IMPEGNARSI PER UNA SOCIETA’ SUPERIORE

 

A 100 ANNI DALLA RIVOLUZIONE RUSSA I PROBLEMI CAPITALISTICI RIMANGONO TUTTI

 

Si può dire che le contraddizioni capitalistiche e i problemi sociali che ne derivano in questa società siano superati? Dire che Marx non è più valido e che Lenin ha sbagliato tutto, come affermano i borghesi con i loro politici e pennaioli, è molto facile. Dimostrare che le contraddizioni sociali e i problemi non esistono più o stanno scomparendo, questo è già molto più complicato (e naturalmente insormontabile) per i propugnatori del capitalismo.

Finchè la società borghese non verrà sostituita da un’altra società, superiore, i problemi insiti nel sistema che la affliggono saranno sempre presenti.

LE GUERRE  Le guerre sono l’elemento più impressionante e devastante della società del profitto. Le immagini che regolarmente giungono dai paesi coinvolti spezzano il cuore della gente creando un’angoscia infinita. I politici, gli specialisti in economia e i militari, sanno perfettamente che la causa ne sono gli interessi affaristici delle ricche imprenditorie e banche nel continuo scontro tra di loro, anche militare, per accaparrarsi nuovi mercati. I capitalisti attribuiscono però la responsabilità di questi disastri ai nemici, mai se stessi. E con l’aiuto dei governi e dei mezzi di informazione mostrano come giustificazione al proprio intervento militare, di volta in volta, nemici pazzi o crudeli da combattere, così da avvalorare la convinzione vi sia un giusto motivo (non affaristico) nella guerra in corso, così che i lavoratori la possano sostenere.       

Ma la logica imprenditorial-bancaria, così ben descritta da Marx nel “Capitale”, ci spiega invece chiaramente come il capitalismo essendo fondato sugli affari, che non si possono mai fermare, debba senza sosta ricercare sempre il guadagno. Il tutto in un meccanismo dove, nel momento in cui in un mercato di una nazione la concorrenza comincia ad essere troppa intensa causa le  troppe merci in circolazione e i guadagni diminuiscono, gli affaristi si trovano nelle condizioni di dover cercare nuove fonti di investimento e profitto all’estero, in altri paesi, in un’espansione senza fine. O accumulare o crollare, questo è l’imperativo diabolico che regola il capitalismo. Ma allargarsi in altri paesi significa entrare nel campo e imbattersi nella concorrenza di altre borghesie a sua volta assetate di denaro. Ed è appunto qui, in queste nuove situazioni che si genera lo scontro, che, come si può ben intuire, può anche essere militare. Questo è il funzionamento economico di fondo che muove le guerre che governi di tutto il mondo nascondono nell’interesse di non mostrare la faccia crudele della società.     

LO SFRUTTAMENTO. In tutta Europa sta aumentando sensibilmente il lavoro precario. E’ destinato a diventare l’incubo dei giovani. Lo è già nelle nazioni UE del sud Europa (Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, ma anche in Irlanda) dove tra i giovani  i contratti di lavoro a termine raggiungono quote anche del 95%. In questi paesi praticamente trovare un posto fisso è ormai quasi impossibile. Mentre l’età pensionabile si allontana e le pensioni diminuiscono, i giovani non solo devono accettare lavori precari, ma anche stipendi notevolmente inferiori rispetto al passato e possono essere licenziati in qualsiasi momento. Una paradiso per gli imprenditori, un grande affare per essi, mentre gli utili, com’è noto, schizzano alle stelle. Attraverso i suoi pronunciamenti la UE sta spingendo insistentemente che questo trattamento venga esteso il più veloce possibile a tutti i paesi membri. Non deve stupire l’atteggiamento UE, perché l’Unione Europea non è un organismo astratto, ma l’associazione delle imprenditorie e banche europee nascoste dietro questa sigla. Infatti come abbiamo già ampiamente documentato anche in Germania il lavoro precario tra i giovani si sta espandendo velocemente.      

CRISI ECONOMICHE. Regolarmente le economie nel modo vengono investite da crisi economiche tremende e di borse. Anche questo aspetto è una delle grandi contraddizioni del sistema che in una società superiore senza il profitto non esiste. E’ proprio a causa dell’ultima grande crisi del 2008, iniziata in America ed estesasi poi nel 2011 in Europa, che nazioni come la Grecia, la Spagna, l’Italia, hanno visto milioni di famiglie finire in miseria o quasi. Una vera tragedia per i lavoratori e i loro famigliari che ne hanno dovuto subire le conseguenze. Proprio come analizzato da Marx, la società capitalistica basata sul profitto si muove a cicli: lunghi momenti di relativo benessere, che si alternano a corti ma intensivi momenti di crisi, anche catastrofici. Nessuno può dormire sonni tranquilli nel capitalismo. Improvvisamente può arrivare un crollo di borsa che manda in rovina le economie di mezzo mondo ed è subito il … disastro.  Per tutti.

CI SEMBRA REALISTICO SOSTENERE che la società capitalistica non può superare i suoi problemi da se stessa, se non dopo una necessaria rivoluzione. Le sue forti contraddizioni non lasciano scampo: finita una guerra se ne ripresenta subito un’altra, se non due. Superata una grande crisi economica è già quasi tempo che ne sopraggiunga un’altra. I giovani che pensavano che i problemi di lavoro e sociali del passato fossero alle spalle e di aver davanti una vita tranquilla, prosperosa, si ritrovano un futuro fosco di lavoro precario, con licenziamenti e bassi stipendi.  Insomma, se ci si guarda bene intorno ci ritroviamo davanti sempre il “vecchio capitalismo” così ben descritto nel “Capitale” di Marx, con nulla di cambiato, e che niente cambia. I dilemmi e i problemi del passato sono sempre gli stessi, sempre li davanti a noi.

E’ ben comprensibile che l’esigenza di una nuova e migliore società rimane tutta. 100 anni fa la rivoluzione d’Ottobre ha visto un glorioso tentativo di superamento. Dobbiamo senz’altro proseguire su questa strada, non c’è altra soluzione.   

GOVERNO MERKEL-SPD 

LE PROMESSE ELETTORALI SERVONO PER

PRENDERE VOTI, NON PER ESSERE MANTENUTE

 

 

Come ogni governo all’inizio del suo mandato, anche la 3° Groβe Koalition composta dalla CDU-CSU e dall’SPD e condotta dalla cancelliera Merkel si presenta con una serie di proposte. Il Tagesschau del 7 febbraio ne riassume i suoi punti principali: nel lavoro “diritto di ritornare dal tempo pieno al tempo parziale”, “la limitazione dei contratti di lavoro deve essere portata da 2 anni ad 1 anno e mezzo”, “l’indennità per bambino deve salire nell’insieme di 25 euro al mese”, “l’afflusso di rifugiati non deve superare dai 180.000 fino ai 220.000 all’anno”, “l’SPD vuole abolire la medicina di 2° classe”, nella sanità 

“come primo passo devono essere assunti 8.000 persone di settore”,nella sicurezza “devono essere creati 7.500 posti aggiuntivi nel paese … inoltre 2.000 posti nella giustizia”, pensioni: “il rapporto tra pensioni e stipendi non deve scendere sotto il 48% e l’aliquota contributiva non deve salire sopra il 20%”; “chi ha lavorato decenni, tirato su bambini e accudito parenti, dopo 35 anni di contributi riceve una pensione aumentata del 10%”; contro l’inquinamento i veicoli devono essere “costruiti con motori puliti”, in politica estera “le truppe in Afghanistan e Mali devono venire incrementate”, ecc. 

E’ UN RITUALE DI FACCIATA. La presentazione del programma è una questione routinaria per un governo. Quello che poi effettivamente verrà eseguito seguirà strade del tutto diverse da quanto promesso in campagna elettorale.  

