PERCHE’ I GIOVANI E I LAVORATORI AMANO MARX,

MENTRE LA BORGHESIA E L’ESTABLISCHMENT LO CRITICA?

 

 

Marx non è un’icona, un divo della storia come possono essere stati un John Lennon o Elvis Presley che hanno fatto sensazione al loro tempo, e passato il loro momento vengono ricordati come ex star.

Per la classe proletaria sfruttata e per le avanguardie rivoluzionarie Marx è una necessità. Marx è l’analista del sistema capitalistico, è il filosofo del Materialismo storico, è il combattente rivoluzionario fondatore delle prime organizzazioni rivoluzionarie della 1° Internazionale e il Partito Socialdemocratico Tedesco che con coscienza e lucidità hanno avuto l’obbiettivo di combattere per cambiare il sistema. Per queste figure sociali Marx non è un divo, ma certamente un bisogno. Una esigenza e un’esperienza. Data l’esigenza, finchè esisterà capitalismo esisterà marxismo.

Una guida quindi, un capo. Le avanguardie rivoluzionarie lo definiscono: “il rivoluzionario scienziato” (assieme a Engels).

Visto il capitalismo più che mai attivo e in movimento in tutte le sue contraddizioni, le masse sfruttate per superare questa società non possono fare a meno delle sue analisi, dei suoi sistemi organizzativi. Crisi, guerre, sfruttamento, povertà, disuguaglianze sociali, super ricchi, conflitti, lotte di classe. Tutto scorre contradditorio esattamente come ai suoi tempi. Come allora i periodi di relativa pace si alternano alle guerre. Come allora, zone dove regna una certa tranquillità si trasformano improvvisamente in bagni di sangue. Niente è cambiato. Ora, con l’aggravante che le guerre regionali si sono trasformate in guerre mondiali e le crisi nazionali si sono estese a sovranazionali.  

E’ vero, momentaneamente per la maggior parte delle nazioni sul pianeta vige una certa pace, benessere, e le crisi e i bagni di sangue sembrano cose di zone arretrate, lontane ed oscure, o del passato. Da rigettare decisamente con la mente. Ci si rifiuta di pensare che la società civile le possa riproporre. Però il timore è grande e rimane. Perché il un sistema è così insicuro, così incontrollabile. E ciò turba il pensiero. L’incubo potrebbe ritornare. .

Ma Marx non ha sbagliato. Non ha mai sbagliato! Nel descrivere le leggi di funzionamento e le contraddizioni del sistema.   

E l’establishment, con i ricchi imprenditori e la finanza, i politici e gli esperti tutti, sanno perfettamente che Marx ha ragione. E’ però alle masse proletarie che questo deve essere nascosto. Per questo Marx deve essere continuamente criticato, sminuito, disapprovato, dai media ufficiali. Marx è un capo troppo forte e rilevante, un rivoluzionario troppo importante perché le masse sfruttate possano venire a conoscenza del suo vero valore, delle sue vere, profonde e valide idee. Per l’l’establishment è fondamentale perciò metterlo in cattiva luce, costantemente porlo come sorpassato, apostrofarlo come utopista. Ed è così che i borghesi vogliono che venga insegnato nelle scuole, presentato nelle università, esibito sui giornali e nelle interviste televisive.

Ma la realtà in cui viviamo con le sue contraddizioni spingono i giovani, i lavoratori sfruttati a cercare la verità, su questa società e cercarne il superamento. Contraddizioni che, essendo parte essenziale del sistema, sono eliminabili solo se non eliminando il sistema stesso. E la verità ovviamente, gli sfruttati e i giovani non la possono trovare nel sistema. E’ perciò qui che si ritorna inesorabilmente a Marx. Un tormento per i borghesi e i suoi sostenitori, alla ricerca costante e spasmodica di nascondere la verità.

L’analisi e i metodi organizzativi di Marx possono indicare facilmente la strada. Una luce per gli sfruttati, un faro di orientamento da cui non distaccarsi. Finalmente si può arrivare a capire ed organizzarsi.

I ricchi borghesi hanno perseguitato e ucciso i comunisti. Poi li hanno accolti, ma distorti, criticati e denigrati. Poi li hanno di nuovo perseguitati e uccisi e poi di nuovo accettati, ma di nuovo criticati, disprezzati, screditati.   

Marx non può altro che essere parte fusa della lotta proletaria, e amato. E portato con grande rispetto.

Per impegnarsi in una causa, in una lotta, che è a vantaggio di tutta l’umanità.

 

GERMANIA:

AUMENTO SENSIBILE DELLE SPESE MILITARI.

ANCHE L’IMPERIALISMO TEDESCO

SI APPRESTA AD ARMARSI

GIA’ NEL 2019 LA SPESA MILITARE SARA’

AUMENTATA’ DEL 12%

 

MENTRE LA CONCELLIERA MERKEL A BRUXELLES RECLAMA AD ALTA VOCE LA FORMAZIONE DI UN ESERCITO EUROPEO, A BERLINO LA GROßE KOALITION DA LEI DIRETTA AUMENTA NOTEVOLMENTE LA SPESA MILITARE DELLA BUNDESREPUBLIK.

 

 

E’ del 12% l’aumento previsto per il 2019 per il Ministero della Difesa. Un balzo notevole se si pensa che la crescita prevista del PIL per lo stesso anno sarà del 2,1%.

Al di la delle tante chiacchiere ipocrite diffuse copiosamente nel passato di una Germania neutrale, pacifista, antimilitarista, adesso anche l’imperialismo tedesco tradisce la sua vera faccia e si mostra come una nazione pronta a fare le sue guerre. E come gli altri stati si prepara proprio per questo.

Non è una esagerazione quanto scriviamo. Le armi prima o poi nella società capitalistica vengono usate.

Trump quest’anno si è già molto lamentato – e poi si è anche aspramente scontrato – contro la Große Koalition, perché è da lungo tempo che la Germania non paga le sue quote intere per il sostentamento dell’organismo militare NATO e perché mantiene un basso livello di armamento e le armi non sono adeguatamente tecnologizzate. E per costringere il governo della borghesia tedesca a pagare il dovuto per la NATO, Trump non ha esitato a minacciare, come ricatto, di alzare i dazi alle importazioni tedesche di acciaio e auto in America se non avessero accettato quanto da lui richiesto. Alla fine la Große Koalition ha ceduto e le minacce di Trump sono state ritirate. 

Quindi anche l’imperialismo tedesco darà una definitiva svolta al suo passato di bassa spesa militare e si appresta ad entrare ufficialmente nella tempestosa e imprevedibile contesa militare mondiale.

Ma in verità dietro le quinte l’imperialismo tedesco in campo bellico non è mai stato inferiore alle altre borghesie concorrenti. Basti guardare al suo commercio di armi nel mondo. Berlino è da tempo alla vetta nell’esportazione mondiale di armamenti: attualmente è al 4° posto, dietro Stati Uniti (1), Russia (2) e Francia (3), ma rigorosamente davanti alla potente Cina (5) [dati Sipri].

E’ chiaro che i proclami di neutralità, pace, alto senso di civiltà, cultura, ecc. fatti a suo tempo dalle dirigenze tedesche non erano altro che storielle. E’ anche nel commercio bellico che si capisce bene il vero volto di una società.

E le conferme, le notizie che riportano il coinvolgimento dell’export militare tedesco nelle zone del Medio Oriente infuocato e insanguinato non mancano. Secondo i dati è proprio in questa area dove l’export di armi tedesco trova il suo massimo sbocco (aumentato del 109% tra il 2013 e il 2017) ed è ancora in aumento. In questa zona tormentata il governo della borghesia tedesca non si fa scrupoli a metterci lo zampino. Trova conveniente sfruttare la situazione di guerra per fare affari vendendo armi, che naturalmente - non è un segreto per nessuno - creeranno morti e distruzioni. 

Infatti in gennaio ha avuto grande risonanza sulla stampa europea il fatto che i nuovi carri armati tedeschi venduti alla Turchia erano usati contro i curdi. E che adesso dopo l’assassinio di Khashoggi Berlino vuole sospendere (momentaneamente, naturalmente) la sua fornitura di armi all’Arabia Saudita.

