CROLLO CDU-CSU e SPD ALLE ELEZIONI IN BAVIERA E HESSEN: ARRIVA IL POPULISMO ANCHE IN GERMANIA?

 

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Populismo vuol dire protesta. Significa che la popolazione è insoddisfatta e cerca nuove espressioni di partito per risolvere i problemi che creano loro insoddisfazione.

Come esempi pratici di questa insoddisfazione-malcontento-protesta in Europa abbiamo i populisti della Lega e Movimento 5 Stelle in Italia, Syriza in Grecia e l’Fpö in Austria e la Brexit in Gran Bretagna, che sono tutti partiti al governo. Ma abbiamo anche partiti populisti all’opposizione di destra in costante aumento come la Le Pen in Francia, il PVV di Geert Wilders in Olanda, o di centro-sinistra come Podemos in Spagna.

Molti centri studi prevedono, o percepiscono, che dalle prossime elezioni europee del 2019 uscirà una forte crescita dei partiti populisti euroscettici che si esprimono contro le misure finanziarie UE. Il vento populista sembra invaderà il continente Europa.

 

ELEZIONI IN GERMANIA

Il populismo sta raggiungendo anche la ricca Germania? Le elezioni in Baviera del 14 ottobre e quelle in Essen del 28 dello stesso mese hanno visto il crollo dei due partiti maggioritari che da 60anni governano la politica federale tedesca: la CDU-CSU e la SPD, che mediamente in entrambe le elezioni perdono il 10-11%. Un crollo notevole e inaspettato. In verità è una cedimento che è in linea e rispecchia quello che sta avvenendo negli altri paesi europei, una caduta che riguarda tutti i vecchi partiti dirigenziali governativi filo-europei.

Dall’altra entrambe le elezioni evidenziano certo l’affermarsi del partito xenofobo AfD tra il  10 e il 12% (come tutti si aspettavano), ma anche la notevole crescita dei Verdi (Grünen) con una crescita tra l’’8-9% che si attestano mediamente sul 17-19% raggiungendo l’SPD e addirittura superandola in Baviera diventando il secondo partito dietro alla CSU (adesso al 37,2%, prima al 47,6%).

Sia l’AfD che i Verdi sono partiti di protesta che esprimono il malcontento, sia sociale che xenofobo delle masse.

Con i risultati elettorali in Baviera e in Hessen si potrebbe addirittura rischiare un paragone politico con quanto sta accadendo in Italia: la crescita dell’AfD sembra rispecchiare la crescita della Lega Nord xenofoba, mentre l’incremento dei Verdi lo si può accostare alla forte crescita elettorale del Movimento 5 Stelle, essendo le posizioni di protesta sociale tra i due partiti populisti in alcuni aspetti abbastanza simili, cioè critici verso i vertici europei e per un’Europa “meno austera”.

 

COSA PUO’ SIGNIFICARE IL CROLLO CSU – SPD E L’AUMENTO DEI VERDI E DELL’AfD?

Le dure misure restrittive imposte dalla UE in questo decennio non rimangono senza conseguenze. Sono contro lo stato sociale e contro i lavoratori e gli effetti che producono sono quelli dell’impoverimento delle famiglie diminuendo il potere d’acquisto degli stipendi, colpendo le pensioni, e aumentando il lavoro precario. Il tutto a favore di una odiosa finanza che impone senza ritegno la sua dittatura. Tutto questo ha scosso duramente le persone e le masse lavorative di alcuni paesi in Europa. E gli effetti negativi delle misure UE operano certamente anche in Germania. E’ quindi da aspettarsi che l’establishment impositore ne paghi prima o poi le conseguenze. Perché più le misure peggiorative fanno sentire il loro effetto negativo di impoverimento sociale, più diventa evidente che i sacrifici imposti non servono assolutamente a niente, se non solo ad ingrassare una già obesa finanza inutile e parassitaria, peggiorando le condizioni di vita delle famiglie. Schäuble sostiene non sia così. Per noi Schäuble certamente si sbaglia.

E’ logico che tutto questo in Europa porti le masse ad essere insoddisfatte, in alcuni casi anche furiose. E naturalmente protestano. Protestano nelle maniere più svariate: con gli scioperi duri in Francia, il Brexit in Gran Bretagna, o votando partiti di protesta.

Tutta questa insoddisfazione-malcontento si mescola poi alla paura prodotta dall’ondata di migranti arrivati dalle guerre del Medio Oriente di Siria, Iraq e Libia, che fa alzare la febbre xenofoba.

ARRIVERA’ ANCHE IN GERMANIA LA PROTESTA POPULISTA?

Probabilmente si. Il vento protestatario iniziato con la Brexit nel giugno 2016 sta investendo tutto il continente, difficilmente la Germania ne rimarrà immune, e le elezioni in Baviera ed in Hessen ne sono la testimonianza.

In queste proteste i rivoluzionari marxisti si mobilitano nei sindacati per contrastare concretamente le misure peggiorative UE e si attivano nella società per spiegare e organizzare le masse lavoratrici sfruttate che la soluzione ai problemi creati dai capitalisti non sono i partiti populisti, che poi storicamente, quando arrivano al governo si adattano sempre a diventare membri dell’establishment (vedi Syriza o Trump), ma una società diversa, una società superiore senza più sfruttamento. 

 

DIMISSIONI MERKEL dalla CDU: FINE DI UN’EPOCA

 

 

 

 

Per il marxismo i politici appartengono alla “sovrastruttura” sociale, cioè si interscambiano tra loro per perseguire gli interessi di quella che è la “struttura”, ossia l’economia, l’economia borghese.

Per l’analisi marxista, anche il compito di Angela Merkel è stato questo, mettersi a disposizione dei capitalisti borghesi e farne gli interessi.

Il fatto di essere stata capo di governo per ben 4 legislature consecutive dimostra che la persona, in campo borghese, è abile e ha notevoli capacità direttive e soprattutto di mediazione. Perché dentro il mondo dei politici della borghesia la concorrenza è forte e spietata e le trappole e gli sgambetti sono frequenti tra di loro.

 

ANGELA MERKEL HA RAPPRESENTATO una linea ben precisa all’interno del mondo borghese industrial-finanziario tedesco-europeo: la linea del rafforzamento dell’Unione Europea sotto direzione tedesca, nella forma dell’austerità.

Sotto la sua direzione, in sintonia con il suo partito, ha imposto agli altri governi delle borghesie europee un sistema finanziario su modello della banca centrale tedesca, ossia di “forte limitazione del debito pubblico” e “diminuzione del costo del lavoro”. In termini pratici: forti tagli alle spese sociali, con in prima linea l’attacco alle pensioni, e la diminuzione dei costi in fabbrica per gli imprenditori con l’estensione del lavoro precario e il freno agli aumenti salariali.

Sul piano dell’immigrazione la politica della cancelliera è stata di grande apertura ai rifugiati, per questa sua decisione è stata molto criticata da alcuni ambiti politici tedeschi (anche del suo partito).

 

IN POLITICA ESTERA i suoi governi si sono distinti per aver sempre preso una certa distanza dalle decisioni degli Stati Uniti (Ucraina 2014, Libia 2011, Siria 2011) pur essendo la Germania membro della Nato. Questo per evitare lo scontro con la Russia di Putin così da salvaguardare i forti interessi che l’imprenditoria e la finanza tedesca hanno nelle regioni russe.

 

ADESSO PERO’ LA SITUAZIONE E’ CAMBIATA.

-           Al timone della borghesia statunitense è salito Trump, e il presidente americano pretende che la Nato si coalizzi stretta contro Cina e Russia e non tollera più che il governo tedesco decida e si comporti diversamente da quanto deciso da Washington. Per ottenere questo Trump minaccia contro la Germania forme di ritorsione come l’innalzamento dei dazi in America sull’acciaio e per le auto tedesche importate.

-           Dal punto di vista della situazione in Europa, molte popolazioni stanno reagendo alla politica di austerità imposta dalla finanza tedesca, votando partiti politici populisti sempre più euroscettici.

La reazione popolare-populista sta investendo anche la Germania con la crescita improvvisa dei Verdi e dell’AfD che si dichiarano per un “Europa più tollerante”, cioè per una Germania meno austera.

 

LA PERDITA del 10% alle elezioni in Baviera e in Hessen della CDU-CSU e l’altrettanto perdita dell’alleato di governo SPD e la contemporanea crescita del 9-10% dei Verdi conquistata con il motto, appunto, per un “Europa diversa, più tollerante” ha avuto l’effetto di uno shock per l’establishment della CDU-CSU e per le dirigenze tedesche in generale ed è stato colto come un forte segnale di cambiamento in arrivo.

 

IL RISULTATO E’ STATO, com’è di prassi nel mondo borghese in queste situazioni di crisi, il pretendere le dimissioni della Merkel. Questo non significa affatto che verrà modificata la politica di austerità tedesca-europea fin qui perseguita. Ma con le dimissioni della Merkel l’establishment tedesco manda un segnale agli altri governi europei di essere disponibile al dialogo.

Probabilmente è anche un segnale a Trump, nel senso che d’ora in poi si accetta senza riserve la sua politica aggressiva contro Russia e Cina.

A noi marxisti e ai proletari tutti questi fatti confermano che il mondo capitalistico è un continuo evolversi e movimento. Va perciò seriamente analizzato e compreso. E significa che per noi è indispensabile proseguire sulla strada maestra della difesa degli interessi della classe proletaria.