Come esempi su cui riflettere su come il meccanismo politico funziona, portiamo quanto promesso in campagna elettorale da alcuni politici e poi cosa essi effettivamente hanno eseguito. Prendiamo per es. il socialdemocratico Schröder. Aveva improntato la sua campagna elettorale su “una maggiore efficienza dell’economia tedesca”, “più crescita”, “lotta alla disoccupazione”, “riforma del fisco”, “ricostruzione dell’est”, “miglioramento della sanità” ecc. Il comportamento concreto è stato invece: introduzione del famigerato HATZ IV, taglio alle pensioni, aumento del lavoro precario, ridimensionamento del settore statale, notevoli peggioramenti alle condizioni di vita dei lavoratori nelle fabbriche e degli stipendi, maggiore tassazione ai lavoratori. Se prendiamo il centrista francese Macron la situazione non cambia di molto. Per vincere le elezioni aveva promesso che: “la Francia avrebbe ritrovato la propria ‘grandeur’, garantendo ai francesi sicurezza, la difesa degli interessi economici, contro il terrorismo e per la lotta contro il cambiamento climatico”, si impegnava per una “regolamentazione del problema disoccupazione, lavoro, pensioni”, e per una “moralizzazione della vita pubblica e politica”, infine per  “una riforma profonda del sistema scolastico”. Risultato pratico: notevole peggioramento del sistema pensionistico, taglio di dipendenti pubblici, aumento della spesa militare, maggiore flessibilità nei contratti di lavoro (ossia aumento dei contratti a termine, meno contratto nazionale e più contrattazione aziendale), riduzione delle imposte sul patrimonio immobiliare (ovvero meno tasse sui grandi immobili detenuti dai ricchi), riduzione del costo del lavoro e dell’imposta sulle aziende. Se prendiamo l’italiano democratico Renzi siamo quasi a fotocopia. In campagna elettorale aveva promesso un “notevole sostegno per le famiglie”, “lotta alla corruzione”, “Riforma istituzionale”, “più soldi in busta paga”, “via la patrimoniale e le pensioni fino a 3 mila euro non si toccano”, “aumento delle tasse sulle rendite finanziarie dal 20% al 26%”, “cambiare la pubblica amministrazione, il fisco ingiusto, la giustizia”, “interventi su edilizia, scuola, sanità, energia, ecc”. Risultato pratico una volta giunto al governo: introduzione del famigerato ‘Job Act’ che permette ai padroni il libero licenziamento; aumento senza limite dei contratti a termine, con l’effetto che adesso il 90% delle assunzioni sono a contratto a termine. Se andiamo ad osservare poi il comportamento pratico del partito dell’ultra sinistra Syriza andato al governo in Grecia abbiamo il quadro completo della situazione. In campagna elettorale aveva spergiurato che se sarebbe andato al potere i lavoratori non avrebbero mai pagato le conseguenze dei tagli sociali pretesi dalla UE sul debito pubblico. Risultato: tagli feroci ai salari e alle pensioni, aumento notevole della tassazione e disoccupazione schizzata alle stelle, ma nessun aggravamento su banche e imprese.  

Quindi, anche il 4° governo Merkel, come quelli precedenti, seguirà ovviamente questi indirizzi. Farà tutto dissimile a quanto promesso in campagna, perché i partiti di tutto il mondo che si presentano per governare, sanno perfettamente che una volta arrivati al potere dovranno mettersi al servizio di quelli che genericamente vengono definiti “gli interessi nazionali”, che in pratica sono gli interessi dei grandi capitalisti -banche e industriali,  e sanno altresì che il loro compito sarà tenere sotto controllo le masse salariate per conto della ricca borghesia, con continue promesse, giustificazioni, piccolissimi miglioramenti, scuse, giravolte. Sono i lavorati che fraintendono pensando che “gli interessi nazionali” significano siano gli interessi delle masse lavoratrici, come fatto credere in campagna elettorale.

Perciò per capire quale sarà il vero comportamento di un governo, si deve indagare quali siano gli interessi che dietro le quinte i capitalisti perseguono, e tutto diventa chiaro, logico.

Dietro le quinte, quale sarà la politica che i ricchi industriali tedeschi pretenderanno dal governo? ALL’INTERNO DEL PAESE, esattamente come gli altri capitalisti europei, anche l’imprenditoria tedesca esige più lavoro precario, sia giovanile che operaio. Vuole che gli stipendi rimangano il più basso possibile, sia nelle fabbriche che nel settore pubblico (gli studenti-lavoratori delle università sanno quanto questo sia vero). Nonostante i giganteschi guadagni gli straricchi capitalisti tedeschi si aspettano come sempre dal governo che vengano loro ridotte le tasse e che le stesse vengano invece aumentate a livello nazionale.

Queste sono le esigenze di fondo di indicazione UE.

Naturalmente per dare un contentino alla popolazione si lascia (e si badi, sono solo proposte) che il governo conceda dei minimi miglioramenti da sbandierare poi come grandi successi.

Anche in POLITICA ESTERA il comportamento del prossimo governo è prevedibile. Anche le grandi industrie e banche tedesche hanno il problema dell’ascesa del colosso Cina -gestita da una potente borghesia affaristica statale. Tutti i paesi occidentali concorrenti (Usa, Giappone, Francia, Gran Bretagna, ecc) stanno aumentando il loro armamento per contrastarla. Anche il governo CDU-CSU, SPD quindi (come quello precedente) seguirà senz’altro questa strada (come del resto già annunciato), sia aumentando le proprie spese militari, sia  incrementando la propria presenza militare nel mondo, che vendendo armi ai paesi concorrenti alla Cina.

Come ci dimostrano Schröder, Macron, Renzi, Syriza e tutti i governi di questo mondo, le promesse elettorali servono per prendere voti, non per essere mantenute.

Anche il prossimo governo Merkel confermerà questa prassi


 

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SCONTRO TRA BORGHESIE – UNO SGUARDO NEL FUTURO

 

PETRO-YUAN CINESE CONTRO PETRO-DOLLARI,

UNA BOMBA NELLO SCENARIO INTERNAZIONALE ! 

Da marzo  Cina, Russia, Iran, Venezuela, Corea del Nord e Pakistan (e altri paesi sono pronti a seguirli) usano nei loro scambi reciproci non più il dollaro, ma lo Yuan cinese. In pratica inizia quella che viene definita la “de-dollarizzazione”.

 

COME REAGIRA’ L’IMPERIALISMO AMERICANO?

 

“Tutte le popolazioni del MENA (Medio Oriente-Nord Africa) hanno capito cosa successe quando l’Iraq di Saddam Hussein decise di vendere petrolio in euro, o cosa successe quando Muammar Gheddafi progettò di emettere un dinaro d’oro pan-africano”.

                                                                                                                 Pepe Escobar  “LA BOMBA DEL PETRO-YUAN” (in comedonchisciotte.org29 dic 2017

 

 

L’IMPERIALISMO CINESE PENSA DI POTER IMPORRE AGLI USA IL PETRO-YUAN, USANDO COME FORMA DI RICATTO A EVENTUALI REAZIONI, LA QUOTA CONSISTENTE DI

     DEBITO PUBBLICO AMERICANO CHE DETIENE E LE ALTISSIME RISERVE IN DOLLARI CHE HA NELLE SUE BANCHE, CHE SE NECESSARIO, IN CASO DI REAZIONE DELLA                  POTENTE BORGHESIA DI WASHINGTON, PUO’ RIVERSARE SUL MERCATO INTERNAZIONALE CAUSANDO UNA SPECIE DI BANCAROTTA USA. 

 

 

 12 marzo 2018

Cose di non poco conto si stanno accumulando nel mondo nello scontro tra borghesie, cose che sconvolgeranno il prossimo futuro con conseguenze del tutto imprevedibili, probabilmente anche militari.  

Stranamente però fatti così sensazionali nei rapporti mondiali stanno passando quasi sotto silenzio dai mezzi di informazione di massa. Molti analisti si chiedono il perché: “L’inizio del crollo del dollaro sembra un evento così impossibile?”  oppure … “Viene taciuto di proposito?” Comunque sia, le riviste finanziarie ed economiche specializzate occidentali sono super allarmate di un tale cambiamento. Per chi leggerà per intero gli articoli qui sotto citati troverà una marea di dettagli interessanti. Noi, costretti da comprensibili ragioni di spazio, ne riportiamo i tratti essenziali.