 

Possiamo senz’altro affermare che non contribuisce certamente alla “pace” (come da ipocriti vorrebbero far credere) vendere armi nel mondo.

 

All’interno della Germania, se possibile, le responsabilità tedesche sulla vendita degli strumenti di morte all’estero vengono tenute nascoste. La stampa di proposito preferisce spostare, orientare l’attenzione della popolazione su problemi interni riguardanti l’ambiente, l’ecologia, il clima, anzichè denunciare i disastri e le nefandezze che le armi tedesche vendute soprattutto nel Medio Oriente causano.


 

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-CONFRONTO-SCONTRO TRA BORGHESIE-

“GLI STATI UNITI PERDONO

IL DOMINIO MILITARE”

 E’ LA CONCLUSIONE DI UN DOCUMENTO STILLATO DA UNA COMISSIONE SOVRAPARTITICA DEL CONGRESSO USA

 

 

Nell’articolo “Gli USA perdono il dominio militare” del 14 novembre sorprendentemente ”Der Spiegel” riporta che, nonostante gli Stati Uniti abbiano nell’anno corrente la spesa militare più costosa del mondo con 716 miliardi di dollari, ossia 4 volte quella della borghesia cinese e ben 10 volte quella dell’imperialismo russo, in un documento della Commissione Usa - reso pubblico dal “Washington Post”-  si sostiene che gli Stati Uniti “stiano perdendo il dominio militare nel mondo”. Il motivo di tale strana ed eclatante notizia viene però subito chiarito: è nella tecnologia militare che gli Usa stanno perdendo posizioni rispetto ai concorrenti, riferendosi a Russia e Cina.   

Katlheen H. Hicks, membro di questa Commissione Usa, afferma - continua il Washington Post - che all’interno del Congresso americano i democratici non sembrano però preoccuparsi di questa situazione. Anzi nel loro programma sarebbe addirittura previsto di “diminuire” la spesa militare americana. Perché dal loro punto di vista “gli Usa stanno ottenendo nel mondo tutto quello che vogliono, anche nell’ambito militare” (Der Spiegel – ibidem). 

Secondo la rivista di Amburgo questa Commissione del Congresso Usa, deputata ad indagare sull’attuale situazione militare americana, è stata in realtà voluta dallo stesso Trump e il risultato che ne è emerso deve servire al presidente dell’imperialismo americano per sostenere e giustificare (in contrasto con i democratici) il forte riarmo di spesa militare americana da lui stesso intrapreso.

Però è da sottolineare, che molti gruppi finanziari e multinazionali americane vedono nel riemergere dell’ imperialismo russo, e soprattutto nell’aumento della potenza cinese, un pericolo, non un vantaggio per se stessi. E che quindi vogliono reagire e prendere le relative contromisure. E lo dicono a chiare lettere, ufficialmente, negli Usa. Perché nell’espandersi notevole della borghese Cina vedono un futuro di forte pericolo per i loro lucrosi affari nel mondo. Per l’evidente legge capitalistica che anche la Cina, come tutte le imprenditorie del pianeta, è in forte concorrenza con gli Stati Uniti per ottenere profitto. E i potenti mezzi di informazione Usa diretti e condotti dai grandi gruppi finanzal-imprenditoriali, affermando che la “supremazia americana” è in pericolo, spingono senza sosta per influenzare i politici e la popolazione americana perchè si contrasti, si ostacoli i concorrenti russi e cinesi, E’ così che Trump ha pensato - e deciso - di proporsi alle elezioni e di presentare la sua ormai super famosa “Make America great again” (riportiamo l’America ancora grande).

Adesso, com’è chiaro, la sua politica aggressiva è in pieno svolgimento.

 

BORGHESIA RUSSA: NEL MONDO DIVENTATA MASSIMA VENDITRICE DI ALTA TECNOLOGIA MILITARE.

 

Sul grande ed esteso territorio russo, la grande industria russa in realtà non è molto ampia. L’imperialismo russo non è una grande potenza industriale come può essere la Germania, gli USA, il Giappone o la Cina. E non è neanche una potenza finanziaria com’è Wall Street o Londra. Molti dei suoi guadagni l’imprenditoria statale e privata russa li ottiene con la vendita dell’estrazione del petrolio grezzo e del gas combustibile (di cui è molto ricca anche se costantemente in balia dell’altalenante prezzo) e la vendita di prodotti agricoli cereali.

Nel settore industriale è però nell’alta (o meglio, altissima) tecnologia militare che l’imperialismo di Mosca si è particolarmente specializzato, raggiungendo i livelli massimi. In questo settore oggi la Russia non teme rivali, e si pone veramente come il più forte concorrente nei confronti dell’antagonista americano. 

Infatti al momento, le sue armi ad altissima tecnologia sono tra le più richieste. Cina, India, Indonesia, Pakistan, Siria, Iran, ecc. fanno a gara per acquistare i sistemi missilistici russi S400 e i recenti aerei da combattimento Sukhoi, per non parlare dei carri armati. Ma non solo i paesi “amici” sono ‘clienti’ delle armi russe,  addirittura anche un paese membro NATO, la Turchia, ne è acquirente, sfidando le ire di Trump che minaccia ritorsioni (e che spesso anche attua) con sanzioni ed embarghi vari per chi compra dai russi. Eppure anche sotto minaccia questi paesi acquistano comunque le costosissime armi russe di ultima generazione, sperimentate e collaudate - tra l’altro - nella guerra in Siria.

Si può dire che la Russia ormai da diverso tempo detiene stabilmente il 2° posto in questo settore di morte. Il primo posto spetta, com’è chiaro, all’imperialismo americano. Washington  vende armi praticamente a mezzo mondo, se si pensa che fornisce tutti i paesi NATO e tutti i paesi “amici” che vengono abbondantemente militarizzati in funzione anti russa-cinese-iraniana-venezuelana.

Per esempio l’Arabia Saudita riceverà dagli Stati Uniti una mega fornitura di armi di 110 miliardi di $ per svolgere il ruolo di sentinella degli interessi americani nel Golfo Persico.

Certamente l’obbiettivo per cui nell’arena mondiale le borghesie si confrontano e si combattono non è per raggiungere il benessere dell’umanità, ma a conferma di Marx, per ottenere il massimo profitto capitalista. 

-LE INSOPPORTABILI CONTRADDIZIONI DEL CAPITALISMO-

I PATRIMONI DEI RICCHI

E LE GUERRE.

LE DUE FACCE DEL CAPITALISMO

DA UNA PARTE I RICCHI CHE DIVENTANO SEMPRE PIU’ RICCHI - DALL’ALTRA LE GUERRE

 

I RICCHI SEMPRE PIU’ RICCHI

 

Ma che tipo di società è questa? Com’è possibile che in una società che alcuni definiscono “equilibrata”, “la migliore che ci sia”, ci siano straricchi che diventano sempre più ricchi, mentre altre persone muoiono di fame? Si intende questo per progresso, civiltà, società giusta? 

Sono usciti gli ultimi dati statistici 2018 che riportano come anche l’anno scorso i miliardari nel mondo siano ancora una volta aumentati, sia nel numero che come valore dei propri patrimoni. Da non credere! Mentre le famiglie di mezza Europa si impoveriscono sempre più.

A riguardo, nell’articolo “REPORTAGE SUI MILIARDARI 2018: VECCHIO, MASCHILE, SUPERRICCO” così descrive la situazione “Der Spiegel” del 26 ottobre prendendo i dati dalla Schweizer Bank UBS in collaborazione con la Unternehmenberatung PwC: ”Alla fine del 2017 gli autori contano 2158 miliardari nel mondo – 179 in più rispetto all’anno precedente. Nell’insieme questo gruppo conta un patrimonio attorno a 8,9 bilioni di dollari. Con un aumento di 1,4 bilioni di $ dall’anno scorso la crescita non è mai stata così alta”. Poi prosegue: “… in 20 anni il patrimonio si è moltiplicato per 9 volte”. Sull’argomento interviene anche il ‘Tagesschau’ con un articolo del 29 ottobre dal titolo “Il patrimonio dei superricchi raggiunge il record”. Riferendosi alla somma di 8,9 bilioni detenuta dai superricchi il portale televisivo precisa: ”La somma record rapportata in euro è più del doppio del rendimento economico annuale tedesco, che è la massima economia europea (2017: quasi 3,3 bilioni euro)”. Al primo posto come superricco in Germania, riporta sempre il Tagesschau, troviamo Susanne Klatten, grande azionista della BMW, con un patrimonio di 34 miliardi. Si parla, com’è evidente, di ricchezze enormi.

