. Di conseguenza l’operazione militare tedesca non ebbe luogo.

Per la grande borghesia questa è una cosa inaccettabile! Il padronato non può tollerare che il governo (suo) non persegua adeguatamente i suoi interessi.

Perciò insorse uno grosso scontro e lotta contro l’allora 2° governo Merkel.

I giornali e le tv cominciarono a creare scandali a ripetizione contro i partiti che allora componevano il governo, dandone enorme eco e risonanza.

Nel linguaggio politico il segnale ai partiti era forte e chiaro: bisognava aderire alle guerre! (la politica borghese funziona così).

Gli scandali continuarono senza sosta finquando nel 2013 con la formazione del nuovo 3° governo Merkel, (la grande coalizione: CDU-CSU, SPD) tutti i componenti dell’esecutivo si dichiararono a favore dell’intervento militare estero. Allora anche gli scandali terminarono. 

Da allora il governo tedesco ha aderito a tutte le operazioni militari all’estero, con la partecipazione alla guerra in Siria e adesso l’invio di soldati nel conflitto in Mali.

Come detto, un esempio pratico di come la politica borghese (a molti sconosciuta) all’interno delle sue componenti, funzioni e come i governi nella società capitalistica devono essere sempre al servizio dei ricchi (ovviamente giurando il contrario).

Un simile scontro dei media (cioè degli imprenditori) contro il governo, dove le tv e i giornali di continuo attaccano il presidente, lo possiamo ritrovare adesso in America, Già in campagna elettorale i grandi gruppi imprenditoriali (i famosi “poteri forti”) si erano schierati apertamente dalla parte della politica estera della Clinton, contro Trump.

Ma Trump ha vinto le elezioni e adesso i ricchi borghesi si trovano nella difficile situazione che la politica estera del presidente li può danneggiare seriamente negli affari.

Ed è in queste situazioni di scontro tra le varie componenti della borghesia che le masse proletarie vengono utilizzate, coinvolte, manipolate. Come nel 2003 l’imprenditoria tedesca per sottolineare il suo dissenso alla guerra d’Iraq, usava, strumentalizzava le proteste di massa tedesche “contro la guerra” sostenendole, incoraggiandole, con le sue tv e giornali, illudendo milioni di proletari, adesso le masse proletarie americane vengono coinvolte, dirette, nella battaglia a favore dei diritti delle persone, ma il vero scopo borghese è però quello di mettere Trump in difficoltà affinchè modifichi la sua politica estera.

E’ più che giusto battersi per i diritti degli immigrati, delle minoranze etniche, per i diritti delle donne ecc, ma bisogna aver chiaro le strumentalizzazioni che su queste forti e sensibili tematiche i partiti della borghesia conducono. E bisogna essere consapevoli che nel capitalismo il raggiungimento dei diritti delle persone è una cosa sempre precaria, visto che tutta la società ruota sul fine di raggiungere il massimo guadagno e tutte le problematiche (chi a favore e chi contro) vengono strumentalizzate sempre dai partiti della borghesia (dell’establishment o populisti) per il raggiungimento di questo scopo.

Purtroppo come sempre sono i lavoratori che pagano nello scontro tra borghesie.

 

 

c.p – k.k valentin

AI VERTICI DI Hangzhou e Davos

IL GOVERNO CINESE APPROFITTA DELL’ASSENZA AMERICANA PER ASSUMERE UN RUOLO DI GUIDA MONDIALE

-----------------------------------------------------------------------------------

 

LA PRIMA VOLTA NELLA STORIA MODERNA

 

                       (foto - Reuters/ Damir Sagolj)
(foto - Reuters/ Damir Sagolj)

 

Da anni l’imperialismo cinese assieme ai suoi alleati BRICS rivendica più spazio sulla scena mondiale. Rivendica leggi economiche, commerciali, politiche, in seno ad organismi internazionali come il WTO o il Fondo Monetario Internazionale che non siano solo a vantaggio della vecchie borghesie occidentali, ma che favoriscano anche le nazioni emergenti.

La borghesia di stato cinese, che ama definirsi “comunista”, ha buone ragioni nella competizione interimperialista per rivendicare tali spazi, essendo l’economia cinese diventata la 2° economia mondiale (appena dietro a quella americana) e la prima commerciale.

