LA RIVOLUZIONE E’ POSSIBILE !

 

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Rivoluzione possibile per arrivare

alla società superiore.

 

La società  capitalistica presenta un’enormità di contraddizioni visibili a tutti e nel suo sviluppo procede a cicli in cui si alternano lunghi momenti in cui la rivoluzione non è possibile a corti, ma intensivi momenti, in cui la rivoluzione è possibile.

Nei lunghi cicli di espansione con relativo benessere, in cui le contraddizioni non sono così acute e sono relativamente limitate, la borghesia che domina la società può senza grossi problemi controllare il proletariato.

Ma ben diversa si presenta la situazione quando arrivano i corti ma particolarmente intensivi momenti in cui gli affari producono crisi acutissime con guerre. In queste situazioni il proletariato viene portato a condizioni estreme con immani distruzioni , fame, innumerevoli morti.

E’ in queste situazioni, come ben visto da Marx e confermato più volte dalla storia, che si creano le condizioni materiali perché il proletariato in massa possa reagire contro la propria borghesia, combattere e arrivare  alla rivoluzione.

Ma perché la rivolta contro i ricchi, perché la rivoluzione abbia successo, ci deve essere nel paese dove il proletariato insorge, la presenza,  già da tempo, di una organizzazione rivoluzionaria sufficientemente estesa che con i suoi quadri rivoluzionari, vale a dire con i suoi esperti in politica rivoluzionaria, possa condurre la  rivolta alla presa del potere, come la rivoluzione russa dell’ottobre con successo ha dimostrato.

Senza il partito rivoluzionario, cioè senza la presenza ramificata di questi esperti, anche se le condizioni materiali per la rivoluzione sono presenti, la rivoluzione stessa non è possibile, come spesso già visto. 

 

 

Dal   Sitoweb    "Der kommunistische Kampf"   - LE NOSTRE POSIZIONI -

 

 

 

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LA RIVOLUZIONE E’ POSSIBILE?

 

IN UNA SOCIETA’ CAPITALISTICA CHE SI MUOVE A CICLI : 

MOMENTI ADATTI ALLA RIVOLUZIONE, ALTRI NO!

 

 

 

Una delle domande più frequenti che ci vengono poste durante la nostra attività è: “MA LA RIVOLUZIONE E’ POSSIBILE?”

A tal riguardo intervistiamo I.L. nostro attivista internazionalista.

Dom: - Cosa ne pensi di questo argomento?

Risp: “Si, effettivamente questa è una delle domande  più ricorrenti. E trovo che sia del tutto normale che venga posta”.

Dom: - Cosa ti viene chiesto?

Risp: “Quando sono in diffusione del giornale  spesso mi viene chiesto perché faccio questo lavoro, cioè perché mi occupo di una politica così radicale  e quale ne sia lo scopo.”

Dom: - Si. E allora?

Risp: “Ma per ‘ARRIVARE ALLA RIVOLUZIONE!’  rispondo io. Spiego  che:  noi siamo contro questo sistema pieno di contraddizioni, sfruttamento, guerre, crisi e che vediamo la possibilità e la necessità di arrivare ad una società superiore. Ma per ottenere questo c’è bisogno di una rivoluzione. E qui, quando affermo queste cose, la curiosità di chi mi ascolta aumenta.”

Dom: - E perché aumenta?

Risp: “Mi chiedono: - ‘Com’è possibile pensare di fare una rivoluzione con le persone che non si interessano dei problemi della società, tantomeno di politica, pensano più a divertirsi? E poi con questo apparato statale, che ha tutto sotto controllo, controlla bene la popolazione e conosce mille trucchi per dargli falsi obbiettivi per distoglierla dai suoi veri problemi?’ -  domande che per me sono più che legittime”.

Dom: - E tu cosa rispondi?