 

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 -CONTRASTI TRA BORGHESIE-

LA CINA SVALUTA LO YUAN PER AGGIRARE I DAZI AMERICANI

 

Non è per caso che Trump abbia improvvisamente attaccato la Cina con una pesante guerra commerciale. Trump non è la persona impazzita che improvvisamente (come il cattivo dei film) decide di attaccare il mondo e sconvolgerlo. Da molto tempo in America gli economisti e dirigenti delle grandi multinazionali e della finanza si lamentano sui media dello strapotere che la Cina sta assumendo nel mondo e Trump, presidente degli Stati Uniti assieme alla sua Amministrazione come rappresentanti degli interessi della potente borghesia americana (coma sovrastruttura degli interessi americani, direbbe Marx nella sua analisi) perseguendo l’obbiettivo di difendere “gli interessi del proprio paese” attacca quindi il forte concorrente asiatico.

E non è un caso che l’attacco condotto dall’Amministrazione Usa contro la Cina sia anche contro altre borghesie emergenti come Russia, Iran, Venezuela, e lo scontro sia iniziato violentemente all’inizio del 2018. Tutto questo non è casuale proprio perché verso la fine del 2017 i governi di Pechino, Mosca, Teheran e Caracas, (vedere ‘Der kommunistische Kampf’ articolo “Petro-Yuan contro Petro-dollaro, una bomba nello scenario internazionale!” – Aprile 2018) hanno annunciato ufficialmente al mondo che non avrebbero più usato il dollaro nei loro interscambi commerciali. Una mossa che a detta degli specialisti, creerà notevoli problemi in futuro alla finanza e all’economia americana. Queste  borghesie che sfidano i potenti Stati Uniti con una mossa così eclatante, sapevano perfettamente che così facendo avrebbero causato la reazione americana. E la reazione violenta Usa contro Russia, Cina, Iran e Venezuela, con l’elevazione dei dazi e le numerose sanzioni punitive, com’è ufficiale, non si è fatta aspettare. Ma Trump nell’attacco non si ferma solo contro queste nazioni, agisce anche contro altri paesi come Turchia, Germania e l’Europa, paesi membri Nato e alleati Usa, se non aderiscono e ubbidiscono alle ritorsioni americane contro i nuovi concorrenti “dissidenti”.

PERCHE’ TRUMP CONTRO LA CINA USA COME RITORSIONE L’INNALZAMENTO DEI DAZI ALLE MERCI CINESI E NON ALTRE MISURE, COME PER ESEMPIO LE SANZIONI?

Molto dell’attuale sviluppo dell’economia cinese è dovuto dalla vendita dei prodotti cinesi nei paesi occidentali e soprattutto in USA. La borghesia affarista industriale cinese che dirige l’economia del dragone risedendo e dirigendo il tutto dai vertici dello stato (definendosi falsamente “comunista” per ingannare i lavoratori)  esporta e vende nei paesi avanzati manufatti di prima necessità  (cioè prodotti fatti con una bassa tecnologia industriale, come vestiario, scarpe, prodotti elettronici, giocattoli, suppellettili, elettrodomestici, pezzi di ricambio, e così via) per parecchie centinaia di miliardi di dollari. Queste vendite servono a Pechino per raccoglie moneta pregiata come dollari, euro, yen. Monete pregiate che permette poi al governo cinese di comperare, sempre dai paesi altamente industrializzati e tecnologizzati, ulteriori impianti industriali ed alta tecnologia per aumentare ancor più la propria area industriale in Cina. Ovviamente tutto questo avviene, com’è di pubblico dominio, tenendo al minimo possibile gli stipendi dei lavoratori cinesi e alzandone al massimo lo sfruttamento con orari di lavoro lunghissimi e intensissimi. Sfruttamento che permette non solo una forte accumulazione di capitale, ma anche immensi guadagni e ricchezze ai dirigenti borghesi del cosiddetto ma falso “Partito Comunista Cinese”.

Questo sistema di sviluppo, di interscambio commerciale, questa accumulazione iniziale, è una fase che tutti i paesi capitalistici in via di industrializzazione hanno già attraversato, e che adesso anche le borghesie degli attuali paesi emergenti seguono.

Le nuove borghesie entrando nella scena mondiale, nel passato come oggi, si trovano a subire  però la concorrenza e il contrasto delle forti borghesie dominanti già esistenti. L’Amministrazione Trump sta cercando appunto di ostacolare, di frenare l’espansione dei nuovi arrivati. I quali, dalla visuale americana, vogliono arricchirsi ed espandersi a spese e a danno gli interessi degli affaristi americani nel mondo. Agli occhi dei proletari questo può sembrare un’assurdità, ossia che una nazione cerchi di fermare lo sviluppo di un’altra nazione, ma il capitalismo funziona e ha sempre funzionato così. Un paese emergente diventa importante per le borghesie già esistenti quando permette loro di investire in quel paese e vendere i propri prodotti e produrre quindi profitto. Ma rappresenta un pericolo appena il paese emergente diventa troppo potente. Sono i paradossi, le contraddizioni del sistema capitalistico, ben descritte da Marx nelle sue opere, ed è per questo quindi che esiste la necessità di passare ad un’altra società, una società superiore.      

Tornando all’Amministrazione Trump, l’attuale mossa dell’innalzamento dei dazi Usa alle merci cinesi ha perciò lo scopo di chiudere i mercati occidentali alla Cina (dichiarata assieme alla Russia da Trump ufficialmente e senza sosta “Il pericolo maggiore per l’America”) per arrivare a isolarla così da imporre all’establishment cinese le condizioni americane.

All’innalzamento dei dazi in Usa il vertice borghese cinese a Pechino risponde con una forte svalutazione della propria moneta (lo yuan o renminbi). E’ una contromossa classica in queste situazioni nel mondo capitalista (così ha fatto anche il governo turco in agosto, quando ha svalutato improvvisamente la lira turca, allorchè Trump aveva preso la decisione, come ritorsione, di alzare i tassi doganali in Usa anche contro le merci turche).

La Cina e la Turchia lo possono fare, cioè possono svalutare improvvisamente le loro monete, perché entrambe non sono ancora potenze finanziarie (Stati Uniti e Europa per es. non lo potrebbero fare, essendo nazioni monetarie che prestano soldi in tutto il mondo). Se la Cina e la Turchia fossero grandi potenze finanziarie prestatrici di soldi e improvvisamente svalutassero le loro monete del 20-30% come successo adesso, chi nel mondo detenesse yuan cinesi o lira turca si troverebbe improvvisamente con un valore in meno del 20-30%, quindi perderebbe molto denaro, perciò scapperebbe subito da queste valute e nessun capitalista al mondo vorrebbe più avere a che fare con lo yuan cinese o lira turca. Non essendo che Cina e Turchia sono forze finanziarie, la loro contromossa svalutativa può quindi funzionare, creando solo problemi secondari al loro mercato interno

Il mercato capitalistico è caotico, si sa. E’ anche incontrollabile e spesso difficile da comprendere. E’ un mondo di continuo scontro e contrasto tra borghesie per arrivare ad ottenere il massimo profitto. Uno scontro dove le masse lavorative purtroppo ne vengono sempre coinvolte e trascinate.

-RIFLESSIONI, APPROFONDIMENTI-

SE MAO SAPESSE… 

ECCO PERCHE‘ LA CINA NON

E‘ MAI STATA COMUNISTA

 … MA UNO STATO CAPITALISTA, NELLA FORMA DEL CAPITALISMO DI STATO, CON L’OBBIETTIVO DI ACCUMULARE CAPITALI E RICCHEZZE.

   

 

 

 

Con titoli avvincenti tipici delle cultura cinese come “Vita!”, “L’uomo che vendette il suo sangue”, “Il settimo giorno”, “La Cina in 10 parole”, “Cries in the Drizzle” (Piange nella pioggerella) e “Fratello”, Yu Hua nelle sue opere mette l’accento soprattutto su quelle che lui considera essere le disfunzioni, le “storture”  del sistema cinese. Lo scrittore Yu Hua in Cina è diventato famoso per questo.

Ora è uscito l’ultimo dei suoi libri: “Mao Zedong è arrabbiato”.

In questa sua ultima opera Yu Hua confronta la Cina d’oggi con quella del passato. E osserva che il paese non è più la Cina “pura” come lo era ai tempi di Mao Zedong. Adesso la corruzione dilaga, l’inquinamento è arrivato ad un punto ormai di non ritorno, il presidente cinese Xi accentra tutto il potere nelle sue mani e non rimane più spazio per il dissenso, aumentano gli aborti clandestini e le demolizioni forzate delle case, il patriottismo è sparito lasciando il posto alla sete di denaro, e non ultimo, tipico della cultura locale, lo scrittore denuncia che i cinesi non riescono più a comprarsi le proprie tombe. La conclusione di Yu Hua è eclatante: “Se Mao Zedong sapesse cos’è diventata la sua Cina, sarebbe talmente arrabbiato che chiederebbe lui per primo di tirare via il suo ritratto da piazza Tian’anmen”.

Lo scrittore è convinto di vivere nel comunismo. E soffre intensamente nel vedere e descrivere le “storture” della “sua” Cina. Vorrebbe che ritornassero i bei tempi, vorrebbe che ritornassero i veri “comunisti” al governo e che il loro comportamento fosse conseguente, come ritiene avessero nel passato. 

Oggigiorno in Cina sempre più persone dubitano, a differenza di Yu Hua, che esisti ancora il “comunismo”. Noi marxisti invece siamo sempre stati certi che in Cina non esiste e non è mai esistito il “comunismo”. Non è mai esistito già dall’inizio della rivoluzione di Mao. Rivoluzione che noi comunisti fin dall’inizio abbiamo sempre definito essere stata “democratico borghese contadina”. Ma assolutamente non “comunista”.  