Nei vertici economico-politici di Hangzhou in Cina di sett. 2016 e di Davos in Svizzera nel gennaio di quest’anno, gli si è offerta la possibilità, vista l’assenza del Governo americano alle prese con le elezioni e il dopo elezioni, di mettersi in primo piano.

E i giornali di tutto il mondo, in occasione dei due vertici, hanno dato enorme risalto sia al ruolo svolto dal governo cinese che è stato etichettato come l’inizio di una nuova era, sia alle dichiarazioni dei suoi vertici, dando soprattutto grande risonanza alle dichiarazioni del presidente cinese Xi Jinping.

Xi Jinping non si è fatto perdere l’occasione, visto la situazione di trovarsi al centro dell’attenzione, per esaltare la politica cinese, definita di grande successo. Ha sottolineato, riportato con grande enfasi dai giornali, l’efficacia della recente politica fiscale “flessibile” adottata da Pekino, che ha portato forti profitti all’imprese cinesi. Ha poi ribadito come il forte sviluppo economico cinese che dura da già 35 anni, avvenga in modo “armonioso”, pacifico, per il benessere del mondo intero. Ha anche riportato come in questo momento la Cina stia attraversando una grossa ristrutturazione, che alla fine porterà il paese ad essere più “moderno”.

Non si lascia perdere l’occasione per lanciare anche qualche accusa agli occidentali, quando sostiene che le enormi migrazioni provenienti dal Medio Oriente non sono causate dalla “globalizzazione”, ma da “guerre, turbolenze e conflitti regionali” (intendendo come responsabili naturalmente gli Usa, Francia, Inghilterra, ecc.).

Attacca decisamente il “protezionismo” sostenuto da Trump e ne approfitta per presentare un nuovo progetto di architettura mondiale, dove le nazioni emergenti (I BRICS per l’appunto) svolgano un ruolo  corrispondente al loro peso economico, il tutto, sostiene Xi,  permeato da pace e prosperità.

La proposta di nuovo ordine mondiale che Xi, come rappresentante di una grande borghesia emergente, in questi Meeting presenta, non è altro che il ripetersi di quello che in passato altre borghesie emergenti, che avevano bisogno di un mercato più ampio, hanno già fatto (Stati Uniti, Germania).

Come detto, Xi presenta lo sviluppo della Cina come positivo, pacifico, progressivo, ma arriverà anche per la borghesia cinese, come già accaduto alle altre borghesia emergenti nel passato, il momento di farsi spazio con i pugni e guerre.

I vertici cinesi hanno approfittato in questi due vertici dell’assenza americana. Ma adesso la nuova Amministrazione Trump è al completo e pronta per l’azione.  Come si comporterà il nuovo governo statunitense nella scena mondiale? Adesso tutti gli occhi sono ritornati ad essere puntati di nuovo sul potente imperialismo americano.

c.p – k.k valentin


________________________________________________________________________________________________________

 

 

 

 

-          La compagna M.R. ci manda il suo contributo riguardante la tematica assai dibattuta sull’ECOLOGIA. 

Un ringraziamento particolare da parte della redazione.

 

 

 

PLASTICA E COMUNISMO

 

 

 

“Fiumi e mari sono discariche.

Oggetti di plastica e non, si trovano in tutti i fondali, le particelle degradate dopo molti anni si mescolano e fanno parte della sabbia nelle spiagge.

Nella catena alimentare, anche i pesci che non muoiono pur nutrendosi di elementi plastici, finiscono nei nostri piatti.

I documentari scientifici riportano di correnti marine che all'interno dell'Oceano Pacifico hanno formato un'enorme isola di plastica galleggiante.

Ai bordi delle strade, nelle città, nelle campagne, nelle foreste, sui monti, rifiuti di ogni genere fanno parte dell'arredo ambientale.

Convivere con questo degrado è deprimente.

Nei paesi industrializzati viene svolta la raccolta differenziata.

Questa dovrebbe essere la soluzione per riciclare e tenere pulito l'ambiente.