Risp: “Che forse loro non sanno che il capitalismo si muove a cicli. Non bisogna farsi ingannare dal momento in cui si vive. Certo, adesso è così, viviamo in un momento di relativo benessere e la gente non pensa certo alla rivoluzione, questo è normale. Ma  non è sempre stato così e non sarà certo sempre così! Chi si interessa di politica, a chi piace la politica, 

deve avere la consapevolezza profonda che la società capitalistica è in continuo movimento: lunghi momenti di espansione con relativo benessere che si alternano a corti, ma intensivi momenti, di crisi, anche molto gravi, che si possono trasformare in guerre. Tutto questo non dipende dalla volontà delle persone, ma è il  movimento oggettivo del sistema affaristico.  La gente comune queste cose non le conosce, ma noi che ci interessiamo di politica, le dobbiamo conoscere. Alla gente comune, che adesso sta vivendo un lungo momento di benessere, sembra impossibile che possano ritornare ancora momenti terribili ed è normale che pensi che la situazione non si modificherà mai più in negativo e rimarrà sempre così. Ma noi marxisti scientifici, esperti del ciclo capitalistico e quindi di realtà, sappiamo benissimo che il mondo degli affari è controverso e orribile e che causerà ancora situazioni terribili. E’ il ciclo capitalistico individuato a suo tempo da Marx e da Engels e confermato mille volte dalla realtà. E noi sappiamo  benissimo che la gente oggi è tranquilla e non pensa alla rivoluzione e ad una società superiore, semplicemente perché la situazione è tranquilla, ma se la situazione cambiasse e si modificasse , si esasperasse, anche le persone si modificheranno e una volta arrivati all’ esasperazione cominceranno in massa a pensare alla società superiore. E quello sarà il momento della rivoluzione! Esattamente come hanno fatto a suo tempo i bolscevichi con successo.” 

Dom: - Quindi ci sono momenti adatti alla rivoluzione e altri no?

Risp: “Esattamente! E’ questo che sfugge a molti di sinistra. E anche loro fanno l’errore di pensare che la situazione tranquilla e di relativo benessere in cui viviamo rimarrà sempre così. Quindi non capiscono perché si parli di rivoluzione, di società superiore. A loro sembra strano che ci siano attivisti rivoluzionari “veri”, cioè che vedono un futuro realmente rivoluzionario e si mobilitino per questo”.

Grazie compagno.

 

 

(traduzione da "Der kommunistische Kampf" -aprile 2016)

 


 

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LE CRISI COME OCCASIONI RIVOLUZIONARIE

MARX E I MOMENTI OPPORTUNI PER LE RIVOLUZIONI

- O MOMENTI RIVOLUZIONARI -

 

Le rivoluzioni possibili solo in momenti di profonde crisi. 

TUTTE LE RIVOLUZIONI STORICHE SONO AVVENUTE IN QUESTE CONDIZIONI

 

Le rivoluzioni dimostrano che la realtà non è statica e ne immutabile, ma è radicalmente trasformabile.

 

      Nelle crisi il dominato diventa potente. Diventa potente perché oltre che contare sul numero, fatto non secondario di essere massa sociale, è il momento dove si scuote dal suo torpore e si trova nella situazione oggettiva di chiedersi da dove deriva la sua disastrosa situazione. E’ la scossa della crisi che lo mette in movimento attivamente, sia fisicamente che mentalmente.  

La massa dominata dalla piccola minoranza non è propensa in genere alla ribellione, alla rivoluzione, se la sua situazione sociale è vivibile, tollerabile. E’ un dato di fatto e questo ai dominanti è molto chiaro. Completamente diverso si trasforma però il contesto quando improvvisamente subentra una forte crisi destabilizzante che stravolge e depaupera considerevolmente la vita dei sottomessi. E’ in questi momenti storici di profonde e notevoli crisi, quando il dominante non è più in grado di controllare l’esplodere delle contraddizioni, che si pone storicamente all’ordine del giorno la possibilità della rottura rivoluzionaria.

Ne deriva perciò che più le crisi sono profonde e più forte è la reazione del dominato. E’ quindi nella crisi gravissima e prolungata che si creano le condizioni oggettive di massa per la rivolta, la rivoluzione, il salto storico. La storia ci dice che ha sempre corso in questa direzione. E che solo in questi appuntamenti storici la maggioranza si pone contro la minoranza.