 

L’articolo soprariportato, “La Cina suona, con l’introduzione del ‘Petro-Yuan’, la campana da morto al dominio globale del dollaro”, dopo aver sottolineato che con l’introduzione del Petro-Yuan è iniziato il declino del dominio del dollaro americano, pone l’accento sul fatto che la vera forza della moneta cinese è la sua convertibilità in oro. In pratica un paese che vende il suo petrolio alla Cina e riceve in cambio Yuan, può, se lo vuole, convertire la valuta Yuan in oro. Questo da un peso notevole allo Yuan stesso, in quanto se un affarista vuole proteggersi dalle speculazioni sulla valuta, può ripararsi comprando oro nelle borse di Hong Kong e Shanghai, di cui le banche cinesi è noto esserne strapiene.

Altro punto importante riportato, è che nazioni come Russia, Iran, Venezuela, Corea del Nord, aderendo al nuovo Petro-Yuan hanno adesso la possibilità di aggirare, di neutralizzare, le sanzioni che Usa e europei hanno loro imposto. Gli analisti, anche se scettici sull’effettiva riuscita della manovra cinese di escludere il dollaro dalle loro transazioni, intravedono però in questa iniziativa cinese l’inizio della futura decadenza del dominio del dollaro e degli Usa.

Alla fine l’articolo, riporta la citazione di Putin dopo il vertice dei BRICS in settembre a Xiamen in Cina di pieno appoggio all’operazione Petro-Yuan: “La Russia condivide le preoccupazioni dei paesi BRICS sull’ingiustizia dell’architettura dell’economia e della finanza globale, che non tiene in considerazione il peso crescente dei paesi emergenti. Siamo pronti alla collaborazione con i nostri partner per accelerare una riforma delle regole internazionali nell’ambito della finanza, per superare un’eccessiva dominanza che pone il limite alle riserve di valuta.”  In altre parole Putin sostiene che è giunto il momento che i paesi emergenti (Cina, India, Russia, ecc) sostituiscano nelle reciproche transazioni commerciali, il dollaro con le proprie monete.  

 

Questo secondo articolo “Il Petro-Yuan sposterà il dollaro Usa dal trono delle riserve mondiali?” dopo aver sottolineato che i paesi occidentali per il momento hanno deciso di ignorare una NOTIZIA BOMBA di questa portata e come gli investitori internazionali saranno fortemente attratti dal nuovo Petro-Yuan, si sofferma sul fatto che l’operazione Petro-Yuan non è un’iniziativa fine a se stessa, ma “una promozione di largo respiro nell’agenda di Pechino”.  Si intende che, se da una parte l’imperialismo cinese si propone a livello globale di sostituire con lo Yuan il $ americano nel commercio internazionale del petrolio, dall’altra l’operazione è “parte integrante della strategia One Belt One Road” [La nuova via della Seta] con l’obbiettivo di inserirsi pienamente “nel continente asiatico, Medio Oriente compreso”. Per questo motivo gli analisti “valutano che le riserve di Renminbi [Yuan] dovrebbero espandersi velocemente e massicciamente nelle banche centrali”.

Anche questo articolo tedesco è del parere, come il brasiliano  Pepe Escobar, che “il presidente cinese non si lascerà sgombrare [sopraffare] allo stesso modo come successo a Saddam Hussein in Iraq che voleva vendere il petrolio in euro, o come Gheddafi in Libia che voleva introdurre il dinaro d’oro”. In altre parole, l’imperialismo cinese non sarà disposto a sottomettersi a fronte di una eventuale reazione americana, ma reagirà.

Infine anche questo testo rileva che “i BRICS hanno dato il loro benestare al Petro-Yuan nel loro recente incontro a Xiamen”, vale a dire che anche l’India ne è favorevole.

In questo articolo La Bomba del Petro-Yuan”, veramente interessanti sono le riflessioni riportate al tema dal giornalista brasiliano Pepe Escobar. Anche lui vede nell’evento eccezionale il “fatto che si sta implementando una nuova ed enorme zona che usa riserve alternative al dollaro Usa, bypassandolo”, e riporta che “Mosca sta lanciando la sua prima vendita di obbligazioni governative per un miliardo di dollari, denominata in Yuan. Mosca del resto ha messo ben in chiaro il suo impegno in una strategia a lungo termine che prevede la dismissione dell’uso del $ Usa come valuta principale nel commercio globale, posizionandosi a fianco di Pechino verso quello che potrebbe essere definito UN SISTEMA DI SCAMBIO POST BRETTON-WOODS.” . Quindi un evento eccezionale, di non poco conto nello scontro tra borghesie.

Anche Escobar, come gli altri specialisti, sottolinea il fatto basilare della convertibilità in oro dello Yuan per la riuscita dell’operazione, come elemento “essenziale in questa strategia”, in quanto garanzia di sicurezza per gli investitori internazionali.   

Escobar vede nel futuro uno Yuan, che nell’interesse cinese-russo, dovrà sostituire il $ per creare “un’enorme zona” euroasiatica sotto influenza cino-russa. UN CAMBIAMENTO EPOCALE, se questo riuscirà. Il tutto, nell’intenzione della borghesia cinese, attraverso il piano strategico del ‘One Belt One Road’. Escobar descrive minuziosamente in questo articolo l’ambizioso programma cinese della famosa ‘Nuova Via della Seta’:  Nel 2018, saranno messi a punto sei importanti progetti della BRI[Belt & Road Initiative-n.d.r] : la ferrovia ad alta velocità Jakarta-Bandung, la ferrovia Cina-Laos, la ferrovia Addis Abeba-Gibuti, la ferrovia Ungheria-Serbia, il progetto Melaka Gateway in Malesia e il potenziamento del porto di Gwadar in Pakistan. La HSBC [colosso bancario europeo –n.d.r] stima che la BRI nel suo complesso,  con la propria attività  genererà ogni anno non meno di 2,5 trilioni di dollari di valore addizionale.  È importante tenere a mente che la “Belt” nella BRI dovrebbe essere vista come una serie di corridoi che collegano la Cina orientale con le regioni ricche di gas o petrolio dell’Asia centrale e del Medio Oriente, mentre le “roads” presto serviranno a far arrivare l’oro scavato nelle miniere dalle regioni che le attraversano, grazie alle ferrovie ad alta velocità”.  Si può senz’altro aggiungere che non solo le infrastrutture sopramenzionate saranno “corridoi” per far giungere elementi energetici e oro all’imperialismo cinese, ma saranno anche i “corridoi” necessari sui cui far scorrere la vendita di industrie e grandi impianti da parte cinese verso i paesi asiatici citati in fase di forte sviluppo.

Di fronte a tutto ciò, l’imperialismo americano starà a guardare?

Escobar vede come prima contromossa Usa al Petro-Yuan la NSS (National Security Strategy) il documento governativo approvato dal congresso Usa in dicembre. Così Escobar: ”La NSS promette da parte sua di preservare “la pace con la forza”. Dato che Washington attualmente dispiega non meno di 291.000 soldati in 183 paesi e, nel solo 2017, ha inviato Operazioni speciali in non meno di 149 nazioni, è difficile sostenere che gli Stati Uniti siano un paese in “pace”, specialmente se la NSS cerca di canalizzare ancora più soldi verso il complesso industriale-militare”.

 

Ma Mauro Bottarelli nell’articolo del 27 ott. 2017: Fra 2 mesi la Cina lancerà il petro-yuan e gli Usa dovranno reagire: ecco l’unica notizia che conta” è ancora più esplicito sulle possibili reazioni americane:

“Possono gli Stati Uniti, intesi come complesso bellico-industriale di riferimento, accettare una sconfitta epocale simile? No!”    è la sua conclusione.

E prosegue: “E questo spiega sia l’attacco alla Clinton e a tutto il vecchio entourage democratico – compreso, per ora solo in parte, Barack Obama – da parte del Washington Post per i due vecchi scandali, e sia il silenzioso allargamento della fronda congressuale contro Donald Trump: dopo John McCain, ora è infatti il turno di Bob Corker, autorevole presidente della Commissione esteri e Jeff Flake di attaccare a palle infuocate il presidente, ritenuto “inadatto” a guidare la nazione e reo proprio di aver minato la leadership USA nel mondo”.

ROTTA DI  COLLISIONE:  enormi cambiamenti con conseguenze imprevedibili sono alla porta.. Esiste un mondo in movimento, da studiare, analizzare e descrivere, su cui poi doversi rapportare. L’introduzione del Petro-Yuan e la conseguente de-dollarizzazione non sono eventi da sottovalutare o ignorare. Se proseguiranno segneranno l’instabile futuro dello scontro tra capitalisti.