Ecco come i marxisti di “Lotta Comunista” analizzavano la situazione cinese nel ’67: “Dove va la Cina? … gli attuali avvenimenti cinesi confermano l’analisi marxista fatta da tempo sul corso della rivoluzione borghese in Cina”, per poi proseguire: “Il maoismo, ridotto alla sua essenza, non è altro che l’ideologia dello sviluppo capitalistico nelle condizioni particolari della Cina”. Chiaramente nessuna dichiarazione marxista di rivoluzione proletaria in Cina.

Perché lo scopo della rivoluzione che Mao Ze Dong e il suo partito hanno condotto in Cina, anche se si definivano “comunisti”, non era arrivare al comunismo con la suddivisione dei beni e l’eliminazione della compra-vendita e quindi del profitto, com’è nella società comunista, ma di liberare i contadini dell’immensa nazione cinese dal latifondismo dei grandi proprietari terrieri per portarli, con una suddivisione delle terre impostata sulle cooperative, in una economia borghese moderna. In altre parole, con la rivoluzione i contadini cinesi ora diventati possessori delle terre, possono coltivarle per conto proprio, vendendo e commerciando liberamente i propri prodotti per ricavarne un profitto. Una situazione esatta come in un’altra normale economia borghese. Certamente un passo in avanti storico notevole per la nazione, ma non “comunista”, come si voleva far credere.  

Praticamente Mao e il suo partito hanno iniziato nell’enorme mercato cinese una fase di sviluppo capitalistico ponendo le basi per uno sviluppo industriale, che poi è avvenuto e che oggi è realtà.

Si può invece sottolineare che la caratteristica dello sviluppo del capitalismo statale cinese è stata molto particolare. Nel senso che essendo la rivoluzione borghese in Cina condotta da un partito di stampo stalinista nazionalista che si definiva falsamente “comunista”, tutti gli elementi dello sviluppo, fin dall’inizio, sono stati accompagnati dai connotati sociali e folcloristici dall’imbroglio del finto socialismo. Cioè, ogni evento veniva festeggiato e salutato come sviluppo e vittoria del “socialismo” o “comunismo”. Con questa particolarità (o meglio, imbroglio) le masse contadine e proletarie potevano essere facilmente coinvolte nello sviluppo borghese con il minimo di proteste e il massimo sfruttamento.

E le “storture”, le “contraddizioni” che Yu Hua adesso con dolore descrive, confermano che il sistema cinese non è altro che capitalista. Niente di più e niente di meno, essendo che tutto il paese ruota, com’è evidente, attorno al profitto.

Yu Hua accentuando nei suoi libri le critiche sogna e incoraggia un ritorno al passato. E’ una chiara utopia. E’ come sperare che l’Europa ritornasse al Rinascimento o l’America al Far West. Anche Yu Hua si dovrà rassegnare alle contraddizioni del sistema borghese. Anzi si accorgerà che le contraddizioni si accentueranno con lo sviluppo imperialista della potente borghesia statale cinese che guida il paese.

Se Yu vuole una società migliore, diversa, dovrà modificare completamente i suoi concetti politici. Dovrà assumere quelli marxisti. Quelli veri però, non quelli nazionalisti stalinisti dell’establishment statale cinese. Dovrà studiarsi che cos’è il vero comunismo e come organizzarsi per raggiungere la vera e diversa società superiore.

 

 


 

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IL PREZZO DEL GREGGIO NELLO SCONTRO TRA BORGHESIE

WASHINGTON MANOVRA

IL PREZZO DEL PETROLIO CONTRO RUSSIA E IRAN

Anche il prezzo del petrolio può essere pilotato nella lotta interimperialista. 

 

 

Così riporta ‘Il Post’ del 23 giugno 2018: “L’OPEC – l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio – ha trovato un accordo – per aumentare la produzione di petrolio e farne calare il prezzo come chiedevano i principali paesi consumatori di petrolio. L’accordo è stato trovato su iniziativa dell’Arabia Saudita, che aveva subito nelle ultime settimane grosse pressioni dagli Stati Uniti per aumentare la produzione di petrolio, arrivato ai suoi prezzi più alti dal 2014”.

Anche il prezzo del petrolio può essere quindi pilotato. Per quasi due mesi sui giornali internazionali ha trovato grande risalto la notizia che il presidente Trump tuonava esigendo che i prezzi del petrolio venissero abbassati. Con forza spingeva perchè l’Arabia Saudita convocasse il vertice OPEC per farne aumentare l’estrazione così che se ne abbassasse il prezzo. L’andamento del prezzo del petrolio quindi non è casuale, ma ha una sua logica, una sua comprensibile spiegazione.

Alcuni opinionisti hanno visto nell’ordine di Trump all’Arabia Saudita di calare il prezzo una necessità del presidente per ricevere consenso dal suo elettorato. Altri un modo per raffreddare l’inflazione americana e di conseguenza non far alzare  i tassi di interesse del debito statunitense. Altri ancora per dare una spinta all’economia americana.

Tutte opinioni interessanti, ma noi non siamo di questo parere. Ne vediamo invece una lotta interimperialista tra borghesie. Una manovra Usa contro Russia e Iran.  Secondo Bakindo, segretario Opec, già in passato gli Usa hanno usato questo sistema, hanno fatto pressione perché il prezzo del greggio scendesse per scopi politici. Si riferisce all’Amministrazione Obama.  

Esistono nazioni, cioè borghesie, che dipendono esclusivamente – o quasi – dall’estrazione del prezioso prodotto energetico e di conseguenza ne sono in balia completa del suo prezzo. Nella battaglia sul mercato internazionale tra le enormi finanze-imprenditorie queste borghesie possono essere messe sotto scacco o essere ricattare da nazioni concorrenti o borghesie dominanti che sono in grado di pilotarne il prezzo. A nostro avviso questo rispecchia proprio l’attuale situazione, dove gli Usa, che vedono la Russia (assieme alla Cina) “Primo pericolo per l’America”, stanno cercando attraverso il calo del prezzo del greggio di mettere in ginocchio economicamente le borghesie di Mosca, Teheran e Caracas,  grandi produttrici di petrolio.

Come anche Bakindo fa capire, già Obama nel 2014-16 aveva sperimentato con esito positivo questa forma di battaglia-ricatto. In quel periodo lo scontro contro la Russia e la Cina emergente e in ascesa cominciava ad acutizzarsi e fervevano i negoziati per l’accordo sul nucleare dell’Iran, dove l’imperialismo americano come sempre, cercava di imporre il suo “Washington Consensus”, cioè il proprio diktat. Essendo l’Iran alleato e sotto protezione russa ed che entrambe le economie dei due paesi vivono sull’estrazione del petrolio, molti esperti hanno visto nell’allora improvviso calo del prezzo del petrolio da 120 a 35 $ al barile la manovra di costrizione dell’Amministrazione Obama per far accettare alle due borghesie ‘ribelli’ le proprie imposizioni. Così ‘Il Post’ del 4 genn. 2015: Il vice-presidente [iraniano -n.d.r.] Eshag Jahangiri, ad esempio ha definito il crollo del prezzo del petrolio un “complotto politico” ordito dai nemici dell’Iran e ha detto che se anche il prezzo dovesse scendere a 40 dollari al barile, l’Iran «continuerà a cavarsela bene».  Proseguiva poi ‘il Post’“… Di fronte alla necessità di tagliare il bilancio [a causa del calo del prezzo del greggio –n.d.r] ad esempio, l’Iran potrebbe essere costretto a diminuire il suo appoggio  al regime siriano di Bashar al Assad, al gruppo terroristico libanese Hezbollah e a Hamas, la fazione palestinese che domina la Striscia di Gaza. Infine, in caso di crisi prolungata, l’Iran potrebbe trovarsi costretto ad accettare le limitazioni al suo programma nucleare richiesta da Stati Uniti e Unione Europea, così da ricevere in cambio un allentamento delle sanzioni”.  Cosa che poi è stata.

In questa battaglia tra grandi borghesie per la conquista dei mercati, tutto dimostra che Washington riesce a manovrare il prezzo del greggio a seconda dei propri interessi. Infatti l’Amministrazione Obama una volta ottenuto il risultato che voleva nell’accordo sul nucleare con l’Iran del 2016, ha lasciato poi che il prezzo del greggio di nuovo fluttuasse e risalisse. Lo può fare certamente grazie alla collaborazione dell’Arabia Saudita, alleata e fedele esecutrice degli interessi Usa nel mondo. L’Arabia Saudita è il più grande estrattore di petrolio dei paesi OPEC e, in alleanza con i paesi del Golfo, aumentando o diminuendo l’estrazione del greggio, riesce a determinarne il prezzo a livello internazionale.

Adesso è l’Amministrazione Trump che usa di nuovo il prezzo del greggio per piegare i concorrenti Russia, Iran, e Venezuela, borghesie che assieme alla Cina in forte ascesa economica, politica e militare, si sentono così forti da mettere in discussione l’ordine mondiale imposto dagli Usa vincitore della 2° guerra mondiale.

In questa sua funzione di guidare gli interessi della potente borghesia americana, Trump si dimostra molto determinato nel continuare ad imporre al mondo il diktat di Washington (il suo ‘Make America great again’). Nel suo progetto non solo pilota il prezzo del petrolio, ma attacca i concorrenti e i “ribelli” a tutto campo, con l’aumento straordinario della spesa militare Usa, l’innalzamento dei dazi contro la Cina, sanzioni contro Russia, Iran, Venezuela, disdice l’accordo sul nucleare con l’Iran, costringe gli alleati europei a seguirlo nel serrare le fila nell’alleanza politico-militare NATO (usando anche qui il ricatto di alzare i dazi se non eseguono).