Così è successo con la rivoluzione francese del 1789, dove una lunga e grave carestia  che provocava una profonda miseria sociale ha portato le masse francesi alla rivolta contro la nobiltà parigina, portando la borghesia al potere. Così è stato con la rivoluzione russa del ’17, dove un profondo disfacimento economico-sociale causato dalla lunga guerra ha portato le 

masse russe disperate a rivoltarsi contro lo zarismo.

Anche il sistema sociale capitalistico è causa continua di crisi. Crisi che in alcuni momenti possono essere veramente profonde trasformandosi in guerre, morti di massa, fame.

Ma adesso, in questi momenti di espansione economica e relativo benessere sociale, i capitalisti negano decisamente che il loro sistema borghese possa essere causa di tali disastri, incolpandone caso mai come motivo i cattivi e non il profitto. E accusano i marxisti di esagerazione, utopia, catastrofismo, quando quest’ultimi affermano che le crisi e le guerre sono parte integrante del sistema, che il capitalisti ne sono la vera causa e non possono esistere senza di esse.

Ma noi marxisti insistiamo, ribadiamo, che non ci si deve illudere. Se oggi si vive in un relativo benessere questo non significa affatto che la situazione rimarrà sempre così. No, non ci si deve proprio  illudere, come ripeteva costantemente il grande Marx. Il capitalismo è terribilmente imprevedibile, si sa. Domani la borsa potrebbe improvvisamente crollare e una nuova profonda crisi si potrebbe di nuovo inaspettatamente ripresentare, portando la società ai noti disastri, inimmaginabili oggi per violenza, ma però ben intuibili.

 

Una situazione disastrosa quindi si ripresenterebbe riaprendo, ricreando le condizioni oggettive per la rivoluzione.

La crisi vista quindi come motore dei cambiamenti storici.

 

E’ su questo che dobbiamo quindi ragionare. Su una realtà oggettiva. E non sulle fantasie infantili di una rivoluzione gradualista o parlamentare.

Ed è su questa realtà che ci dobbiamo organizzare.

 

(traduzione da "Der kommunistische Kampf" - novembre 2019)


 

 

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A CHE COSA SERVE UNA RIVOLUZIONE?

 

Nella politica comunista per l’edificazione di una società superiore la rivoluzione è concepita

come rivoluzione mondiale. Non può essere altrimenti.

 

 

 

La rivoluzione in un singolo paese ha quindi un preciso scopo: organizzare le altre e successive rivoluzioni. Questo è punto fisso.

Ne consegue che l’arrivo al potere del proletariato in una nazione attraverso la rivoluzione ha si lo scopo, in quella determinata nazione, di mantenere il proletariato al potere, ma il compito assolutamente principale, attraverso la vittoria in quella determinata nazione, è organizzare i partiti e le organizzazioni rivoluzionarie negli altri paesi, per  poi, quando i momenti propizi rivoluzionari si presenteranno di nuovo, condurre le altre rivoluzioni.

Quindi se la rivoluzione in questo determinato paese soccombe, per svariati motivi: dall’esterno per l’attacco militare congiunto delle borghesie mondiali che hanno interesse a sopprimere la rivoluzione; o dall’interno, per motivi economici, in quanto il paese rivoluzionario dove il proletariato è giunto al potere viene isolato economicamente e versa in indescrivibili problemi economici e sociali che determinano come riflesso, l’emergere all’interno della nazione di movimenti politici e sociali borghesi che agendo riescono, in vari modi, a far crollare la rivoluzione – questo, cioè il crollo della rivoluzione in quel determinato paese, nella strategia della rivoluzione internazionale, non ha alcuna importanza, in quanto, grazie al fatto che sono stati formati partiti/movimenti rivoluzionari in tutto il mondo, nei successivi momenti rivoluzionari catastrofici le rivoluzioni riesploderanno dappertutto, giungendo allo scopo di rivoluzioni a catena. QUESTO E’ IL VERO OBBIETTIVO iniziando una rivoluzione in una nazione, per l’edificazione di una società superiore. 

