STATI UNITI

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       9 marzo 2024  

IL BIZZARRO DONALD TRUMP

AL SERVIZIO DELL’IMPERIALISMO AMERICANO

 

Per capire gli stravaganti eccessi politici di D. Trump è fondamentale conoscere la sua personalità.

Trump non è un politico. Si è buttato in politica (a parte il tentativo elettorale del 2000) in tarda età, a 70 anni, presentandosi nel 2016 per la campagna elettorale presidenziale americana. Lui è un imprenditore, un affarista, quindi nei decenni ha maturato in se la logica dell'impresario (Tycoon) e ragiona e agisce come tale, pensando che anche nel mondo politico le cose funzionino più o meno in questa maniera. A lui non è così chiaro che l'agire di un politico per forza di cose  è diversa da come lui pensa.

Trump sicuramente prima di presentarsi alle presidenziali del 2016  per molto tempo ha osservato  attentamente i politici: come agiscono, cosa pensano, e come funziona il meccanismo elettorale, quindi senza averlo mai praticato si è fatto convinto di conoscerlo. Ma il mondo della politica è un mondo a se stante, particolare, molto complesso e molto diverso dall’imprenditoria.

Per un politico professionista avere una lunga esperienza pratica è fondamentale per conoscere e capire tutti i segreti, gli aspetti e i dettagli, anche i più complessi, di questa controversa professione. L’esperienza è soprattutto indispensabile per interpretare correttamente ciò che in questo ambiente “viene detto”, ma soprattutto ciò che “non viene detto”, che spesso è la cosa più importante. Osservare quindi solo dall’esterno, come ha fatto Trump, lui ha potuto vedere solo quello che i politici professionisti vogliono far vedere e sapere, ma certamente non tutto, e spesso come detto,  cose molto importanti.    

Pertanto anche nel mondo politico, chi “non è professionista”, ha delle “insufficienze”, delle “mancanze”, che si manifestano, insorgono quando un problema inaspettato, non calcolato, si presenta. La reazione logica perciò dell’inesperto in queste situazioni è l’improvvisazione. E questo spiega le bizzarrie comiche del Donald quando si è trovato di fronte ad eventi imprevisti o per lui particolarmente difficili.     

La struttura mentale di Trump è perciò da imprenditore. Significa che lui, come tutti gli imprenditori, si rapporta con le persone e con le masse da “manager”: lui comanda e da ordini, gli altri eseguono, devono ubbidire. Diverso è invece l’atteggiamento del politico professionista: sempre diplomatico, flessibile e accondiscendente. Perché lui come esecutore della borghesia deve, ed è abituato, a “persuadere” le persone, con diplomazia deve “raggirarle” e “circuirle”, in situazioni che per convincerle deve dire sempre “una mezza verità”, mai dare comandi secchi, neanche con i collaboratori più stretti. E’ così e solo così, che il politico borghese può servire gli interessi degli imprenditori, interessi direttamente contrastanti con gli interessi delle masse sfruttate, dalle quali però il politico borghese dipende per avere i loro voti. Questo il profilo del politico professionista  dei capitalisti.

E un professionista politico della borghesia sa che può anche perdere, lo mette nel conto. Sa che deve accettare le sconfitte, visto che deve costantemente raggirare le persone, le quali prima o poi si stancano delle sue scemenze e perdono la fiducia in lui.

Ma Donald invece no, non sa perdere. Da affarista di successo - esattamente come il suo collega italiano Berlusconi - è abituato a vincere. E vincere nel mondo degli affari significa corrompere, dirigere, elargire tangenti, immischiarsi in sotterfugi. Significa prendere decisioni improvvise, dare ordini precisi e puntare tutto su se stesso, in qualsiasi momento e a qualsiasi costo. E questo è il profilo di Donald Trump.

TRUMP IN POLITICA. E’ su questi presupposti soggettivi che Trump quando nel 2016 si presenta sulla scena elettorale alle presidenziali, ha già definito la sua strategia, sia in politica interna che in politica estera.

In politica interna la sua tattica per vincere voti, molti voti, è presentarsi come estremo razzista e convinto antistatalista. Il che ha funzionato egregiamente.

In politica estera si presenta come nemico radicale contro Russia, Cina, Iran, Venezuela, ecc. in pratica contro tutti quei paesi che allora venivano considerati “nemici” o “concorrenti sgradevoli” degli interessi USA.

A elezioni vinte e diventato presidente, è stato subito chiaro la politica che avrebbe intrapreso per favorire l’imprenditoria americana: esattamente come espresso in campagna elettorale, attivarsi per “emarginare”, “indebolire”, “fiaccare” sulla scena internazionale i concorrenti Russia, Cina, Iran, Venezuela, applicando il suo noto slogan “Make America great again” (“facciamo di nuovo L’America Grande”).     

Uno slogan non casuale, ma dovuto al fatto che l’imprenditoria Usa nel prossimo futuro dovrà fare i conti con l’ormai famosa e dirompente ascesa (e quindi concorrenza) dell’imperialismo cinese e suoi alleati,  in una futura situazione di “sorpasso” dell’economia cinese su quella USA e conseguente “relativa perdita di potenza americana”.       

Da solo però l’imperialismo Usa non ce la può fare ad arginare, contenere, la notevole potenza crescente dell’altrettanto imperialista Cina. La borghesia americana cerca quindi alleati. E sta costituendo un’alleanza stretta con le borghesie europee e Giappone. Già Obama per isolare la Cina e unirsi più stretto ai suoi alleati aveva istituito il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), un accordo commerciale di libero scambio tra Unione Europea  e Stati Uniti d'America - e il TTP (Trans-Pacific Partnership) un accordo sul commercio internazionale rappresentante di dodici paesi – tra cui Stati Uniti e Giappone.  Trump come presidente ha ritenuto questo insufficiente e ha adottato un’altra politica. Per costringere le borghesie europee ad una alleanza più salda con gli Stati Uniti sia politica, che commerciale, ma soprattutto militare nella NATO - visto che gli europei erano riluttanti - come ricatto ha minacciato (e anche in parte attuato) l’introduzione dei noti forti  rialzi doganali sulle merci europee importate e poi vendute negli USA se gli europei non avessero accettato di innalzare le loro spese militari NATO (allora molto basse) al 2%. E poi di seguito costringendoli, sempre dietro ricatto dei dazi, a seguire Washington nel sospendere il commercio 

con lo “stato canaglia Iran”, e introdurre dure sanzioni e dazi verso Russia e Cina.

L’effetto è stato il rafforzamento, il rinsaldare la cooperazione sia economica e politica, ma soprattutto militare USA-Europa (e Giappone), dove Washington ne svolge il ruolo di leader e traino, e praticamente facendo sparire le veemenze europee di un esercito europeo. Il tutto, alla fine, con la piena riuscita dell’intento.            

Un certo tipo di stampa affermava allora che Trump favoriva la Russia. Non è vero, non corrisponde a realtà. I dati evidenziano che la Russia durante l’Amministrazione Trump, ha dovuto subire così tante dure sanzioni e ritorsioni come non mai.     

Adesso Biden sta continuando nella politica estera intrapresa da Trump, esattamente e senza modificazioni. Con l’aggiunta per Biden, che l’inattesa guerra in Ucraina gli ha fornito la possibilità di accelerare notevolmente, rafforzare ancor più l’alleanza USA-Europa, soprattutto militare, nel ruolo predominante della NATO, ma anche politicamente.    

TRUMP IN DIFFICOLTA’. Tutto liscio per il Donald, tutto bene come previsto. Fino a quando non sono arrivati gli imprevisti, gli inconvenienti. E qui sono cominciati i guai.      

In primis, enorme, troppo grande per lui come “non-politico”:  la pandemia Covid. Ovviamente non l’aveva ne preventivata, ne calcolata. Nessuno poteva preventivarla ne prevederla. Ma un politico professionista esperto l’avrebbe affrontata con competenza. Lui ha dovuto improvvisare.      

E il suo istinto non professionale gli ha detto di dargli contro, di non accettarla, di sottovalutarla, come se non esistesse. Non di gestirla, come invece fatto nei paesi di tutta Europa, e poi in Cina e poi in tutto il mondo. E qui è stata la sua catastrofe, la rovina. E il più di mezzo milione di morti americani che da ciò ne è scaturito, con conseguente rabbioso attacco dei media, dei democratici e della popolazione, gli è costato la perdita delle elezioni.

Ma anche adesso in sconfitta elettorale, la sua struttura mentale da imprenditore abituato a vincere imbrogliando e corrompendo (Wikipedia riporta che Donald Trump fino ad adesso, nella sua vita ha dovuto subire più di 4.000 processi di tipo economico) gli dice che gli avversari hanno potuto vincere solo imbrogliando e corrompendo. Quindi di non accettarla. Ridicolizzandosi in tutto il mondo.  Questo il profilo politico psicologico di Donald.

TRUMP E LA NUOVA CAMPAGNA ELETTORALE. Ora Trump è a lato della scena e sta preparando il suo ritorno. Anche qui sta improvvisando.

E’ noto nel mondo parlamentare come la lotta politica sia condotta anche con la magistratura, con i giudici, gli avvocati, gli scandali. L’italiano Berlusconi ne sapeva qualcosa. Quindi i nemici politici di Trump (democratici, giornalisti e alcune grandi multinazionali) viste le sue bizzarrie, scorrettezze, mezze truffe e la faccenda dell’assalto al Capitol Hill, lo stanno aspettando in campagna elettorale preparandogli la trappola dei processi, denigrazioni, incriminazioni, delle condanne, così da demolirlo nella credibilità e fargli perdere le elezioni. Nel perverso mondo politico borghese questa non è eccezione, si badi, ma normalità. Non c’è da meravigliarsi ne scandalizzarsi  perchè avviene in tutto il mondo e chi in questa lotta è colpito dai processi e dagli scandali di solito si dimette, si ritira subito.

Ma il Donald no, lui è un duro. Da tenace imprenditore abituato a vincere, proprio come il suo collega Berlusconi, non molla, tiene duro, accetta la sfida, è convinto di vincere.

E da non competente come imposta la sua campagna elettorale? Da “perseguitato politico”. Esattamente come sperano i suoi avversari politici.  

Naturalmente  da inesperto non si rende conto che i vari processi che i democratici con i loro giudici di proposito per lui stanno pianificando cosicchè avvengano proprio durante la campagna elettorale, hanno lo scopo di screditarlo, farlo apparire agli occhi dei votanti come un imbroglione, un terrorista (assalto Capitol Hill ), evasore fiscale, molestatore di donne (Jean Carroll) ecc, per presentarlo totalmente inaffidabile, non credibile, come presidente conduttore di una nazione. E magari condannarlo all’ultimo momento con l’interdizione dai pubblici uffici, così che non possa neanche risultare eleggibile.     

Verosimilmente si può quindi ipotizzare che la prossima campagna elettorale americana sarà molto caratterizzata dai procedimenti penali contro il Donald, e forse con relative condanne. Sarà molto difficile per lui presentarsi (come da foto segnaletica della polizia, sopra) come perseguitato politico, paladino della giustizia, della correttezza, del buon governo. La stampa nazionale andrà a nozze presentandolo come truffatore, con giudici (magari democratici) che lo perseguitano.

Concludendo: per i lavoratori che sia Trump o Biden o qualsiasi altro presidente a governare non cambia assolutamente nulla. Così come non è cambiato assolutamente nulla tra i governi Merkel e Scholz.   

Noi lo affermiamo e lo ripetiamo da sempre: i politici, i governi, i parlamenti, lavorano tutti per i capitalisti. Lavorano affinché i ricchi diventino sempre più ricchi, per le guerre, per lo sfruttamento dei lavoratori, per l’allargamento del lavoro precario, contro salari e pensioni.

Certo è anche importante capire questi personaggi della borghesia, come agiscono e cosa dicono, per smascherare i loro trucchi per coinvolgere, legare i lavoratori al sistema capitalistico.


 

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    6 febbraio 2023

Analisi dello scontro interimperialista

UCRAINA: UNA GUERRA SEMPRE PIU’

DIRETTA TRA USA e RUSSIA

NEL BRUTALE SCONTRO TRA CAPITALISTI, DOVE L’IMPERIALISMO RUSSO HA INVASO L’UCRAINA, 

L’OBBIETTIVO DELLA BORGHESIA AMERICANA E’ ORA FAR CROLLARE DI NUOVO IL CONCORRENTE RUSSO

 

Adesso viene detto da tutti: la guerra in Ucraina è in realtà uno scontro tra USA e Russia: gli USA che armano e usano gli ucraini contro la Russia, che con il suo esercito ha invaso l’Ucraina.

E’ uno scontro tra imperialismi, cioè tra multinazionali che dirigono e muovono i governi a secondo dei loro interessi. Uno scontro tra briganti, con l’unico scopo, a guerra finita di incrementare i loro profitti, e dove la vita delle persone non ha alcun valore. Nel perverso sistema capitalista il conflitto in Ucraina non è altro che la continuazione della prima e seconda guerra mondiale e di tutte le altre guerre che impestano il pianeta. Infatti da qualcuno questa guerra viene definita “l’inizio della terza guerra mondiale” mentre altri ne vedono “un macello senza fine”.

Il fatto è che la guerra viene contemplata come “normalità”  nella competizione tra capitalisti, e questo spiega il perché nel pianeta ve ne sono un’infinità senza fine.

Analizzando il contesto della guerra in Ucraina è la borghesia americana che detiene il soppravvento sui russi e sta dettando le regole. Ha la netta superiorità militare rifornendo infinitamente di armi di tutti i tipi i militari ucraini, mentre l’esercito russo sta rosicchiando le scorte. E ha il soppravvento politico generale. Detta le regole: tutte le nazioni della sfera USA, dalla UE al Giappone, dalla Corea del Sud alla Polonia e Paesi Baltici, devono seguire volenti o nolenti le direttive politiche, militari, economiche contro la Russia e suoi alleati, che Washington dispone.