Alcuni analisti affermano che le grandi potenze si stanno preparando per lo scontro militare. Nell’instabile e piena di catastrofi società  capitalista non sarebbe certo la prima volta.

Sicuro è che questa società è tutt’altro che una società tranquilla, di pace, e che tutto può succedere.

Solo il Comunismo può cambiare tutto. 

  

VERTICE BRICS 2018: DECISIONI IN CONTRASTO CON I VERTICI G7-G8-G20

 PAESI BRICS: Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa

I PAESI EMERGENTI CHE DOMANI SARANNO LE FUTURE

GRANDI POTENZE MONDIALI.

 

     

 

 

 

Lo scontro tra massime borghesie oggigiorno non è più tra Usa ed ex Unione Sovietica come negli anni ’50/‘80, ma dopo il crollo dell’Urss si è trasformato ed è andato ad indirizzarsi tra paesi occidentali contro paesi emergenti. Questo mutamento si riflette anche nei summit internazionali. Oggi che i vertici tra Usa e Urss sono relegati al passato - i quali allora, da soli, contrattavano l’assetto mondiale – assistiamo invece a livello internazionale a due vertici mondiali: da una parte gli incontri dei paesi occidentali con i vari G7, G8, G20, ecc. e dall’altra i summit dei BRICS, cioè delle borghesie emergenti (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) che si riuniscono annualmente per discutere il loro interessi e le loro prospettive di politica e sviluppo mondiale.

I vertici BRICS sono incontri da non sottovalutare, come molti politici e esperti fanno. Perché essi riuniscono le più grosse economie emergenti e rappresentano qualcosa come circa il 40% della popolazione mondiale e stanno diventando inoltre forza di attrazione anche per altre borghesie in sviluppo.  Infatti all’ultimo summit BRICS 2018 di luglio a Johannesburg in Sud Africa, oltre ai paesi aderenti, collateralmente hanno partecipato anche Turchia, Senegal, Ruanda, Uganda, Angola, Argentina. Ed è in questa assise che la Turchia ne ha approfittato per richiederne ufficialmente l’adesione stabile al cartello: “Ho detto che se ci accetterete nell’alleanza, il blocco si chiamerà BRICST”, ha spiegato Erdogan ai giornalisti, aggiungendo che i membri BRICS hanno “accolto calorosamente” la sua proposta.” (Sputnik – 29 luglio 2018).

I BRICS come vertice di capitalismi emergenti, è destinato perciò inevitabilmente ad estendersi e prendere sempre più peso sulla scena mondiale, e mettere certamente ancor  più in difficoltà le vecchie borghesie imperialiste occidentali dominanti. Da seguire perciò come analisti marxisti, con la massima attenzione.  

I paesi BRICS sono sempre in frenetica attività: i comunicati ufficiali riportano come gli argomenti trattati nell’ultimo incontro di luglio siano stati molteplici toccando più tematiche come “Rilanciare la prospettiva di una maggiore cooperazione intra BRICS” (Il Sole 24 Ore -24 luglio 2018), fare il bilancio dopo 10 anni di cooperazione e “delineare le priorità per il prossimo decennio” (Ibidem).  Se il tema di base precedentemente accordato per il summit era “BRICS in Africa” e proprio per questo era stata scelta Johannesburg in Sud Africa come sede dell’incontro ed erano stati invitati al vertice anche diversi paesi africani (e questi indica la direzione di espansione imperialistica africana in cui i paesi BRICS intendono muoversi) tutti i commentatori sono stati del parere però che l’argomento dominante all’incontro sia stato la guerra commerciale intrapresa da Trump contro la Cina, su cui però non è stata rilasciato nessuna dichiarazione ufficiale.

Interessante notare è come i BRICS, essendo paesi emergenti, e quindi in contrasto con i vertici G7, G8, ecc. richiedano ed esigano un ordine mondiale tutto diverso da quello che vogliono i paesi occidentali. Ecco i commenti dei giornali internazionali sul summit di Johannesburg: i paesi BRICS “hanno concordato sulla necessità di una riforma delle Nazioni Unite, compreso il suo Consiglio di Sicurezza, allo scopo di rendere l’ONU più rappresentativa ed efficace nel rispondere alle sfide globali” (Marx21 – 21 giugno 2018). Il vertice BRICS “spinge i membri verso una prospettiva di sempre minore dipendenza dai Paesi avanzati ad una intensificazione della cooperazione reciproca e a una più vasta attenzione verso aree in sviluppo come il continente africano” (Il sole 24 Ore - ibidem). “Una nuova banca di sviluppo – fondata nel 2014 – deve portare i paesi emergenti all’indipendenza dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e dalla Banca Mondiale. La nuova banca con sede a Shanghai emette crediti per nuovi progetti, che vengono discussi nel vertice. Questo è il manifesto per la coalizione. Il Brasile ha espresso l’interesse di rafforzare la banca ed esige più progetti”. (DW, made for minds -25 luglio 2018). I BRICS esprimono “l’intenzione di rafforzare la cooperazione tra di loro e di estenderla ad altri paesi in via di sviluppo in Africa, Asia e America Latina”. …” I ministri BRICS hanno sottolineato l’importanza di un’economia globale aperta e inclusiva che consentirebbe a tutte le nazioni di beneficiare del commercio globale. E hanno respinto le misure unilaterali incompatibili con l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Queste misure mettono in pericolo il commercio internazionale e la crescita economica globale” … “ … hanno espresso la loro volontà di promuovere un’architettura di governance economica più efficace in tale contesto, che rifletta il panorama globale e dia più voce e rappresentatività ai paesi emergenti e alle economie in via di sviluppo”… “La crisi umanitaria in Yemen, le conseguenze dell’aggressione militare contro questo paese, il processo di riconciliazione in Afghanistan e l’urgenza di una soluzione politica in Siria che salvaguardi la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale di quel paese, sonno stati pure parte delle discussioni”… “La riunione preparatoria del vertice ha anche chiesto il rispetto dell’accordo nucleare firmato dall’Iran e da altri paesi, ma che gli Stati Uniti hanno rotto unilateralmente. Ha accolto con favore le iniziative mirate alla denuclearizzazione e alla pace nella penisola coreana” (Marx21 - ibidem).

Sono le classiche e ordinarie richieste di prospettiva e sviluppo di borghesie in ascesa, che sgomitano per cercare spazio in un mercato globale. Richieste che le vecchie borghesie imperialiste dominanti (come già accaduto nel passato) ignorano e non concedono. Infatti il recente attacco di Trump alla Cina è la testimonianza  dell’iniziativa americana, per fermare il gigante asiatico in forte azione e espansione. Lo scontro tra borghesie è in pieno svolgimento.  


 

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-GUERRE TRA BORGHESIE-

IN SIRIA FINITA LA GUERRA CONTRO L’ISIS, ADESSO LO SCONTRO SI SPOSTA TRA RUSSI E AMERICANI

MASSACRO SENZA FINE (PER INTERESSI CAPITALISTICI) 

NEL MEDIORIENTE PIENO DI PETROLIO 

 

Dura ormai da 7 anni la guerra in Siria che ha già causato secondo le fonti dalle 300 alle 500mila vittime, quasi 2 milioni di feriti, imprecisati milioni di sfollati, immense distruzioni e quant’altro. Questo è il tragico bilancio di una di quelle guerre che dai governi vengono definite piccole e secondarie. In realtà un macello, con proporzioni non trascurabili. E tutto questo solo per interessi capitalistici.

Il capitalismo non è solo quella bella società che le popolazioni dei paesi occidentali come gli europei sono abituate a vedere, ma il suo risvolto tragico è anche, è evidente, la guerra. La guerra che come cancro capitalistico può improvvisamente scoppiare, ovunque. E creare disastri enormi.

E’ stata la Siria adesso di turno (come del resto anche altre nazioni) ad essere investita e trascinata in questo baratro.   

GUERRA CIVILE PER SPODESTARE ASSAD - Tutto è iniziato nel 2011 quando il paese, zona di influenza russa, è stata coinvolta, come tutti le nazioni della zona nord africana e mediorientale, dalle famose proteste e rivolte delle “Primavere arabe”. In quello che è lo scontro tra borghesie per l’accaparramento delle zone di influenza, l’allora presidente dell’imperialismo americano Obama assieme ad alcuni paesi europei, aveva visto nelle rivolte – allora pacifiche – la possibilità di approfittarne per portare al governo in Siria gli oppositori e togliere il paese dall’influenza russa e portarla nell’ambito occidentale. E’ così che le proteste, armando da parte occidentale gli oppositori anti-Damasco, da pacifiche sono state trasformate in militari, tramutandole in una guerra civile sanguinaria e lunghissima.

IL CALIFFATO - Cosa che gli Usa non si aspettavano armando gli oppositori anti Assad è stato che gli integralisti islamici (portati proprio dagli occidentali in Siria per abbattere il regime di Damasco) ne hanno a loro volta approfittato, hanno colto l’occasione, per combattere per se stessi e crearsi un proprio loro stato islamico radicale: il famoso “Califfato”. Stato che si è velocemente esteso fino a diventare, a sorpresa, praticamente quasi predominante sul territorio siriano. Ad un certo punto il governo di Damasco sostenuto dai russi da una parte, e le milizie ribelli anti-Damasco sostenuti dagli occidentali dall’altra, si sono trovati non solo a combattersi reciprocamente, ma in contemporanea anche a dover combattere il terzo forte incomodo, il Califfato, che con i suoi militanti fondamentalisti si espandeva progressivamente.