Certamente la conquista rivoluzionaria proletaria in un determinato paese richiede che il proletariato arrivato al potere faccia tutti gli sforzi possibili per rimanerci, ma questo, VA ANCORA UNA VOLTA RIBADITO non è l’obbiettivo principale della rivoluzione, deve essere chiaro.

Perché è nel promuovere e organizzare con tutti gli sforzi e i mezzi possibili le rivoluzioni in tutto il mondo, cioè in ultima istanza, con la rivoluzione internazionale, che si può abbandonare il vecchio caotico sistema capitalistico commerciale strapieno di contraddizioni e problematiche e passare ad un sistema economico sociale organizzato, in cui la produzione possa essere condivisa equamente tra la popolazione, senza più la caotica e disastrosa vendita delle merci.

Pertanto la rivoluzione del proletariato in un paese può essere vista e concepita solo in questa prospettiva.

IL RUOLO FONDAMETALE DELL’INTERNAZIONALE.

In questa prospettiva di organizzazione di rivoluzioni in tutti i paesi, fondamentale è il ruolo della costituzione dell’Internazionale. 

Un’organizzazione sovranazionale di partiti e movimenti rivoluzionari, dove essi, in comune accordo, possano trovare il giusto orientamento di corrette posizioni politiche, di sistemi organizzativi efficaci di unione e aiuto reciproco. L’Internazionale assolverà il suo compito storico solo quando il capitalismo a livello globale non sarà completamente sconfitto e sarà scomparso.

 

Tutto ciò, è evidente, è in completa contraddizione con la truffaldina e ingannatrice politica borghese stalinista nazionalista del “socialismo in un solo paese”. Una politica che mira solo a portare i nazionalisti stalinisti al potere, dove essi attraverso lo stato, gestiscono “il capitalismo statalizzato” in concorrenza contro altri capitalismi, che a loro volta potrebbero essere anch’essi statalizzati, come avvenuto nel passato anche con guerre, come la guerra tra la stalinista Unione Sovietica e la maoista Cina nel 1969 o il conflitto tra la maoista Cina e il “socialista” Vietnam nel 1979. Stalinisti che, in una società borghese in cui  tutte le leggi caotiche e disastrose del capitale continuano ad operare, dirigono capitalistiche banche statalizzate, capitalistiche industrie statalizzate, capitalistiche aziende commerciali statalizzate, luoghi di lavoro, e così via, sostituendosi ai capitalisti privati nelle loro attività. Gli esempi pratici di questa pratica borghese non mancano: oggi sono la Cina, Cuba, Corea del Nord, e nel passato l’Unione Sovietica e tutti i suoi sottomessi paesi satelliti.

Bisogna aver chiaro lo scopo di una rivoluzione proletaria per, alla fine, essere vittoriosi contro la borghesia e che gli sforzi fatti non siano stati vani.

 

                                                                                                  16 luglio 2022

 


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Come deve essere condotta una rivoluzione?

LA RIVOLUZIONE PROLETARIA E’ SEMPRE UNA QUESTIONE MILITARE, MAI SINDACALE

PERCHE’ LA BORGHESIA IMPEDISCHE, SEMPRE, CON  BRUTALI REPRESSIONI

L’ ASCESA DEL PROLETARIATO AL POTERE

 

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QUAL’E’ IL MOMENTO GIUSTO PER GUIDARE UNA RIVOLUZIONE 

E CON QUALI STRUMENTI VA DIRETTA?

 

La rivoluzione proletaria è sempre una questione militare. Questo deve essere sempre ben chiaro agli attivisti rivoluzionari. Perché nei momenti rivoluzionari quando le masse lavorative  si esprimono per uno stato proletario, la borghesia non ha nessun scrupolo nel sopprimere con tutti i mezzi, anche militari, i proletari, massacrandoli, affinchè non giungano al potere. Di conseguenza, la rivoluzione proletaria se vince militarmente ha successo, se perde svanisce, non avviene e la dittatura borghese continua a persistere. Non esiste una via di mezzo, assolutamente. Non ci è permesso essere ingenui.   