Con queste cifre quanti problemi sociali si potrebbero risolvere? Certamente un’infinità. Cosa se ne fanno invece di tutto questo denaro queste ricche persone? Nulla. Assolutamente nulla. Anzi nel perverso meccanismo capitalistico ne vogliono accumulare sempre di più e ancora di più. A loro poco importa se questo significa che altre persone e altre famiglie saranno rovinate o ridotte alla fame o alla miseria come accade in Grecia o in molti altri paesi poveri. Assolutamente no!

E paradossalmente queste persone estremamente ricche sono contrarie ad una società più equa, più giusta, socialista, dove tutti possano vivere usufruendo del benessere prodotto. E il motivo è molto semplice,  é il meccanismo intrinseco della società capitalistica che permette loro di arricchirsi e trarre sempre più profitto a discapito della stragrande maggioranza della popolazione.

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L’ALTRO FACCIA DELLA MEDAGLIA CAPITALISTA: LE MOSTRUOSE GUERRE

 

Disastri e tragedie infinite. I sostenitori del capitalismo non vorrebbero che esistessero. Ma il capitalismo è anche questo disastro. Tutto causato perché i capitali si possano accumulare e arricchire. Città distrutte, migliaia e centinaia di migliaia di vittime, fame e povertà. Questa è l’altra faccia della medaglia sociale capitalista. 

E le guerre continuano senza mai fine. Si ripresentano sempre, come un incubo. Attualmente, in questo periodo cosiddetto di “pace”, le molteplici fonti riportano che sul pianeta se ne contano dalle 30 alle 40, ritenute come scontri tra popolazioni armati.

Le grandi potenze, come le piccole nazioni, gestite e dirette dalle varie borghesie assetate di accumulazione di denaro, non si fanno scrupoli a condurre guerre periferiche per sottrarsi a vicenda fette di mercato o territori produttivi di soldi causando così tanti disastri.

E’ il diabolico e perverso meccanismo capitalista. Può essere fermato solo dalle rivoluzioni proletarie.


 

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-SCONTRO TRA BORGHESIE-

IL CALO DEL PREZZO DEL PETROLIO VOLUTO DA TRUMP PER COMBATTERE RUSSIA, IRAN E VENEZUELA

 (USA: Trump ringrazia L’Arabia Saudita per la diminuzione del prezzo del petrolio)
(USA: Trump ringrazia L’Arabia Saudita per la diminuzione del prezzo del petrolio)

 

 

Molte sono le forme con cui le varie borghesie si combattono tra di loro: non solo militare, ma anche economiche e finanziarie.

Per l’imperialismo russo e la borghesia iraniana, dichiarate assieme alla Cina “primo pericolo” dall’Amministrazione Trump, il prezzo del petrolio è un fattore fondamentale per le loro economie, visto che le loro entrate finanziarie dipendono quasi esclusivamente dalla vendita sul mercato internazionale del prezioso liquido. Il rialzo o l’abbassamento del prezzo perciò determina una grande differenza per le loro finanze.

Va da se che, se il prezzo internazionale della sostanza energetica è in mano, in sostanza, ad una solo nazione, come lo detiene nella pratica l’Arabia Saudita con la sua enorme quantità di estrazione annuale di greggio, è chiaro che le borghesie russa, iraniana e venezuelana, sono in balia delle decisioni di questa nazione.

La borghesia petrolifera saudita è da molti decenni stretta e fedele alleata degli Stati Uniti, i quali la sostengono militarmente e economicamente nel suo intento di svolgere un ruolo di potenza geopolitica-militare nella zona del Golfo Persico, contro l’altra potenza regionale che è l’Iran (sostenuta dai russi) e l’Iraq. Senza l’aiuto militare e politico degli Stati Uniti l’Arabia Saudita sarebbe un nulla, e facile preda dei concorrenti.

Quindi per mantenere e sostenere l’alleanza con l’imperialismo americano i dittatori sauditi sono disposti a fare tutto quello che Washington chiede.

In questo interscambio di interessi, nel 1971 gli americani grazie all’aiuto dell’Arabia Saudita hanno potuto siglare il famoso accordo di Bretton Woods, dove da allora il dollaro è stato imposto su tutto il pianeta come unica moneta internazionale alle nazioni per le transazioni e pagamenti del petrolio e delle materie prime, portando enormi vantaggi finanziari all’imperialismo americano.

Nel 2016 su richiesta di Washington è ancora grazie all’Arabia Saudita che il prezzo del greggio crolla a 35 $, dando a Obama la possibilità di piegare l’Iran e il suo patrocinate Russia sull’accordo sul nucleare alle condizioni di Washington.

Adesso è Trump che usa il ribasso del greggio per piegare Russia, Iran e il Venezuela di Maduro.

Il 15 novembre di quest’anno il presidente russo Putin dichiarava a Singapore che, l’allora prezzo del petrolio a 70 dollari era giusto per la Russia e aggiungeva: “Il prezzo attuale è conveniente per noi: vi ricordo che le nostre spese sono calcolate sulla base di un prezzo pari a 40 dollari il barile, e questo ci dà la possibilità di operare con tranquillità e di raggiungere ottimi risultati”(Agenzia Nova – 15 nov. 2018). In realtà nel 2016 il crollo del prezzo del greggio a 35 dollari al barile ha portato grossi problemi e danni economici alla Russia. Poichè la forte diminuzione di entrate finanziarie russe conseguenti al forte ribasso aveva scatenato tensioni interne per il calo dei salari e delle pensioni. Inoltre Putin si è trovato con molto meno denaro per finanziare e pagare l’enorme apparato statale russo e per condurre le sue operazioni militari in giro per il mondo.

Trump questo lo sa, e quindi spinge con forza sull’Arabia Saudita perché assieme  all’OPEC si determini ancora il calo del prezzo internazionale del petrolio attraverso l’aumento massimo dell’estrazione del greggio.

 

(Trump ringrazia l’Arabia Saudita per la diminuzione del prezzo del petrolio)
(Trump ringrazia l’Arabia Saudita per la diminuzione del prezzo del petrolio)

 

In pubblico Trump spiega alla popolazione americana che esige il calo del petrolio per poter così diminuire le tasse in America, è la solita giustificazione per le masse, che nasconde la verità della vera furibonda lotta tra borghesie internazionali.

All’ultima riunione OPEC di dicembre è noto che Putin assieme all’Iran ha provato, hanno fatto di tutto per convincere i sauditi affinchè non venga aumentata l’estrazione del greggio (che determina poi, come detto, il calo del prezzo internazionale) ma l’Arabia Saudita è stata irremovibile e ha promesso solo una diminuzione di facciata.

Lo scontro tra borghesie-imperialismi sul pianeta per perseguire i propri interessi, com’è chiaro, è implacabile e di fatto inarrestabile. Nel capitalismo non esiste la pace tra i contendenti affaristi alla ricerca del massimo profitto.

-LE GRANDI PROTESTE SPONTANEE FRANCESI-

LA RABBIA DEI

“GILET GIALLI” FRANCESI

CONTRO IL GOVERNO PARIGINO DELL’UNIONE EUROPEA 

 

Mentre la lotta dei gilet gialli francesi ha trovato grande spazio sui media dei paesi europei, diversamente qui in Germania al fatto è stato dato pochissimo risalto: “… non si vuole che la protesta influenzi anche i tedeschi e si allarghi anche in Germania” hanno giustificato alcuni commentatori. A conferma di ciò durante la nostra attività politica parlando con gli studenti ed i giovani, con sorpresa abbiamo rilevato che erano in pochi a conoscere l’ enorme lotta in atto in Francia, e quasi nessuno ne conosceva le motivazioni. Tutto questo la possiamo etichettare come tentativo di disinformazione mediatica borghese.