Visto che la situazione si stava chiaramente evolvendo a favore del “Califfato”, i russi con l’alleato Assad e gli americani con le milizie ribelli anti-Assad hanno quindi deciso di smettere di combattersi a vicenda e di “allearsi”, e assieme combattere prioritariamente contro lo Stato Islamico. E’ così che la situazione improvvisamente si è trasformata, si è “evoluta”, e ha preso il nome di “lotta contro il terrorismo” , nominata così da Obama e Putin.

LA QUESTIONE DEI CURDI -  Ad oggi si può dire che il Califfato sia stato praticamente sconfitto. Ma come risultato il territorio siriano si trova adesso suddiviso in due zone di influenza: una zona controllata dal presidente Assad (forse l’80%) e il resto controllato dalle milizie curde sostenute apertamente dagli americani. Solo due zone, perchè per la terza area, il presidente turco Erdogan ha rinunciato ad una sua zona di influenza nel nord della Siria, in cambio dell’impegno del governo di Damasco e di Putin di combattere i curdi dell’YPG  filoamericani in modo che non creino un loro stato curdo in Siria.  

Obama prima e Trump dopo, hanno sempre sostenuto che una volta sconfitto “il terrorismo”, cioè l’Isis, se ne sarebbero andati dalla Siria. Con questo evidentemente intendevano che nel paese sarebbe anche stata riservata una zona ai curdi, da loro protetti.

Ma il recente accordo (settembre) tra Putin-Assad-Erdogan di non riconoscere un territorio autonomo ai curdi e le conseguenti dichiarazioni pubbliche di Putin dove afferma che tutto il territorio siriano deve essere sotto il controllo del legittimo governo di Damasco, intendendo che non c’è spazio per i curdi, ha fatto cambiare idea a Trump sul ritiro americano.

La decisione americana è stata perciò di non abbandonare militarmente la Siria per il momento. Così titolava Sputnik (il portale ufficiale del governo russo nelle lingue europee) il 25 settembre: “Bolton: gli USA rimarranno in Siria finchè l’Iran non si ritirerà”. L’articolo riporta con amarezza che adesso il ritiro delle forze armate americane è condizionato dal ritiro delle milizie iraniane. Ossia: se gli iraniani abbandoneranno il paese anche gli americani se ne andranno, altrimenti gli Usa rimarranno.  

E’ solo una scusa, una forma di ricatto degli Usa per rimanere in Siria e difendere le milizie curde da un eventuale attacco militare da parte del governo di Damasco, e costringere Putin, potente garante della politica di Assad, a concedere ai curdi la loro zona autonoma - quasi sicuramente precedentemente concordata dalle parti. Se Putin accetterà, gli americani, si sottointende, lasceranno il territorio siriano.

TENSIONI USA – TURCHIA. Con questa mossa di voler garantire a tutti i costi una zona curda, l’Amministrazione americana inasprisce però ulteriormente il suo già deteriorato rapporto con la Turchia di Erdogan, paese membro della Nato. Perché Erdogan, com’è noto, è decisamente contrario alla costituzione di uno stato curdo in Siria. Uno stato curdo al nord della Siria  potrebbe aizzare i curdi di tutta la zona del sud della Turchia, che potrebbero essere incentivati a separarsi da Ankara per formare un grande stato curdo che comprenda Siria, Iraq,  fino appunto alla Turchia, come sempre reclamato.

Le stragi, i morti, le distruzioni, sono parte prevista e programmata in questo gioco cinico, crudele e complicato di interessi e diaspore tra borghesie. Chi ne fa le spese però come sempre, non sono i ricchi borghesi responsabili, ma le masse lavoratrici arabe, che armate e usate come “masse d’urto” per gli interessi borghesi, vengono coinvolte in false, inutili e sanguinose lotte di religione e etnie.

SCONTRO TRA BORGHESIE-

SIRIA: VERTICE PUTIN-MERKEL-MACRON-ERDOGAN A ISTAMBUL

PUTIN E ERDOGAN CERCANO DI INFLUENZARE MERKEL E MACRON PER CONDIZIONARE TRUMP 

Vertice Istambul 27 ottobre – Putin, Merkel, Erdogan, Macron (quelle REUTERS)
Vertice Istambul 27 ottobre – Putin, Merkel, Erdogan, Macron (quelle REUTERS)

 

Giampiero Venturi, analista per “ilgiornale.it” intervistato da Sputnik il 28 ottobre, riguardo il Summit del giorno precedente a Istambul tra Putin, Erdogan, Merkel e Macron con l’intento di trovare un accordo politico comune sulla Siria e sulla sua ricostruzione, afferma che gli europei sostanzialmente non hanno mai svolto un ruolo importante nella guerra in Siria, ma che solo adesso, a guerra finita tentano di inserirsi.

Corrisponde alla nostra analisi. Vale a dire che le borghesie europee, con le loro multinazionali, banche, finanza, ecc. all’inizio del conflitto siriano, pur vedendo un vantaggio a partecipare anche a questa guerra (come a tutte del resto) hanno preferito, per svariati motivi di interesse, a rimanerne fuori o a parteciparvi solo collateralmente. Perché questa guerra civile siriana era stata fortemente voluta dall’allora Segretario agli esteri dell’Amministrazione Obama, Hillary Clinton e i governi europei se n’erano tenuti in disparte.

Poi l’entrata nel sanguinoso conflitto da parte dell’imperialismo russo di Putin, chiamato dal presidente borghese siriano Assad perché la guerra civile si stava evolvendo disastrosamente a sfavore del fronte militare di Damasco, aveva dato la svolta decisiva per la vittoria dell’esercito regolare governativo di Assad.

Alla luce dei fatti, si può dire che in Siria il vero scontro è sempre avvenuto tra le due grandi potenze, americana e russa, che militarmente hanno sempre sostenuto i due (o tre) fronti di belligeranti contrapposti. Le due grandi potenze ne hanno effettivamente determinato l’andamento, gli esiti e gli equilibri, scontrandosi o concordandone la spartizione del paese.

Adesso però che lo Stato Islamico è stato praticamente sconfitto e Putin e il presidente Assad ne vengono riconosciuti praticamente e ufficialmente come i veri vincitori della catastrofica guerra, i due presidenti hanno cominciato ad alzare la posta. Se in un primo momento del conflitto avevano accettato una certa spartizione della Siria, oggi a scontro finito Assad e Putin stanno cambiando posizione. Reclamano oggi che tutto il territorio siriano deva ritornare sotto controllo completo del governo legittimo di Damasco. E per questo si dicono anche disposti a combattere contro i curdi siriani dell’Ypg, che, sostenuti dagli americani pretendono invece com’è noto, una propria area autonoma all’interno della Siria (il progetto confederale del Rojava).  

Nel gioco-scontro tra borghesie, Putin e Assad sanno perfettamente che l’Amministrazione di Washington non concederà mai il ritorno al controllo completo di Damasco su tutto il territorio siriano (com’era prima della guerra civile) e quindi neanche il controllo sui curdi siriani del Rojava sostenuti e armati dagli Usa stessi. Perciò i presidenti russo e siriano (assieme a Erdogan) usano la tattica di spingere al massimo sul loro obbiettivo con minacce, dichiarazioni e mosse varie collaterali per ottenere il più possibile dagli americani a loro vantaggio, com’è consuetudine in queste diaspore borghesi.    

Il summit di Istambul del 27 ottobre voluto da Putin e Assad con la collaborazione di Erdogan, invitando la Merkel e il presidente francese Macron come i leader più forti dell’Unione Europea, ma non invitando di proposito il presidente americano Trump, lo si può interpretare senz’altro in questa tattica-pressione di mosse collaterali. E cioè che i tre presidenti organizzatori del summit stanno cercando di influenzare Merkel e Macron con promesse allettanti sulla ricostruzione della martoriata e distrutta Siria del dopoguerra affinchè i presidenti europei a loro volta facciano pressione su Trump a favore delle richieste del governo siriano.

Però portare sulle loro posizioni sia Merkel che Macron, per Putin e Assad sarà un’impresa alquanto disperata. Perché le idee del governo tedesco, ma soprattutto quelle del governo francese sul contesto politico del dopoguerra siriano, sono molto distanti da quelle russo-siriane-turche, non solo per quello che riguarda l’integrità territoriale del paese, ma anche sul ruolo di direzione che lo stesso Assad nel paese dovrà svolgere, che considerato che qualcuno tra i governi occidentali insiste perché lasci il potere.

L’offerta che viene prospettata agli europei in cambio del loro sostegno al fronte russo-siriano-turco per la ricostruzione della Siria è allettante. Si deve pensare che nella tragedia della guerra siriana alcune fonti danno che alcune città come Raqqa siano distrutte all’80%, e che perciò in Siria mancano non solo case e palazzi, ma anche fabbriche, ospedali, scuole, ferrovie, aeroporti e quant’altro.

Il summit di Istambul sembra non abbia dato a Putin e suoi alleati gli esiti sperati. Giampiero Venturi sempre nella citata intervista a Sputnik parla del documento finale come di un risultato di “mera dichiarazione d’intenti” (cosa che anche altre fonti confermano) sottolineando le forti divergenze di posizioni rimaste tra i due schieramenti. Probabilmente sia Merkel che Macron si tengono sul vago prima di prendere decisioni sulla Siria, per non inimicarsi Trump che aggressivamente è molto attivo contro Putin e alleati.

Letto da questo punto di vista, il summit di Istambul può quindi trovare l’interpretazione da noi data.   