 

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-SCONTRO TRA BORGHESIE-

 

DAZI COMMERCIALI CONTRO CINA:

INIZIATA UNA BATTAGLIA SENZA PRECEDENTI TRA IMPERIALISMO USA E CINESE

 

 

Marzo 2018

 

Come mai proprio adesso il governo americano guidato da Trump inizia una massiccia ed inedita guerra commerciale di notevoli proporzioni contro la Cina, dagli esiti imprevedibili?

Trump accusa l’imperialismo cinese di concorrenza sleale, che stia rubando brevetti tecnologici alle imprese americane nelle società miste cino-usa (Joint-Venture).  

Ma è da più di 30 anni che le Joint-Venture cinesi-americane esistono. E questo tipo di società industrial-bancarie americane non esistono solo con le imprese cinesi, ma anche nel rapporto con le indiane, brasiliane, africane, asiatiche, europee, ecc. Come mai allora proprio adesso e solo adesso viene mosso la pesante accusa contro la Cina? 

E’ evidente che è solo un pretesto. Da marzo le borghesie cinese e russa, in accordo con i paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) ha lanciato sul mercato internazionale il PETRO-YUAN cinese, una valuta commerciale che ha lo scopo di sostituire il dollaro nei pagamenti internazionali di petrolio. Questa sostituzione del dollaro con lo yuan cinese nelle transazioni di petrolio viene definito dagli esperti un“evento epocale”. Visto la sfida “epocale” cino-russa in corso, tutti si aspettano la reazione americana.

Per es. il 27 settembre dello scorso anno il giornalista Mauro Bottarelli analizzando il sopraggiungere  del Petro-Yuan cinese, nell’articolo Fra 2 mesi la Cina lancerà il petro-yuan e gli Usa dovranno reagire: ecco l’unica notizia che conta” si poneva la domanda: 

Ma le grandi imprese americane, le grandi banche, dichiarano non  essere d’accordo con l’iniziativa di Trump. 

“Le multinazionali degli Stati Uniti mettono in guardia Trump dai dazi contro la Cina” titola il “Tagesschau” il 19 marzo, il sito ufficiale della tv di stato tedesca. Aggiunge “Der Spiegel”, la più grande rivista tedesca, lo stesso giorno: 

”Le multinazionali americane protestano contro Trump per i dazi contro la Cina”.  I grandi gruppi industriali Usa valutano nella decisione Trump l’aprirsi di una grande guerra commerciale protezionista contro l’imperialismo cinese che li danneggerà considerevolmente. Sono quindi del parere che questo tipo di risposta sia assolutamente sbagliata.  

L’ESEMPIO DEL ’93. In passato nel 1993, le dirigenze borghesi cinese avevano già provato a sostituire il dollaro con lo Yuan nel pagamento del petrolio. Ma l’operazione era fallita, hanno dovuto fare marcia indietro e rinunciare per eccesso di volatilità della propria moneta. In altre parole lo Yuan cinese era stato messo così sotto attacco speculativo dall’OPEC (Organizzazione Produttori di Petrolio) e dalle potenze occidentali, causando alla moneta cinese oscillazioni così forti, che gli investitori stranieri non hanno avuto interesse ad utilizzarla nelle transazioni (pagamento) del petrolio. Ma adesso la situazione è ben diversa rispetto al passato, sottolineano gli esperti. La potenza economica della Cina ha quasi raggiunto quella americana e le dirigenze cinesi hanno fatto tesoro dell’esperienza negativa del passato. Perciò in questa nuova occasione sarà molto difficile per le borghesie occidentali e soprattutto americana far naufragare la manovra del Petro-Yuan cinese.

Quindi prevediamo che negli Stati Uniti, dove si ritiene incompetente la risposta governativa contro la Cina, si intensificherà adesso un altro grande fronte di battaglia interno (presente però già da tempo): quello dei grandi gruppi economici americani contro il proprio presidente Trump, per fermarlo dalla sue iniziative ingenue e boomerang.   

Anche la reazione di Trump a metà marzo sull’espulsione dei 23 diplomatici russiclassificati come spie, come contromisura al presunto avvelenamento a Londra di una ex spia russa, costringendo anche tutti gli altri paesi Nato alleati a seguirlo nell’iniziativa, viene visto dagli analisti come iniziativa smisurata, esagerata, una non competente risposta di Trump all’introduzione del Petro-yuan.  

Bisogna aver presente che le grandi banche e agglomerati di imprese sono anche i proprietari dei grandi mezzi di informazione, tv e giornali, e che negli Stati Uniti dirigono anche (come dappertutto) consistenti correnti politiche all’interno dei partiti, come i democratici che i repubblicani. Quindi tutte queste componenti messe assieme saranno scagliate dai grandi gruppi economici bancari, con vari motivi e pretesti, contro Trump, coinvolgendo e dirigendo nella scontro masse enormi di popolazione.  

E’ appunto in questa situazione di lotta contro il ritenuto Trump ‘dilettante’ presidente imperialista che collochiamo anche le grandi manifestazioni contro il “libero uso delle armi” avvenute in America il 24 marzo, con proteste che hanno visto il coinvolgimento di masse oceaniche di persone. In questo grande scontro con la Cina, vediamo nella strumentalizzazione, nel fomentare da parte dei grandi mezzi di informazione, il riacutizzarsi della lotta della grande imprenditoria Usa contro Trump, nel tentativo di liberarsi dal presidente “incompetente” nel perseguire i loro interessi capitalisti.

Come più volte precisato, per i marxisti il presidente Trump, come tutti i presidenti, è certo un rappresentante della borghesia, dei grandi capitalisti, e non il rappresentante della popolazione proletaria. Ma anche un presidente borghese come Trump che vince le elezioni e si mette al servizio dei suoi colleghi capitalisti, può essere considerato da essi come un “timoniere” non adatto a perseguire i loro interessi.

Pensiamo che al mondo sarà riservato ancora una volta un futuro di scontro sempre più feroce tra borghesie. 

DECLINO SPD 

 

TRAMONTO DI UN PARTITO OPPORTUNISTA CHE FUNGEVA ESSERE DALLA PARTE DELLA CLASSE LAVORATRICE

 

 

L’SPD era il partito rivoluzionario di Marx ed Engels. Dopo la morte di quest’ultimo nel 1895 i nuovi dirigenti Bernstein e Kautsky danno all’organizzazione una svolta collaborazionista, opportunista e revisionista. Da allora perseverà su questa strada senza interruzione.

Dal secondo dopoguerra, l’SPD come partito opportunista ha potuto perseverare con i suoi giochetti parlamentari, con fase alterne governative e non, apparendo relativamente credibile alla massa dei lavoratori, fino agli inizi degli anni 2000, cioè fino a quando sul mercato mondiale non è cominciato ad emergere il gigante cinese.

Questo ha fatto si che tutto il mondo occidentale ha cominciato a modificarsi. Di fronte all’intensificarsi della concorrenza portata dal colosso asiatico, le imprenditorie europee hanno iniziato a pretendere dai governi, da tutti, senza distinzioni di colore o sigla, misure restrittive in modo che le condizioni dei lavoratori europei venissero sensibilmente peggiorate. Ed è appunto da questo momento che pensioni, il posto di lavoro fisso, i salari, i ritmi di lavoro, vengono messi sotto attacco dai governi europei su ordine padronale.

Ed ecco che partiti falsamente operai come il Labour Party in Inghilterra, l’SPD in Germania, il Partito Socialista in Francia, il Partito Democratico in Italia e altri, hanno dovuto gettare la maschera e mettersi apertamente al servizio della ricca imprenditoria sferrando attacchi continui contro le masse proletarie.