Perciò pensiamo sia doveroso dare la giusta informazione sui motivi che hanno spinto le masse francesi  “i gilet gialli “ a così dure ed intense lotte e come mai la lotta abbia trovato una così rapida estensione e velocità all’interno del paese stesso. 

E’ da più di un quindicennio che l’Unione Europa nella forma della finanza europea attraverso i governi, indipendentemente dal colore, colpisce e penalizza fortemente le condizioni di vita e di lavoro delle famiglie dei lavoratori dei paesi membri, Francia compresa.  

Molte persone sono convinte che l’Unione Europea sia un’istituzione autonoma sovranazionale con lo scopo il benessere delle popolazioni europee. Non è affatto così. L’Unione Europea è un organismo che dietro alla sigla apparentemente neutrale nasconde l’unione della potente finanza e imprenditoria europea. E manovra i governi per favorire gli interessi capitalistici di queste categorie e non certamente per le condizioni dei lavoratori. Questo spiega perché le leggi che vengono emanate sono sempre inesorabilmente a favore della grande finanza-imprenditoria europea e mai a favore dei proletari. E spiega come mai la stessa UE con forza e decisione spinge e costringe i governi dell’Unione a tagliare la spesa sociale alle famiglie, pretendendo dai governi di estendere al massimo il lavoro precario giovanile, spingere per abbassare i salari e le pensioni e aumentare le tasse alle famiglie.

Dopo più di 15 anni di peggioramenti i lavoratori europei cominciano ad essere saturi di questa situazione e cominciano a reagire. E questo è ciò che sta accadendo in Francia.

 

FRANCIA: per la sua storia sociale-politica bisogna aver presente che il paese è definito “la madre delle rivoluzioni e delle lotte”. La Francia è la nazione della grande “Rivoluzione Francese” borghese del 1789, della rivoluzione proletaria della “Comune di Parigi” del 1871, ed è la nazione da dove sono partite le famose enormi proteste del “68” e moltissime altre. Una tradizione e una psicologia di lotta dura ben radicata nella popolazione, che si ripete e tramanda. E adesso ai lavoratori francesi sta diventando sempre più chiaro che se i peggioramenti portati dall’Europa non vengono fermati, non si fermeranno mai.

Ripercorriamo le fasi di misure peggiorative UE e lotte di risposta dei salariati francesi che hanno caratterizzato il paese negli ultimi due decenni.

 

-           Il 1° gennaio 2002 entra in vigore la moneta unica europea e già il governo francese allora diretto da Chirac annuncia una consistente riduzione della spesa pubblica e un piano di penalizzanti riforme sociali con forti danni alle pensioni. Le risposte dei lavoratori con enormi scioperi e proteste non si fanno attendere e dureranno tutto il 2002 fino all’inizio del 2003.

-           2006 è ancora uno sciopero generale contro il governo Chirac promosso contro il Cpe, la contestatissima nuova legge sul primo impiego (che permette ai datori di lavoro di licenziare senza giusta causa i giovani sotto i 26 anni dopo un periodo di prova) che caratterizza lo scontro sociale francese. Sempre nel 2006 vi è poi il fortissimo e intenso primo sciopero dei ferrovieri che riescono a fermare l’attacco del governo contro il proprio contratto di lavoro.

-           Nel 2010 si susseguono vasti scioperi, ancora contro agli aggravamenti alle pensioni proposti ora dal governo Sarkozy.

-           2015: avvengono scioperi prolungati degli autisti di camion con blocchi stradali per salari e normative di lavoro migliori. 

-           nel 2016 nuova grande ondata di scioperi contro la riforma del lavoro voluta adesso dal governo “socialista” Hollande.

-           2017: 3 giorni di sciopero generale con immensa partecipazione. Il sindacato Cgt indice gli scioperi contro la riforma della normativa sul lavoro e contro la riduzione del pubblico impiego.

-           2018: nei primi mesi dell’anno abbiamo i famosi 26 giorni di sciopero dei ferrovieri francesi contro il governo Macron.

-           Fino ad arrivare alle attuali dure lotte del novembre – dicembre dei “gilet gialli”.

 

Una sequenza infinita di intense e forti lotte dunque (che se si osserva, sono le uguali diaspore sociali a cui tutti i proletariati europei sono soggetti).

Evidentemente in Francia la lunga lista di scioperi e scontri sociali ci sta dicendo che ora gli stessi lavoratori sono arrivati al limite di sopportazione. E la stessa lotta spontanea che ha preso il nome appunto di “gilet gialli”  scaturita dopo l’ennesimo balzello dell’aumento della tassa sulla benzina registra certamente questa situazione di limite di sopportabilità. Lotta nata spontaneamente e che si è subito velocizzata ed estesa a tutto il paese, che ha visto blocchi di strade, di piazze, intere città invase dai manifestanti arrivando a violenti scontri su tutto il territorio nazionale, soprattutto a Parigi.    

L’arrogante Macron, manovrato dalla UE, alla fine, a fronte del vasto e intenso fronte di lotta, ha dovuto cedere. Chiedere pubblicamente scusa ai scioperanti e rinunciare agli aumenti sulla benzina. Intanto però le richieste contro il governo borghese si sono moltiplicate e si sono estese a pensioni, salari, contro il lavoro precario, ecc.  Il presidente francese per placare l’ira popolare ha dovuto a questo punto fare molte altre promesse per placare la lotta. Al momento però solo promesse, non è ancora stato firmato nessun decreto in merito alle richieste. Per cui tutto rimane come prima. E’ realistico presupporre che appena la lotta dei “gilet gialli” si sarà placata il giovane presidente arrogante proseguirà sulla sua linea “europea” contro i salariati

Senza dubbio la lotta dei “gilet gialli” imprime un valore importante alle proteste europee. Mostra tenacemente al proletariato europeo qual è la strada da percorrere per fermare gli aggravamenti che la dittatura UE persegue contro i lavoratori: LOTTA, LOTTA e ancora LOTTA! Non esiste altro modo per migliorare la situazione. Non certamente le vuote promesse dei partiti elettorali. 


 

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-INSANABILI INCOERENZE DEL CAPITALISMO-

RIPUGNANTE OMICIDIO

KHASOGGI:

TRUMP SI RIFIUTA DI PERSEGUIRE

I RESPONSABILI SAUDITI

 

 

Attualmente esiste un duro contenzioso tra il governo turco e quello americano (vedere articolo “Al rialzo dei dazi Usa contro la Turchia anche Erdogan –come la Cina– risponde con una forte svalutazione della moneta” - “Der kommunistische Kampf” n°27 – ottobre 2018). Il governo americano in agosto ha introdotto dure sanzioni economiche anche contro la Turchia. Perciò come logica nello scontro interborghese, anche il governo turco reagisce e risponde con tutte le misure possibili per contrastare l’antagonista americano e cercare di metterlo in massima difficoltà. Nel senso che la mossa che il presidente turco Erdogan cerca di fare ufficializzando questo orribile crimine commesso dai sauditi, è di mettere Trump contro, o di guastare il rapporto, con il suo alleato e amico saudita principe Bin Salman. L’increscioso e terribile “caso Khashoggi”, a nostro avviso, può trovare la sua spiegazione in questa luce. 

Il fatto, è veramente un caso aberrante di crudeltà omicida, dove una persona del tutto innocua ed estranea alla politica si è trovata improvvisamente ad essere il nocciolo principale in uno scontro tra borghesie, sconvolgendo gli stati d’animo di persone di mezzo mondo.

Tutte noi in questo mondo abbiamo un senso di giustizia, e di fronte ad una cosa così crudele, così spietata, dove un uomo viene attirato in un’ambasciata, viene freddamente ammazzato, fatto a pezzi e poi fatto scomparire, viene spontaneo gridare giustizia. Viene naturale pensare che una volta individuato il colpevole (o i colpevoli) essi vengano puniti.

Nello sbalorditivo caso Khashoggi invece la soluzione non trova questa conferma: l’individuato colpevole non viene perseguito! L’omicida ha diritto, nonostante ciò, a non essere punito. Perché? Per quale motivo?