Le due esperienze storiche rivoluzionarie proletarie al riguardo, la Comune di Parigi del 1871, e l’ottobre russo 1917, hanno potuto aver successo proprio perché i rivoluzionari hanno vinto militarmente sulla borghesia, non per altre ragioni. In tutte le altre esperienze storiche di tentativi rivoluzionari i rivoluzionari hanno sempre perso perché non sono giunti, per diversi motivi, al raggiungimento di una vittoria militare. Quindi alla fine, è questo il nodo cruciale di tutto. 

La nostra politica comunista è articolata in modo di attendere che si creino le condizioni favorevoli per le rivoluzioni, nel frattempo è assolutamente necessario impegnarsi con tutte le proprie forze per la costituzione delle indispensabili organizzazioni/partiti rivoluzionari di esperti militanti che nel momento propizio capitalistico catastrofico dovranno dirigere le rivoluzioni, esattamente come in Russia i bolscevichi hanno pianificato e poi eseguito con successo.        

Ma nel momento rivoluzionario, quando nel capitalismo deflagrano al massimo le sue terribili contraddizioni, con inaudite crisi economiche e sociali, in presenza di guerre, fame, distruzioni, morti a non finire, con le masse proletarie infuriate che cominciano a ribellarsi, e con l’organizzazione rivoluzionaria sufficientemente estesa per essere pronta a guidare l’insurrezione, contro l’oppressione armata dei capitalisti che non vogliono lasciare il potere alle masse lavoratrici, quand’è il preciso momento per la presa del potere? Come riconoscere il giusto attimo?  

L’esempio dato dai bolscevichi è senz’altro il più preciso, il più chiaro. 

Nel 1914, con l’inizio della guerra (1° Guerra mondiale) e il configurarsi dell’appuntamento rivoluzionario, i bolscevichi in Russia hanno cominciato a spingere per la costituzione dei

“Consigli” (Soviet). Ossia organismi politici popolari votati dalle masse in contrapposizione al parlamento russo (Duma), corrotto e sotto stretto controllo dello Zar e dei capitalisti russi. Con il proseguo della guerra questi organi spontanei “Consigli/Soviet” si sono poi diffusi sia su tutto il territorio, cioè nelle città, quartieri, fabbriche e campagne, ma, importantissimo e fondamentale, intelligentemente sono stati costituiti anche nell’esercito. Esercito che nelle guerre, non è più formato da ristrette élite di fanatici com’è ora, ma da milioni di giovani, costretti controvoglia ad arruolarsi e combattere, figli di famiglie operaie e contadine. Perciò milioni di giovani militari controvoglia, che vivono e risentono fortemente le contraddizioni del capitalismo.    

In questi Soviet-Consigli nell’ambiente militare, fondamentali per la futura rivoluzione proletaria per sconfiggere la violenza armata della borghesia, i giovani bolscevichi in Russia, anch’essi costretti ad arruolarsi, cautamente, ma efficacemente hanno potuto fare propaganda rivoluzionaria.    

Essendo che il disastro della guerra proseguendo, determinava l’inasprirsi delle contraddizioni economiche-sociali, aumentando in Russia l’opposizione spontanea al conflitto, le masse trovavano nei “Consigli”, sia in quelli sul territorio (città, quartieri, fabbriche, campagne) che in quelli nell’esercito, il loro giusto referente politico, togliendo potere al corrotto parlamento (Duma). Ma fu soprattutto grazie alla contemporanea intensa attività di dissenso che gli attivisti bolscevichi in Russia ovunque intensamente svolgevano, che l’opposizione alla guerra aveva preso forma politica, producendo l’effetto nelle città, nelle fabbriche, nei quartieri e nell’esercito di una loro forte espansione come numero.

Fino al punto che verso la metà del ’17 i bolscevichi, da poche migliaia com’erano all’inizio della guerra, erano diventati ora diversi milioni diventando maggioranza nei “Consigli” (Soviet).

Il momento della presa del potere si stava avvicinando quindi molto velocemente.

Cosa mancava ancora ai bolscevichi per essere “sicuri” che la presa del potere potesse avvenire in sicurezza?   