Si conferma e diventa sempre più chiaro che in questo brutale scontro tra briganti capitalisti, l’obbiettivo di Washington non è solo quello di “liberare l’Ucraina”, ma di far crollare non solo militarmente, ma anche economicamente il concorrente Russia, sia attraverso il peso della guerra, che attraverso le dure sanzioni economiche imposte - proprio come da noi in maggio subito dopo l’inizio della guerra avevamo intravisto e scritto nell’articolo “La guerra in Ucraina sta rafforzando notevolmente l’imperialismo americano sulla scena internazionale” (Der kommunistische Kampf” - 3 maggio 2022).  Per ottenere però questo, cioè il crollo russo, l’imperialismo americano ha bisogno di tempo, molto tempo perché l’economia russa arrivi allo 

sfascio, quindi verosimilmente il conflitto in Ucraina è destinato a durare a lungo, con la brutale carneficina che ne consegue.    

Con questo “intervento” in Ucraina la borghesia americana persegue a livello internazionale anche un altro preciso scopo tipico nello scontro interimperialistico: vuole ridefinire, impostare la sua propria posizione imperialistica strategica globale per almeno i prossimi 20 anni.  Ciò significa: da una parte continuare a preservare il controllo politico-militare su gran parte del globo, e dall’altra, in contemporanea, prepararsi per lo scontro contro il futuro gigante economico emergente asiatico, ossia l’imperialismo cinese.

Ma con l’ “Operazione Ucraina” all’imperialismo di Washington si è presentata anche un’altra inaspettata opportunità: riaffermare inequivocabilmente il ruolo militare dirigente della NATO nel rapporto con gli alleati e soprattutto nella difesa militare dalla UE, affossando definitivamente l’idea in Europa della costituzione di un esercito europeo. Mentre dall’altro lato, in Asia, ha dato il via libera al Giappone per un parziale riarmo, come futuro bastione dell’Alleanza Atlantica contro l’emergere del gigante Cina.

In quest’ottica perciò, dello scontro interimperialistico, la futura sconfitta della Russia sarà un chiaro monito-segnale per tutte le borghesie del pianeta, ossia: la borghesia americana è ancora forte, anzi, più forte che mai, ed è in grado di imporre ancora le proprie regole. In questo, anche l’imperialismo cinese è avvisato.

La barbaria delle guerre perciò segnerà ancora il futuro. Sarà ciò che ci accompagnerà inesorabilmente ancora nel tempo. Finchè le rivoluzioni proletarie non instaueranno la nuova società superiore. 


 

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  8 ottobre 2022

Analisi sulla guerra in Ucraina: una guerra tra imperialismi.

PUTIN, NELLA TRAPPOLA

DI BIDEN MINACCIA L’USO DELL’ATOMICA 

LO SCOPO E’ COSTRINGERE WASHINGTON AL COMPROMESSO

 

Come già sottolineavamo subito dopo l’inizio del conflitto nell’interessante articolo “La guerra in Ucraina sta rafforzando notevolmente l’imperialismo americano sulla scena internazionale” (Der kommunistische Kampf” - 3 maggio 2022), l’establishment Putin che dirige l’imperialismo Russia non ha chance in questa guerra, è nella trappola dell’ultrapotente imperialismo USA, che sfruttando il conflitto Ucraina ne approfitta nello scontro tra capitalismi, armando massicciamente gli ucraini, per portare il concorrente russo ancora una volta alla disfatta. 

In questo conflitto, che da subito si è delineato come un conflitto tra Russia e Stati Uniti (che armano e finanziano gli ucraini) agli americani è chiaro che se continueranno a sostenere l’esercito ucraino, alimentando così la continuazione della guerra, l’esercito russo non potrà reggere a molto, sarà inevitabilmente sconfitto, fino al ritiro completo dalle zone occupate nel paese. Per l’establishment di Mosca questo significherà la disfatta militare totale.  

Se poi a questo si aggiungono le durissime sanzioni economiche-finanziarie imposte da americani e europei, che lentamente stanno portando l’economia russa in una recessione economica profonda, si ha il quadro completo, in questa contesa armata  tra capitalisti per rubarsi il mercato Ucraina, del disastro in cui anche la popolazione russa è stata portata, e delle enormi difficoltà in cui si è infilato il governo imperialista Putin.  

Naturalmente con la sconfitta militare e il tracollo economico il vero obbiettivo dei capitalisti di Washington è quello di spazza via anche l’attuale dirigenza Putin-Medvedev-Lavrov. Così che venga sostituita da un governo russo meno aggressivo sulla scena internazionale (forse con il noto oppositore Navalny).    

Ed è precisamente per raggiungere il crollo e dimissioni della leadership Putin, a nostro avviso, (ma anche secondo altri commentatori) che gli USA assieme agli europei ignorano e rifiutano (e lo fanno dire pubblicamente al presidente ucraino Selensky) tutte le proposte e i gridi di mediazione provenienti da tutto il mondo e soprattutto dallo stesso governo russo. Non interrompendo il flusso continuo di armi all’esercito ucraino e proseguendo nelle dure sanzioni economiche contro Mosca.   

E questo spiega come mai Putin, avendo chiaro l’intenzione americano di abbatterlo, stia disperatamente cercando aiuto dal presidente turco Erdogan e di quello cinese Xi Jinping per una mediazione di fine guerra. Una mediazione che però non sia il ritiro totale dall’Ucraina, ma di mantenere sotto controllo russo una parte dei territori già occupati, presumibilmente Crimea e Donbass, da presentare poi all’interno della Russia come una vittoria e non essere costretto alla 

dimissione, al tracollo.  Poiché Washington rifiuta categoricamente questa proposta di Mosca e verosimilmente al contrario pretende il completo ritiro russo, Crimea compresa (come sempre Selensky ufficialmente dichiara) il che significherebbe la totale disfatta militare-politica russa con seguenti dimissioni del suo governo, Putin, secondo molti osservatori, per evitare la catastrofe gioca disperatamente l’ultima carta a sua disposizione: minaccia l’uso dell’atomica e ha indetto il referendum farsa nel Donbass per l’annessione dei territori ucraini conquistati militarmente, così da crearsi, com’è noto, il pretesto in Russia per imporre ai giovani riservisti di andare in guerra.  

Ma al governo imperialista di Washington e quelli europei è chiaro che la minaccia  dell’atomica è un bluff e la costrizione dell’entrata in guerra di 300.000 riservisti russi è l’ultima chance senza speranza del governo Putin. Poiché diversi esperti militari sottolineano che in questa atroce e sanguinosa guerra in Ucraina ciò che fa la differenza non è il numero di soldati, ma l’alta tecnologia delle armi impiegate. E le armi a disposizione dell’esercito ucraino fornite soprattutto dagli americani, ma anche dagli europei, sono di sicuro di altissima tecnologia, in netto contrasto con quelle russe molte delle quali obsolete. La sconfitta militare russa appare quindi inevitabile e solo una questione di tempo. Così come il tracollo economico russo, dato anch’esso come questione di tempo.        

Perciò in questo scontro banditesco interimperialista, USA e europei, guardando il futuro in questa prospettiva, sicuri della vittoria, proseguono decisi nel finanziare e nell’armare gli ucraini perchè la guerra prosegui. L’imperialista Putin l’ha iniziata, gli altrettanto imperialisti americani e europei la continuano. E’ così che il perverso sistema capitalistico funziona.  Tutta normalità nel repellente sistema. 

Una guerra dove giovani proletari russi e ucraini (che prima erano amici) dopo essere stati sfruttati nelle fabbriche, ora come soldati vengono utilizzati come carne da cannone, gli uni contro gli altri, per gli sporchi interessi dei capitalisti. E’ la stessa tragica storia che si ripete, ogni volta, come in tutte le altre guerre.  

Nei conflitti il marxismo non si schiera mai dalla parte di uno dei belligeranti capitalisti, siano essi, come in questo caso, Ucraina o Russia o americani, ma sempre e solo dalla parte dei proletari sfruttati, trascinati nella guerra. Ossia con i lavoratori russi e ucraini indistintamente, contro i propri capitalisti russi e ucraini. Veri responsabili del disastro guerra.

Per il marxismo esiste una sola via d’uscita alle orribili guerre capitalistiche:

CONTRO LA GUERRA RIVOLUZIONE ! 


 

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     3 maggio 2022

Analisi della situazione imperialista

LA GUERRA IN UCRAINA STA RAFFORZANDO NOTEVOLMENTE

LA BORGHESIA AMERICANA SULLA SCENA INTERNAZIONALE

Vogliamo qui fare un riassunto di come le potenze capitaliste sul pianeta

scontrandosi con tutti i mezzi, guerre comprese, cinicamente

cercano di raggiungere gli obiettivi che si prefiggono.

 

Mai come adesso dal dopoguerra in poi l’imperialismo di Washington ha avuto alleati così stretti e compatti, e una NATO così ambita dalle borghesie dei paesi europei, anche da quelli che prima erano scettici come Svezia e Finlandia. Se prima la NATO era un po’ snobbata in Europa, adesso il conflitto militare russo in Ucraina ha messo così tanta paura alle borghesie europee che terrorizzate, non solo chiedono, ma ora pretendono a gran voce la protezione della NATO e il suo veloce rafforzamento e allargamento.

E’ proprio l’invasione russa dell’Ucraina che rinsalda questo enorme polo militare-politico imperialistico, esattamente l’opposto di ciò che si prefiggeva il governo di Mosca, che con il blitz militare di invadere l’Ucraina, pensava di rafforzare la sua posizione geopolitica nella scena internazionale, dividere con il ricatto del gas e i suoi prodotti agricolo-minerari  i paesi europei - all’interno di essi e dagli Stati Uniti - e di rafforzare la sua alleanza con l’imperialismo di Pechino.  

Già prima  (causa l’emergere dell’imperialismo cinese) il presidente Trump nel suo mandato quadriennale nel suo “Make America Great” aveva fatto tutti gli sforzi possibili per raggiungere l’obbiettivo di compattare l’unione USA-Europa (detta “transatlantica”) attraverso la nota politica di innalzamento dei dazi doganali contro Cina e Russia, le dure sanzioni contro Russia, Cina, Iran, Venezuela, ecc. e di rafforzare la NATO cercando di costringere i paesi europei a portare le proprie spese militari al 2%. Ottenendo però solo in parte i risultati. Ora tutto questo, e ancor di più, nel giro di un mese causa la guerra russa in Ucraina, all’amministrazione Biden si è realizzato, con la prospettiva di rafforzarsi ancor più con il proseguire della guerra.

  

INTERESSE USA AL PROSEGUIMENTO DELLA GUERRA. Molti commentatori internazionali scandalizzati accusano Biden di non voler metter fine al conflitto ucraino, di non cercare il compromesso con Putin. Ma insultandolo di continuo, isolandolo politicamente, rifiutando i russi negli  incontri internazionali, mandando sempre più armi alle forze 

ucraine ecc. di fomentare e cercare con determinazione il proseguo del conflitto.

Questo, nel brutale scontro tra borghesie senza esclusione di colpi, potrebbe effettivamente corrispondere alla realtà.    

 

Perché se Putin per i suoi interessi geopolitici ha cercato e causato la guerra, Biden adesso per i suoi altrettanto obiettivi geopolitici potrebbe avere interesse che la guerra continui. Per i motivi imperialisti sopra accennati: più la guerra continua e più l’alleanza transatlantica USA-Europa si rinsalda; più la guerra continua e sempre più paesi europei vogliono velocemente entrare nella NATO (perfino la neutralista Svizzera ci sta pensando) e i vari governi europei senza più esitazione vogliono innalzare le proprie spese militari NATO; un lungo proseguo della guerra può indebolire di molto il concorrente russo. 

Non ultimo: causa la guerra, un notevole rafforzamento del polo politico-militare StatiUniti-Europa isola sulla scena internazionale anche l’imperialismo di Pechino (e l’India). Non poco per la borghesia americana che con tutti i mezzi cerca di contrastare l’ascesa delle borghesie concorrenti. 

E TUTTI QUESTI VANTAGGI USA, CAUSA LA GUERRA IN UCRAINA VOLUTA DALL’ AVVERSARIO   PUTIN.  

 

Fin dall’inizio era chiaro che nello spietato scontro tra capitalisti, Putin, fallendo l’obbiettivo di impadronirsi velocemente dell’Ucraina e impantanandosi in una lunga guerra di posizione, Biden ne avrebbe approfittato. Quanto ne avrebbe approfittato, subito non era chiaro. Adesso si. Washington sembra miri non solo al rafforzamento dell’asse USA-Europa, ma con il proseguo della guerra, come detto, voglia assolutamente arrivare al collasso della  non industrializzata economia russa, alla deposizione di Putin, con un indebolimento dell’imperialismo russo sulla scena internazionale tale da diventare non più pericolosa per gli interessi USA, così da neutralizzarla per un paio di decenni, come successo precedentemente con l’Unione Sovietica.

E il forte rafforzamento strategico USA-Europa e le notevoli difficoltà di Mosca è un segnale potente anche per l’imperialismo di Pechino: la Cina adesso ha meno alleati sulla scena internazionale, e deve porre attenzione alle sue prossime mosse imperialiste (Taiwan compreso). Perché USA e Europa assieme pesano sul PIL mondiale circa il 40%, mentre la Cina è ancora al 16% (mentre la Russia è poco sopra all’1%). E perché la potenza USA con la guerra in Ucraina sta dimostrando essere una potenza militare di altissimo livello, livello a cui l’imperialismo cinese ancora ne è ben lontano, e che in caso di in un eventuale disastroso scontro non avrebbe alcuna chance.

 

Un’ultima osservazione: LA DEBOLEZZA MILITARE RUSSA.

L’imperialismo russo si è sempre pavoneggiato sui media internazionali (supportato con entusiasmo dagli stalinisti  - e lo sta facendo paradossalmente ancora adesso) come una grande potenza militare: la guerra in Ucraina sta dimostrando tutto il contrario. L’esercito ucraino, uno dei più poveri in Europa ma in questa occasione abbondantemente armato da USA (e inglesi) lo ha facilmente sconfitto nell’ovest del paese e adesso lo scontro militare si è spostato a est nella regione del Donbass. Nel conflitto ucraino l’esercito russo ha palesato tutte le sue debolezze: una parte del suo arsenale ancora a bassa tecnologia (una quota di carri armati provengono dell’ex Unione Sovietica), una notevole scarsità di armi e uomini, una accentuata disorganizzazione logistica (di organizzazione) e un debole supporto satellitare. In pratica un nano militare rispetto alla potenza di fuoco USA enormemente tecnologizzata ed estremamente efficiente. Il motivo di questa debolezza militare russa? Il basso grado di industrializzazione del paese, che non riesce a garantire uno standard di livello militare alto e moderno e dove i militari ricevono uno stipendio pari a 400-500 dollari al mese. Nello spietato confronto interimperialistico sarà quindi facile alla potente borghesia di Washington cogliere l’occasione Ucraina per mettere a tacere ancora una volta il nano russo.