I mezzi di informazione ci fanno scoprire (e sapere) che accanto alle leggi della giustizia in generale, esiste anche un’altra “giustizia”: quella capitalistica, quella della salvaguardia degli interessi capitalistici. Il presidente americano Trump, che avrebbe tutta la forza e l’autorità per perseguire il colpevole Bin Salman, ossia l’alleato dell’America principe ereditario al trono dell’Arabia Saudita e mandante dell’omicidio (da quando appurato dalle indagini CIA) afferma che “non è il caso di esagerare”, “non è il caso di procedere” contro il responsabile mandante.  

Tale sorprendete decisione risiederebbe nel fatto che, come riportano i giornali, l’Arabia Saudita è un alleato troppo importante per gli Stati Uniti e per i paesi occidentali nel sostenere e difendere i loro interessi nel burrascoso Medio Oriente così importante per il petrolio. E perseguire il principe dichiarato dalla stessa CIA colpevole significherebbe mettere in difficoltà, incrinare le relazioni di interesse che i paesi occidentali hanno con il suo paese. Quindi Trump non procederà contro il principe mandante.

Sbalorditivo! Ma realtà. La legge dell’interesse imperialista supera la legge della giustizia. Il sistema capitalistico ci dice che in questa società anche questo può accadere.

Naturalmente se un fatto così aberrante fosse successo in un paese “non amico” per l’America, Trump (attivando la sua commedia e aggressività) avrebbe gridato allo scandalo per tale orrendo delitto. E nella sua irruenza avrebbe preteso giustizia: che il colpevole non rimanesse impunito. Forse Trump avrebbe addirittura portato il caso alle Nazioni Unite …

Se si osserva però con attenzione in questa società, ci sono altri esempi che ci dicono che non c’è da stupirsi per l’atteggiamento apparentemente sconcertante del capo del governo americano. L’Arabia Saudita, come tanti altri paesi del Golfo arabo amici degli occidentali (Qatar, Emirati Arabi, ecc.) effettivamente non è mai stata denunciata ufficialmente per le sue note atrocità all’interno del proprio paese. Torture, esecuzioni in pubblico, persecuzioni (e persino schiavitù) riportano le riviste specializzate siano all’ordine del giorno in questi stati. Stranamente la stampa occidentale, sempre molto attenta ai diritti delle persone, alla giustizia sociale, all’ambiente, alla democrazia, non fa cenno a questi orribili crimini. Si preoccupa invece con molta attenzione se le donne arabe nei loro paesi possono guidare la macchina o se è giusto che portino il burqa (il velo), ma dei feroci crimini commessi, nessun accenno.

E non c’è da stupirsi dell’immorale sorprendente decisione di Trump anche perché i paesi occidentali, tutti, nel passato, per salvaguardare i loro interessi hanno sostenuto brutali dittature come quella di Pinochet in Cile o di molte altre in centro e sud America o in Africa, dove ingiustizie, torture e morti si contavano a decina di migliaia.

 

La società capitalistica può quindi offrire una società giusta, morale, civile? All’evidenza dei fatti la risposta è certamente: no!  E chissà quanti altri delitti, ingiustizie, orrori, in giro per il mondo vengono commessi e nascosti in nome dell’interesse capitalistico. Delitti che rimarranno sempre sconosciuti e impuniti. 

Rapporto “Das Deutsche Institut für Menschenrechte“

COSI’ NELLA CIVILE GERMANIA

I PADRONI SUPERSFRUTTANO

GLI IMMIGRATI NEI LUOGHI

DI LAVORO

APPROFITTANO DELLA POLITICA RAZZISTA DEI PARTITI PER TOGLIERE OGNI DIRITTO AI LAVORATORI EXTRACOMUNITARI 

 

 

… “Gli interessati denunciano stipendi molto al di sotto del salario minimo e i datori di lavoro non pagano alcun contributo sociale”, … “Una parte di loro vivono in alloggi in condizioni disumane”, … “Devono lavorare un gran numero di straordinari senza essere pagati e i datori di lavoro li trattengono con le minacce o anche con la violenza se cercano aiuto o se vogliono troncare il rapporto di lavoro”, … “Casi di sfruttamento selvaggio sono noti in alcune branche del lavoro, per esempio nel settore edilizio, nella produzione di carne, nell’assistenza o nella prostituzione”, … “per i riguardanti lo stipendio mancante comporta le seguenti conseguenze: nonostante il lavoro sia retribuito vivono alle soglie della povertà e in parte sono minacciati di diventare senzatetto e così facili prede per nuovo sfruttamento”, … “Al momento queste persone hanno minime possibilità di far rispettare i loro diritti di salario previsti dalla legge del lavoro”.

QUESTA POTREBBE SEMBRARE LA SITUAZIONE DI LAVORO DESCRITTA DA UN LIBRO DELL’800, O QUELLA D’OGGI IN UN PAESE SOTTOSVILUPPATO DELL’ASIA O DELL’AFRICA. INVECE NO. TUTTO CIO’ ACCADE OGGI IN GERMANIA. ED E’ IL CONTENUTO DEL RAPPORTO GOVERNATIVO “Das Deutsche Institut für Menschenrechte“[L’Istituto tedesco per i diritti delle persone] del 2018.

 

Può sembrare impossibile (… ma forse no) che questo possa accadere oggi nei Lànd tedeschi. E’ invece la realtà quotidiana. “Das Deutsche Institut für Menschenrechte“ afferma, dopo un’accurata ricerca, che questa è la situazione che nella civilissima Germania, moltissimi immigrati con le loro famiglie vivono, lontano dai nostri occhi  (distolti con arte dai media e dalla politica). E la situazione è sicuramente veritiera, anche se articoli, documentari televisivi e rapporti di specialisti sociali non fanno cenno di queste scandalose e scabrose situazioni.

I padroni sono sempre padroni, si sa, che siano in Africa o in Germania lo scopo per loro è sempre quello: guadagnare, guadagnare e ancora guadagnare. E se si presenta l’occasione di super guadagnare supersfruttando, ancora meglio.

Qui però, per ottenere questo, hanno bisogno ancora una volta della complicità dei politici, che con le loro dichiarazioni ufficiali di “società dei diritti”, “società delle parità sociali”, “società civile”, di “cultura” ecc, possano coprire la realtà di tutte le malefatte dei capitalisti a cui ne sono a servizio.

E il compito dei partiti opportunisti è dare addosso agli immigrati, piuttosto che difenderli, anche se nell’ambiente politico ed economico è più che noto che questi lavoratori sono essenziali in molti settori della società e che senza di loro le nazioni industriali avanzate crollerebbero. Perché al giorno d’oggi nessun giovane europeo (o tedesco) assolutamente  vorrebbe fare il muratore, o andare a lavorare nei posti più duri delle fabbriche, o fare le pulizie, o il camionista o la badante agli anziani. E il rapporto  “Das Deutsche Institut für Menschenrechte“ evidenzia bene questo aspetto: i lavori peggiori toccano agli immigrati. A milioni questa parte della classe lavoratrice è impiegata nei settori più duri.

Nell’attacco politico agli immigrati diventa chiaro che per i padroni rigonfi di guadagni si crea una situazione di supersfruttamento ideale. Si apre loro la possibilità, sotto la copertura della propaganda razzista, di rischiare al minimo nel togliere al lavoratore migrante ogni diritto. Così da pagare “stipendi molto al di sotto del salario minimo e i datori di lavoro non pagano alcun contributo sociale”, in modo che gli immigrati “devono lavorare un gran numero di straordinari non pagati e i datori di lavoro li trattengono con le minacce o anche con la violenza se cercano aiuto o se vogliono troncare il rapporto di lavoro”,… e che “Al momento queste persone hanno minime possibilità di far rispettare i loro diritti di salario previsti dalla legge del lavoro” come denuncia il sopracitato Istituto per i diritti delle persone diretto da Beate Rudolf. La conseguenza ovvia di tutto questo è che somme enormi di denaro fluiscono nelle tasche dei capitalisti mentre per i salariati immigrati ciò significa una vita “ alle soglie della povertà, in parte sono minacciati di diventare senzatetto e così facili prede per nuovo sfruttamento” [ibidem]. 