Di per sé questa idea è positiva, ma nasconde il fatto che tutta l'umanità vive nel sistema capitalistico e da sola non può essere la soluzione.

L'essere umano fin dalle sue origini, per vivere e nella lotta continua per il suo sviluppo, ha dovuto adattare  l'ambiente usandolo, sfruttandolo e modificandolo, ma anche deturpandolo e producendo rifiuti.

Nella nostra società (capitalistica) dove il profitto è il fine di tutte le cose anche il BENE AMBIENTE se non produce denaro passa in secondo piano.

Gli oggetti prodotti, che dopo l’uso gli scarti finiscono nella raccolta differenziata, non sono una produzione di beni per soddisfare i bisogni delle persone , ma la loro produzione   essendo finalizzata alla vendita, implica  l'impiego della plastica in tutti i settori, anche se questa potrebbe essere sostituita con altro materiale, magari meno inquinante.

La ricerca scientifica impiegata ad individuare metodi per limitare  l'uso della plastica o sostituirla con altri materiali non mancherebbe, ma non viene sviluppata o incentivata se non produce profitto o va in contrasto con  i profitti  ricavati dalla vendita del petrolio e la lavorazione dei suoi derivati.

Non parliamo poi di alcuni micro cips inseriti volutamente in molti elettrodomestici che ne determinano il loro tempo di funzionamento ponendoli fuori uso e non più riparabili. E' uno stratagemma dei produttori che consente loro di mantenere alte le vendite e quindi il profitto. Ovviamente la conseguenza è che si accumulano sempre più prodotti di scarto.

In una società superiore (comunista) dove la ricerca verrà impiegata per soddisfare i bisogni dell'uomo, l'utilizzo della plastica sarà perfezionato al meglio, nel rispetto dell'ambiente.

In attesa della società comunista cosa si può fare?

La raccolta differenziata si può continuare, ma importantissimo è studiare  e approfondire il funzionamento della società attraverso la scienza marxista.

Scienza marxista, che se applicata alla falsa ideologia ambientalista che ci viene proposta, ci serve per smascherare le contraddizioni che inevitabilmente il capitalismo ha intrinseche, anche nell'aspetto ecologico-ambientale.

Solo così  daremo un contributo per un avvenire migliore (certamente comunista).”

M.R.

Punti fermi della scienza marxista

 

 

CHE COS’E’ IL SOCIALISMO?

 

Karl Marx

 

Moltissimi giovani sono interessati e ci pongono in continuazione questa domanda.

La nuova società socialista è il punto fondamentale che muove le aspirazioni delle persone che vivono in questa  società tormentata da mille contraddizioni, crisi e guerre.

E’ normale quindi cercare di capire bene.

 

Definizione di socialismo:

Il socialismo non è la statalizzazione dei beni di produzione come gli stalinisti, i maoisti e alcune correnti trotzkiste affermano. E’ certamente la statalizzazione dei beni di produzione, ma in un mercato dove i prodotti non vengono più venduti, ma suddivisi tra la popolazione per il benessere comune.

 

Quando si afferma che il socialismo è da ogn’uno secondo le sue capacità, ad ogn’uno secondo i suoi bisogni” ovviamente si intende, ed è universalmente riconosciuto, che questo avviene in un mercato dove le merci non vengono più vendute, commercializzate per trarne un guadagno, dove esistono ancora i lavoratori dipendenti  sfruttati dallo stato nazionalista, il quale per trarre un guadagno vende i prodotti in un mondo pieno di concorrenza, con crisi e guerre, sfruttamento, fame e povertà, ma in mercato dove i prodotti sono suddivisi tra la popolazione per il bene comune.

 

ED E’ POSSIBILE ARRIVARE A QUESTO!

 

 

Riportiamo al lettore anche una citazione di Engels che ci chiarisce egregiamente il falso socialismo statale nazionalista  (o stalinismo).

 

F. Engels

 

“Di recente però, da quando Bismarck si è dato a statizzare, ha fatto la sua comparsa un certo socialismo falso, e qua e la è persino degenerato in una forma di compiaciuto servilismo, che dichiara senz’altro socialista ogni forma di statizzazione”.