Il cinico confronto tra borghesie fa ribrezzo ai proletari. Masse proletarie che purtroppo ne devono subire le tragiche conseguenze. Tutto questo può finire solo con l’abbattimento del sistema del profitto. Non c’è altra via.

                                                                                                                


 

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Impennata del prezzo del grezzo:

L’AUMENTO DEL PREZZO DEL PETROLIO USATO

DAGLI STATI UNITI CONTRO LA CINA?

 

Abbiamo sempre sostenuto (e sosteniamo) che il prezzo del petrolio non fluttua per caso, ma sono gli americani a determinarne l’andamento a livello internazionale. Lo stabiliscono assieme all’Arabia Saudita, il più grande produttore arabo di greggio, il quale per i propri obiettivi di potenza regionale nel Medio Oriente ha interesse a farsi sostenere dagli Stati Uniti, e in cambio ne esaudisce tutte le richieste geopolitiche. 

OBAMA - Che siano gli americani a decidere il prezzo internazionale del greggio lo si è visto chiaramente nel 2015 durante la trattativa USA sul nucleare con l’Iran, dove l’Amministrazione Obama per costringere le dirigenze iraniane ad un accordo favorevole agli Stati Uniti ha fatto scendere il prezzo fino a 30 Dollari al barile (vedere l’interessante articolo “Washington manovra il prezzo del petrolio contro Russia e Iran” “Der kommunistische Kampf” n° 28 – Novembre 2018), per poi ad accordo raggiunto lasciare il prezzo del petrolio di nuovo libero fluttuare.

TRUMP - Di seguito, durante l’Amministrazione Trump il prezzo del greggio è stato di nuovo fatto abbassare ad una media di 40 dollari al barile nella lotta di Trump contro Russia, Iran, Venezuela, paesi che si sostengono con i proventi dell’oro nero e nel mirino dell’ex estroso presidente americano.

BIDEN - Ora è l’Amministrazione Biden che sta spingendo il prezzo del petrolio alle stelle. Contro chi?  Contro la Cina,  è la nostra interpretazione-risposta.

Per capire cosa succede bisogna però andare a vedere qualche dato.

La Cina praticamente è un importatore quasi totale di petrolio, perché dal sul suo suolo per i suoi bisogni ne estrae solo una minima parte (come riporta la tabella sopra dei maggiori produttori 

– “Produzenten” - di grezzo). La Cina per il suo spiccato e veloce sviluppo economico ha estremo bisogno di energia, perciò deve importare petrolio, diventando il 2° consumatore mondiale dietro agli Stati Uniti (come la tabella accanto dei maggiori consumatori – “Verbraucher” - riporta). Quindi andandolo ad acquistare sul mercato internazionale, per la Cina l’aumento o 

abbassamento del prezzo del greggio può influire non poco sull’andamento della propria economia nazionale.

Un aumento notevole, altissimo, del prezzo di conseguenza non può che avere effetti negativi considerevoli e mettere in serie difficoltà sia l’economia (come attualmente succede) che rallentarne l’ascesa mondiale.

ANCHE L’ARMA DEL PREZZO DEL PETROLIO  può essere usata quindi nello scontro tra capitalismi e la borghesia americana sembra esserne molto consapevole di avere tra le mani un forte vantaggio, un potente strumento di lotta. Ed è ciò che, a nostro avviso, sta usando contro l’ascesa cinese.

In pratica: Trump contro l’imperialismo cinese usava l’arma dell’innalzamento dei dazi (peraltro ancora in uso) Biden combatte la Cina con il prezzo del petrolio facendolo schizzare alle stelle.

 

PIU’ IL PETROLIO SI  IMPENNA E PIU’ L’ECONOMIA CINESE ENTRA IN DIFFICOLTA’    è  la logica.

Se adesso a fine ottobre, con un prezzo del greggio a 82 dollari al barile la Cina è in affanno e a momenti deve sospendere la produzione di tutta una serie di mega fabbriche e si parla di rallentamento del PIL, si può  immaginare le conseguenze se il prezzo si impenna a 100 dollari al barile, oppure a 120 o 140 ! Per la Cina potrebbe trasformarsi in una catastrofe. 

Vedremo fino a che punto l’Amministrazione Biden spingerà sul prezzo.  

 

Gli Stati Uniti sono essi stessi anche grandi consumatori di energia petrolifera (è il 1° consumatore mondiale, come la tabella dei “consumatori” sopra riporta) ma a differenza della Cina, essi ne sono anche il 1° produttore mondiale (come la tabella dei “produttori” mostra). In pratica gli USA tra produzione di petrolio e consumo vanno quasi a pari. Su questa base, dove gli Stai Uniti con la propria estrazione di petrolio sono quasi autonomi, in questa situazione di forte e veloce aumento del prezzo, l’Amministrazione Biden può con le compagnie petrolifere che operano sul suolo americano, concordare (o imporre) un accordo di prezzo del greggio fisso, stabile non alto, in modo che l’economia americana non risenta degli enormi problemi derivati dal forte aumento del prezzo a livello internazionale, mentre il concorrente imperialismo cinese questo non se lo può permettere, non lo può fare.   

Di conseguenza la borghesia americana ne trae un forte vantaggio mentre l’imperialismo cinese ne viene danneggiato, e lo scontro tra imperialismi si acuisce.

Concludendo: il sistema capitalistico basato sulle lotte tra le borghesie in forte concorrenza tra di loro è un sistema che non può, non potrà mai trovare stabilità o pace, è chiaro. Oltre agli scontri economici-finanziari, alle guerre militari, alle crisi economiche o altro, anche il petrolio può essere usato come fattore destabilizzante in questo sistema caotico, imprevedibile.

Finchè una nuova società, superiore, non sostituirà il tutto.

 

                                                                                                                   23 ottobre 2021


 

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Scontro tra imperialismi.

COME MAI BIDEN SEGUE

TRUMP NELL’AGGRESSIVITA’ CONTRO LA CINA ?

 

E’ LANALISI MARXISTA CHE CI DA LA POSSIBILITA’ DI COMPRENDERE

 

     

 

Sembrava che Biden fosse diverso da Trump. Che con la Cina avesse un rapporto più amichevole, non di attacco feroce come avveniva con Trump.

Ma non è andata così. Il finto rapporto amichevole che Biden ostentava in campagna elettorale era evidentemente solo una tattica, per non mostrarsi aggressivo, e così prendere voti. Adesso che le elezioni sono passate Biden può mostrarsi per quello che veramente è, sia in politica interna con il respingimento degli immigrati, che in politica estera attaccando duramente la Cina.

Biden, nel rapporto con la Cina, non mostra alcuna differenza dal tanto criticato Trump perchè è esattamente come il suo “rivale”. Biden, Trump e poi Obama, come tutti gli altri precedenti presidenti americani, non hanno mai rappresentato le grandi masse anche se lo hanno votato, ma sono gli esecutori dei grandi interessi imperialistici americani, delle grandi multinazionali americane, della finanza speculatrice, delle enormi imprese economiche. E’ quindi fisso nella sua logica politica (ovviamente non ufficialmente dichiarata) porsi nella strenua difesa di questi interessi capitalistici.     

E’ la dirompente ascesa dell’imperialismo cinese che oggi fa si il che Dragone sia diventato il pericolo numero uno per gli interessi globali delle grandi compagnie affaristiche americane. Perciò Biden, proprio con Trump, come esecutore di questi interessi attacca la Cina.

E le impressionanti iniziative internazionali cinesi mostrano chiaramente come l’imperialismo di Pechino si stia contrapponendo frontalmente agli interessi americani:    

 

-           In Asia: con l’accordo RCEP ha recentemente costruito la più grande zona di libero scambio esistente sul pianeta - in contrapposizione, sempre in Asia, all’accordo TPP gestito dagli USA.  

-           In Africa: instaura rapporti economici, commerciali e finanziari praticamente con quasi tutte le nazioni del continente, e con alcune di loro nelle transazioni ha addirittura cominciato ad eliminare il dollaro sostituendolo con la propria moneta yuan. Gli europei che in Africa hanno sempre avuto una posizione dominante, si trovano ora a svolgere un ruolo  secondario gridando al pericolo “giallo”.

-           In Medio Oriente: la Cina ha stipulato recentemente con l’Iran un accordo di investimenti 25nnale in cambio di petrolio a basso prezzo, inserendosi in quest’area strategica per l’energia. Area dove fino ad adesso gli Stati Uniti l’han sempre fatta da padroni indisturbati.     

-           Petro-yuan: anche qui, nei pagamenti per le transazioni del petrolio, nel rapporto con alcuni stati (Russia, per es) Pechino ha cominciato ad eliminare il dollaro come moneta di pagamento  (come sempre avvenuto fino ad ora) sostituendolo con il proprio yuan.

-           Via della seta: enorme progetto, dove il governo cinese sta costituendo una catena internazionale di investimenti, che partendo dalla Cina investe stati dell’Asia, del Medio Oriente, dell’Africa, e infine dell’Europa, attraendo verso di se una moltitudine di nazioni. 

 

Iniziative colossali - a  dimostrazione di come il Dragone cinese si stia espandendo sul pianeta ad una velocità impressionante – che fanno rizzare i capelli ai capitalisti Usa e loro alleati, mentre i gridi di allarme si moltiplicano sui socialmedia.

Quello che l’imperialistica Cina sta facendo è nientemeno cominciare a mettere in discussione l’ordine mondiale uscito dalla 2° guerra mondiale gestito dagli Stati Uniti.  Un fatto epocale, sconvolgente negli equilibri tra borghesie nel pianeta.

Si può perciò immaginare il terrore, la preoccupazione che pervade le grandi multinazionali americane e europee rispetto al Dragone, che si sta posizionando per diventare a breve la prima potenza mondiale scalzando gli Stati Uniti. Bisogna quindi essere consapevoli che da tale modificazione, gli sviluppi che ne possono scaturire possono essere tra i più imprevedibili e catastrofici possibili.

E’ la storia del passato che si ripete, che si ripresenta. Il capitalismo funziona così. L’opposizione drastica di oggi all’emergere cinese è la ripetizione di ciò che è avvenuto nel passato con l’emergere dell’imperialismo tedesco a inizio ‘900, e l’emergere dell’imperialismo giapponese a metà ‘900. In quelle circostanze, nell’allora loro espansione, cercando spazio nei mercati internazionali per le proprie merci, per il profitto, alla fine le borghesie tedesca e giapponese sono andate a cozzare contro gli interessi degli imperialismi allora dominanti: inglese, francese e non ultimo americano, provocandone la reazione. Oggi  la stessa cosa si riproduce nel rapporto tra America e imperialismo cinese.   

Quindi, nell’interesse delle grandi compagnie americane, anche Biden adesso, come Trump prima, e prima ancora Obama, è impegnato nel frenare, ostacolare l’ascesa cinese. E, come sopra detto, non si possono escludere esiti del tutto imprevedibili in questa sua politica, visto che il “buon” e apparentemente “innocuo” Biden qualche anno fa quando Obama era presidente (e lui ne era vice) assieme, non si son fatti alcun scrupolo a fomentare e poi provocare guerre in Siria, Libia o Ucraina.  

L’aggressività politica di Biden contro la Cina in continuità con Trump è spiegabile quindi basandoci sulla sostanza affaristica e non sulle campagne elettorali, per comprenderne il motivo. E questo non deve destare sorpresa, poiché il tutto è nella logica della vita politica capitalista. Va con forza quindi ribadito che è sempre nella sostanza che si valuta e si studia una situazione, come insegna Marx, poiché è l’unica che può chiarire quello che appare come contraddittorio o incomprensibile.

E l’analisi marxista è maestra in questo campo.

Poiché è grazie all’analisi marxista, più che mai realistica e concreta, che i leninisti già dagli anni ’50 hanno potuto scrivere sui propri giornali - e da allora ripetere costantemente - che l’Asia emergente sarebbe stata il futuro sfidante di America e Europa.

Oggi questo è attualità.

                                                                                                                                                  25 giugno 2021

 

 

COME AGISCONO I POLITICI PER TENER SOTTO CONTROLLO I LAVORATORI

LA TATTICA “RAZZISTA” e la TATTICA “PROGRESSISTA”

DUE TATTICHE DIVERSE PER COINVOLGERE, MANIPOLARE LE MASSE LAVORATRICI

 

I POLITICI AL SERVIZIO DEI CAPITALISTI USANO METODI DIVERSI PER RACCOGLIERE LA SIMPATIA DELLE MASSE E POI DIRIGERLE NELL’INTERESSE DELLA FINANZA E DEGLI INDUSTRIALI.

 

 

Come ha fatto il “razzista” Trump a raccogliere 72 milioni di voti, il più grande risultato dei repubblicani nella loro storia?

Trump per poter ottenere questo dalla sua campagna elettorale del “Make America Great Again” anche in questo 2020 ha toccato parecchi tasti sensibili alla mentalità americana, alcuni dei quali basati sulla paura. Vediamoli: - dalla difesa del posto del lavoro a fronte dell’arrivo degli immigrati, al fatto che la sua Amministrazione ha garantito l’ordine pubblico anche grazie il permesso della vendita delle armi e incentivando i gruppi radicali di destra – dichiarando che se arrivasse una nuova amministrazione liberale come quella di Biden, il paese cadrebbe nelle mani dei comunisti favorendo i disordini sociali e le proteste come quelle di Boston – che grazie alla sua gestione politica l’America ha goduto di un boom economico interrotto solo dalla pandemia Covid – che la sua Amministrazione può vantare di non aver provocato nessuna guerra, ma si sta addirittura sganciando dalla guerra in Siria e ritirando dalla Germania e dalla guerra in Afghanistan e Somalia – che attraverso i dazi doganali e le dure sanzioni ha spinto i concorrenti Cina, Russia, Iran, Venezuela, sulla difensiva facendo “grande l’America” coalizzando più strettamente ad essa gli alleati europei e il Giappone i quali su spinta USA a fronte del pericolo “Cina” si stanno sempre più armando rafforzando la NATO e l’alleanza occidentale.