E la complicità dei politici con i capitalisti è tale che, non denunciando (come esplicitamente si afferma nel rapporto) i contributi sociali non pagati dai padroni per i milioni di extracomunitari alle loro dipendenze, vengono così a mancare nella società parte dei fondi per pagare le pensioni, la sanità, l’assistenza sociale, ecc. Per poi i politici (complici dei padroni) aver il coraggio di affermare che se esiste mancanza di soldi invece è perché le pensioni pagate agli ex lavoratori sono troppo alte, perchè i salari dei dipendenti sono troppo elevati, che bisogna aumentare le tasse alle famiglie, ecc. ecc.(discorsi che conosciamo molto bene).

 

SOCIETA’ INSANABILE. E’ evidente che siamo di fronte ad una società profondamente ingiusta, squilibrata. E che solo un’altra società superiore può portare l’equilibrio, la giustizia, la parità.


 

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VENIAMO INDOTTRINATI E DIRETTI DALLA BORGHESIA?

 

SIAMO VERAMENTE AUTONOMI NEL NOSTRO MODO DI PENSARE? O SIAMO IN UN CERTO QUAL MODO INFLUENZATI, MANIPOLATI? E SE E’ COSI’, COME?

 

 

Non solo fin da bambini a scuola ci viene insegnato e ripetuto che questa è la migliore società esistente, con la democrazia dominante, la libertà, i partiti, il parlamento, ecc. ma anche ogni giorno i media ci ricordano gli alti valori e concetti del tipo di società in cui viviamo. 

Certo è vero, siamo liberi di discutere e di dire ciò che vogliamo, siamo liberi di votare, di protestare - anche con forza e massicciamente se vogliamo. Ma in tutto ciò, in tutte queste nostre manifestazioni, nei nostri pensieri, nelle lotte, ecc. siamo sicuri che ciò che facciamo è per i nostri interessi, cioè per quella parte di società a cui apparteniamo di lavoratori dipendenti, di lavoratori che ogni giorno vengono sfruttati? O nascostamente, inconsapevolmente veniamo orientati, manipolati?

E’ logico che in base alle notizie che ci arrivano giornalmente noi pensiamo, ragioniamo, approviamo o protestiamo. Ma le informazioni che ci giungono sono veramente corrette, sono sicure e veritiere come noi crediamo che siano, o sono gestite, diffuse da una parte della società che vuole raggiungere i propri interessi e non i nostri?

Nell’indagine marxista è qui che sta il segreto del moderno dominio della borghesia: è proprio attraverso questi strumenti di comunicazione che i borghesi diffondono alla popolazione dei lavoratori solo le notizie che per loro come capitalisti sono importanti. Fa parte della loro strategia presentare i fatti come a loro conviene, così da indirizzare le masse a risolvere i problemi che riguardano se stessi come classe dei capitalisti dominanti e non per la classe dei proletari. Tutto ciò può apparire strano, orribile, ma all’indagine marxista è proprio questo che risulta essere.

Nell’approfondimento marxista emerge che – nella diffusione dell’informazione generale - i fatti che vengono presentati come realisti e veritieri (e naturalmente con le dovute sfumature) sono solo una parte di ciò che veramente accade, mentre l’altra parte viene sottaciuta, oppure nascosta - o contorta – specialmente se i fatti e gli avvenimenti possono volgere a favore della classe proletaria oppressa e rappresentare un danno per gli interessi dei capitalisti.

Facciamo degli esempi.   

 

 L’ ALTO DEBITO STATALE ACCUMULATO DA PAESI COME ITALIA, SPAGNA, GRECIA, ecc. che l’alta finanza EU assieme alla Germania vogliono ridurre colpendo le famiglie proletarie di queste nazioni. Innanzi tutto dai media - anche tedeschi - viene accuratamente taciuto che il debito statale è stato contratto non dai lavoratori, ma dalle borghesie dei citati paesi, presentandolo invece come se i lavoratori dipendenti ne fossero responsabili. Poi si afferma che se il debito di questi paesi dovesse ancora aumentare sarebbero gli stessi lavoratori tedeschi a venirne danneggiati. Il motivo di questo risiederebbe nel fatto  - spiegano i media - che essendo tutta l’Europa collegata dalla stessa moneta euro, i debiti di una nazione si riverserebbero su tutto il continente e i lavoratori di tutta Europa, tedeschi compresi, ne pagherebbero una parte delle conseguenze. UNA GROSSISSIMA BUGIA! I lavoratori dipendenti delle varie nazioni europee non hanno assolutamente nessun collegamento con queste faccende. Se il debito statale in Italia, Grecia, ecc. dovesse scendere o aumentare, chi ne viene svantaggiato o avvantaggiato riguarda solo il settore finanza delle grandi banche europee. In pratica: se il debito di questi stati diminuisse risparmiando soldi, ai lavoratori tedeschi non andrebbe assolutamente nessun vantaggio, non beccherebbero un cent del denaro risparmiato. Perchè tutto invece andrebbe nelle tasche dei ricchi banchieri. Il fatto di far apparire dai politici e dalla stampa tedesca che anche i lavoratori tedeschi ne siano coinvolti, è solo una disgustosa strategia borghese affinchè i lavoratori tedeschi non solidarizzino con i loro compagni greci, spagnoli, italiani, che dalle dure misure peggiorative della finanza europea-tedesca vengono colpiti.

 

Oppure come es. di grande distorsione borghese potremmo citare la questione ‘TERRORISMO’. Altra prova di chiara manipolazione, di mezze verità dette, con lo scopo di manovrare le masse.  

La stampa borghese da enorme rilevanza ai ripudianti attentati che i terroristi islamici compiono nei paesi europei. Più che giusto. Ma contemporaneamente la stessa stampa tace di proposito sul fatto dei continui bombardamenti che le borghesie europee assieme all’imperialismo americano attuano sulle zone del Medio Oriente causando migliaia di vittime sulle famiglie arabe. E che così di conseguenza gli atti spregevoli terroristici in Europa sono la reazione a tali bombardamenti. In altre parole tacendo le vere cause degli attentati in Europa si vuole nascondere che alla fine la causa di queste atrocità in Europa sono la finanza e le imprenditorie europee stesse, che vogliono conquistare nuovi territori nel martoriato Golfo Persico.

 

E’ evidente che è sulla base delle informazioni borghesi, alla recezione di notizie così presentate che il proletario - sfruttato - trae le sue conclusioni su un determinato evento o problema e viene orientato a pensare ed agire conforme gli interessi di chi presenta i fatti stessi. 

E questo spiega come mai la borghesia, piccola minoranza qual è, detenendo i mezzi di informazione e manipolando l’informazione stessa, può mantenere il suo dominio e controllo sulle sterminate masse lavoratrici sfruttate.

Dal momento che tutti seguono i mezzi di informazione ufficiali o chiedono chiarimenti ai politici o ai preti, si da per scontato che quelle notizie ufficiali siano veritiere e si da fiducia.

Altre distorsioni di fatti, altri imbrogli di presentazione li potremmo trovare su tutti gli argomenti che accompagnano la vita quotidiana, come il tema AMBIANTE per es., usato come diversivo per le masse, oppure sull’argomento RIARMO che viene assurdamente presentato come strumento di ‘pace’ mentre i borghesi stanno veramente preparando le guerre, oppure i silenzi sulla lotta dei GILET FRANCESI  e così via.

La domanda logica quindi è:  E’ POSSIBILE AVERE ALTRA INFORMAZIONE, CAPIRE QUELLO CHE STA VERAMENTE ACCADENDO E FARSI UNA PROPRIA IDEA E AVERE UNA PROPRIA POLITICA AUTONOMA?

Certo che è possibile. Ma bisogna possedere un metodo di indagine e di analisi che sia autonomo. Il MARXISMO indicando che il sistema ruota tutto attorno al profitto e che i politici, i governi, la stampa, ecc. sono in sinergia con i capitalisti affinchè i lavoratori sfruttati accettino e si adeguino a questo obbiettivo, toglie la nebbia sul funzionamento capitalistico e da una versione dei fatti che si dimostra realista e veritiera. Bisogna poi impegnarsi nell’organizzazione marxista per arrivare ad una società superiore, che anche questo è possibile.