 

Il presidente Trump non invitato al vertice, ma molto determinato nelle sue azioni (come dimostra essere), probabilmente non si lascerà intimidire da questo tipo di pressione orchestrata da Putin. Gli Usa sembrano ben decisi a sostenere i curdi dell’Ypg nel loro progetto confederale del Rojava, di lasciar loro una zona autonoma. Le trattative dietro le quinte perciò fervono.


 

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ITALIA: SALVINI FA IL DIVO POPULISTA SULLA PELLE DEGLI IMMIGRATI

APPROFITTANDO DELLE PAURE SOCIALI, LA RAZZISTA LEGA NORD SI SCAGLIA CONTRO GLI IMMIGRATI PER RACCOGLIERE VOTI.

AIUTA  I RICCHI PADRONI A DIVIDERE I LAVORATORI.

 

 

 

Il nuovo ministro degli interni Matteo Salvini e leader del partito xenofo Lega Nord in Italia, è balzato improvvisamente alla ribalta nei media europei per la notizia della sua netta chiusura dei porti italiani alle navi che trasportavano rifugiati e immigrati.

E’ bene chiarire al lettore tedesco che tipo di organizzazione populista sia la Lega Nord e il ruolo che svolge come sovrastruttura politica nel contesto borghese.  

STORIA DELLA LEGA NORD - In Italia questo partito ha già una lunga storia: per 30anni si è scagliato contro gli italiani del sud, accusandoli di non aver voglia di lavorare, se venivano al nord era per rubare il lavoro agli operai del posto, accuse al sud di non pagare le tasse ma di consumare i soldi statali provenienti dal nord, di essere tutti mezzi delinquenti e mafiosi, e così via.

Erano gli anni ’80-’90-2000 e la grande stampa del nord Italia, come voce degli interessi della grande industria e finanza settentrionale fomentava senza sosta la popolazione con articoli e servizi contro il sud italiano, definendolo parassita e mangiasoldi provenienti dal nord produttivo (più o meno le stesse accuse che vengono mosse qui in Germania alle ex regioni DDR). E’ stato così che gli allora vertici opportunistici della Lega Nord hanno approfittato per inserirsi contro il sud e trarne i lauti guadagni opportunistici elettorali.  

1994, LEGA NORD AL GOVERNO - E’ nel ‘94 che la Lega entra nel 1° governo Berlusconi per poi, a fase alterne, ossia per 4 governi, rimanerci per ben 15 anni. In tutto questo tempo al di la delle chiacchiere e delle promesse altisonanti non è riuscita a spostare di un millimetro il sistema finanziario italiano a favore del nord come promesso e sbraitato in pubblico fino all’esasperazione. Mentre invece gli evasori fiscali e i mangiasoldi del sud continuavano indisturbati ad operare come prima. Però in quel periodo le leggi peggiorative contro i lavoratori su pensioni, su l’estensione del lavoro precario e contro gli stipendi volute dalle UE, la Lega Nord nei vari governi assieme a Berlusconi le ha approvate tutte.

Viste le tante parole e i niente fatti (anzi visto i peggioramenti) gli elettori del nord hanno progressivamente abbandonato il partito clown e razzista.

ONDATA IMMIGRAZIONE - Nel 2015, come nel resto d’Europa, anche l’Italia ha subito l’intensa ondata di migranti provenienti dalle zone di guerra mediorientali e del nord Africa, creando un contesto di paura nei cittadini. E’ qui che la Lega Nord vede di nuovo la possibilità di rilanciarsi. Il nuovo e fresco leader Salvini cogliendo al balzo la nuova situazione di tensione dichiara adesso che il pericolo per il nord Italia non proviene più dagli italiani del sud, ma che, anzi unendosi a loro, il pericolo adesso diventano gli immigrati. Ha modo così di nuovo, furbescamente, di raccogliere consensi, voti e perciò soldi. E’ il giochetto opportunista che caratterizza sempre tutti i partiti della borghesia a caccia di voti, e Salvini non vuole lasciarsi scappare l’occasione.

Il trucco, come nel ’94 funziona e porta all’opportunista Lega Nord il risultato sperato. E questo permette al partito razzista, attirando consensi e voti alle ultime elezioni a marzo, assieme all’altro partito populista Movimento 5 Stelle di arrivare al governo.

2018, LEGA NORD DI NUOVO AL GOVERNO - Proprio come nel ’94 anche adesso la Lega è partito di governo e contemporaneamente, come allora, si dichiara contro l’establishment. Con la differenza che oggi si dichiara non solo contro l’establishment italiano, ma ha anche una posizione critica verso la UE, cioè si presenta come partito “euroscettico”. Come allora anche adesso, per raccogliere voti in campagna elettorale ha fatto molte promesse contro le misure ammazza-lavoratori imposte della UE.

In questi mesi di governo (fino ad adesso, al momento in cui scriviamo) è riuscita solo a fomentare tanta paura contro gli immigrati. Per quanto riguarda le misure promesse a favore dei lavoratori e contro la UE ancora non si è visto assolutamente nulla.

Sarà la solita sceneggiata opportunistica da bar come nel ’94 ? … molto probabile. 

NON FIDARSI - Il marxismo mette sull’avviso di non fidarsi dei partiti della borghesia, sia che siano dell’establishment filogovernativo o populisti “finti amici” dei lavoratori. Il loro ruolo è di ingannare i proletari con continue false promesse che a volte appaiono anche molto credibili. Sono però sempre e comunque al servizio dei ricchi borghesi.

 

Storicamente per ottenere miglioramenti sociali i lavoratori hanno dovuto sempre abbandonare la fiducia nei partiti borghesi e scendere in piazza con lotte durissime. Sarà questa la futura soluzione anche per i lavoratori europei.

Il partito marxista

 LOTTA COMUNISTA GUIDA LE PROTESTE ANTIRAZZISTE DI MASSA IN ITALIA

LA FORTE ORGANIZZAZIONE MARXISTA EXTRAPARLAMENTARE E’ L’UNICA IN ITALIA CHE PROMUOVE LE PROTESTE DI PIAZZA CONTRO IL RAZZISMO

(TUTTI I PARTITI DEL PARLAMENTO INVECE EVITANO) 

Tirreno News II: “Manifestazione a Milano di Lotta Comunista, Fiom, Cgil, Ampi”
Tirreno News II: “Manifestazione a Milano di Lotta Comunista, Fiom, Cgil, Ampi”

 

Milano, Genova, Torino, le più grandi città italiane hanno visto grandi manifestazioni con una moltitudine di partecipanti contro il razzismo e a favore degli immigrati. A guidare le dimostrazioni non erano i partiti dell’establishment, soliti a strumentalizzare iniziative simili per cercare voti, ma LOTTA COMUNISTA, l’organizzazione internazionalista extraparlamentare che intende invece gli immigrati un settore del proletariato importante. Per i marxisti, da sempre gli immigrati sono lavoratori e parte integrante della classe operaia stessa, da tutelare quindi con tutta la forza possibile.

Come rilevano i giornali nei titoli, alle grosse iniziative combattive promosse da LOTTA COMUNISTA hanno partecipato numerose organizzazioni del mondo del lavoro: vi erano gli striscioni del più grande sindacato confederale nazionale CGIL, i cartelli del sindacato di categoria metalmeccanici FIOM, l’associazione nazionale dei partigiani ANPI, numerosissimi consigli di fabbrica, tante sigle sociali e una moltitudine di giovani. E come la stampa con sorpresa riporta, dal palco gli interventi dei delegati non erano i soliti discorsi retorici opportunistici o ecclesiastici dei politici da televisione, ma argomentazioni taglienti e squisitamente di classe. Ne riportiamo i tratti più significativi: 

Un fatto eccezionale se si considera che tutti i partiti del parlamento evitano di organizzare le proteste  contro il razzismo per non perdere voti.

E’ la prima volta in Italia che un’organizzazione marxista che non siede in parlamento riesce ad avere le dimensioni numeriche di attivisti per guidare le manifestazioni di massa nelle piazze. E’ un fatto straordinario se si considera che in Europa le organizzazioni marxiste composte da piccoli gruppi non possono aver peso nel contesto sociale per poter organizzare cose di questo genere, e perciò nelle varie nazioni non possono giocare alcun ruolo importante nelle proteste. Proteste che vengono perciò gestite e strumentalizzate dai partiti parlamentari borghesi che le sfruttano per raccogliere voti. Importantissimo perciò è il ruolo che svolge LOTTA COMUNISTA.

 

 

Genova 24:

- “Gli spacciatori di paura stiano lontani dalle fabbriche e quartieri operai”: oltre 4 mila in piazza per il corteo di Lotta Comunista –

LOTTA COMUNISTA E’ PERCIO’ L’AVANGUARDIA NELLE LOTTE DEL PROLETARIATO EUROPEO  E  INTERNAZIONALE.

Un punto di riferimento per tutte le organizzazioni marxiste. 


 

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“Nell’ex DDR e Unione sovietica esisteva il socialismo?”

 

Indipendentemente da come una nazione si autodefinisce, che si definisca socialista o comunista, esiste un metodo scientifico semplice, riconosciuto in tutto il mondo, infallibile, per capire se in quel paese esiste veramente il socialismo o no. E il metodo consiste in questo: SE I PRODOTTI VENGONO VENDUTI PER TRARNE UN GUADAGNO allora siamo in regime di  capitalismo, SE INVECE I PRODOTTI NON VENGONO VENDUTI, MA SUDDIVISI EQUAMENTE TRA LA POPOLAZIONE allora si parla di socialismo, comunismo. Perciò nell’ex Urss, ex DDr, ecc. e adesso Cina, Cuba ecc. dove i prodotti vengono venduti per trarne un guadagno, si parla, senza ombra di dubbio, di capitalismo.