Ma colpire duramente i lavoratori a cui si vuol far credere di esserne il riferimento politico significa anche decretare la propria fine. Quindi, per tutte queste organizzazioni falsamente operaie dopo la svolta politica si è avviato l’inizio del tramonto e dello sfacelo. Il Labour Party, dopo le estreme misure anti lavorative condotte da Tony Blair è caduto in disgrazia, adesso è ai suoi minimi storici e sembra recuperare un po’ perché utilizzato dai grandi gruppi finanzial-economici in funzione anti Brexit dando spazio sui loro media alle posizioni de segretario Corbyn. Il Partito Socialista francese, causa le dure leggi contro i proletari condotte da Hollande è praticamente scomparso. Il Partito Democratico in Italia, dopo le catastrofiche misure del ‘Job Act’ (riforma mercato del lavoro) di Renzi è uscito ai minimi storici dalle elezioni marzo 2018  ed è tutt’ora in caduta libera.    

Ed è agli inizi degli anni 2000 che anche in Germania il socialdemocratico Schröder con tutto lo staff SPD si incarica di aprire la battaglia contro i lavoratori. Come detto, nel mirino sono pensioni, salari, settore pubblico, posto di lavoro fisso, tassazione e altro. Viene condotta una lotta governativa antioperaia senza precedenti, dopo la quale i lavoratori si troveranno con condizioni di vita e lavoro notevolmente aggravate, con l’aggiunta dell’istituzione dell’Hartz IV (modifica del mercato del lavoro) e l’espansione continua del lavoro precario. L’SPD proseguirà poi la sua opera anti-salariati nei seguenti governi di Groβe Koalition in collaborazione con la CDU-CSU di Angela Merkel. 

La reazione proletaria di abbandono dal partito con il conseguente declino diventa quindi, come accaduto per gli altri partiti opportunisti, inevitabile e angosciante. Dopo un decennio di perdita continua di consenso (documentato dai grafici) il vertice del partito, per cercare di contrastare la tendenza negativa, mette (era l’inizio del 2017) alla guida dell’SPD Martin Schulz, ex presidente del parlamento europeo. Teatralmente Schulz, come in una scena kafkiana, nel tentativo di risollevare le sorti, fa pentimento pubblico delle misure antioperaie draconiane del passato, aggiungendo inoltre la critica aspra all’operato del governo Merkel di Groβe Koalition, dimenticando che proprio l’SPD ne fa parte. La sceneggiata trova sorprendentemente un momento di esplosivo successo popolare portando l’SPD nei sondaggi di intenzioni di voto dal 25% al 40%, ossia allo stesso livello della Merkel. Ma è solo un momento, il blitz di una illusione. Alle autocritiche pubbliche su l’Hartz IV introdotte proprio dall’SPD, le contromisure che Schulz e i vertici socialdemocratici propongono risultano di una banalità paurosa. E ricomincia la ridiscesa veloce del consenso, anche molto precipitosa. I lavoratori non tollerano tanta presa in giro. 

 

 

Dal 40% delle intenzioni di voto del febbraio 2017, l’SPD esce con un 20% dalle elezioni di settembre, il minimo storico. L’angoscia pervade tutta la struttura del partito. Ma nonostante la catastrofica sconfitta, i vertici accettano comunque di entrare in una nuova edizione di Groβe Koalition governativa sempre a guida Merkel. Nel partito è adesso il caos. Le accuse e controaccuse per la disfatta inducono l’ex “eroe” Schulz alle dimissioni, mentre la componente giovanile SPD si pone ferrea contro la partecipazione del partito al governo. Intanto i sondaggi registrano l’ulteriore calo clamoroso: gli ultimi danno l’SPD tra il 17 e 15%.

Tutto ha un prezzo nella vita. Anche per i partiti opportunisti al soldo dei ricchi borghesi. Poco importa però ai capitalisti se questi partiti servili si “bruciano” agli occhi dei lavoratori. L’importante è che abbiano svolto il loro lavoro antioperaio. Gli imprenditori troveranno altri partiti opportunisti o populisti che, con nuove facce e nuovi slogan, conquisteranno la fiducia della masse lavoratrici. Di nuovo le imbroglieranno. Scompariranno anche loro. Ma ne arriveranno altri …


 

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-SVOLTA CON ACUTIZZAZIONE NELLO SCONTRO TRA BORGHESIE-

Il contenuto del documento “National Défense Strategy” del gennaio 2018 approvato dal Congresso:

IL GOVERNO AMERICANO DICHIARA UFFICIALMENTE

CINA E RUSSIA  PRIMO PERICOLO PER GLI USA

La dichiarazione viene valutata come risposta alla decisione di Cina e Russia di introdurre il Petro-Yuan

e all’asserzione del presidente cinese Xi Jinping di ritenere sia tempo che la Cina  “prenda il centro della scena mondiale”.

 

       15 marzo 2018

La lotta interimperialista tra le più potenti borghesie del mondo sembra stia par entrare in una fase di acutizzazione. E’ uno scontro tra giganti imperialisti da non sottovalutare, ha già prodotto 2 guerre mondiali e un’infinità di conflitti locali che continuano fino ai giorni nostri. 

Mentre in Cina il governo a capitalismo di stato afferma per bocca del suo presidente Xi Jinping che il colosso asiatico deve svolgere un ruolo di primo piano nel mondo (intendendo con ciò di sfidare in aperta concorrenza gli Usa) pianificando un armamento“di classe mondiale” nel giro di un 20ennio, negli Usa in gennaio il Congresso ha approvato il documento “National Defense Strategy” (NDS), il documento di Difesa Strategica Nazionale. Il NDS in realtà era già stato pensato nei primi mesi del 2017 dalla nuova Amministrazione Trump, per lasciarlo poi valutare dal Congresso americano. Questo documento ufficiale è il secondo atto che il Congresso approva dopo l’elezione di Trump. Precede il primo, il “National Security Strategy”  e anticipa il terzo ed ultimo programmato, il “National Militari Strategy”. Tutti e tre questi documenti  annunciano la svolta della strategia in politica estera dell’imperialismo americano.

Così come nel precedente documento di dicembre, anche nel “National Defense  Strategy”  di gennaio viene ripetuto ufficialmente come per gli Usa il pericolo principale per la salvaguardia dei propri interessi nel mondo siano Cina e Russia. Una svolta di notevole e non  secondaria importanza per la scena mondiale.

Tutti i precedenti presidenti, Obama compreso, avevano prodotto documenti ufficiali strategici durante i loro mandati, dove dichiaravano quali sarebbero state le linee principali del loro futuro operato. E mentre per Obama il pericolo principale era “il terrorismo”, per Trump questo pericolo passa adesso in secondo ordine assieme agli “Stati canaglia Nord Corea e Iran”.

Come tutti gli specialisti sottolineano, non è mai successo negli ultimi decenni che un governo americano fosse così esplicito nel dichiarare apertamente Cina e Russia come principale pericolo. Se quanto enunciato nel documento di Difesa Strategica si confermerà nel futuro come politica estera pratica, assisteremo ad una svolta pericolosamente radicale dell’imperialismo Usa.

Quanto specificato all’interno del documento conferma l’atteggiamento aggressivo Usa e non lascia intravedere niente di tranquillo. Viene risaltato il bisogno di aumento consistente dell’armamento militare Usa, sottolineando  la necessità del rinnovamento tecnologico continuo delle armi. Si auspica, si richiede una più stretta e maggiore collaborazione con gli alleati, fornendo loro una maggiore quantità di armi, soprattutto tecnologiche, maggiore aiuto logistico e così via. Inoltre si allertano le basi militari americane in giro per il mondo, anche le più piccole, di tenersi pronte per l’azione.

E’ la risposta americana al governo dell’imperialismo cinese e russo che hanno introdotto il Petro-Yuan (come riportato a fianco), Petro-Yuan che rappresenta per gli Usa una sfida di importanza globale e senza precedenti nella storia del dopoguerra. Aggiunto al fatto che il presidente Xi Jiang Pin durante il 19° Congresso del PC cinese in ottobre ha dichiarato che per la Cina è tempo che “prenda il centro della scena mondiale”, e con toni decisi aggiunto: ““Una forza militare è costituita per combattere”, e poi affermato: “i soldati cinesi devono sentirsi pronti a sacrificare la loro vita per il paese”. Frasi che prefigurano un’atmosfera non proprio di pace.

Ma negli Usa il documento  “National Defense Strategy” può essere l’ennesima esternazione di Trump, come lo sono state tante altre, oppure è qualcosa di più serio?  E’ la domanda che tanti si pongono.