Queste in sostanza le argomentazioni “forti” usate da Trump per poter vincere le elezioni.

Ma Biden con il suo staff e spalleggiato consistentemente dall’ex presidente Obama ha raccolto più voti di Trump: ben 77 milioni. Un record nella storia americana.

Biden si presenta invece con una proposta “progressista” rispetto a Trump.

Qui l’argomento forte usato, ovviamente, che poi è stato determinante per la vittoria, è stata la denuncia della gestione catastrofica di Trump sulla pandemia Covid e relativo sfascio dell’Obamacare sanitario.  250.000 morti in Usa non sono pochi se paragonati alle 4.600 vittime del concorrente Cina che vanta 1 miliardo e 300 milioni abitanti (gli USA 360 Milioni). Quindi un errore madornale e imperdonabile da parte di Trump che alla fine gli è costato la Presidenza. A questa accusa si sono aggiunti poi gli argomenti tipici di critica della gestione Trump: aver favorito in tutti i modi il razzismo fomentando l’odio verso le minoranze sociali e favorendo le discriminazioni razziali - una politica dura contro gli immigrati fini al punto di voler costruire il famoso muro con il Messico - aver favorito la polizia nei suoi eccessi di repressione di “legge e ordine” incoraggiando addirittura i gruppuscoli di estrema destra diretti discendenti del disciolto movimento fuorilegge Klu Klux Klan con lo scopo di causare intenzionalmente per reazione i noti disordini di proteste sociali (tra cui Boston) - di favorire il disastro ambientale dato il ritirato dall’Accordo di Parigi sul Clima - ai livelli più alti, anche militari, viene accusato di perseguire non l’unità sociale del paese, ma cinicamente la divisione sociale, razziale, ecc. In politica estera Trump lo si incolpa di essere troppo duro contro Cina, Russia e loro alleati (Iran, Venezuela, ecc.) Ma non solo, di essere anche troppo brutale rispetto ai partner europei, portando l’America a non essere più “grande”, ma spingendola “all’isolazionismo”. Per Biden-Obama gli USA hanno bisogno invece di “collaborazione” sia con i partner europei che con i concorrenti-avversari Cina, Russia, Iran, ecc. 

Come si nota: due politiche che sembrano diametralmente opposte. In realtà, come riportato nel titolo, due diverse tattiche tipiche borghesi, molto ben sperimentate dai politici di tutto il mondo. Tattiche usate per raccogliere le “sensibilità”, cioè gli orientamenti politici della popolazione, per poter vincere le elezioni, e poi portare le masse a sostegno degli interessi dei capitalisti, sia sul piano interno che nella concorrenza per l’accaparramento dei mercati esteri.

Per i capitalisti dominanti è del tutto secondario che un presidente (o un governo) che vince le elezioni usi poi nel suo corso la tattica  “razzista” o quella “progressista”. Per i dominanti fondamentale è che nella nazione, grazie alle diverse tattiche politiche usate dai politici, le masse siano relativamente soddisfatte, tranquille, in modo che lo sfruttamento possa proseguire senza interruzione e che essi possano guadagnare al massimo e pagare meno tasse possibili.

Perché il ruolo dei vari presidenti o governi che si alternano all’esecutivo (nel caso americano, repubblicani o democratici) oltre che garantire il dominio borghese, è anche coprire le sporche corruzioni e il malaffare continuo di industriali e finanzieri, e, non secondario, creare il sostegno sociale ai capitalisti nelle loro porcherie e guerre in giro per il mondo. 

Infatti il vincitore Biden, che, come riportato in precedenti articoli, ha un passato di guerre come vicepresidente nell’Amministrazione Obama, ha già annunciato che - in linea con il suo predecessore “razzista Trump” - il problema principale per gli interessi americani nel mondo rimane – e sarà - sempre la Cina, e che prenderà tutte le misure necessarie al caso.

E possiamo certamente ripetere che la sua politica “progressista” all’interno della nazione, di accoglienza degli immigrati, di integrazione sociale delle minoranze, di unità nazionale, lotta al degrado ambientale, ecc. non dovrà ostacolare gli interessi industriali e finanziari americani, ma anzi, tutto sarà indirizzato per agevolarli. Quindi molte di queste enunciazioni “progressiste” saranno di sicuro “molto fumo e poco arrosto” come sempre succede, con la tattica sperimentata di portare solo miglioramenti minimali, tanto da far vedere che fa qualcosa. Di questo, come esperti ne siamo più che sicuri. Ribadendo che non c’è da farsi illusioni con la politica borghese.

Perché lo scopo fondamentale del “progressista” Biden (così come per il suo predecessore “razzista” Trump) è quello di portare le masse proletarie sfruttate ad accettare il sistema. Un sistema corrotto, pieno di ingiustizie, contraddizioni e problematiche. Affinchè le masse non reagiscano contro di esso.

 

                                                                                                             25 novembre 2020


 

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VITTORIA BIDEN:

QUALE SARA’ ADESSO LA SUA POLITICA?

POLITICA INTERNA – POLITICA ESTERA

 

 

 

AVER CHIARO CHI SONO I POLITICI DELLA BORGHESIA

 

DOPO IL RAZZISTA TRUMP, CHI E’ JOE BIDEN?

IL “PROGRESSISTA” BIDEN:

CO-RESPONSABILE DELLE ATTUALI GUERRE

IN LIBIA E SIRIA

Nel 1999 aveva votato a favore anche dell’intervento

militare Usa contro la Jugoslavia e nel 2002 contro l’Iraq

 

      IL PASSATO DI BIDEN CI DICE CHI E’ VERAMENTE IL NUOVO                                    PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI


 

 

  9 novembre 2020

               

Durante la campagna elettorale i giornali riportavano che se Biden avesse vinto, la sua politica sarebbe stata nella continuazione della precedente Amministrazione Obama. Molto verosimile. Visto che Biden è stato vicepresidente di Obama dal 2009 al 2017 e ne ha condiviso tutta l’impostazione politica. Ma non solo per questo. Anche perchè, a nostro avviso, la campagna elettorale che ha portato alla vittoria Biden, dietro le quinte è stata impostata e diretta dallo stesso ex presidente Obama, il quale per far vincere Biden ha potuto contare sulla sua notevole esperienza avendo già vinto per due volte le campagne presidenziali.

Quindi è alla precedente gestione Obama a cui dobbiamo guardare per capire come si proporrà adesso il nuovo presidente. Su questa impostazione perciò in sintesi riprendiamo quelli che riteniamo essere i gangli fondamentali di Biden.         

 

POLITICA INTERNA

 

PANDEMIA COVID – Più volte Biden, criticando aspramente Trump, si è espresso per un contrasto dell’infezione sul tipo europeo. Ossia, invece di lasciare che l’infezione dilaghi come permesso da Trump e lasciare che siano i singoli stati USA a gestire le pericolose situazioni locali, arrivando all’attuale situazione catastrofica di 240.000 morti, Biden vuole che siano messi in atto provvedimenti, come quelli attuati negli stati europei, e che sia il governo centrale a dettarne le misure generali, e molto restrittive.

RIFORMA SANITARIA – E’ stata introdotta dalla precedente Amministrazione Obama-Biden e poi, come noto, disdetta platealmente da Trump. Riforma sanitaria voluta per statalizzare una parte del settore medico-assistenziale. Statalizzazione richiesta da decenni da molti gruppi industrial-finanziari americani perché il costo della sanità privata in USA è diventata (ovviamente per loro) troppo costosa. Biden stando ai giornali, reintrodurrebbe la riforma sanitaria iniziata da Obama portando a compimento la parte da nazionalizzare.

SITUAZIONE POLITICA-SOCIALE INTERNA – Mentre Trump ha basato tutta la sua politica sul razzismo e sull’esasperazione dell’ordine pubblico interno, proiettando tutto il suo operato contro gli immigrati che giungono negli Stati Uniti, soprattutto dal Messico (la tattica politica razzista è usata da molti partiti di destra nel mondo, per prendere i voti dall’ampio settore di persone religiose con sentimento radical-nazionalista) favorendo e perfino incitando alla spaccatura nel paese tra razzisti e antirazzisti, la politica liberal di Biden si profila essere orientata invece più alla tolleranza verso l’immigrazione, favorendo l’integrazione sociale delle minoranze, contro le discriminazioni e invitando all’unità nazionale. 

 

POLITICA ESTERA

 

GLI USA IN RAPPORTO CON CINA E RUSSIA – Qui  oggi l’ossessione-pericolo dei capitalisti americani (che dietro le quinte dirigono i vari presidenti USA) è l’emergere del colosso imperialistico cinese, destinato a breve a diventare ufficialmente la prima potenza economica mondiale. Già l’Amministrazione Obama (naturalmente, lo sottolineiamo, nell’interesse dei capitalisti USA) aveva intrapreso misure internazionali per isolare il futuro pericoloso concorrente asiatico. Le aggregazioni sovranazionali TPP (Trans-Pacific Partnership – accordo commerciale tra 12 paesi che si affacciano sul Pacifico: Stati Uniti, Canada, Messico, Giappone, Australia, Malesia, Nuova Zelanda, Singapore, Vietnam, Brunei, Cile, Perù)  e il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership – accordo commerciale di libero scambio tra Europa e America)   promosse e costituite proprio da Obama con il suo vice Biden, erano state pensate con il preciso scopo di favorire l’integrazione e gli affari tra le nazioni-borghesie affacciate sul Pacifico e sull’Atlantico proprio per contrastare e isolare la Cina e suoi alleati Russia, Iran, ecc. La politica di Trump è stata invece di sciogliere queste aggregazioni internazionali pro America TPP e TTIP, secondo lui poco efficaci per lo scopo, e di attaccare direttamente Cina, Russia, Iran, Venezuela, Siria, Corea del Nord, con le note dure sanzioni economiche, gli alti dazi doganali e tenendo molto basso il prezzo del petrolio.  Biden, come sottolinea la stampa, sarebbe orientato a ripristinare queste aggregazioni TPP e TTIP e proseguire sulla via di politica estera intrapresa da Obama, in questa battaglia interimperialista contro Cina-Russia e alleati .

 

RIFLESSIONI 

Non c’è quindi da farsi illusioni che adesso l’apparente “agnello” Biden sostituendo il “mostro” Trump, sarà dalla parte dei lavoratori (così come non lo sono mai state tutte le Amministrazioni precedenti). La politica “liberal” di Biden è solo una tattica per tener calme le masse sfruttate (vogliamo ricordare al lettore che se il “matto” Trump ha causato con il Covid gli attuali 240.000 morti, la precedente Amministrazione “liberal” Obama-Biden – 2009-2017 - ha provocato le guerre di Siria e Libia, causando nell’insieme più di un milione di morti, per lo più civili).

 

In linea con Marx e sorretti dalle continue conferme pratiche quotidiane, affermiamo e ripetiamo all’infinito che i governi, tutti, sono gli esecutori degli interessi dei capitalisti e non delle masse proletarie che li hanno votati (i votanti non possono assolutamente controllare i governi che hanno votato). Nella democrazia capitalista il compito dei politici è far accettare e digerire alle masse proletarie sfruttate – con la scusa di essere stati votati da esse - tutte le porcherie capitalistiche che la minoranza borghese, all’interno delle proprie nazioni e in giro per il mondo, provoca. Così sarà anche, senza dubbio, per la nuova Amministrazione Biden.  

 

 

17 novembre 2020

 

LIBIA - Siamo all’inizio del 2011, negli Stati Uniti Obama è presidente e Biden il suo vice mentre nel nord Africa infuriano le famose “primavere arabe”. Ed è in questa situazione che USA, Francia e Gran Bretagna decidono di intervenire militarmente per abbattere in Libia il regime di Gheddafi che si oppone alle proteste popolari.

Gheddafi, pur proclamandosi appartenente ai “Paesi non allineati”, in realtà come altre nazioni Cuba, Iran, Siria, Venezuela, ecc, è “zona di influenza russa”. Ma il Rais libico, anche se “filorusso” intrattiene copiosi affari anche con le borghesie europee (così come gli altri paesi di “area russa”).

In questa ondata di “primavere arabe” con forti proteste popolari contro i governi, le potenze occidentali vedono un’occasione che rare volte si presenta nella storia: l’occasione di togliere nazioni allo schieramento avversario. In sostanza si presenta loro la possibilità di togliere la Libia dalla “zona di influenza russa” e portata sotto il loro controllo.

Nello scontro tra capitalisti, tra potenze imperialistiche, questi controversi e sanguinosi eventi sono una normalità, totale normalità, documentati costantemente dalla storia. Basti citare per es. l’invasione dell’Afghanistan nel 1979 da parte dell’imperialismo sovietico, dove il governo stalinista russo ha cercato di espandersi a spese degli occidentali. O come nel 1991 con la guerra dei Balcani i capitalisti europei hanno sottratto all’influenza russa parte della Jugoslavia. E ora, nel 2011, viene colta l’occasione per togliere anche la Libia all’influenza russa.

Quindi all’inizio del 2011, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna con il pretesto di fermare la repressione di Gheddafi contro i manifestanti, armano l’opposizione libica e cominciano a bombardare massicciamente la Libia per facilitare l’avanzare delle milizie anti Gheddafi. Risultato: l’intervento si trasforma in un gigantesco bagno di sangue che dura tutt’ora. 

E, chi dirige al momento le operazioni militari nel governo USA? Il “democratico” “progressista” presidente Obama con suo vice “Biden”.

Nella guerra di Libia iniziata nel 2011 e tutt’ora in corso, si valuta che tra stime ufficiali e non, le vittime tra militari e popolazione civile siano diverse centinaia di migliaia. 

 

SIRIA – Ma nel 2011 la potente onda delle proteste della “Primavera Araba” iniziata poco prima in Tunisia non si arresta alla Libia, ma si espande all’Egitto fino a raggiungere la Siria e l’Iraq, scuotendo violentemente tutti paesi coinvolti. E anche qui in Medio Oriente i capitalisti vedono l’occasione per destabilizzare un’altra zona appartenete al fronte opposto: la Siria, anch’essa sotto “influenza russa”.