PERCHE’ GLI USA SI RITIRANO DALLA SIRIA

SIRIA: TRUMP SACRIFICA

I CURDI PER TENERSI

STRETTO ERDOGAN

SONO GLI INTERESSI CHE MUOVONO I BORGHESI,

NON GLI IDEALI DI SOLIDARIETA’

(titolo: LA CASA BIANCA ANNUNCIA IL RITIRO DELLE TRUPPE)
(titolo: LA CASA BIANCA ANNUNCIA IL RITIRO DELLE TRUPPE)

 

 

IL PRESIDENTE TURCO. Perché il presidente della Turchia Erdogan è così nettamente contrario alla formazione di uno Stato Curdo sul territorio vicino siriano? Teme che questo darebbe il pretesto a loro volta ai curdi turchi  di pretendere e combattere per avere uno Stato Curdo anche in Turchia da poter  annettere a quello siriano (e iracheno) per formare un unico grande Stato Curdo indipendente nel Medio Oriente. Questo è quello che i curdi da decenni rivendicano e che da sempre aspirano.  

GLI AMERICANI. Gli americani sono amici della Turchia, la quale appartiene alla NATO, l’alleanza militare guidata appunto da Washington. Ma gli americani sono anche amici dei curdi siriani (quelli non voluti dai turchi) i quali sono stati utilizzati dagli Usa in Siria, certamente per combattere il Califfato, ma anche e soprattutto per destabilizzare il presidente siriano Assad filorusso, promettendo loro alla fine della guerra appunto la formazione di un proprio stato indipendente curdo sul territorio siriano.

DILEMMA. Ora, visto che il presidente turco Erdogan amico degli americani non vuole assolutamente lo Stato Curdo in Siria, a guerra praticamente finita gli Usa si trovano di fronte alla scelta di dover o rinunciare alla promessa fatta ai curdi e tenersi stretto l’alleato Turchia nella NATO e abbandonare i combattenti curdi al loro destino e alla sconfitta politica (e militare), oppure sostenerli fino in fondo nel progetto della costituzione del proprio stato e correre il forte rischio che i turchi come reazione (e come vuole Putin) si stacchino dalla NATO e passino nel fronte avversario di Russia, Cina, Iran e Siria.

 

(titolo: Commento al ritiro Usa dalla Siria: REGALO PER ERDOGAN)
(titolo: Commento al ritiro Usa dalla Siria: REGALO PER ERDOGAN)

 

SCELTA TURCA. Sacrificare i curdi siriani e sostenere la Turchia, visto l’importanza strategica che la nazione svolge nella scacchiera del Medio Oriente è per gli Stati Uniti e gli occidentali l’opzione capitalistica più logica dal punto di vista  strategico dell’Amministrazione Trump. Visto che a questo punto, negli interessi capitalistici generali delle borghesie occidentali i curdi non hanno più alcun peso.

PROPAGANDA. Come conseguenza di questa scelta svanirà così anche tutto quel consenso dei media che ha sempre sostenuto i curdi nella loro guerra e lotta per l’indipendenza, presentandoli come eroi, martiri e quant’altro per arrivare ad ottenere il loro stato autonomo capitalistico.

Questi repentini cambi di posizioni dei mezzi di informazione che rispecchiano gli interessi delle varie borghesie, appartengono delle disgustose, ciniche regole capitalistiche nella lotta tra borghesie per la spartizione del mercato globale. Uno scontro dove le etnie e le religioni vengono utilizzate e strumentalizzate per propri scopi.

L’ATTUALE SITUAZIONE. Al momento in cui scriviamo (inizio gennaio) il contesto siriano viene descritto dalla stampa come, dopo il ritiro dell’esercito americano, l’esercito turco si stia posizionando al nord della Siria per attaccare le enclave siriane sotto controllo delle milizie curde nelle città di Kobane, al Raqqa e Deir el Zor, situate nel nord-est siriano. Però, vista la situazione disperata e senza via d’uscita, i combattenti curdi dell’ Ypg hanno deciso di consegnare le città e i loro territori all’esercito siriano anziché combattere. Questa evoluzione della situazione sembra andar bene persino anche al presidente turco Erdogan, perché significa che i curdi consegnandosi ai siriani rinunciano di fatto alla formazione del proprio Stato in Siria, proprio come Erdogan esige.   

SIRIA RICOMPOSTA. Con quest’ultima resa curda, in pratica la Siria si ricompone come prima della guerra iniziata nel 2011. Adesso come di norma, subentrerà la fase di mediazione tra le varie etnie sociali delle varie zone siriane per trovare gli equilibri necessari per governare il paese.

Il presidente siriano Assad viene acclamato dalla stampa internazionale come il vincitore di questa guerra civile. In realtà il vero vincitore è il presidente russo Putin, che da esperto stratega e guerrafondaio ha condotto la regia della guerra portando Assad alla vittoria.

RIFIUTO AL CAPITALISMO. E’ sempre da ricordare che nella crudeltà della realtà capitalistica tutto questo, per chi l’ha vissuto, è costato alcune centinaia di migliaia di morti, distruzioni immani, fame, povertà, disperazione.

Acclamare la fine della guerra senza descriverne e sottolineare il meccanismo perverso che l’ha prodotta è da vigliacchi. Un meccanismo che, come a tutti è chiaro, in contemporanea sta causando tante altre guerre.

 

E’ per questo che c’è bisogno di un’altra società. Superiore.


 

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“L’Europa è un organismo a favore dei lavoratori?”

 

Europa:  unione  delle borghesie europee.

L’Unione Europea viene presentata come l’unione dei popoli europei: niente di più falso.

L’Unione europea è la necessità dei padronati europei di unirsi tra di loro per tener testa alla concorrenza di altre grandi potenti borghesie. Nel ’51 quando in Europa si forma la “CECA”, cioè il trattato che istituisce “La Comunità europea del carbone e dell’acciaio” lo scopo del padronato europeo era di essere concorrenziale contro gli Stati Uniti. Nel frattempo le cose sono notevolmente cambiate ed oggi le borghesie europee si trovano di fronte anche altri giganti economici da battere: la Cina. E altre grandi imprenditorie si stanno profilando all’orizzonte: India, Brasile, Indonesia, ecc. 

In queste operazioni borghesi di unione (e scontro)  i lavoratori (che non hanno patria) ne vengono inevitabilmente trascinati, coinvolti: pro o contro. Ieri in ben 2 guerre mondiali di scontro, oggi per l’unione.

La fase di Unione Europea, dopo il trattato costitutivo di unione siglato a Maastricht 25 anni fa, è ancora in forte rallentamento e il suo compimento definitivo sembra essere ancora molto lontano.

Il motivo di questo non completamento EU è, a nostro avviso, perché la potente borghesia americana, che ha vinto la 2° guerra mondiale, non lo permette. Nello scontro tra potenti borghesie sul pianeta, in quello che si sta profilando il futuro scontro contro la potentissima borghesia cinese e i suoi alleati nei BRICS (Brasile, india, Russia e Sud Africa), il padronato americano ha sicuramente bisogno di alleati come gli europei e i giapponesi (già suoi alleati nella NATO).  Ma gli americani, a nostro avviso, nell’organizzandosi per il futuro scontro,  in questa alleanza con le borghesie europee e giapponese vogliono mantenere un ruolo dirigenziale, trainante, come già dal dopoguerra nella NATO hanno. E un’Unione Europea definitivamente unita, forte, con un proprio governo e un proprio esercito unito metterebbe sicuramente in discussione il ruolo di dirigenza/direzione Usa nella coalizione. Perciò la borghesia americana sta permettendo un’Unione Europea “debole”, con solo un’unione monetaria e finanziaria (che più di tanto non la disturba), ma senz’altro non permette (almeno per il momento) un’unione politica e tantomeno militare.

 

 

 

 

 

“Si possono evitare le guerre?”