 

                                                                                                               ”Antidühring” 1878


__________________________________________________________________________________________________________

 

 

 

 

 

 

-PERCHE’ SIAMO LENINISTI E NON STALINISTI-

-------------------------------------------------------------------

IN RUSSIA DOPO LA RIVOLUZIONE DEL ’17:

LENIN PARLA DI CAPITALISMO DI STATO

MENTRE STALIN DI SOCIALISMO. PERCHE’?

DOVE STA LA DIFFERENZA?  E CHI HA LA GIUSTA VISIONE?

 

 

Dopo la rivoluzione di ottobre, Lenin afferma che nella Russia i bolscevichi assieme al proletariato rivoluzionario al potere stanno conducendo una economia non “socialista”, ma a “capitalismo di stato”.

 

 

Lenin: “ Il nostro capitalismo di Stato si differenzia assai sostanzialmente dal capitalismo di Stato dei paesi che hanno governi borghesi, proprio perché da noi lo Stato non è rappresentato dalla borghesia, ma dal proletariato, che ha saputo conquistarsi la piena fiducia dei contadini ”

                              Lenin  “Lettera alla colonia russa nel nord America”    novembre 1922

 

 

Perché Lenin afferma questo?

 

Lenin: “Comunismo possibile solo dopo rivoluzione internazionale”  “Quando abbiamo iniziato a suo tempo la rivoluzione internazionale, lo abbiamo fatto non perché fossimo convinti di poter anticipare lo sviluppo, ma perché tutta una serie di circostanze ci spingeva ad iniziarla. Pensavamo: o la rivoluzione internazionale ci verrà in aiuto e allora la nostra vittoria sarà pienamente garantita, o  faremo il nostro modesto lavoro rivoluzionario, consapevoli che, in caso di sconfitta, avremo giovato alla causa della rivoluzione e la nostra esperienza andrà a vantaggio di altre rivoluzioni.

Era chiaro per noi, che senza l’appoggio della rivoluzione mondiale la vittoria della rivoluzione proletaria era impossibile. Già prima della rivoluzione e anche dopo di essa pensavamo:  o la rivoluzione scoppierà subito, o almeno molto presto negli altri paesi capitalistici più sviluppati, oppure, nel caso contrario, dovremo soccombere.”

                                                                                                                                           Lenin   1921  

 

L’obbiettivo finale della rivoluzione e del proletariato russo quindi, come chiaramente espresso da Lenin, non era certo il “capitalismo di stato” vigente in quel momento rivoluzionario, che era solo una fase, un momento di passaggio, di transizione inevitabile. L’obbiettivo finale  esplicitamente dichiarato è:  “La rivoluzione internazionale!”.

Perché secondo Lenin, solo la rivoluzione internazionale può portare a quella società superiore, cioè al socialismo.

 

 

Lenin: "L'espressione 'Repubblica sovietica socialista' significa decisione del potere sovietico di attuare il passaggio al socialismo, ma ciò non significa affatto riconoscere che l'attuale sistema economico è socialista"

                                                                                       Lenin in "Sull'imposta in natura", 1921

 

Lenin: “Non si è trovato un solo comunista, mi pare, il quale abbia negato che l’espressione ‘Repubblica socialista sovietica’ significa decisione del potere sovietico di attuare il passaggio al socialismo (attraverso il capitalismo di Stato, “anello intermedio fra piccola produzione e socialismo”) ma non significa affatto che l’attuale sistema economico sia socialista”.                                                                                                                                                                                          Lenin. discorso alla NEP, 1920

Lenin ripeterà un’infinità di volte, fino alla noia il concetto che il “capitalismo di Stato”rivoluzionario russo non significa “socialismo”.

La rivoluzione russa è quindi nella politica leninista–bolscevica e del proletariato russo solo l’inizio di tutta una serie di rivoluzioni.

 

Stalin però non è di questo parere.