In questa operazione di destabilizzazione siriana è soprattutto l’imperialismo americano che si impegna per rovesciare il regime di Assad, fedele alleato di Putin. Anche qui come in Libia, il governo americano decide di non intervenire con truppe di terra, bensì con bombardamenti e di utilizzare l’opposizione interna siriana che protesta duramente, armandola, perchè rovesci il filorusso Assad.  

Le proteste adesso armate, si trasformano subito quindi in furiosi combattimenti militari, e anche la Siria segue il tragico destino di sprofondare velocemente in una lunga sanguinosa guerra civile. Ma non è tutto: qui avviene anche una variabile. Il governo americano per rafforzare, intensificare lo scontro armato per la caduta di Assad, incarica l’Arabia Saudita di reclutare in tutto il mondo arabo combattenti fanatici islamisti perché sconfiggano Assad. Solo che accade una seconda variabile inaspettata, non prevista dagli USA: questi combattenti islamici radicali, vedendosi ben armati, ben finanziati e sostenuti, e sentendosi militarmente molto forti, decidono ad un certo momento di combattere per se stessi, per formare un proprio stato islamico, il famoso “Califfato”, che abbracci non solo parte della Siria, ma anche l’Iraq (Iraq che è sotto controllo americano). Quindi gli americani che non vogliono questo, adesso si trovano nell’inaspettata situazione di dover difendere il “proprio” Iraq, cioè di dover contro-combattere e sconfiggere coloro che prima avevano assoldato, finanziato e armato. Una tragedia nella tragedia, quindi. Un’enorme catastrofe che anche tra Siria e Iraq costa la vita a parecchie centinaia di migliaia di vittime, delle quali la stragrande maggioranza persone civili.

E chi era responsabile dell’Amministrazione Usa anche in questa tragedia? Ma sempre l’apparente “innocuo” e “progressista” Obama, con il suo vice, l’attuale presidente Biden, che ora si presenta sotto forma di “colomba”. 

E da aggiungere, è senz’altro utile per capire chi è Biden, che nel 2002 ha dato il suo appoggio al repubblicano George Bush per l’intervento militare in Iraq e che nel 1999 ha votato a favore dei bombardamenti sulla Jugoslavia condotti dall’ora presidente democratico USA Bill Clinton.

Ed è altrettanto importante aver chiaro che sul fronte opposto il russo Putin o il cinese Xi Jinping avrebbero fatto la stessa cosa se si fosse presentato loro l’occasione  - vedi guerra in Yemen.

 

QUINDI, QUESTO E’ L’OPERATO DEL NUOVO PRESIDENTE AMERICANO DIFENSORE DEI “DIRITTI CIVILI” JOE BIDEN.

IL “RAZZISTA” TRUMP E IL “PROGRESSISTA” BIDEN: DUE TATTICHE DIVERSE MA STESSA SOSTANZA: APPOGGIARE E DIFENDERE GLI INTERESSI DEI RICCHI CAPITALISTI.

 

E’ nell’interesse proletario conoscere e capire la vera realtà. Aver chiaro come i capitalisti con i loro politici, i loro giornali, operino costantemente per manipolare, nascondere, confondere.

E bisogna essere consapevoli che al di là della politica “progressista” della futura Amministrazione  Biden di integrazione della minoranze, accoglimento degli immigrati, aperture ai gay, ecc. (tutte cose giuste tra l’altro) i lavoratori in America continueranno, come prima, ad essere sfruttati e gli immigrati, come prima, ad essere supersfruttati, portando nelle tasche dei capitalisti una marea di soldi. E  aver chiaro che la colombella Biden, se sarà necessario, come già dimostrato in passato, non esiterà un attimo a provocare altre guerre purchè portino soldi nei bilanci dei capitalisti.

 

Questo è capitalismo:   UNA SOCIETA’ CHE HA BISOGNO DI ESSERE SUPERATA.


 

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AVER CHIARO GLI INTERESSI CAPITALISTICI IN GIOCO 

 

BIDEN O TRUMP?

ENTRAMBI PERSEGUONO GLI INTERESSI DELL’IMPERIALISMO AMERICANO

 

LO SCONTRO TRA I DUE CONTENDENTI NON E’ SUGLI INTERESSI DEI LAVORATORI, MA COME SEMPRE (e come risalta “WELT”) QUALE POLITICA DEVONO PERSEGUIRE PER FAVORIRE GLI INTERESSI DEI GRANDI CAPITALISTI AMERICANI

 

 

Come da sempre affermiamo, non esistono presidenti o governi capitalistici “migliori” o “peggiori”. Tutti sono al servizio dei ricchi capitalisti.  Certamente usano tattiche e metodi diversi nel loro operato. Ma, in altre parole, ogni governo, ogni presidente ha un suo metodo, un suo proprio criterio per convincere i lavoratori sfruttati affinché stiano calmi, ed accettino il sistema borghese strapieno di contraddizioni e porcherie.

Facciamo degli esempi riguardanti l’operatività dei vari presidenti americani “bravi” o “cattivi” in rapporto alle guerre condotte dall’America.

 

-     -      Trump: nel concetto collettivo viene considerato un “cattivo”, perché ha imposto duri dazi alla Cina, minaccia di imporli anche all’Europa e ha introdotto due sanzioni contro l’Iran, Russia e vuole destabilizzare il Venezuela.

-      -      Ma del presidente Obama, considerato invece il “buono”, forse non tutti hanno presente che ha fomentato, finanziato e poi armato la guerra civile in Siria nel 2011 finchè poi non è esplosa, con l’intenzione di abbattere il regime di Assad, appartenente allo schieramento capitalista Russia-Cina opposto agli americani e agli occidentali.

-     -      E’ invece poi a tutti noto che il “cattivo” presidente George Bush (figlio) ha iniziato nel 2001 prima la guerra in Afghanistan, e poi nel 2003  quella in Iraq.    

-     -      Ma meno noto è che il presidente “buono”  Bill Clinton nel 1993 ha inviato truppe americane nella guerra in Somalia che dopo essere state massacrate sono state ritirate. Che nel 1998 ha mandato gli aerei a bombardare la Jugoslavia e che sempre nel 1998 ha intrapreso la guerra del Kosovo.

-     -      Riguardante il “cattivo” presidente George Bush (padre) tutti sanno invece che è responsabile della “prima guerra irachena” del 1990 facendo invadere l’Iraq dalle truppe USA, e che prima nel 1989 aveva fatto invadere lo stato centroamericano di Panama, conquistandolo. 

… e così  si potrebbe andare avanti all’infinito con gli altri presidenti americani Reagan, Carter, ecc.

 

E’ quindi evidente: non esiste nessuna differenza tra presidenti definiti “buoni” o altri chiamati “cattivi”. Tutti hanno fatto (e fanno) le stesse cose, anche se nell’immaginario collettivo e dalla stampa vengono dipinti come “diversi” tra di loro. Nel loro comportamento è chiaro, cambia solo la casacca di partito a cui appartengono. Nel caso dell’espansionismo, tutti hanno condotto guerre, facendo uccidere e massacrare migliaia, centinaia di migliaia di persone. Ma qual è lo scopo? Non certo sviluppare civilmente l’umanità. E non certo per i lavoratori  (che non hanno patria). Ma sempre con l’obbiettivo di favorire l’interesse dei guadagni dei grandi capitalisti.

Il definirsi di “destra” o di “sinistra”, repubblicani” o “democratici”, “conservatori” o “progressisti”, “cattivi” o “buoni” è solo un trucco, un inganno borghese. E’ un trucco che tutti i partiti in tutte le nazioni usano per confondere i lavoratori, per imbrogliarli e distoglierli dai loro veri problemi e interessi.

 

Anche dal punto di vista della difesa del tenore di vita in USA per le masse lavoratrici non esiste e non si nota alcuna differenza tra le Amministrazioni americane condotte da presidenti “progressisti” o “conservatori”, “buoni” o “cattivi”, “democratici” o “repubblicani”. Nel susseguirsi delle varie Amministrazioni, dei vari presidenti, i lavoratori hanno sempre dovuto lottare e scioperare duramente e con determinazione se hanno voluto mantenere un certo livello di vita dignitoso.  

 

Venendo ai giorni nostri, riguardante la “diversità” politica condotta dalle due ultime amministrazioni: Obama e Trump, vogliamo segnalare: la tattica di Obama (adesso riproposta anche da Joe Biden - come soprariportato da “WELT”) di creare grandi aggregazioni internazionali (Ttip, TPP, NAFTA ) o la politica di Trump di attacco diretto ai concorrenti con l’introduzione di dazi o inasprimento di sanzioni: entrambe le politiche Obama-Trump hanno lo stesso scopo di perseguire l’identico obiettivo: tentare di isolare le rivali emergenti Cina e Russia e i loro alleati (Iran, Siria, Venezuela, ecc) così da favorire, come detto, gli interessi dei capitalisti e banchieri americani sul mercato internazionale.

 

Riguardo poi la riforma sanitaria introdotta dalla precedente Amministrazione Obama e smantellata adesso  da Trump, è da precisare che Obama l’aveva introdotta per esaudire la richiesta pressante espressa da decenni da alcuni grandi gruppi industrial-bancari Usa, con lo scopo di tener calme le tensioni sociali di equilibrio capitalista nella grande società statunitense.

Non lasciarsi mai quindi ingannare dalle facili parole, ma guardare sempre alla sostanza.

 CAPIRE BENE LE MENZOGNE DEI POLITICI

 

Infezione Covid 19: gestione catastrofica in USA 

TRUMP CERCA DIVERSIVI PER SVIARE LE SUE COLPE  E NON PERDERE LE ELEZIONI A NOVEMBRE

 

COME DIVERSIVI TRUMP: prima  accusa la CINA DI NON AVER AVVISATO DEL PERICOLO - poi accusa IL LABORATORIO DI WUHAN ESSERE RESPONSABILE DELL’INFEZIONE – poi dichiara l’OMS di IMBROGLIARE - poi dichiara USO DEL FARMACO “Remdesivir” FENOMENALE – poi dichiara LO SCANDALO OBAMAGATE e adesso inscena la chiusura del consolato di Houston.

 

 

 

Le accuse contro Trump per la gestione catastrofica contro l’infezione Covid 19 montano in USA come un terremoto. Trump è in estrema difficoltà perché si rende conto seriamente che può perdere le prossime elezioni presidenziali in novembre. Infatti negli ultimi sondaggi di preferenza nell’ultimo mese il Tycoon è crollato di molti punti sotto il suo rivale democratico Joe Biden e la situazione sembra peggiorare costantemente.

Come abbiamo già evidenziato, Trump per non danneggiare i guadagni agli industriali americani chiudendo le fabbriche all’arrivo dell’infezione Coronavirus in USA, ha voluto di proposito sottovalutare il pericolo del contagio Covid 19 quando ancora imperversava in Europa e in Asia. Il presidente americano avrebbe potuto facilmente già da subito all’arrivo prendere le giuste e necessarie misure restrittive affinchè il contagio non si diffondesse anche negli Usa, chiudendo frontiere, attuando seri controlli a tappeto, vietare gli assembramenti, i contatti ravvicinati, le riunioni, ecc.

Ma far questo, come detto, significava danneggiare l’economia Usa, cioè gli affari dei facoltosi capitalisti americani che lo sostengono. E Trump facendo il bullo sperava che l’infezione si sarebbe da sola con il tempo scemata. In quest’ottica perciò il Tycoon newyorchese già in febbraio sosteneva di aver la situazione sotto controllo, che con il caldo il Covid sarebbe sparito, di star calmi perchè non esisteva nessun pericolo per l’America da lui diretta. La realtà si è dimostrata però poi, com’è noto, ben diversa e catastrofica come da lui preventivato.

Perciò Trump, causa la sua gestione disastrosa e le sue continue menzogne da politico, la sua arroganza e le sue ottusità, è diventato facile bersaglio politico, barzelletta dei suoi oppositori e dei Democratici. E la vittoria elettorale che già per Trump il prossimo novembre si profilava e che il Tycoon già pregustava, sta velocemente svanendo. E questo fa infuriare il focoso e impetuoso multimiliardario newyorchese. 

E’ così che Trump con il suo staff e consiglieri, per cercare di rialzare le preferenze nei sondaggi, com’è norma nella politica borghese, cerca di scaricare le sue colpe su altri, diffamare  gli oppositori, ecc. Si  è inventato diversivi (tipo: responsabilità che lui non ha, scandali, lancia improperi a sinistra e a destra, ecc.) per distogliere l’attenzione dalle sue colpe sperando che la gente parli d’altro e poi lo voti.

Diversivi e grottesche scuse che diventano ridicole, goffe, assurde. Come dichiarare che Pechino non aveva avvisato l’America della gravità e pericolosità dell’infezione (quando in realtà Trump il pericolo lo poteva già vedere ultra chiaramente mesi prima che arrivasse in America, dove già in Europa e Asia il Covid imperversava). Oppure che il virus è stato prodotto a posta nel laboratorio dell’OMS a Wuhan in Cina e poi lasciato circolare nel mondo di proposito per colpire le economie occidentali e soprattutto gli Stati Uniti. Aggiungendo grottescamente di avere anche le prove di questo, prove che però non ha mai esibito. In secondo momento ha autorizzato, con grande eco e pubblicità nazionale, l’uso massiccio del farmaco antiebola “Remdesivir”, presentandolo essere la cura definitiva contro l’infezione. Cosa ovviamente non dimostrata. Infatti anche dopo l’uso del farmaco il contagio si è diffuso costantemente come prima. L’ultima trovata, l’ultimo diversivo, sarebbe l’Obamagate. Definito da Trump e dal suo staff come “il più grosso e schifoso scandalo negli USA dal dopoguerra”. Il caso consiste nel fatto che nel 2017 durante la campagna elettorale presidenziale, l’allora presidente Obama per ostacolare Trump alla presidenza e favorire Hillary Clinton, avrebbe inscenato il Russiagate. Sostenendo che i russi si sarebbero intromessi nella campagna elettorale per favorire l’elezione di Trump. Atto che recentemente l’alto tribunale USA ha definito totalmente infondato. Quindi Trump grida adesso allo schifoso scandalo e cerca di utilizzarlo  nell’attuale campagna elettorale. E adesso come ultimo atto inscena la chiusura del consolato di Houston.

Oltre che causare morti, disastri sanitari ed economici, il Covid 19 infiamma anche la campagna elettorale negli Stati Uniti in vista dell’elezione in novembre del prossimo presidente.