Dovevano essere sicuri che, oltre ad avere la maggioranza nei “Consigli” popolari sul territorio, avere anche la maggioranza negli indispensabili “Consigli” nell’esercito e di conseguenza il controllo dell’esercito. In modo che quando i “Consigli” sul territorio avrebbero dichiarato la Rivoluzione, con la costituzione del nuovo Governo Proletario, la fine della guerra e l’emanazione di leggi anticapitalistiche, l’esercito ancora sotto controllo e diretto dai capitalisti non si sarebbe rivoltato contro la rivoluzione, la sconfiggesse, uccidendo tutti i rivoluzionari soffocando il governo proletario. 

Perciò, quando verso la fine del ’17 i dirigenti bolscevichi si sono sentiti sicuri che anche i “Consigli” dell’esercito si erano definitivamente schierati per la rivoluzione e che l’avrebbero sostenuta e difesa, impedendo ogni tentativo controrivoluzionario dei generali tutti fedeli allo Zar, hanno potuto allora dare il via libera alla conclusione del processo rivoluzionario con l’assalto al Palazzo d’Inverno per la definitiva presa del potere. 

Alla fine, è evidente, contro la dittatura dei capitalisti è l’esercito che ha l’ultima parola in una rivoluzione. Ne determina la vittoria o la sconfitta. E noi dobbiamo aver molto chiaro questo punto determinante.

Chi nei tentativi rivoluzionari ha sottovalutato, o ingenuamente, a questo fondamentale aspetto della violenza della borghesia e della sua dittatura armata non pensato, ne ha sempre pagato l’insuccesso molto duramente, e con il sangue. 

Prendiamo per esempio la positiva rivoluzione della “Comune di Parigi del 1871. E’ stata una rivoluzione, in un certo senso, “spontanea”, cioè non pianificata. L'esercito francese

in guerra contro la Prussia era stato sconfitto dai prussiani che avevano messo sotto assedio Parigi. A questo punto il governo francese aveva armato la popolazione parigina per difendere la città. Invece che combattere contro i tedeschi la popolazione in armi guidata dai rivoluzionari Blanquisti si rivolta contro il governo borghese parigino dichiarando il potere proletario. E’ in questo momento che l’ex governo borghese francese ora insediatosi a Versailles smette di combattere gli invasori, rivolta l’esercito contro la Comune di Parigi. Sarà un massacro, una repressione violenta borghese bestiale. Dopo aver sconfitto gli insorti parigini, i militari avendo ricevuto l’ordine di fucilare tutti coloro che nelle mani presentavano dei calli, fucilavano per le strade tutti quelli considerati nemici. Ne furono uccisi a migliaia senza distinzione. Un insegnamento della brutalità della borghesia che si ripeterà poi sempre contro i rivoluzionari. 

Un altro esempio: la rivolta Spartachista tedesca del gennaio 1919. Dove i due dirigenti rivoluzionari Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg a capo dell’insurrezione, nei decenni  

precedenti avevano sottovalutato la formazione di un proprio partito, fondamentale per poi, nel momento rivoluzionario, guidare alla rivoluzione le masse (le masse hanno sempre bisogno di esperti per condurre positivamente una lotta o una rivoluzione). Sbagliando, Liebknecht e Luxemburg avevano fatto affidamento sulla spontaneità rivoluzionaria delle masse nel momento rivoluzionario per la presa del potere: una evento impossibile. Mancando perciò le cellule rivoluzionarie su tutto il territorio e quindi anche nel fondamentale esercito, fu facile per la violenta e sanguinaria borghesia, con l’aiuto dei riformisti opportunisti Socialdemocratici, scagliare i militari contro gli spartachisti insorti, sconfiggerli e massacrarli.      

Un’altra significativa esperienza di mancata rivoluzione che poi possiamo analizzare è l’occupazione delle fabbriche in Italia nel 1920. Un tentativo di rivolta glorioso, ma senza dubbio insufficiente - visto che la borghesia nella sua dittatura non esita nei momenti critici ad usare anche la repressione militare per sopprimere la maggioranza proletaria - che senza il supporto dell’esercito è rimasto sterile, senza alcuna possibilità seria di presa del potere, esaurendosi poco dopo da sola. Per questo motivo non è molto conosciuta nell’ambiente marxista internazionale.