Perciò il crollo dell’ex Urss e dei suoi paesi satelliti non è stato il crollo del socialismo, perché in quelle nazioni non esisteva nessun socialismo, ma il crollo di alcuni paesi capitalistici, a capitalismo di stato per l’appunto.

Si può senz’altro affermare che il “Socialismo in un paese solo” stalinista non è altro che una delle tante forme di “Nazionalismo borghese” .

 

 

“Ma se le masse sono così apatiche, com’è possibile la rivoluzione?”

 

 

Il capitalismo si muove a cicli. Non bisogna farsi ingannare dal momento in cui si vive. Certo, adesso è così, viviamo in un momento di relativo benessere e la gente non pensa certo alla rivoluzione, questo è normale. Ma  non è sempre stato così e non sarà certo sempre così. Chi si interessa di politica, a chi piace la politica, deve avere la consapevolezza profonda che la società capitalistica è in continuo movimento: lunghi momenti di espansione con relativo benessere che si alternano a corti, ma intesivi momenti, di crisi, anche molto gravi, che si possono trasformare in guerre. Tutto questo non dipende dalla volontà delle persone, ma dal movimento oggettivo del sistema affaristico.  La gente comune queste cose non le conosce, ma noi che ci interessiamo di politica, le dobbiamo conoscere. Alla gente comune, che adesso sta vivendo un lungo momento di benessere, sembra impossibile che possano ritornare ancora momenti terribili ed è normale che pensi che la situazione non si modificherà mai più in negativo e rimarrà sempre così. Ma noi marxisti scientifici, esperti del ciclo capitalistico e quindi di realtà, sappiamo benissimo che il mondo degli affari è controverso e orribile e che causerà ancora situazioni terribili. E’ il ciclo capitalistico individuato a suo tempo da Marx e da Engels e confermato mille volte dalla realtà. E noi sappiamo  benissimo che la gente oggi è tranquilla e non pensa alla rivoluzione e ad una società superiore, semplicemente perché la situazione è tranquilla, ma se la situazione cambiasse e si modificasse , si esasperasse, anche le persone si modificheranno e una volta arrivati all’ esasperazione cominceranno in massa a pensare alla società superiore. E quello sarà il momento della rivoluzione! Esattamente come hanno fatto a suo tempo i bolscevichi con successo.” 


 

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ALLEGATO

COSA VOLEVA RAGGIUNGERE LA RIVOLTA SPARTACHISTA DEL NOVEMBRE 1918?  LA STAMPA ODIERNA CERCA DI SEPARARE GLI UGUALI OBIETTIVI RIVOLUZIONARI CHE LENIN E ROSA LUXEMBURG PERSEGUIVANO. E’ BENE ANCORA UNA VOLTA FARE CHIAREZZA.

Riproponiamo quindi l’articolo del GENNAIO 2017

 

 

Lenin e Rosa Luxembug 

DUE GRANDI RIVOLUZIONARI

DUE GRANDI COMBATTENTI PER IL COMUNISMO!

 

 

I giornalisti, i democratici cercano, in forma quasi ossessiva, di mettere in risalto le differenze tra Rosa Luxemburg e Lenin per inventarsi e amplificare una contrapposizione tra i due che in realtà non esisteva.

Che tra i due grandi rivoluzionari ci siano state delle diversità di vedute e di interpretazioni su questioni organizzative e di secondaria importanza non è un segreto ed è una cosa del tutto normale che avvenga, come succede in tutti i settori tra grandi scienziati che trattano la stessa materia.  Non poteva essere che così anche tra Lenin, Rosa Luxemburg e gli altri grandi comunisti.  

Per noi marxisti è invece di estrema rilevanza sottolineare e ribadire l’importanza  dello scopo unico che univa i due grandi rivoluzionari: ABBATTERE IL SISTEMA CAPITALISTICO IN TUTTE LE SUE FORME: sia democratico che  fascista-autoritario. E GIUNGERE AL COMUNISMO.  

Questo era il reale e alto fine dei due grandi rivoluzionari.

E’ più che noto che Lenin e Rosa Luxemburg  concordavano pienamente  sull’analisi politica marxista, e cioè che il sistema capitalistico sia basato sullo sfruttamento dei lavoratori, dove la borghesia domina indisturbata. Erano in perfetta sintonia nell’individuare nella causa della 1° guerra mondiale lo scontro militare tra capitalisti  per la conquista di nuovi mercati ed erano in totale intesa sulla necessità delle rivoluzioni per fermare il massacro (e non per via parlamentare come invece sostenevano i menscevichi russi e i socialdemocratici tedeschi diventati opportunisti).

E’ più che noto che in questa uniformità di veduta politica e di scopo, Lenin e Rosa  Luxemburg assieme, prima della 1° guerra mondiale, erano in prima fila ad attaccare quotidianamente le teorie riformiste opportuniste imperanti nella 2° Internazionale che sostenevano che i parlamenti e la democrazia erano la via maestra per l’emancipazione del proletariato e per il superamento pacifico del sistema capitalistico. Democrazie e parlamenti che secondo questi partiti opportunisti-riformisti, potevano addirittura, attraverso accordi tra capitalisti, essere strumenti per evitare guerre e disastri. Tutte concezioni bollate unitariamente da Lenin e dalla Luxemburg come folle fantasia e che la realtà ha poi tragicamente confermato.

Dissociandosi e in aperto contrasto con queste tesi utopiste e contro questi partiti Lenin e Rosa Luxemburg si collocheranno coerentemente nell’area del “Socialismo rivoluzionario” all’interno della 2° Internazionale.

Ma i professionisti denigratori del comunismo, gli speculatori lacchè al servizio della borghesia e dei soldi, TACCIONO DI PROPOSITO QUESTA INEQUIVOCABILE E FONDAMENTALE NOTA REALTA’, cercando di nasconderla, insistendo invece nel mettere in risalto solo le piccole diversità nell’intento di creare nell’opinione pubblica l’idea di un grande contrasto (che assolutamente non c’era) tra i due.

Nella menzogna quotidiana cercano di far apparire Rosa Luxemburg come simpatizzante della democrazia. Democrazia che la rivoluzionaria  ha sempre combattuto (come travestimento del dominio borghese) con estrema determinazione con il suo Spartakusbund (il suo partito). Quella democrazia che, assolutamente da non dimenticare, l’ha poi assassinata.

Cercano di dipingerla (speculando sempre sulle piccole differenze) come essere stata contraria ai bolscevichi rivoluzionari, mentre era perfettamente d’accordo con la loro politica rivoluzionaria, tanto che in seguito ha costituito il suo partito, lo “ Spartakusbund” proprio sul modello bolscevico-leninista.

Cercano spudoratamente di dipingerla antirivoluzionaria, mentre è stata assassinata proprio mentre dirigeva la rivoluzione.

Basta cominciare a leggere uno qualsiasi dei suoi libri (“L’accumulazione del capitale”, “La rivoluzione russa”, “Lettere contro la guerra”, “Riforma sociale o rivoluzione?”, “Lettere a Kautsky”, ecc.  o il suo articolo: “Che cosa vuole la Lega di Spartaco?”)per capire subito lo spessore rivoluzionario che la caratterizzava, la grandezza d’analisi che possedeva, l’unità d’intenti con il movimento rivoluzionario bolscevico e internazionale che perseguiva.

E per dimostrare che tra i due assolutamente non c’era nessuna contrapposizione di sostanza basti andare a vedere  la forte polemica che Rosa Luxemburg e Lenin assieme hanno condotto contro i revisionisti Bernstein e Kautsky per capire la straordinaria unità di linea politica che li caratterizzava contro la democrazia, il parlamentarismo, il riformismo, il gradualismo.

Insomma, bisogna stare molto attenti a ciò che la stampa borghese menzognera e tutti i suoi lacchè pennaioli diffondono. Non si pongono proprio nessun problema a stravolgere l’evidenza, la realtà (ammesso che della realtà gliene importi qualcosa) per raggiungere i loro scopi.

ROSA LUXEMBURG APPARTIENE AL MOVIMENTO RIVOLUZIONARIO, AL COMUNISMO!

(Per questo è stata assassinata dai sicari dei socialdemocratici tedeschi).

 

Der kommunistische Kampf” - gennaio  2017

ALLEGATO

LENIN, TROTZKJI, TROVANO CORRETTA L’ANALISI DI MARX, LA SEGUONO E QUESTO LI PORTA ALLA RIVOLUZIONE. ALTRI MARXISTI NON RIESCONO A CAPIRE LA REALTA’ DELL’ANALISI MARXISTA E PASSERANNO DALLA PARTE DELLA BORGHESIA. LA STORIA LI RICODERA’ COME DEI PERDENTI.

Riproponiamo l’articolo dell’APRILE 2016

 

 

I GRANDI REVISIONISTI DI MARX

fine 1800: BERNSTEIN

-SMENTITO CLAMOROSAMENTE DALLA STORIA-

 

 

Quante volte sentiamo dire che Marx è superato? In continuazione. Alla tv, nei dibattiti, nelle tavole rotonde, non vi è  persona che non affermi questo ( e in proposito chiediamoci: come mai questi presunti ultrademocratici conduttori televisivi non invitano mai i veri marxisti a questi dibattiti?). Nelle scuole, nelle università i professori parlano di un grande Marx, che ha visto giusto nel funzionamento del capitalismo, ma che ha sbagliato sulla rivoluzione, quindi da non prendere come esempio.