Il fatto che il proclama sia stato approvato dal Congresso americano, cioè dalla maggioranza dei democratici e repubblicani, ci porta a pensare che il documento non sia l’ennesima sparata umorale del Tycoon per ricevere gli applausi dei suoi elettori. A nostro avviso è un fatto rilevante, da non sottovalutare e da considerare seriamente. I centri studi strategici politici americani (i think tank) vedono già da molto tempo nell’ascesa dell’imperialismo-colosso cinese un pericolo. La discussione in America su come ostacolare l’ascesa del gigante asiatico, in modo che non eroda il potere Usa nel mondo, è accesa e presente già da un paio di decenni. Però “Cina come primo pericolo” non era mai apparso così esplicito nei documenti ufficiali delle varie Amministrazioni Usa.

Se nel primo documento di dicembre, il “National Security Strategy”, il governo dell’imperialismo americano descrive la sua visione del mondo dichiarando i suoi interessi strategici sul pianeta e ne individua i pericoli, e nel secondo di gennaio (cioè questo, il “National Defence Strategy”) descrive le alleanze e il tipo di armamento con cui si vuole dotare, probabilmente nel terzo e futuro documento, il “National Military Strategy”, verranno indicate le zone nel mondo dove si vorrà sfidare i due pericolosi concorrenti Cina e Russia.   

Stando ai documenti ufficiali e alle dichiarazioni pubbliche si coglie forte la percezione che la tensione tra i giganti imperialisti stia aumentando. Sarà strategia di intimidazione reciproca oppure realtà? I fatti futuri ci diranno a che punto lo scontro è arrivato. 

Caos  MADURO – Venezuela

E LE ELEZIONI IN APRILE

 

Nonostante la forte crisi e le forti proteste Maduro rimane saldamente al potere,

grazie al sostegno dei numerosi generali presenti nel suo governo.

           19 febbraio 2018    

 

 

 

Il governo Usa minaccia costantemente Maduro di sanzioni. In realtà le sanzioni fin’ora adottate contro il Venezuela non sono mai state incisive. E con il pretesto di “non danneggiare ulteriormente la popolazione” l’imperialismo americano non mette in pratica veramente le minacce. Il vero motivo per cui gli Usa non arrivano ad applicare la sanzione fondamentale di “vietare la vendita di petrolio (venezuelano) negli Stati Uniti” sta nel fatto, a nostro avviso, che applicando la sanzione e mettendo così in fortissima difficoltà il Venezuela, gli Usa potrebbero spingere ancor di più il governo borghese Maduro ad avvicinarsi ulteriormente agli imperialismi cinese e russo. Già negli ultimi anni Cina e Russia hanno aumentato considerevolmente le compravendite con il Venezuela, arrivando addirittura lo scorso 15 settembre 2017 ad iniziare a valutare i reciproci interscambi monetari non più in dollari, ma in Yuan cinese. Attaccare ancor di più Maduro da parte Usa con sanzioni veramente pesanti spingerebbe sicuramente il governo venezuelano ad aumentare la vendita di petrolio alla Cina, che ne ha fortemente bisogno.

C’è da ricordare che il Venezuela vive per il 90% sulla vendita del petrolio che estrae e che, nonostante i due governi venezuelano e Usa si insultino in continuazione a vicenda, gli americani sono il primo acquirente di petrolio dal Venezuela con 750.000 barili su 1.9 milioni prodotti al giorno, e solo dopo arrivano Cina e Russia nonostante l’aumento consistente delle loro quote.

Con i dollari americani e gli Yuan cinesi (provenienti dalla vendita del petrolio) il governo borghese Maduro compra le merci all’estero di prima necessità, che l’industria venezuelana non produce, in quanto come industria produttiva è quasi inesistente, e che poi rivende alla popolazione. I rubli  ricavati dalla Russia invece vengono spesi per costruire nuovi ed efficienti impianti petroliferi, impianti ai quali la borghesia russa stessa partecipa in consocietà con quote spesso anche rilevanti.

Con l’improvviso calo del prezzo del petrolio del 2014 tutto però è cambiato in Venezuela. Le entrate finanziarie si sono praticamente dimezzate creando così una profonda situazione di crisi dove il governo non ha sufficienti soldi per comprare i prodotti di occorrenza all’estero, con conseguente situazione disastrosa per la popolazione.

Da qui l’insorgere di proteste continue di massa spesso anche molto violente.

Causa le meno entrate finanziarie, al governo Maduro si è presentato anche il grosso problema di come continuare a pagare l’enorme stato parassitario venezuelano. La soluzione è stata stampare sempre più carta moneta per pagare il personale, facendo così schizzare l’inflazione alle stelle,  che ha raggiunto quota 2.000 per cento.  

Come detto, nonostante le fortissime proteste che le tv regolarmente mandano in onda, Maduro rimane saldamente al potere. Può contare sulla fedeltà dell’apparato militare, generosamente ben pagato e in quantità considerevole presente con generali nel suo governo. In pratica nell’esecutivo Maduro risiede l’elite dei vertici militari:  oltre all’attuale militare presidente del Pdvsa, il basilare ente statale che gestisce tutta l’estrazione del petrolio in Venezuela, almeno un terzo dei ministri governativi sono generali o ex militari in pensione. Per cui Maduro non può temere alcun colpo di stato da parte dell’esercito (come spesso viene ventilato) perché il governo Maduro è già quasi un governo di militari (che si definiscono perfino “socialisti e difensori della rivoluzione”) che ricoprono i ministeri più importanti.

Quando in febbraio i giornali hanno riportato che il segretario di Stato americano Rex Tillerson in visita in Sud America ha affermato che: “Nella storia del Venezuela e dei Paesi dell’America del sud, molte volte i militari sono agenti di cambiamento quando le cose vanno male e i leader non riescono più a servire il loro popoli“ e poi ha aggiunto che proprio i militari in questi casi “gestiscono una transazione pacifica”, per alcuni analisti questo non ha voluto dire che Tillerson evochi un colpo di stato per la soluzione della crisi venezuelana, ma che si stia rivolgendo a correnti di generali vicino a Maduro, prospettando loro progetti allettanti per un maggior riavvicinamento del Venezuela agli Usa.

Per quanto riguarda le prossime elezioni del 22 aprile, la vittoria di Maduro sembra quasi scontata, visto che le opposizioni si presentano divise. Al di la delle sceneggiate litigiose dove Maduro continua ad accusare l’opposizione di macchinare contro il paese con l’aiuto degli Usa, mentre i rappresentanti del Mud considerano il Presidente ormai un vero e proprio tiranno, non trova realtà che Maduro le abbia escluse dalla tornata elettorale. Dopo aver accettato la loro proposta di anticipare le elezioni, quello che emerge è che il “Tribunale Supremo de Justicia” venezuelano non ha accettato la registrazione alle elezioni del partito “MUD” - la nuova sigla in cui si raggruppano i partiti d’opposizione- in quanto alcuni dei partiti presenti adesso nel raggruppamento “MUD” si erano già registrati in precedenza singolarmente alle elezioni. Accettando adesso la formazione Mud alle elezioni si verificherebbe per questi partiti una doppia registrazione, e questa doppia registrazione è contro legge.  

Maduro si definisce un “socialista”, un compagno (come i suoi militari). Probabilmente non ha la minima idea di cosa significhi socialismo, visto che come presidente capitalista e affarista tiranneggia il proletariato con l’aiuto dei generali. Senza di essi non rimarrebbe neanche un giorno al potere.

Maduro, come il suo predecessore Chàvez e il brasiliano Lula è un presidente populista, che vive sulla vendita del petrolio e sullo sfruttamento dei lavoratori.


 

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-LOTTA DI CLASSE SINDACALE-

 

LO SCIOPERO DEI FERROVIERI IN FRANCIA 

 

DIKTAT UE PERCHE’ ANCHE IN FRANCIA I PADRONI POSSANO LICENZIARE

 

 

“I padroni salutano la riforma” afferma il ‘Tagesschau’ del 21 sett. dello scorso anno nell’articolo “Come Macron vuole ricostruire il mercato del lavoro”. L’attacco contro i lavoratori da parte dell’Unione Europea (leggasi: l’Unione della Grande Imprenditoria Europea), dopo aver colpito in Germania (con Schröder), in Italia, Grecia, Spagna, ecc. si sposta adesso in Francia contro la forte categoria dei ferrovieri francesi. Più volte su questo giornale abbiamo riportato come la UE esiga con forza dai vari governi europei, senza distinzione di colore o partiti, di proseguire nella loro lotta contro i lavoratori per più libertà di licenziare, contro i salari, pensioni, contro il posto fisso, e così via.