Tutte queste sono esperienze che dimostrano inequivocabilmente come l’esercito contro l’oppressione dei capitalisti sia indispensabile nel determinare l’esito di una rivoluzione. La borghesia lo sa, e come ripetuto, lo dobbiamo aver stampato bene nella testa anche noi.

LA “QUESTIONE SINDACALE”. E qui vorremmo mettere l’accento sul “ruolo del sindacato” in quello che è un processo rivoluzionario.    

Ci sono partiti e organizzazioni marxiste, anche molto estese, che nella loro attività politica danno molto, troppo risalto all’aspetto sindacale. Teorizzano che nel momento rivoluzionario il sindacato possa svolgere un peso determinante nel processo Rivoluzione.

Non è sicuramente così. Il sindacato può essere  certo di “aiuto” nel momento rivoluzionario, ma sicuramente non determinante. Chi è determinante è, e può solo essere, l’organizzazione rivoluzionaria, il partito rivoluzionario, che deve guidare le masse proletarie al potere contro la repressione armata borghese.  E la vittoria è in relazione a quanto esso è esteso sul territorio, alla preparazione teorica dei suoi quadri, alla loro competenza politica, all’esperienza pratica dei suoi attivisti. Questo e solo questo è decisivo nel processo rivoluzionario. Il resto è relativo. 

In un paese può esistere un sindacato “forte”, fortissimo, ma nella Rivoluzione senza il partito rivoluzionario con i suoi esperti militanti, questo non conta niente, assolutamente niente. Le esperienze pratiche parlano chiaro (vedi occupazione fabbriche in Italia 1920).

In questa fase controrivoluzionaria, perdere tempo, denaro, energie di molti bravi attivisti per incentivare, promuovere e gestire incontri intersindacali tra aziende europee, come qualche grande organizzazione rivoluzionaria oggi è impegnata, è un controsenso nella politica internazionalista e naturalmente controproducente, soldi buttati al vento e attivisti sprecati. Soldi e bravi attivisti che dovrebbero invece venire impiegati per promuovere i più che necessari contatti, incontri, lotte su punti comuni tra organizzazioni marxiste europee, creare un coordinamento intereuropeo di marxisti. E non per improduttive riunioni sindacati. Perché questo è il “compito” di un partito rivoluzionario.  E’  qui  che siamo nel giusto campo politico.

Perché bisogna aver sempre presente che il sindacato è un organismo borghese di difesa immediata degli interessi della classe lavoratrice, e che questo è il suo scopo, e non altro. Gestito a tutti i livelli, anche alla base, da attivisti e dirigenti antirivoluzionari, corrotti, opportunisti, nazionalisti e spesso anche stalinisti. Motivo per cui il sindacato storicamente dal punto di vista rivoluzionario non ha mai prodotto niente, non produce niente e non potrà mai produrre qualcosa. E’ per questo motivo oggettivo, che a logica i grandi Marx, Engels, Lenin, nel loro agire si sono sempre spesi per le organizzazioni rivoluzionarie, ma mai per i sindacati. Il loro operare è sempre stato caratterizzato, senza prevaricare, ma con lucida analisi, dalla ricerca del contatto e delle lotte comuni con i vari partiti rivoluzionari, considerando sempre la sostanza e avendo chiaro gli obbiettivi da raggiungere, se si analizza il grande operato sia di Marx che di Lenin. E giustamente, perché sono solo le organizzazioni politiche che nella storia possono determinare i cambiamenti, non certo i sindacati. 

La priorità assoluta dell’attività rivoluzionaria va quindi assolutamente indirizzata, concentrata, al massimo raggiungimento dello scopo Rivoluzione. Il resto, anche l’attività sindacale, segue di conseguenza come relativo. 

E’ con estrema sicurezza che ci impegniamo in questo compito storico. Che ci porterà senza dubbio ai risultati voluti.           

                                                                                 26 settembre 2022  -    Claudio Piccoli

 

 



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