 

 

Stalin: “Teoria del socialismo in un paese solo”

«Prima si considerava impossibile la vittoria della rivoluzione in un solo paese, perché si riteneva che per vincere la borghesia fosse necessaria l’azione comune del proletariato di tutti i paesi avanzati o almeno della maggior parte di essi. Oggi questo punto di vista non corrisponde più alla realtà. Oggi bisogna ammettere la possibilità di una tale vittoria [del socialismo in un solo paese, n.d.r.] perché il carattere ineguale, a sbalzi, dello sviluppo dei diversi paesi capitalistici nel periodo dell’imperialismo, lo sviluppo delle catastrofiche contraddizioni interne dell’imperialismo che generano delle guerre inevitabili, lo sviluppo del movimento rivoluzionario in tutti i paesi del mondo, tutto ciò determina non solo la possibilità, ma l’inevitabilità della vittoria del proletariato in singoli paesi. »                                                                                                                                          Stalin   1925

Per Stalin dunque, al contrario di Lenin, il “socialismo in un paese solo” diventa possibile.

Stalin applica una svolta, un radicale cambio di politica improvviso. Come mai questa differenza rispetto a Lenin e, in sostanza, rispetto a Marx?

A questo punto ci si pone il problema di chiedersi che cos’è allora “il socialismo”.

Il concetto universalmente riconosciuto di socialismo (o comunismo) è che è un tipo di società dove: “da ogn’uno secondo le sue capacità, ad ogn’uno secondo le sue necessità” e questo è possibile solo se i prodotti in quel tipo di società non vengono più venduti, commerciati per trarne un guadagno, ma vengono suddivisi tra la popolazione per il benessere comune. Di conseguenza spariscono le classi sociali, sparisce lo sfruttamento, il guadagno, le banche, la concorrenza, ecc.

Ma dopo la rivoluzione russa dell’ottobre, nel tipo di società che i bolscevichi e il proletariato rivoluzionario russo si trovavano a gestire, è noto che i prodotti venivano ancora venduti, commercializzati e non venivano suddivisi tra la popolazione. Di conseguenza continuava a rimanere il proletariato anche se gestiva le fabbriche, la concorrenza, il guadagno, le banche, i sindacati, ecc.

Tutto questo era inevitabile perché l’economia in un singolo paese (o più paesi assieme) è parte di un mercato globale dove per produrre un singolo prodotto, gli elementi che compongono il prodotto (materie prime, macchinari per produrla, pezzi vari, tecnologie, ecc) provengono da un’infinità di nazioni che intercommerciando tra di loro in un continuo vendere-comperare, permettono all’economia di proseguire. La mancanza di parte di questi elementi inevitabilmente, com’è logico che sia,  blocca la produzione non “autosufficiente”  della singola nazione, che di conseguenza velocemente si indirizza verso la rovina, con relative reazioni sociali che ben si possono immaginare.   

Queste elementari basi economiche erano del tutto note ai capi bolscevichi e a Lenin, che infatti ripetutamente precisa “ciò non significa affatto riconoscere che l’attuale sistema economico è socialista» .

In questa consapevolezza diventa perciò chiaro il perchè del “Comunismo possibile solo dopo rivoluzione internazionale” . La “Rivoluzione internazionale”  diventa quindi la necessità che permette al mercato di diventare così esteso da essere completamente autonomo nella produzione dei beni.

 

Stalin quando afferma “Oggi bisogna ammettere la possibilità di una tale vittoria” (cioè del “socialismo in un singolo paese”) tace volutamente cosa significhi realmente socialismo nelle sue basi economiche.

E naturalmente tace anche di proposito dell’esistenza di una “fase transitoria” inevitabile a “capitalismo di stato”, come ripetutamente afferma Lenin, come prima fase per poi proseguire verso la “Rivoluzione internazionale” e quindi al socialismo.

A questo punto diventa chiaro che Stalin approfitta del “capitalismo di stato”, cioè della statalizzazione dell’economia raggiunta dai bolscevichi  e dal proletariato russo attraverso la Rivoluzione, per elaborare la sua tesi che questa statalizzazione improvvisamente diventa “il Socialismo” ,  anche se tutte le leggi economiche operavano capitalisticamente.

Anche il fatto che il proletariato russo rivoluzionario fosse al potere viene astutamente usato da Stalin per sostenere che anche per questo motivo si era già in regime  di“socialismo”. Fondamentale per Stalin era tener nascosto che operavano ancora le leggi capitalistiche.