Il vero scopo della cosiddetta “riforma del settore pubblico – contro i privilegiati”  in Francia - è appunto quella di arrivare anche nel settore delle ferrovie a ‘licenziare’, ‘abolire lo statuto dei lavoratori per i nuovi assunti, togliere la garanzia dell’impiego a  tempo indeterminato e la pensione anticipata ai giovani’. Per il governo francese, come per i governi europei, queste misure fanno parte di una strategia più generale: 

“Macron è già riuscito a far approvare una contestata riforma del lavoro che ha indebolito  il potere contrattuale dei sindacati e a reso più flessibile il mercato del lavoro in generale, permettendo così alle imprese di licenziare con maggiore facilità” spiega “il Post” del 22 marzo. 

In contemporanea a queste misure dure anti lavoratori, i giornali riportano che il governo Macron si appresta nella programmata finanziaria per il 2018 ad effettuare un taglio consistente di tasse alla classe più elevata e agiata della società, a banche e industriali: “Macron l’eroe dei ricchi” era il titolo del quotidiano ‘Liberation’ del 28 sett. 2017. Non c’è dubbio, un altro esempio di ennesima conferma al marxismo quando dichiara che i governi e i parlamenti, anche se votati dalle masse lavoratrici, sono sempre sotto stretto controllo dei capitalisti e che anche la sovrastruttura democratica è sempre diretta dai ricchi borghesi.

Per saltare i negoziati con il sindacato e la discussione in parlamento, il governo borghese Macron, nel tentativo di facilitarsi il compito, ha usato lo strumento del ‘decreto’ per imporre le dure misure contro i ferrovieri.

Ma la reazione del personale e dei sindacati del settore è stata ed è dura e violenta. Sono stati programmati nientemeno che 36 giorni di scioperi spalmati su 3 mesi, che si attueranno per 2 giorni alla settimana fino al 28 giugno. “Uno sciopero senza precedenti” viene definito dai media. Certamente è la giusta risposta contro un padronato arrogante e deciso. Vedremo se basterà a fermare il governo francese e la grande borghesia europea, nascosta sotto la sigla UE.

Per il momento la partecipazione è massiccia e i sindacati organizzatori della protesta sono coesi. Allo sciopero hanno aderito “anche i lavoratori dell’Air France, i netturbini e i dipendenti di alcune società energetiche in un crescente clima di scontento”. chiarisce ‘askanews’ del 4 aprile, e prosegue: ”Il sostegno pubblico allo sciopero è del 46%, secondo un sondaggio Ifop pubblicato domenica, ma in crescita, quattro punti in più rispetto a due settimane fa”.

E’ quello che gli industriali temono: temono che la lotta si possa allargare come in passato in precedenti occasioni di sciopero dei ferrovieri. Che il forte disagio e la forte rabbia creata dagli scioperi sposti sempre più fette di lavoratori a favore degli scioperanti e che il governo Macron possa mostrare segni di cedimento, come accaduto per anteriori governi, fino a far cadere le misure anti lavoratori.

Certamente l’intensissimo sciopero senza precedenti” porterà risultati positivi ai ferrovieri francesi. Ma siamo convinti che solo una lotta europea, se i lavoratori si uniranno a livello europeo e lotteranno tutti uniti potranno sconfiggere l’attacco che la UE, ossia ‘l’Unione delle borghesie Europee’, sta conducendo contro di loro. 

 

PERCHE’ IN EX DDR-URSS E ADESSO IN CINA, CUBA,

COREA del NORD NON ESISTE ALCUN SOCIALISMO

MA IL CAPITALISMO, CIOE’ IL CAPITALISMO DI STATO?

 

 

LO STATO CHE DIVENTA IMPRENDITORE CAPITALISTA

e che in alcune nazioni per ingannare i lavoratori si autodefinisce “socialista”

 

 

PUO’ LO STATO ESSERE AFFARISTA COME UN CAPITALISTA PRIVATO E GUADAGNARE SOLDI?  CERTAMENTE. 

Il partito che è al governo e dirige lo stato può contemporaneamente dirigere anche le banche e le industrie appartenenti allo Stato, con l’obbiettivo, come avviene per il settore privato, di ottenere profitto. E questo non è sicuramente “socialismo”.

Gli esempi di nazioni dove accanto al settore privato lo Stato capitalista dirige industrie e banche sono innumerevoli.

Prendiamo per esempio la Germania. Nel paese più autorevole d’Europa, nel settore creditizio sono le banche pubbliche a farla da padrone: sono le “Landesbanken” e le “Sparkassen”. Coprono una parte molto estesa del settore e sono invidiate da tutte le borghesie del continente (e oltre).  Così le descrive Peter Dorman nel suo blog del luglio 2011: “Sono soggetti di proprietà pubblica che stanno sulla cima di una piramide fatta da migliaia di casse di risparmio di proprietà comunale. Se si considerano anche gli istituti di credito immobiliare di proprietà pubblica, circa la metà del totale del sistema bancario attivo tedesco appartiene al settore pubblico (un altro pezzo sostanziale è costituito dalle casse di risparmio cooperative)”. [Nicoletta Forcheri su ‘ENNEDIEFFE’ -19 ott. 2011]

Francia. “Anche la Francia è storicamente caratterizzata da una forte tradizione di intervento pubblico nell’economia. Le nazionalizzazioni realizzate nel dopoguerra, secondo la logica dello ‘stato imprenditore’ portarono sotto il controllo pubblico settori quali l’industria estrattiva, del gas, dell’energia elettrica, dei trasporti e del credito.(…) Le ulteriori nazionalizzazioni realizzate nei primi anni Ottanta, sotto la guida del governo socialista, segnano il picco di intervento pubblico diretto nell’economia: a metà degli anni ‘80 le imprese pubbliche contribuivano alla formazione del Pil francese in misura pari al 15%”.  [Enrico Cotta Ramusino, Alberto Onetti -2011- Business & Economics]. Da aggiungere che in Francia molto nota come azienda di proprietà pubblica è la Renault, dove nel 1991 ci furono furibondi scioperi. 

In Italia. Come in Francia, anche in Italia nei decenni seguenti il dopoguerra le aziende dirette dallo Stato capitalista erano molto numerose. In tutti i settori: nell’industria l’IRI e ENI, nel settore bancario BNL, IMI e INA, nei servizi  Sip, Ente Tabacchi, Enel, Snam. Negli anni ’90 causa la forte concorrenza internazionale che ha reso le aziende non più concorrenziali, lo Stato è stato costretto a venderne una parte, o a smembrarle o chiuderle.

Quindi sul tema riguardante le aziende statali capitaliste si potrebbe proseguire all’infinito con altre nazioni come Olanda, Belgio, Spagna, Regno Unito, ecc

Come si vede, lo Stato imprenditore affarista non è poi una novità ne una rarità nella società del profitto, anche se questo non è molto noto. 

Un appunto particolare sullo stato impresario lo merita lo Stato del Vaticano, cioè lo Stato clericale, dove il settore pubblico imprenditoriale la fa da padrone. Infatti sono i cardinali e non i privati a condurre le banche e le aziende papaline, di proprietà esclusiva del Vaticano. Ma nonostante tutto in San Pietro sia pubblico, per i preti questo non significa essere nel “socialismo” o tantomeno nel “comunismo”, come si afferma in altri paesi, anzi il contrario. 

Ed è appunto in altre nazioni come Cina, Cuba, Corea del Nord (o ex Ddr, ex Urss, ecc.) dove anche in questi paesi tutto (o quasi) appartiene allo Stato, che partiti al governo che gestiscono e dirigono capitalisticamente industrie e banche per ottenere profitti si dichiarano falsamente “socialisti” anziché borghesi. Proprio il contrario di quanto Engels a suo tempo aveva dimostrato e comprovato essere un inganno.