Il furioso Trump, servitore (come tutti i governi) degli industriali e dell’alta finanza, è in forte difficoltà di consensi e tuona contro tutti. I democratici sfruttano l’occasione inaspettata per sostituire Trump, accedere al governo, ed essere essi stessi a servire i ricchi capitalisti e finanzieri statunitensi.

 

Tutto questo, naturalmente, non ha niente a che fare con i problemi e gli interessi delle masse dei lavoratori salariati. Che sempre e comunque, sotto un governo o un altro, saranno sempre sottomessi, oppressi, sfruttati e spolpati.


 

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CONOSCERE I TRUCCHI DELLE CAMPAGNE ELETTORALI

Bernie Sanders:

PER FINTA DALLA PARTE

DEI LAVORATORI SOLO

PER RACCOGLIERE VOTI  

IN REALTA’ DALLA PARTE DEI CAPITALISTI

ANCHE OGGI, COME NELLE ELEZIONI USA DEL 2016, DOVE SANDERS DOPO UNA FINTA COMPETIZIONE CONTRO HILLARY CLINTON ALLA FINE HA INDICATO DI VOTARE PER LEI, IL FINTO “SOCIALISTA” SANDERS PRIMA FA FINTA DI COMPETERE CONTRO JOE BIDEN E POI LO APPOGGIA. E’ TUTTO UN TRUCCO ELETTORALE.

 

 

MOLTI  PARTITI (come l’SPD con Jusos) USANO LA TATTICA DURANTE LE ELEZIONI DI PRESENTARE CANDIDATI RADICALI DI SINISTRA CHE SI PONGONO PER FINTA CONTRO I RICCHI PROMETTENDO AI LAVORATORI E AI GIOVANI PIU’ GIUSTIZIA SOCIALE,  COSI’ DA RACCOGLIERE I LORO VOTI. MA IN REALTA’ E’ SOLO UNA SCENEGGIATA ELETTORALE, TUTTI I CANDIDATI SONO POI AL SERVIZIO DEI CAPITALISTI.

 

 

LA SCENEGGIATA DI SANDERS

 

 

Come marxisti siamo del parere che al candidato democratico Bernard (Bernie) Sanders dei problemi e degli interessi dei lavoratori non gliene importi assolutamente nulla. Però il Partito Democratico ha bisogno di voti per vincere le elezioni. E soprattutto ha bisogno dei molti milioni di voti che i salariati e i giovani possono portare se vengono convinti che la politica del Partito Democratico è protesa a perseguire e difendere anche i loro interessi. Quindi in campagna elettorale il Partito Democratico ha bisogno, oltre che di candidati di centro e di destra che raccolgano voti in questi aree, anche di candidati finti radicali di sinistra, che fingendo di essere dalla parte delle masse lavoratrici promettano, promettano, promettano. E candidati come Bernie Sanders sono particolarmente adatti per questo tipo di ruolo: criticare duramente il sistema e il suo establishment (di cui anche Bernie fa parte – è stato sindaco di Burlington ed è attualmente senatore) criticando le disfunzioni e le corruzioni - che nel capitalismo copiose non mancano mai, così da inebriare i lavoratori e i giovani. Per apparire e farsi passare da radicale di sinistra contro il sistema. E con questa tattica conquistare la fiducia delle masse sfruttate e giovanili. Con lo scopo finale opportunista di portare tutti a “votare” il candidato che emergerà ufficiale per il Partito Democratico, che guarda caso in USA nella scorsa tornata elettorale del 2016 era proprio la candidata della “destra” del Partito Democratico Hillary Clinton. E oggi è il membro dell’establishment Joe Biden. E il compito e la sceneggiata di Bernie Sanders finisce li.  

 

L’analisi marxista dimostra da sempre che per i lavoratori le elezioni sono tutta una farsa sapientemente usata per poi meglio sfruttarli. Un’illusione per carpirne la fiducia. In realtà produce politici eletti, che sempre sono al servizio dei ricchi capitalisti, anche se lo negano energicamente e inscenano le finte rabbiose critiche al sistema o le finte liti dai banchi dell’opposizione.

Quello che come marxisti ci meraviglia invece è che esistano organizzazioni “marxiste” o “trotzkiste” che diano fiducia a Bernie Sanders. Che si lascino trascinare nel tranello accettando che lui veramente sia di sinistra dalla parte dei lavoratori e si adoperi per loro. Ci sorprende che queste organizzazioni “marxiste”, “trotzkiste” non si accorgano del “trucchetto” borghese elettorale e lo sostengano come candidato. Perché questo delle elezioni è uno stratagemma vecchio come il capitalismo e Marx è sempre stato chiaro al riguardo definendolo “cretinismo parlamentare”, mettendo sull’avviso di non lasciarsi manipolare, infinocchiare.

La realtà dei fatti ci insegna che non esistono politici borghesi “buoni” o “migliori” da sostenere, e altri “cattivi”  o “peggiori” da combattere, come alcune di queste organizzazioni “marxiste” o “trotzkiste” sostengono. Perché ogni politico o partito della borghesia usa un suo proprio metodo per convincere i lavoratori ad accettare il sistema. Ed è noto e famoso il metodo “del bastone o della carota” che usano per arrivare ai loro scopi di convincimento. Con il fine, sempre quello: ottenere, a seconda delle situazioni, il massimo di consenso al capitalismo.   

Tutt’altro invece è il compito delle organizzazioni marxiste. E’ organizzare le lotte contro il sistema e mettersi alla testa di esse. Il compito delle nostre organizzazioni rivoluzionarie è spiegare chiaramente ai lavoratori il funzionamento del corrotto sistema capitalistico, i trucchetti che usa, lo sfruttamento e le guerre che esso persegue. 

Ottimo sarebbe che le organizzazioni marxiste, mantenendo tutte le proprie particolarità e integrità, si unissero, si coordinassero tra di loro. Per assieme porsi alla guida delle lotte, delle proteste. A livello continentale certo, ma a livello globale ancora meglio.

AVER CHIARO COME FUNZIONA IL SISTEMA CAPITALISTICO

DISASTRO COVID-19 IN AMERICA:

PERCHE’ TRUMP NON VUOLE SVANTAGGIARE I PROFITTI

DEGLI INDUSTRIALI USA

TRUMP NON HA DA SUBITO PRESO LE NECESSARIE MISURE RESTRITTIVE PER NON FAR PERDERE PROFITTI AI PADRONI 

 

 

 

22 maggio 2020

 

L’infezione COVID-19 è arrivata negli Stati Uniti mesi più tardi rispetto all’Europa e ad alcuni stati asiatici come ovviamente in Cina e poi Sud Corea e Iran. Quindi il presidente americano e l’establishment USA avevano tutto il tempo per prendere le giuste misure necessarie per fermare il più possibile la diffusione dell’infezione coronavirus.

Ma così non è stato. Oggi l’infezione Covid 19 è un disastro negli Usa: al momento sono più di un milione e mezzo gli infettati - che si prospetta potrebbero arrivare a più di 2 milioni - e i morti oltre 100.000 - che potrebbero arrivare a 150.000. Una vera debacle per Trump.

Il quotidiano “la Repubblica” del 12 aprile riporta che Anthony Fauci - considerato il miglior immunologo esperto USA, prima consulente di Trump, dai lui poi licenziato e poi ancora riassunto - afferma che molte vite avrebbero potute essere salvate se le restrizioni fossero state adottate prima”. Ma, continua “la Repubblica” il pensiero di fermare l’economia per Trump poteva essere decisivo per scegliere di non chiudere il paese”. In altre parole, il presidente americano sotto pressione degli industriali americani che non volevano (e non vogliono) perdere profitti, ha preferito ai primi arrivi del COVID-19 in USA, non adottare le giuste misure restrittive - come l’eventuale chiusura di fabbriche - ma ha sottovalutato il pericolo e lasciato quindi entrare e diffondere l’infezione, che si è poi trasformata nell’attuale situazione catastrofica.

E’ “Der Spiegel” nell’articolo del 7 aprile “Cosa dice Trump e cos’è la verità” che si incarica di evidenziare tutte le scuse, i pretesti, le motivazioni fasulle, portate dal presidente per giustificare il suo comportamento catastrofico così da favorire gli interessi capitalistici.

Così l’articolo di “Der Spiegel”:  “quando la malattia già a fine gennaio infuriava in Cina e minacciava di aggredire le altre nazioni, lui affermava che il suo governo aveva “la situazione completamente sotto controllo”. Alla domanda di un reporter, se aveva delle preoccupazioni riguardo una possibile pandemia, il 22 di gennaio diceva: “NO, assolutamente no”. E “Andrà tutto bene”. Poi affermava che la malattia in aprile “sparirà come un miracolo“»  Prosegue poi “Der Spiegel”: «E il 26 febbraio diceva: gli Usa hanno pochi casi. “Fra poco avremo solo 5 persone. E in poco tempo saranno solo due o una“».

Da queste affermazioni se ne deduce chiaramente che Trump già da subito, per non danneggiare gli interessi economici “nazionali” ossia dei capitalisti, abbia rifiutato di prendere in considerazione la gravità della situazione, nonostante la Pandemia fosse già esplosa e imperversasse in Europa.

Spiega poi “Der Spiegel” che Trump in seguito, a pandemia esplosa, per smorzare le più che naturali preoccupazioni e proteste che insorgevano, abbia diffuso notizie di avere un “fenomenale” farmaco che poteva fermare l’infezione: «”Mostra risultati molto buoni. Spero che sarà una cosa fenomenale”, ha chiarito Trump il 3 aprile nella prospettiva che il farmaco anti-malaria Hydroxychloroquin possa essere usato per la cura del Covid-19. Il 5 aprile ha poi detto di avere grossi segnali che funzionava» (“Der Spiegel” ibidem).  Ma su questo miracoloso farmaco Hydroxychloroquin l’esperto capo immunologo Fauci, allora consigliere capo dello staff di Trump, non era a ragione d’accordo: «Anthony Fauci ha sottolineato più volte che le evidenze dell’efficacia fino ad allora erano minime e anedottiche» prosegue “Der Spiegel”.  

Continua poi l‘articolo: «Ancora il 26 aprile Trump affermava: “E’ un po’ come una normale influenza, per la quale abbiamo i vaccini. Avremo anche per essa presto un vaccino”» … « Senza interruzione Trump ha diffuso la speranza di avere velocemente un vaccino a disposizione. “Sarà distribuito molto a breve” ha detto il 7 marzo. Gli esperti sostengono invece che il vaccino sarà a disposizione il prossimo anno» (“Der Spiegel” ibidem)

Anche questa tragica situazione americana - come da sempre ripetiamo – dimostra, è la prova come nella corrotta società capitalistica i governi e i politici siano sempre e inevitabilmente al 

servizio dei capitalisti. A volta in maniera molto evidente - come nel caso di Trump – ma molto più spesso in maniera subdola, nascosta, come i governi europei.  I quali, anch’essi sotto pressione dei capitalisti europei, per accontentare industriali e speculatori hanno anticipatamente aperto 

 fabbriche e scuole (o le frontiere, come nel caso Italia) anche se  la pericolosissima infezione Covid-19 è ancora in espansione e non ancora sotto controllo, con esiti imprevedibili di ritorno della pericolosa malattia.

C’è da ricordare, sottolineare, che i governi borghesi nel passato, per portare ulteriori soldi ai capitalisti hanno ridotto al minimo i sistemi sanitari nazionali, sia in Europa che in America. E questo adesso è emerso violentemente nella pandemia Covid-19 dove i diversi sistemi nazionali nei vari paesi si sono dimostrati assolutamente insufficienti a curare la catastrofica infezione.

Il vero virus nella società è senz’altro il capitalismo, che non solo è causa di guerre, crisi, povertà, fame e distruzioni nel mondo, ma non può garantire neanche un sistema sanitario idoneo.


 

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L’INCESSANTE INSTABILITA’ DEL CAPITALISMO

ELIMINAZIONE SOLEIMANI

E REAZIONE IRANIANA:

SFIORATA UN’IMPROVVISA ESCALATION MILITARE?

 

 

 (traduzione da "Der kommunistische Kampf"  n° 35  gennaio 2020)

 

Le violente proteste di piazza avvenute in Iraq nello scorso dicembre risultavano essere state causate dalle correnti della componente sciita irachena diretta dagli sciiti iraniani contro il governo di Bagdad, governo costituito soprattutto da rappresentanti filoccidentali. 

Disordini che hanno avuto una forte e inaspettata escalation, fino all’esagerazione di attaccare l’ambasciata americana nella stessa capitale irachena Bagdad.

Dal punto di vista politico è stato da subito evidente che queste proteste in Iraq non erano spontanee e venivano fortemente strumentalizzate e pilotate dalle forze del vicino Iran. E già allora molte fonti internazionali individuavano e denunciavano come mente direzionale delle ribellioni sciite irachene il generale iraniano Soleimani. Proteste che hanno lasciato sul campo più di un centinaio di vittime, tra manifestanti e forze di polizia.

All’esagerato attacco all’ambasciata americana, la reazione americana è stata - guidata personalmente dall’irato presidente Trump - estremamente drastica: l’eliminazione fisica della “mente” delle proteste, il generale Soleimani, con alcuni altri dirigenti iracheni sciiti, capi delle proteste stesse. 

Una reazione così “radicale” da parte americana, cioè l’eliminazione fisica del generale, gli ayatollah iraniani proprio non se l’aspettavano, e lo shock da parte dell’establishment di Teheran e per l’Iran intero è stato impressionante. Provocando nel paese le note immense manifestazioni di massa gridanti vendetta contro gli americani. Immense manifestazioni che hanno spinto il governo iraniano ad una pericolosa scelta: o procedere a sua volta alla vendetta-ritorsione contro gli americani, con il rischio di provocare però un’ulteriore reazione di Washington - rischiando di innescare una reazione a catena di reciproche ritorsioni-vendette tra americani e iraniani, oppure … lasciar perdere.