La “rivoluzione internazionale” perseguita dai bolscevichi e da Lenin diventa quindi, nel concetto staliniano, superflua, non più lo scopo finale. E sparisce di conseguenza anche l’obbiettivo di socialismo come suddivisione dei prodotti per il bene comune.

Stalin, per poter poi imporre queste sue tesi, questo suo inganno, dovrà arrivare ad eliminare, anche fisicamente, quasi tutti i capi bolscevichi, veri comunisti, che naturalmente erano a lui contrari. 

Si può quindi tranquillamente affermare, che se l’economia russa sotto Stalin non era socialista,( e non lo era,) ma capitalista, questa economia avrebbe subìto, come logica, tutte le contraddizioni di una qualsiasi altra economia capitalista.

E infatti questo è quello che è avvenuto. 

Stalin, nella lotta di concorrenza capitalistica per allargare la sua sfera di influenza, (come qualsiasi borghese imperialista) si alleerà nel 1938 con l’odiato  nemico nazista Hitler per conquistare e poi spartirsi la Polonia perpetrando massacri inauditi. Poi quando nel (‘41 ?) Hitler gli invade la Russia, Stalin si alleerà con gli odiati imperialisti occidentali Gran Bretagna e Usa, prima sempre ripudiati ed etichettati come briganti e banditi, per poi a guerra vinta, assieme a loro spartirsi imperialisticamente sia la Germania sconfitta, che il resto dell’est Europa.  In questa sua politica nazionalista imperialista, Stalin e la sua cricca continueranno a farsi chiamare “comunisti”, “compagni”, a mantenere la terminologia marxista, in modo da preservare la fiducia  dei lavoratori.

Altri partiti nazionalisti  più tardi, per cogliere la fiducia delle masse, si definiranno “comunisti”,  seguendo l’esempio stalinista del  capitalismo di stato nel cosiddetto “socialismo in singolo paese”. Stiamo parlando di Mao Ze Dong che in Cina nel (?) porterà a termine la rivoluzione borghese contadina.  L’economia borghese  condurrà la Cina  in uno sviluppo capitalistico vertiginoso di durata più che decennale, portando  il paese a diventare una delle potenze imperialistiche più forti al mondo qual’è attualmente. Anche la rivoluzione a Cuba sarà di marchio stalinista con nulla a che vedere  con il comunismo.

Subito dopo la rivoluzione del ’17 Lenin afferma che “o la rivoluzione [ negli altri paesi - n.d.r.] scoppierà subito (…) oppure nel caso contrario dovremmo soccombere”. Certo Lenin non poteva sapere, ne immaginare, che proprio lo stalinismo sarà la forma politica controrivoluzionaria che farà “soccombere” la rivoluzione russa. Sarà proprio lo stalinismo l’agente controrivoluzionario che farà scomparire l’obbiettivo della “rivoluzione internazionale” come mezzo per arrivare al socialismo e dichiarerà la statalizzazione  delle imprese in regime capitalistico come “socialismo”.  Sarà proprio lo stalinismo che trasformerà la politica internazionalista rivoluzionaria in politica borghese nazionalista, con l’ unico scopo di portare profitti alle imprese statali russe.


___________________________________________________________________________________________________________

 

 

 

 

Punti fermi della scienza marxista

Riproponiamo qui al lettore un articolo tratto dalle dispense “Teoria e pratica del marxismo” edito da “Lotta Comunista” nel 1996.

 

 

MERCE E DENARO

Le basi della società capitalistica

(PARTE PRIMA)

 

 

LA MERCE

Parlando de ”Il Capitale”, opera nella quale espone compiutamente la sua dottrina economica, Marx scrive che “fine ultimo al quale mira quest’opera è di svelare la legge economica della società moderna” ossia della società capitalistica.

Per svelare queste leggi economiche l’analisi fatta da Marx incomincia con l’analisi della mesce, proprio perché nella società capitalistica è dominante la produzione di merci.

Una merce è un prodotto del lavoro che non è stato creato per il proprio uso dal produttore, bensì  allo scopo di essere scambiata con altri prodotti. Le particolarità che fanno di un prodotto una merce non sono dunque particolarità naturali, ma sociali; sono cioè un prodotto del lavoro umano per lo scambio.