La critica a Marx non è però una novità nella storia.

Ci sono stati momenti nel passato in cui la critica ha avuto un eco così grande che qualcuno si era spinto addirittura a dare Marx definitivamente per sorpassato.

ILLUSI.

Prendiamo il caso interessante del revisionista Eduard Bernstein.

Tedesco, nato il 1850, morto il 1932.

Segretario di Engels, era considerato a fine ‘800 con Kautsky uno dei massimi marxisti esistenti ed è stato uno dei  dirigenti e fondatore con Bebel e Liebknecht padre, del Partito (allora rivoluzionario) Socialdemocratico Tedesco (SPD). 

Ma alla morte di Engels (1895) comincia a criticare il marxismo. Fuorviato dal lungo ciclo di sviluppo capitalistico di fine ‘800 e di conseguenza dal lungo ciclo di benessere e pensando che questo lungo ciclo non sarebbe più finito,  Bernstein  comincia a sostenete che Marx si era sbagliato sulla crisi di sovrapproduzione, sovrapproduzione che nella visuale marxiana avrebbe causato  profonde crisi, guerre, che a loro volta avrebbero dato la possibilità di aprire la strada a rivoluzioni. Bernstein comincia a sostenere che il caotico sistema capitalistico può essere controllato dai capitalisti attraverso accordi tra di loro, così da mitigare la concorrenza, evitando così le crisi. Visto che dal suo punto di vista  le crisi non sarebbero mai arrivate,  sostiene che il proletariato, pur mantenendo sempre l’obbiettivo della  conquista del potere, deve però arrivarci non attraverso rivoluzioni, ma attraverso riforme, attraverso il parlamento.

Quello che arriverà qualche anno dopo, crisi,  guerre,  crisi di sovrapproduzione e successivamente ancora guerre, smentirà clamorosamente ciò che  sosteneva.

Ma la critica a Marx che Bernstein aveva sviluppato, aveva trovato sui giornali del suo tempo, naturalmente controllati dalla borghesia, un clamore incredibile. Ci si può ben immaginare come ai ricchi non sembrasse vero che uno dei due massimi esponenti del marxismo mondiale ripudiasse il marxismo stesso! Un’occasione per loro senz’altro da non perdere, per dare spazio sui loro giornali  e denigrare Marx.

Saranno Lenin, Kautsky,  Rosa Luxemburg , che si scaglieranno senza riserve contro le tesi di Bernstein per ripristinare la chiarezza scientifica del marxismo. Poi, dagli eventi successivi, puntualmente confermata.

Se noi prendiamo le critiche che oggi vengono rivolte al marxismo: Marx superato; la società d’oggi è profondamente cambiata da quella da lui analizzata; la classe operaia si è evoluta e non pensa più alla rivoluzione; non esiste nessun ciclo capitalistico; i capitalisti adesso sono intelligenti e sanno come gestire la situazione, ecc. ecc. come si può ben notare, non sono poi molto cambiate da quelle dei tempi di Bernstein. Se noi per esempio le critiche che Bernstein muoveva a Marx le mettessimo in bocca a tanti intellettuali di oggi, nessuno si accorgerebbe che sono identiche alle sue. E’ molto strano, che i critici del marxismo d’oggi, che affermano di essere sopra le parti, democratici, si ritengono sapientoni, gran intelligenti, istruiti, pomposi, non si rendano conto che la storia ha in continuazione e in mille maniere confermato Marx e non Bernstein. E per capire questo non è che bisogna essere tanto dei geni. Eppure  queste considerazioni non trovano una parola nei dibattiti televisivi, nelle tavole rotonde, nelle lezioni. 

Come mai?

Eppure anche adesso, chi è attento può constatare che tutte le caratteristiche capitalistiche individuate da Marx sono presenti e che il ciclo capitalistico sta seguendo la sua parabola come ai tempi di Bernstein.

 

 

Der kommunistische Kampf” - aprile 2016   


 

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 ALLEGATO

 

LA DIFFERENZA TRA LA POLITICA RIVOLUZIONARIA DI LENIN  E QUELLA NAZIONALISTA CONTRORIVOLUZIONARIA DI STALIN E’ NOTEVOLE. PER APPROFONDIRE LA QUESTIONE PORTIAMO ALLA RIFLESSIONE DEL LETTORE QUESTO ARTICOLO DEL GIUGNO 2016.

 

 

 

PERCHE’ SIAMO LENINISTI E NON STALINISTI.

 

NELLE LEZIONI DELLE UNIVERSITA’ NON VIENE SPIEGATA LA FONDAMENTALE DIFFERENZA POLITICA TRA IL RIVOLUZIONARIO LENIN E IL CONTRORIVOLUZIONARIO STALIN.

 

Un attivista marxista è, per definizione, un rivoluzionario, perché essere un marxista significa conoscere bene il funzionamento  della società capitalistica e impegnarsi per arrivare ad una società superiore.

Lenin aveva intrapreso correttamente questa strada: aveva costituito, nel periodo tranquillo di sviluppo capitalistico  precedente alle crisi, un partito rivoluzionario; nel momento rivoluzionario, creato dalla immane crisi della 1° guerra mondiale provocata dagli affari, aveva fatto la rivoluzione; nella rivoluzione aveva portato il proletariato al potere; subito dopo la rivoluzione aveva costituito la 3° Internazionale in modo che la rivoluzione proletaria si potesse estendere su tutto il pianeta.

Più di così non poteva fare.

Dopo di che, aveva aspettato correttamente che i proletari delle altre nazioni con i loro partiti rivoluzionari aggregati nella 3° Internazionale, facessero a loro volta le rivoluzioni. 

Certo,  per il proletariato rivoluzionario russo e il suo partito, tenere il potere in Russia, non era un’impresa facile. Fortissime erano le pressioni che i ricchi esercitavano nel mondo con i loro governi ed eserciti perché la rivoluzione crollasse.

La Russia rivoluzionaria difatti si trovò fortemente isolata economicamente per la chiusura dell’interscambio commerciale che i padronati di tutto il mondo nei suoi confronti avevano intrapreso, con conseguenti  inimmaginabili problemi. Ma non solo. Le democratiche borghesie occidentali  si erano anche impegnate per  organizzare e sostenere contro il governo operaio russo una sanguinosissima guerra civile che costerà 500.000 morti ed immani distruzioni.

Di fronte a questi enormi problemi Lenin e i bolscevichi di certo non si sono spaventati ne scoraggiati e proseguendo nella tenuta al potere il governo operaio hanno continuato ad organizzare e sostenere ultrattivamente quello che era lo scopo principale, fondamentale della rivoluzione russa: l’Internazionale comunista, per arrivare successivamente alla rivoluzione mondiale. Questo l’operato di Lenin.

 

Stalin e lo stalinismo. 

Stalin succede a Lenin. Comincia ad affermare che le difficoltà nella Russia rivoluzionaria sono enormi e che la ricostruzione dell’economia russa deve avere la precedenza su tutto.  Questo per lui aveva il significato che il governo operaio e il partito rivoluzionario si dovevano 

concentrare più sui problemi interni che quelli esterni riguardanti la 3° Internazionale (proprio il contrario di quanto affermava invece Lenin). Stalin comincia poi a sostenere che è possibile addirittura costituire “il Socialismo in un paese solo” (cosa assolutamente irrealistica) e che quindi questo in Russia doveva  diventare la priorità assoluta. Come conseguenza ciò  portava l’abbandono dell’obbiettivo primario, fondamentale, lo scopo per cui la rivoluzione proletaria russa era stata fatta:  ARRIVARE ALLA RIVOLUZIONE MONDIALE. 

Stalin comincia ad affermare anche, che in Russia non solo esiste il “socialismo”, ma è la “patria del socialismo” e che quindi lo scopo prioritario di tutti i partiti comunisti nel mondo non deve essere più quello di fare la rivoluzione proletaria nel proprio paese, ma di difendere la Russia “socialista”.

E qui, se ancora ci fosse qualche dubbio, diventa più che chiaro che Stalin stravolge completamente il concetto comunista marxista e cioè che LA RIVOLUZIONE RUSSA (che ancora economicamente non è socialista-comunista) DEVE ESSERE IL PRIMO PASSO VERSO LA RIVOLUZIONE MONDIALE. LA RIVOLUZIONE RUSSA COME LA PRIMA DI TUTTA UNA SERIE DI RIVOLUZIONI PER POI GIUNGERE AL COMUNISMO. 

Su questa sua logica controrivoluzionaria, poco dopo Stalin scioglierà la 3° Internazionale che per i suoi scopi capitalistici imperialistici non servirà più.

Molti partiti si lasceranno trascinare in questo orribile concetto nazionalista stalinista del “Socialismo in un paese solo”: Mao, Castro, Ho Ci Min.

Come ben si vede, senza ombra di dubbio, una differenza di politica tra IL RIVOLUZIONARIO LENIN E IL CONTRORIVOLUZIONARIO STALIN sostanziale. Impossibile da non vedere per chi è un po’ esperto di politica. 

 

QUESTA SOSTANZIALE DIFFERENZA POLITICA NELLE LEZIONI DELLE UNIVERSITA’ NON VIENE ASSOLUTAMENTE SPIEGATA, MA NEMMENO ACCENNATA.

Ci sono invece migliaia e migliaia di operai e studenti in tutto il mondo che si interessano di politica, che vogliono capire e non sbagliare, e trovano questa differenza fin troppo evidente, ritengono necessario  scriverla e divulgarla. 

 

 

Der kommunistische Kampf” – giugno 2016  



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