Ma anche lasciar perdere era quasi impossibile. La frittata da parte di Teheran era stata fatta. Gli Ayatollah avevano esagerato nel provocare e condurre la protesta sciita in Iraq, causando la reazione shoccante americana. Ed ora si trovavano nella situazione pericolosa di dover portare avanti la vendetta per l’uccisione di Soleimani chiesta a gran voce dalle sconvolte masse iraniane. Mentre il fronte dei media internazionali spaventati dall’eventuale reazione iraniana gridavano l’inizio di una involuzione in una guerra senza fine tra America e Iran, e i leader politici di mezzo mondo invitavano le parti alla moderazione.  

La rischiosa scelta degli Ayatollah alla fine è stata, com’è noto, di bombardare le due basi americane situate in Iraq, premunendosi però di avvisare anticipatamente e accuratamente sia gli americani che il governo di Bagdad del loro imminente attacco, in modo che la ritorsione-vendetta non causasse nessuna vittima. E così è stato. E la faccenda si è chiusa così.

A cosa finita si può osservare come Trump e il governo iracheno abbiano avuto, con l’uccisione di Soleimani conduttore dei forti disordini provocati dagli iraniani in Iraq, la loro ritorsione-vendetta. E come gli Ayatollah, bombardando le basi americane (senza pero “esagerare”) abbiano potuto placare la sete di rivalsa richiesta dalle folle iraniane infuriate.

Trump alla fine si è dichiarato soddisfatto, così come gli Ayatollah di Teheran. 

Il terrore di una escalation militare tanto temuta e gridata da molti, alla fine quindi non c’è stata. E l’atmosfera ha potuto distendersi. 

Questo fatto però ha confermato ancora una volta quello che temono tutti ed a tutti è chiaro: in questa società, al di là delle tante belle parole retoriche di “pacifismo” o “democrazia”, una guerra può facilmente, per un qualsiasi motivo e in qualsiasi momento, scoppiare.

E il caso dell “omicidio Soleimani” è li a ricordarlo: nessuno nella società del capitalismo può dormire sonni tranquilli (se qualcuno l’avesse scordato).

NELLE FONTI INTERNAZIONALI:

SI PARLA SEMPRE PIU’ SPESSO DI DE-DOLLARIZZAZIONE. PERCHE’?

 

E’ L’EFFETTO DELL’EMERGERE DELLE POTENZE ASIATICHE E DEL DECLINO AMERICANO

 

 (traduzione da "Der kommunistische Kampf"  n° 35  gennaio 2020)

 

A fronte dell’inevitabile crescita delle enormi economie asiatiche - Cina e India in prima fila - l’imperialismo americano sta perdendo progressivamente peso sulla scena internazionale. Peso conquistato grazie alla vittoria, sia sul fronte asiatico che su quello europeo, nella seconda guerra mondiale.

La crescita asiatica, era stata vista negli anni ’50 dai due grandi marxisti Cervetto e Parodi nel loro ormai famoso saggio “Le tesi del ‘57” (considerati allora dai coetanei per questo loro saggio come mosche bianche, se non mezzi pazzi - essendo allora gli Usa al loro apice come grandi vincitori della guerra, e le economie asiatiche erano invece considerate “zero”). Per i due grandi marxisti la giusta analisi era necessaria per avere una corretta visuale su un futuro realista per impostare la politica rivoluzionaria. Corretta analisi che ha potuto produrre nel ’65 la fondazione dell’organizzazione Lotta Comunista, organizzazione marxista che oggi in Italia conta un’estensione considerevole.   

Perciò è grazie all’analisi marxista che i due grandi rivoluzionari hanno potuto vedere già all’ora quello che oggi è un’eclatante enorme realtà: l’emergere asiatico. E già allora, negli anni ’50, prevedere che l’imperialismo americano in futuro come conseguenza avrebbe perso peso sulla scena mondiale.  

 

Oggi tutto questo è realtà, e uno degli effetti del lento declino americano si traduce nel fatto, come riportano i giornali, che grandi potenze emergenti come Cina e India, ma anche Russia e Europa, comincino ad essere propense a lasciare il dollaro nel commercio internazionale e usare le proprie monete per gli interscambi internazionali. Commercio internazionale che com’è noto, dal 1971 con l’accordo di Bretton Woods, si basa essenzialmente sull’uso della moneta dollaro.

 

 

Tutti gli specialisti internazionali tendono a parlare di lunga durata per una effettiva dismissione del dollaro sulla scena mondiale. Potrebbe essere, ma non è detto, sosteniamo noi. L’acuirsi dello scontro commerciale tra i due colossi Usa e Cina potrebbe spingere l’imperialismo del Dragone a lasciare velocemente il dollaro nel commercio internazionale, sostituendolo con il proprio Juan, tirandosi dietro tutte le economie asiatiche. Ma anche una prossima grande e profonda crisi economica potrebbe accelerare questo processo di de-dollarizzazione.

 

 In sostanza tutto questo ci sta dicendo una cosa: grandi cambiamenti si stanno prospettano per il futuro, cambiamenti che, come citato, si intravedono all’orizzonte.

E’ noto a tutti che il capitalismo è un tipo di società estremamente instabile e imprevedibile. E che il sopraggiungere di grandi avvenimenti, anche catastrofici, possono cambiare improvvisamente completamente lo scenario internazionale. E anche riportare di nuovo tutto nel disastro.    

Per questo c’è il bisogno di un’altra società, diversa, superiore. Di lottare per questo. 


 

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- IL PERENNE SCONTRO TRA BORGHESIE-

L’ATTACCO CONTINUO

DI TRUMP CONTRO L’IRAN:

UNA TATTICA BEN STUDIATA PER ARRIVARE A

SEPARARE LE NAZIONI

EUROPEE  DA CINA-RUSSIA

UNA LOTTA TRA POTENZE IMPERIALISTICHE

CHE COME SEMPRE COINVOLGONO LE POPOLAZIONI 

 (traduzione da "Der kommunistische Kampf"  novembre 2019)

 

 

Se si osserva, ogni qualvolta Trump attacca con sanzioni, ritorsioni, ricatti, la nazione borghese Iran pretende sempre (come ancora una volta titola il “Tagesschau” del 24 giugno) che anche gli alleati occidentali degli Usa lo seguano nelle ritorsioni.

         E’ stato così da quando nel 2017 Trump ha disdetto l’accordo sul nucleare con l’Iran, siglato precedentemente da Obama. E’ stato da allora che il presidente ha preteso che anche le borghesie europee rompessero i legami economici con il paese del Golfo, costringendole a seguirlo nelle dure sanzioni contro Teheran da lui imposte, obbligando le aziende europee e giapponesi a non intraprendere più affari con il paese persiano (articolo “Der kommunistische Kampf” n° 27, ottobre 2018). Ricattando le aziende europee come Siemens, Daimler Benz, ecc. nel caso non si fossero adeguate e sottoposte al diktat americano, il presidente Usa avrebbe super tassato i grandi e numerosi affari che queste aziende conducono in America.

         Anche quando Trump ha attaccato con il pretesto dello “spionaggio” il colosso cinese delle comunicazioni Huawei ha preteso con forza che gli europei lo seguissero nel rifiutare di accettare di impostare in Europa la nuova rete 5 G della multinazionale cinese (attacco a cui ora Trump sembra aver rinunciato).   

        Stessa situazione la troviamo con le sanzioni contro la Russia volute da Trump, dove anche qui il presidente pretende che le borghesie europee si uniscano e lo seguano nello scontro.

        Se all’inizio, dopo la sua elezione, il comportamento aggressivo di Trump appariva estroverso e confuso nei suoi intenti, ora invece è diventato chiaro che la sua politica risoluta e prepotente fa parte di un piano ben preciso, con vari pretesti, per arrivare a dividere lo schieramento delle nazioni (borghesi) occidentali dagli emergenti imperialismi cinese e russo e loro alleati.        

        Perché Cina, Russia, Iran, e Venezuela (e forse anche l’oscillante India) appartengono ad un gruppo di nazioni capitaliste in netta opposizione e concorrenza a quello occidentale guidato dagli Stati Uniti. Nazioni emergenti di opposizione che si sono prefisse lo scopo di sfidare i capitalisti occidentali (e soprattutto gli americani) sul mercato internazionale. L’intento di Trump quindi è, come reazione a questo “pericolo” di competizione avverso, voler creare una forte divisione, un blocco, un solco netto dei paesi filo americani contro le borghesie emergenti sfidanti. Un blocco occidentale non solo politico-militare (i paesi occidentali aderiscono tutti alla Nato, l’organismo militare guidato dagli Usa) ma anche economico-finanziario.

        Perché molte borghesie occidentali intrattengono contemporaneamente anche molti affari reciproci con le nazioni dello schieramento opposto, diretto appunto da Cina e Russia. Ora il presidente americano tenta di ridurre al minimo questi rapporti tra i due schieramenti.

        E dal suo comportamento si capisce palesemente come l’obbiettivo principale di Trump sia proprio la ricca Germania, l’imperialismo tedesco - come da tempo scriviamo. Trump vuole ridurre al minimo l’interscambio commercial-finanziario che l’imprenditoria tedesca ha con la Russia, cioè con il capitalismo russo (es. il Nord Stream 2) così da arrivare ad allentare gli ottimi rapporti politici che i due paesi intrattengono e che spesso frenano, sono ostacolo e rovinano le aggressive politiche americane contro il concorrente “nemico” russo.

        Se questo è il vero intento dell’aggressiva politica del bellicoso presidente americano come rappresentante degli interessi delle potenti multinazionali USA (e non certo dei lavoratori) nell’eterna lotta tra colossi capitalisti per rubarsi a vicenda fette di mercato internazionale, alla popolazione, alle masse proletarie, ovviamente come sempre il vero motivo dello scontro viene nascosto e vengono inventati dai media e dai politici pretesti “umanitari” per coprire e nascondere gli orrori e le nefandezze che il sistema capitalistico produce. Cinici e falsi pretesti che possano colpire il cuore e la sensibilità delle persone per apparire credibili, benevoli, così da ricevere il consenso popolare e poter condurre senza grosse contestazioni di popolo la spregevole lotta intercapitalista. Ed ecco che Trump nel suo blog twitta che l’attacco USA contro l’Iran è per la “nobile” causa di combattere il terribile “terrorismo internazionale” di cui, secondo il presidente, la borghesia iraniana ne sarebbe il maggior sponsor e sostenitore. Oppure porta la scusa che l’Iran starebbe “segretamente continuando a costruire armi nucleari”, o, altro pretesto ancora, che il piccolo paese del Golfo vorrebbe “destabilizzare” il mondo intero,  e cose del genere.

       E’ sorta anche un’altra buffa interpretazione portata da alcuni media americani (“Washington Post”) secondo cui Trump attaccherebbe l’Iran con sanzioni economiche molto dure e minacce varie, ma poi mai militarmente, per creare “confusione” così da tenere costantemente “sotto pressione” l’ostile borghesia iraniana. Anche questa un’altra ridicola motivazione. Come banale e assolutamente incompetente è la tesi che il suo comportamento sia basato per soli scopi elettorali. 

       Come detto, è chiaro, i governi borghesi non possono divulgare le spregevoli verità capitalistiche alle enormi masse già duramente sfruttate e costantemente sotto pressione per i continui sacrifici a loro imposti. È proprio compito dei media e dei politici al loro servizio inventare qualcosa di “nobile” e “umanitario” per giustificare le orrende e nefande azioni dei banchieri e degli imprenditori che attraverso i governi manovrano gli eserciti nazionali e sconvolgono il mondo,. Oggi per esempio, è di moda motivare ogni scontro, come detto, con “la lotta contro il terrorismo”, ma ieri si sono giustificate le guerre per “salvaguardare la pace”, altre guerre per “portarvi la democrazia” e così via. Menzogne e imbrogli continui.

      E’ compito dei marxisti smascherare i capitalisti e i loro servi e complici politici. Ed è compito dei marxisti guidare le masse proletarie alla società superiore, quando il momento giusto si presenterà.

RAPPORTI TESI TRA BORGHESIA EUROPEA E AMERICANA

E’ TRUMP CHE VUOLE IMPORRE AGLI EUROPEI GLI INTERESSI AMERICANI

 

 (traduzione da "Der kommunistische Kampf"  ottobre 2019)

 

 

Il governo tedesco è sconvolto, non è mai stato così sotto attacco americano dalla fine della seconda guerra mondiale.

Con l’avvento del presidente Trump tutti i rapporti politici tra le due potenze, americana e tedesca, si sono deteriorati. Trump vuole imporre a tutti i costi ai governi occidentali la sua politica estera, questo vale, soprattutto, per il governo tedesco: “Mi daranno quello che voglio!” tuona serio il presidente americano il 20 agosto alla vigilia del G7 a Biarritz in Francia, “basta tassare le loro automobili”, (intende naturalmente in America) “… ci vendono milioni di Mercedes, milioni di Bmw …” prosegue spavaldo il presidente. 

     Trump come capo del governo americano e quindi come rappresentante e fautore dei grandi interessi delle multinazionali Usa, si dichiara molto soddisfatto del suo operato: “Mi darei un 10” ha esclamato in diverse occasioni, riferendosi a come dirige il suo programma politico di attacco su larga scala mondiale.

     Per capire l’attuale situazione bisogna però ritornare al lontano 1945, quando gli Stati Uniti vincendo la 2° guerra mondiale hanno imposto da allora, sia sul fronte occidentale che su quello asiatico, la propria superiorità su tutto il pianeta. Ora, dopo più di 70 anni da quell’evento, è il gigante imperialista cinese diventato oggi una grande potenza economica a mettere in discussione la supremazia americana. 

     Ma la borghesia Usa è cosciente, per potente che sia, che da sola non può contrastare il nascente e altrettanto possente gigante capitalistico asiatico.  Ha bisogno di alleati, ha bisogno di un forte schieramento di borghesie che lo sostengano, così che tutte  assieme, unite, siano in grado di isolare e frenare il gigante asiatico concorrente. Perché alla fine è questo il fine ultimo del presidente Trump quando grida: “Mi daranno quello che voglio!”. Ossia: gli europei dovranno seguire gli americani, ed assieme frenare il dragone cinese e suoi alleati russi, iraniani, venezuelani, e forse anche indiani.

     E quando (sempre al G7) dichiara: “ma noi abbiamo tutte le carte … basta tassare le loro automobili [in America – ndr]” intende che è questo il potente ricatto che il presidente vuole usare per costringere i governi del continente europeo, in particolare la Germania, a sottostare alla sua politica.