La cosa si può chiarire con un esempio. Il filo che una ragazza fila con il lino in una famiglia contadina primitiva, per poi farne un tessuto che viene consumato dalla famiglia stessa, è un oggetto d’uso, ma non una merce.

Se però un filatore fila del lino al fine di scambiarlo con il grano del contadino suo vicino, o se un fabbricante fa filare quotidianamente molti quintali di lino per vendere il prodotto, allora questa è una merce.

Oggigiorno tutti i prodotti del lavoro umano assumono la forma di merci perché non si produce più per l’autoconsumo, ma per lo scambio, per il mercato.

Nelle società primitive non c’è una produzione di merci o è molto limitata. Con lo sviluppo delle forze produttive (con l’agricoltura, la pastorizia, la lavorazione dei metalli) aumenta la divisione del lavoro e la produzione diventa essenzialmente produzione di merci.

Quindi la merce ha lo scopo di essere scambiata, a condizione però che soddisfi un bisogno umano qualsiasi; deve essere un oggetto utile, deve possedere cioè un valore d’uso, come dice Marx.

Ma appena essa viene scambiata con un’altra merce (col baratto o attraverso la mediazione del denaro che è l’equivalente comune delle merci) constatiamo che ciò avviene sempre in un determinato rapporto numerico.

Le merci hanno quindi non solo un valore d’uso, ma anche un valore di scambio.

Il problema adesso è però di capire che cosa costituisce questo valore di scambio, per cui due merci con valore d’uso e caratteristiche naturali diverse possono essere scambiate in un determinato rapporto.

Se pensiamo ad uno scambio qualsiasi tra un moggio di grano contro un quintale di ferro (secondo un esempio di Marx), grano e ferro non hanno niente in comune se non d’essere entrambi prodotti del lavoro umano.

Infatti sono merci nelle quali sono contenute eguali quantità di lavoro, hanno quindi la stessa grandezza di valore: è dunque il tempo di lavoro umano necessario per produrre, l’unità di misura del valore di una merce.

Si potrebbe obiettare, dice Marx, che a questa stregua quanto più incapace o pigro è un produttore, di tanto maggior valore è la sua merce.

Ovviamente non è così; ogni singolo produttore produce valore nella misura in cui rispetta la quantità di tempo socialmente necessario (cioè che mediamente viene impiegata nella società) alla produzione di una determinata merce, altrimenti il produttore pigro andrebbe fuori mercato, come si dice oggi, e la sua merce rimarrebbe invenduta.

La grandezza di vapore di una merce varia pertanto direttamente con il variare della quantità di lavoro che contiene inversamente con il valore della capacità produttiva.

Per la definizione che ne abbiamo dato il valore si manifesta dunque con lo scambio: esaminando i diversi tipi di scambio in una società capitalistica, Marx comincia con il descrivere scambi per il consumo che si hanno quando il produttore scambia la merce che produce con altra merce che gli serve per il consumo: pensiamo ad esempio, dice Marx, ad un tessitore che vende, poniamo, venti braccia di tela a due sterline e con queste due sterline compra una bibbia onde edificarsi spiritualmente (per il proprio consumo). Così facendo il tessitore trasforma la merce da lui prodotta (tela) in denaro e poi trasforma il denaro in merce (bibbia): cioè vende per comprare. In tal modo si realizza una circolazione della merce che si può schematizzare: merce, denaro, merce, cioè M-D-M. 

 

(segue nella prossima edizione: IL PLUSVALORE)

Punti fermi della scienza marxista

 Proseguiamo qui nell’approfondimento del falso socialismo,

cioè del capitalismo di stato camuffato da “socialismo”

 ____________________________________________

 

EX DDR: NON SOCIALISMO, MA CAPITALISMO DI STATO.

 

COME LE CHIESE VEDEVANO IL COSIDDETTO “SOCIALISMO REALE” DELL’EX URSS, E PAESI SATELLITI.

 

 

 

Proseguiamo nella nostra rubrica nell’approfondimento del “Capitalismo di Stato”, andando ad analizzare tutti gli aspetti riguardanti questo fondamentale nodo economico-politico.