Anche per noi oggi questo presunto “socialismo” cinese o cubano o coreano trattasi di imbroglio. E ovviamente c’è anche un motivo per cui questo imbroglio viene perpetrato. I partiti al governo in queste nazioni cercano di sfruttare la possibilità, con accattivanti parole come “comunismo” o “socialismo”, di conquistare, carpire la fiducia dei lavoratori sfruttati. I quali, fatti convinti di essere nel “socialismo” vengono indotti ad opporre meno resistenza al loro soggiogamento e sfruttamento, sia in fabbrica che nel sociale. E si cerca anche così attraverso questi concetti pieni di significato anticapitalistico, antipadronale, di convincerli ad accettare le dure dittature borghesi mascherate da “comunismo”.   

Alcune formazioni marxiste in occidente, che associano “statalizzazione” come “socialismo” (esattamente come succedeva ai tempi di Engels) accreditano esserci veramente il socialismo in Cina, Cuba, Corea del Nord. Un grosso abbaglio e un grosso sbaglio a nostro avviso. Il socialismo è tutto un altro mondo, un altro tipo di società, un altro sistema produttivo. Un sistema produttivo dove non esiste più la compravendita delle merci con il relativo profitto, cosa che chiaramente senza alcun dubbio in queste dittature borghesi esiste. Il socialismo è una società dove dopo l’eliminazione della compravendita i prodotti vengono suddivisi equamente tra la popolazione per il benessere comune.


 

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MA CHE COS’E’ IN REALTA’ IL PARLAMENTO?

 

Parlamento strumento della borghesia per il controllo sul proletariato. Astensionismo tattico.

La grande borghesia industriale e finanziaria, che è una piccolissima minoranza della popolazione, l’1%, ha l’enorme  problema di controllare la gran massa del proletariato, che in alcune nazioni arriva ad essere anche l’85% della popolazione attiva.

Per arrivare a questo enorme controllo ha bisogno di strumenti adeguati. I media, cioè i giornali e le tv e poi le scuole, le università, il clero, ecc. svolgono egregiamente questo compito. Ma lo strumento migliore, per eccellenza, viene svolto dal Parlamento.

Il parlamento serve al padronato per dare l’impressione al proletariato attraverso il voto, di poter decidere sulla conduzione della vita politica ed economica del paese, di aver un ruolo.

Il trucco, il gioco di prestigio dei ricchi nell’uso di questo strumento, consiste nel fatto di far votare il lavoratore facendolo scegliere su una vasta gamma di partiti dei quali il lavoratore conosce poco o crede di conoscere. Partiti che invece, chi direttamente chi indirettamente, nascostamente, lavorano per il padronato e fan finta di polemizzare tra di loro. Dopo il voto, per il fatto che i parlamentari rimangono in carica 4 o 5 anni e in questo periodo non possono più essere ritrattati, il lavoratore che li ha votati non è più in grado di controllarli e quindi i partiti, slegati da chi li ha votati, possono prendere qualsiasi decisione, seguendo le indicazioni e gli interessi dei ricchi imprenditori da cui direttamente o indirettamente dipendono.

Il  lavoratore che con il voto è convinto di essere stato determinante, in realtà non svolge nessun ruolo. Gli è stato buttato solo fumo sugli occhi per attirarlo in una scelta che con i suoi interessi nulla ha a che fare.

Si sta notando però che sempre più lavoratori istintivamente percepiscono questa discrepanza, questa inganno e come nei decenni il numero dei votanti stia sempre più calando.

Che posizione dobbiamo tenere come partito rivoluzionario di fronte a questo strumento sofisticato della borghesia?

Possiamo usarlo (oltre agli altri sistemi organizzativi di sviluppo del partito di cui disponiamo) entrando nel parlamento e sfruttarlo come ulteriore aiuto per lo sviluppo del partito, usandolo come “cassa di risonanza” per la diffusione delle idee comuniste? In altre parole, nella piena consapevolezza che con il parlamento il proletariato e il partito rivoluzionario non possono ottenere nulla,  lo si potrebbe però sfruttare come eco perché le idee comuniste possano raggiungere più lavoratori possibili, come fatto dai bolscevichi e dai socialdemocratici rivoluzionari tedeschi e come consigliato da Lenin nella 3° Internazionale.

Oppure usare l’astensionismo parlamentare?

Per noi la scelta dipende dalla situazione in cui ci si trova e si opera.

Ai tempi di Marx e dei suoi socialdemocratici e di Lenin e dei suoi bolscevichi i partiti rivoluzionari erano costretti alla clandestinità e oltre ai sistemi organizzativi interni propri per lo sviluppo del partito, l’aiuto dell’uso del parlamento borghese come “cassa di risonanza” poteva tornare molto utile per diffondere le idee comuniste in quei momenti di dura clandestinità.  

Ma al giorno d’oggi la situazione sotto questo aspetto è notevolmente cambiata e i partiti rivoluzionari, almeno nelle nostre nazioni, per il momento, non sono costretti alla clandestinità o semiclandestinità e lo sviluppo dei partiti rivoluzionari è tranquillamente possibile senza entrare nel parlamento e sfruttarlo.

Oggigiorno entrare in parlamento come partito rivoluzionario pone un grosso problema: essere in parlamento  e allo stesso tempo denunciarlo come efficace strumento della 

 

borghesia contro i proletari appare e rimane una forte contraddizione agli occhi del lavoratore. Una forte contraddizione che crea una notevole confusione nella testa di chi vuole capire, vuole unirsi a noi e combattere contro il capitalismo per una società superiore. Rimanere coerentemente al di fuori dello strumento borghese parlamentare diventa perciò, agli occhi di chi è contro il sistema, logico, chiaro. E questo facilita l’avvicinamento e la formazione di chi vuole impegnarsi contro il sistema. 

Adoperare perciò i normali metodi di sviluppo del partito rivoluzionario usati dai socialdemocratici e dai bolscevichi e nello  stesso tempo rimanere fuori dalle aule parlamentari, diventa in questo momento e in questa situazione secondo noi, la scelta politica tattica migliore, più efficace.

E l’attuale esteso, enorme, partito rivoluzionario extraparlamentare Lotta Comunista in Italia, che con molto successo sta usando i sistemi organizzativi coerentemente astensionisti è la conferma che la scelta funziona. Scelta che ha permesso al piccolo gruppo dei fondatori di Lotta Comunista quale era negli anni ’50 di arrivare ad estendersi su tutta la penisola italiana e negli anni 2000 di aprire circoli anche in Europa.

Anche per noi quindi, l’astensionismo diventa la scelta più idonea, coerente, di successo, su cui proseguire.

 

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MA LA RIVOLUZIONE E’ POSSIBILE?

 

 

Rivoluzione possibile per arrivare alla società superiore.

 

La società  capitalistica presenta un’enormità di contraddizioni visibili a tutti e nel suo sviluppo procede a cicli in cui si alternano lunghi momenti in cui la rivoluzione non è possibile a corti, ma intensivi momenti, in cui la rivoluzione è possibile.

Nei lunghi cicli di espansione con relativo benessere, in cui le contraddizioni non sono così acute e sono relativamente limitate, la borghesia che domina la società può senza grossi problemi controllare il proletariato.

Ma ben diversa si presenta la situazione quando arrivano i corti ma particolarmente intensivi momenti in cui gli affari producono crisi acutissime con guerre. In queste situazioni il proletariato viene portato a condizioni estreme con immani distruzioni , fame, innumerevoli morti.

E’ in queste situazioni, come ben visto da Marx e confermato più volte dalla storia, che si creano le condizioni materiali perché il proletariato in massa possa reagire contro la propria borghesia, combattere e arrivare  alla rivoluzione.

Ma perché la rivolta contro i ricchi, perché la rivoluzione abbia successo, ci deve essere nel paese dove il proletariato insorge, la presenza,  già da tempo, di una organizzazione rivoluzionaria sufficientemente estesa che con i suoi quadri rivoluzionari, vale a dire con i suoi esperti in politica rivoluzionaria, possa condurre la  rivolta alla presa del potere, come la rivoluzione russa dell’ottobre con successo ha dimostrato.

Senza il partito rivoluzionario, cioè senza la presenza ramificata di questi esperti, anche se le condizioni materiali per la rivoluzione sono presenti, la rivoluzione stessa non è possibile, come spesso già visto.



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