     Ovviamente la Grosse Koalition, ossia il governo della borghesia tedesca che intrattiene grossi affari con russi e cinesi (ma anche con l’Iran) vive male, ma proprio male questa imposizione. Non può che essere altrimenti. E cerca di opporvisi in tutti i modi. Quindi nella forte tensione che ne scaturisce sono i rapporti tra i due governi che si stanno deteriorando come non mai. “Stiamo vivendo una crisi che non ho mai ritenuto possibile” titola la rivista “Der Spiegel” il 16 agosto, riferendosi ai pessimi rapporti tra la cancelliera Merkel e Trump. Sicuramente è così. Ogni borghesia pretende essere indipendente nelle sue scelte di interessi, e questo vale, soprattutto, anche per la potente borghesia teutonica, che è la più imponente in Europa.

     Però il presidente Trump non molla e sicuramente nel futuro non mollerà. Nell’ascesa del gigante cinese vede un pericolo troppo grande, troppo pericoloso per gli interessi dei grandi gruppi imperialisti americani. Perciò, come sempre accade in queste situazioni storiche, va all’attacco senza pensarci due volte. Il futuro perciò vedrà la borghesia tedesca che si dovrà rassegnare (questo lo sa bene) alle continue pressioni americane (mentre dal canto suo la stessa borghesia tedesca impone alle altre borghesie europee la sua politica imperialista). 

     Quello che sta succedendo in realtà è uno scontro interimperialistico che ha sempre contrassegnato la storia delle nazioni capitaliste. Nel mondo della concorrenza capitalistica, è noto, non può esistere la pace.


 

SCONTRO TRA IMPERIALISMI CINA-USA

 

 (traduzione da "Der kommunistische Kampf"  luglio  2019)

 

La Cina ha raggiunto da alcuni anni lo status economico-politico di imperialismo. Nella sua economia si possono trovare ora multinazionali, monopoli, enormi complessi economici finanziari, esattamente come descritto da Lenin nel suo “Imperialismo, fase suprema del capitalismo”. Multinazionali, grossi complessi industrial-finanziari che nella società comunista assolutamente non esistono. Quindi com’è evidente la Cina non ha niente a che fare col comunismo.

Alcuni stati capitalisti si definiscono spudoratamente “socialisti” o “comunisti”, ma è tutto un inganno. Le borghesie statali che la vi padroneggiano (Cina, Cuba, Nord Corea) usano questo inganno proprio per meglio dominare e sfruttare i lavoratori così da aumentare i propri profitti.

Il capitalismo statale (il capitalismo può anche essere statale) cinese grazie a questo inganno ha potuto accumulare nei decenni scorsi enormi capitali, e adesso come capitalismo imperialista è pronto per entrare in concorrenza contro gli altri imperialismi, in particolare contro quello dominante americano. E le cronache registrano appunto che lo scontro tra i due colossi si sta facendo sempre più aspro.

Dopo il noto aumento dei tassi americani sulle merci cinesi importate in USA e la reazione cinese di alzare a sua volta i dazi in Cina sulle merci americane, è seguito l’attacco USA contro la multinazionale cinese Huawei delle comunicazione, la quale, come riportato sopra, contrattacca esigendo in America miliardi per il compenso del proprio brevetto.

Ma l’intervento economico dell’imperialismo cinese non è concentrato solo in Nord America, ma spazia dall’Europa all’Asia, fino a coinvolgere l’intero continente africano. E la preoccupazione dell’espansione cinese in Africa coinvolge non solo le multinazionali americane, ma soprattutto quelle europee, per le quali l’Africa è sempre stata considerata  “proprio terreno d’affari”.

Ovviamente per le multinazionali di tutti i paesi, europei o cinesi o americani che siano, l’interesse africano non è “umanitario” o di “pace” o “collaborazione” come viene presentato, ma è l’occasione per far montagne di soldi anche sulla pelle dei lavoratori africani.  

E di conseguenza anche in questo continente la concorrenza tra imperialismi si accende. Spudoratamente le varie nazioni che sgomitano per procacciare affari si accusano reciprocamente di “neocolonialismo”. Ma in questa ennesima battaglia sembra proprio sia l’imperialismo cinese quello che alla meglio stia sfruttando l’occasione in quella che viene definita dai concorrenti occidentali “la conquista cinese dell’Africa”.

Interessante è come nell’articolo “La campagna d’Africa” il giornale “Il foglio” del 7 febb. 2019 presenta con invidia le “furbizie” e i “trucchi” dei capitalisti cinesi per la loro espansione. A riguardo di come operano le aziende di Pechino dice: “Il problema però è nella natura degli investimenti cinesi, e nella cosiddetta ‘trappola del debito’: le opere sono finanziate con prestiti cinesi, che se poi non possono essere ripagati costringono il paese [dov’è avvenuto l’investimento – n.d.r.] a cedere quelle stesse infrastrutture. Il caso scuola è quello dello Sri Lanka, e del porto di Hambantota: il governo di Colombo non è riuscito a ripagare il debito contratto con Pechino, e nel dicembre del 2017 ha dovuto cedere il controllo del porto”.  Questo “trucco” viene perciò preso a pretesto dalle borghesie concorrenti per accusare l’imperialismo cinese di operare uno “sfruttamento delle risorse naturali altrui”, tacendo che loro come imperialisti occidentali lo hanno sempre fatto e lo stanno facendo tutt’ora.

Ma veniamo alle impressionanti cifre dell’attivismo capitalista di Pechino nel continente africano. Seguiamo sempre quanto relaziona l’articolo “La campagna d’Africa” del giornale “Il foglio”: “Secondo l’agenzia di stampa cinese Xinhua, il 2018 è stato il nono anno consecutivo nel quale la Cina si è posizionata al primo posto come partner commerciale del continente africano, e sfiora i cento miliardi di dollari di volume complessivo”, prosegue: “L’ultimo Forum sulla cooperazione Cina-Africa che si è svolto a Pechino lo scorso settembre è stato una specie di rito di consacrazione della strategia del presidente Xi Jinping nel continente africano. Quasi tutti i capi di stato africani sono volati nella capitale cinese”. Praticamente nell’ultimo decennio l’imperialismo cinese è riuscito a stringere forti legami affaristici con quasi tutti i paesi africani (escluso stando all’artico, il Burkina Faso e il Regno di eSwatini) i quali hanno instaurato un stretto rapporto con Pechino. Impressionante.

Ma ciò che preoccupa i capitalisti occidentali non è solo il fatto economico dell’espansione cinese, ma anche il suo risvolto politico. Sulla spinosa questione di Taiwan per esempio, dove l’isola si considera indipendente dalla Cina mentre Pechino invece la considera come proprio territorio, l’articolo riporta: Dopo la decisione del Burkina Faso, tra i paesi africani a riconoscere Taiwan è rimasto soltanto il minuscolo regno dell’Africa del sud, lo Swaziland, ufficialmente Regno di eSwatini”. In pratica, tutti i paesi africani, escluso appunto il Burkina Faso e il Regno di eSwatini, sostengono Pechino contro Taiwan nella disputa di considerare l’isola territorio cinese. L’espansione della Cina perciò non è solo un affare economico, ma com’è logico che sia, è anche politico.

L’articolo (molto informato) specifica sinteticamente anche gli affari di Pechino in Africa. In breve: Marocco: “i cinesi puntano soprattutto al porto Tangeri Med, ma finora la Cina si è aggiudicata i lavori del porto di Kenitra e la linea di Alta velocità tra Marrakech e Agadir”. Algeria: “gli investimenti esteri diretti della Cina (Ide), le infrastrutture costruite da compagnie cinesi sul suolo algerino, l’arrivo di migranti cinesi nel paese”. A novembre 2018 la Cina ha donato 28,8 milioni di dollari all’Algeria come parte del contributo economico e tecnico”. Egitto: “Sarebbero 10 miliardi di dollari gli investimenti diretti esteri nell’anno fiscale 2018-19, nell’anno precedente erano stati “solo” 7,9 miliardi. Sin dal 2017 la Cina è il maggior investitore del canale di Suez, e da anni ormai miliardi di investimenti finiscono nel China-Egypt Suez Economic and Trade Cooperation Zone, zona speciale considerata un “modello” di cooperazione tra i due paesi”. E poi Libia, Sudan, Kenia, e così via.

La concorrenza tra imperialismi sul mercato internazionale è destinata quindi, è evidente, ad acuirsi. Non può esistere nel sistema capitalistico armonia, la collaborazione, l’equilibrio, come molti auspicherebbero o vorrebbero. La storia insegna: il capitalismo è caotico, ogni capitalista pensa a se stesso e al proprio interesse di come far soldi senza guardare in faccia nessuno.  

- GUERRA DEI DAZI USA CONTRO LA CINA -

 

TRUMP VUOLE INDEBOLIRE L’IMPERIALISMO CINESE

IN ASCESA

 (traduzione da "Der kommunistische Kampf"  giugno  2019)

 

L’imperialismo cinese è destinato a diventare la 1° potenza mondiale. Non manca molto ancora, solo una manciata di anni. E naturalmente, com’è di norma nel sistema capitalista comincia già a far sentire la sua presenza imperialista sui mercati internazionali. Con la ormai famosa “Nuova via della seta” le imprese cinesi a capitalismo di stato con un salto di qualità tecnologico notevole, si apprestano ora ad esportare non più semplici manufatti (vestiario, scarpe, suppellettili, tv, frigoriferi, ecc.) come nei decenni precedenti, ma impianti industriali, alta tecnologia, aeroporti, dighe, treni ad alta velocità, armi sofisticate, nelle nazioni di mezzo mondo, ossia nei paesi asiatici, paesi africani, e anche in alcuni paesi europei.

La Cina insomma comincia a mettere angoscia ai concorrenti occidentali. Nel prossimo futuro, è chiaro, la concorrenza cinese di capitali e finanza nei mercati internazionali aumenterà e di conseguenza metterà ancor più sotto pressione e in difficoltà le imprese occidentali.

Di questo meccanismo Marx direbbe: “Questo è il capitalismo, questa è la natura del capitalismo stesso”.Certo, è chiaro.

L’Amministrazione americana Trump si è data quindi il compito di contrastare l’emergere del gigante asiatico. Il suo fine è isolare internazionalmente l’imperialismo del dragone “prima che sia troppo tardi” (prima che diventi troppo potente). Quindi Trump ha intrapreso la famosa “guerra dei dazi”.

Spieghiamo brevemente. Una grossa parte dei manufatti di primo consumo e quindi di basso prezzo (vestiario, tv, scarpe, mobili, ecc) prodotti in Cina, oltre che essere venduti nel mercato interno nazionale, vengono esportati e venduti per parecchie centinaia di miliardi di dollari nei mercati occidentali avanzati, soprattutto in America. Con i guadagni ottenuti dalla vendita di queste semplici merci, l’imperialismo cinese (sfruttando fino all’osso gli operai) ricava i capitali finanziari necessari da poter investire nell’alta tecnologia e far così un salto di qualità nella produzione (in impianti industriali, centrali elettriche, ferrovie, ecc. ma anche alta tecnologia militare). Arrivata a questo alto livello tecnologico produttivo la borghesia cinese può cominciare a vendere impianti industriali, centrali, aeroporti, ecc. ai paesi esteri arretrati comprendenti la “Nuova via della seta” in Asia, Africa, ecc. a questo livello l’imperialismo cinese può espandersi nel mondo costituendosi un proprio impero finanzial-industriale, commerciale e infine anche militare, esattamente come hanno fatto in precedenza gli altri imperialismi occidentali (inglese, tedesco, francese, giapponese, Usa, Europa).

Trump alzando i dazi sui manufatti cinesi venduti in America cerca di abbassare i guadagni che le imprese cinesi ottengono dal grande mercato Usa. Questo avrebbe l’effetto, nel piano Trump, di diminuire le finanze del capitalismo di Pechino con la conseguenza di un rallentamento dell’economia. Sarebbe questo il disegno strategico del presidente americano.

 

Ma ovviamente in governo dell’imperialismo cinese non è che resti a guardare, rimanga immobile e subisca passivamente l’iniziativa aggressiva del potente concorrente del nord America. Anche all’imperialismo cinese non mancano le “armi” commerciali per rispondere all’attacco Usa. Probabilmente i vertici di Pechino avevano già calcolato l’eventuale reazione delle borghesie occidentali al tempo che avevano impostato e poi attuato la “Nuova via della seta”.

Quattro ( 4 ) possono essere le misure con cui Pechino può reagire per contrastare Washington: 1°- l’innalzamento a loro volta dei dazi sui prodotti americani venduti in Cina, che è già stato fatto. 2°- svalutazione della propria moneta cinese (lo Yuan), anche questo già usato nel giugno dell’anno scorso e nell’aprile-maggio di quest’anno. Ma questa misura non può però essere ripetuta troppe volte, perché una svalutazione monetaria troppo forte farebbe scappare sui mercati internazionali i compratori di riserve monetarie in Yuan. 3°- detassazione alle imprese in Cina le cui merci in America vengono colpite dal rialzo dei tassi, per compensarne le perdite. Di questo non abbiamo notizia, ma siamo certi che viene usato. 4°- vendita dei Titoli di Stato americani (titoli del Debito Pubblico americano) di cui il governo imperialista cinese ne è il più grande possessore al mondo. 

La vendita dei Titoli del Debito americano è “l’arma” più efficacepiù letale in mano ai cinesi contro Washington, può far crollare l’economia Usa. Pechino ne è consapevole e come “segnale” di reazione ai dazi Usa ha già disertato le ultime aste di vendita dei Titoli di Stato americani (come riportano i giornali italiani) e ha già cominciato anche a vendere qualcosa di quelli che ne è in possesso. Poca cosa, per ora, ma sempre un “segnale” per gli americani di cosa a loro potrebbe accadere se i cinesi volessero reagire fino in fondo. Se questo accadesse, e cioè che Pechino cominciasse a vendere in massa i Titoli del Debito pubblico americano in sua possesso, significherebbe, come detto, veramente un mare di guai per l’economia statunitense.     

Si può concludere affermando che l’attuale “guerra commerciale” USA-Cina del tutto aperta è assolutamente imprevedibile, e potrebbe anche riservare sorprese, evolversi in inaspettati tragici eventi. Non sarebbe la prima volta nel corso storico capitalistico



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