Innanzitutto, come citato nel titolo, per il marxismo il socialismo (cioè il proletariato al potere dove i prodotti sono suddivisi tra la popolazione per il benessere comune)  è tutt’altra cosa di quanto avveniva in Unione Sovietica e nei suoi paesi satelliti inclusa l’ex DDr, anche se in questi paesi l’establishment politico staliniano continuava a definirsi “comunista”. Per il marxismo nell’ex Unione Sovietica (come chiariamo in altri articoli in questo giornale)  esisteva il capitalismo, nella forma del “Capitalismo di Stato”.

In questo articolo vogliamo affrontare l’aspetto di come le chiese,  le religioni si rapportavano con questa forma di capitalismo.

E’ bene subito chiarire che le chiese, sebbene affermino essere ispirate direttamente da dio (quale sarà poi quello giusto, non si sa) non si sono mai poste il problema, come facciamo noi marxisti, di chiedersi se in quei paesi esisteva veramente il socialismo, cosa sia realisticamente il socialismo, ecc. ma hanno sempre preso per buono quello che i media diffondevano, e cioè che in quei paesi esisteva questo cosiddetto “socialismo reale”.  Come detto, per noi marxisti una falsità, ma per le chiese con i loro Dei questa era la realtà.

Il Capitalismo di stato (o falso socialismo) nella forma stalinista dell’ex Unione Sovietica e paesi satelliti, e adesso a Cuba, in Cina, Corea del Nord, è noto essere alquanto antireligioso. La nomenclatura borghese capitalstatale al potere riteneva (e ritiene) superfluo usare le religioni per il controllo del proletariato, come invece avviene nelle nazioni occidentali. Perciò la forma dominante in questi paesi era ed è l’ateismo dove le chiese non sono ben tollerate, se non ostacolate.       

Certamente le organizzazioni religiose si presentano sempre come misericordiose, aiutanti del prossimo, esibiscono un Dio che ama tutti, ecc. ma se le si tocca sui soldi divengono tutta un’altra cosa. In realtà sono formazioni che hanno un estremo bisogno di denaro, senza il quale vanno quasi in estinzione. Un bisogno di denaro in gran quantità che possono ricevere solo dalla borghesia in cambio di servizi. In altre parole, le chiese vengono pagate profumatamente per svolgere un ruolo di “ammortizzatori sociali”, cioè vengono pagate per occuparsi dei poveri, dei drogati, o svolgono attività negli ospedali o psichiatrie, nel sociale, ecc.

Si può quindi immaginare la collera dei preti sempre alla ricerca di soldi nel vedersi, in alcuni paesi, rifiutati, se non addirittura ostacolati. Ecco che allora il tanto conclamato amore di Dio verso il prossimo si trasforma in astio, odio verso i governi di quei paesi, la fratellanza tra persone si converte in lotta dura contro i politici avversi.

Ed è esattamente l’atteggiamento che le chiese avevano verso  i paesi dell’est Europa ateisti ritenuti “socialisti”.

Erano il “diavolo”,  da combattere ed eliminare.

Se poi si aggiunge che le religioni nutrono da sempre un odio profondo verso il marxismo che le definisce “l’oppio dei popoli” e che il comunismo prevede in una società futura di togliere loro tutti i privilegi e possedimenti per distribuirli tra la popolazione e mandare i preti a lavorare, diventa ancora più logico per noi capire come per loro, quando una nazione si autodefinisce “comunista” e pratica l’ateismo, diventi normale vederla come nemico, come un “diavolo”, un grosso pericolo da combattere.

Ed è esattamente così che avveniva nell’ex Unione Sovietica e paesi satelliti, ed adesso in Cina e ieri a Cuba (dove adesso c’è anche un riavvicinamento con la chiesa).

 

Tutte le religioni, in quanto frutto delle fantasie e mitologie del passato, non avendo alcun fondamento scientifico, non hanno la benché minima idea di quali siano i rapporti sociali che esistono in una nazione e quali siano gli interessi di classe in campo. Tutte le chiese, predicando tutto e il contrario di tutto si mettono sempre al servizio delle ricche borghesie svolgendo un ruolo di stampella ad un sistema strapieno di contraddizioni e sfruttamento. 


Email

Visits

Social

Blog

Home