 

 

Guerre: frutto del capitalismo. 

Gli affari sono sempre in movimento, sono sempre alla ricerca del massimo guadagno in un ciclo continuo che non si ferma mai.

Ma il mondo della concorrenza è fatta in un modo che, ad un certo punto, il mercato diventi così saturo di offerta di merci da vendere che le vendite diminuiscono sensibilmente, i guadagni crollano e le perdite finanziarie per i  capitalisti diventano notevoli.

E’ in queste circostanze che si creano le basi oggettive dove gli affaristi, i ricchi, cominciano seriamente, veramente a pensare che è ora di abbattere i concorrenti, anche fisicamente. E si mettono in moto e organizzano militarmente i loro stati per farlo. 

Ed ecco che nel ciclo perverso capitalistico, periodi pacifici dove la vendita delle merci poteva trovare il suo profitto senza tanti problemi si trasformano in un periodo di guerra dove i ricchi per poter continuare a guadagnare ritengono dover  distruggere i concorrenti con la loro parte di mercato.

Nel perverso sistema capitalistico, periodi di pace si alternano a periodo di guerra e viceversa con estrema naturalezza,  finchè una società superiore non lo sostituirà.

Ma il mondo degli affari non crea solo catastrofi immani dovute a crisi di sovrapproduzione generali, come già due guerre mondiali stanno a testimoniare. In periodi cosiddetti di “pace”, le lotte per “le sfere di influenza”, cioè la lotta tra i predoni imperialisti nel pianeta per crearsi ogn’uno la propria “area” di stati dove condurre i propri affari, è causa continua di guerre locali. 

In queste situazioni  le più grandi e potenti borghesie imperialiste del pianeta cercano di rubarsi l’un l’altra, anche militarmente, le nazioni periferiche, sfruttando, senza il minimo scrupolo, i contrasti religiosi, etnici, politici. Naturalmente le guerre piccole e medie che ne scaturiscono e che vengono  in continuazione rinfocolate sono causa di centinaia di migliaia di vittime, distruzioni, fame, povertà e enormi migrazioni.

 


 

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ALLEGATO

 

LA DIFFERENZA TRA LA POLITICA RIVOLUZIONARIA DI LENIN  E QUELLA NAZIONALISTA CONTRORIVOLUZIONARIA DI STALIN E’ NOTEVOLE. PER APPROFONDIRE LA QUESTIONE PORTIAMO ALLA RIFLESSIONE DEL LETTORE

QUESTO ARTICOLO DEL APRILE 2015.

 

 

L’INTERNAZIONALISMO DI LENIN

IL CAPITALISMO DI STALIN

 

Chiarezza nella differenza tra politica comunista di Lenin e la politica capitalistica

del falso socialismo di Stalin.

 

 

 

Lenin:

“Comunismo possibile solo dopo rivoluzione internazionale”

“ Quando abbiamo iniziato a suo tempo la rivoluzione internazionale, lo abbiamo fatto non perché fossimo convinti di poter anticipare lo sviluppo, ma perché tutta una serie di circostanze ci spingeva ad iniziarla. Pensavamo: o la rivoluzione internazionale ci verrà in aiuto e allora la nostra vittoria sarà pienamente garantita, o  faremo il nostro modesto lavoro rivoluzionario, consapevoli che, in caso di sconfitta, avremo giovato alla causa della rivoluzione e la nostra esperienza andrà a vantaggio di altre rivoluzioni.

Era chiaro per noi, che senza l’appoggio della rivoluzione mondiale la vittoria della rivoluzione proletaria era impossibile. Già prima della rivoluzione e anche dopo di essa pensavamo:  o la rivoluzione scoppierà subito, o almeno molto presto negli altri paesi capitalistici più sviluppati, oppure, nel caso contrario, dovremo soccombere.”

                                                                                                              Lenin   1921  

Dal punto di vista pratico il comunismo è la società superiore. E’ una società superiore perché i prodotti non vengono più venduti, ma distribuiti tra la popolazione. In questo modo sparisce la ricerca del massimo guadagno, spariscono le classi sociali, sparisce la concorrenza, che è la causa delle crisi economiche e sociali con enormi sprechi di produzione, concorrenza che è la causa delle guerre con ancora più enorme spreco di produzione e soprattutto di vite umane.

Per arrivare a questo bisogna però necessariamente arrivare ad una rivoluzione, perché la borghesia, cioè il padronato, cioè i ricchi, assolutamente si oppongono e si opporranno allo stravolgimento del sistema capitalistico, come  è stato dimostrato nelle due esperienze di governo proletario della Comune di Parigi del 1871  e della rivoluzione bolscevica del 1917.

Dopo la  conquista del potere da parte del proletariato in una nazione, realisticamente parlando, economicamente, non è possibile passare subito  al comunismo, cioè alla distribuzione della  produzione tra la popolazione, perché il mercato nazionale di un paese, in questo caso il paese dove il  proletariato è arrivato al potere, non essendo autonomo nella produzione dei prodotti, è talmente intrecciato con le economie delle altre nazioni che obbligatoriamente deve  commerciare (comperare e vendere)  con esse e deve commerciare anche all’interno del proprio paese. 

Facciamo degli esempi: quando si costruisce un’automobile c’è bisogno del ferro per la carrozzeria, il ferro viene estratto nelle miniere dell’Australia, Brasile e Cina  e la bisogna comprarlo, c’è bisogno dei pneumatici,  i  cui maggiori  produttori sono il Giappone, la Francia e gli Usa e la bisogna comprarli, c’è bisogno del vetro per i finestrini e bisogna comperarlo,  c’è bisogno del carburante per farla viaggiare e quello lo si compera nei paesi arabi, e così via. Altro esempio: per costruire i mobili c’è bisogno del legno, il legno lo si può trovare soprattutto nei paesi nordici o in Africa o in sud America. Per costruire  un frigorifero c’è bisogno dell’acciaio, quindi bisogna comperare il ferro, ecc. ecc,  e così via per tutti i prodotti che usiamo giornalmente.

Questa è la situazione realistica in cui si viene a trovare  un proletariato quando conquista il potere.  Solo in un secondo momento, dopo una rivoluzione a livello mondiale o quasi   sarà possibile passare al comunismo.

I bolscevichi con Lenin,  avevano ben presente questo  quando nel ’17  conquistano il potere in Russia. Infatti nei vari scritti dell’epoca Lenin e i bolscevichi non parlano mai di comunismo in Russia, ma di fase transitoria, con una economia a capitalismo di stato a gestione rivoluzionaria.

 

Lenin

“ Il nostro capitalismo di Stato si differenzia assai sostanzialmente dal capitalismo di Stato dei paesi che hanno governi borghesi, proprio perché da noi lo Stato non è rappresentato dalla borghesia, ma dal proletariato, che ha saputo conquistarsi la piena fiducia dei contadini ”

 Lenin  “Lettera alla colonia russa nel nord America”    novembre 1922

 

La rivoluzione in Russia viene quindi giustamente vista dai bolscevichi come inizio, un inizio  di una rivoluzione internazionale che dovrà portare al

comunismo. Per arrivare alla rivoluzione internazionale è però necessario ricostituire l’Internazionale Comunista, in modo che anche gli altri proletariati delle altre nazioni facciano le rivoluzioni per giungere al potere e  così unire le

varie economie a gestione proletaria.

L’Internazionale Comunista viene perciò prontamente costituita dai bolscevichi nel 1919.

Lenin nei suoi testi precisa che se la rivoluzione europea non arriva presto, anche la rivoluzione russa è destinata a soccombere.

 

Questo dovuto al fatto che, da una parte ci sono  le pressioni esterne delle borghesie internazionali che fanno di tutto per far crollare l’economia russa,  impedendo di vendere  ad essa i prodotti di cui ha bisogno; dall’altra dovuto alle tensioni  e  proteste interne come conseguenza  delle grandi difficoltà economiche in cui versa la Russia rivoluzionaria per la mancanza di prodotti dovuti appunto ai boicottaggi delle altre nazioni borghesi. Senza escludere poi i continui interventi militari armati che le varie borghesie perseguono per far crollare la rivoluzione.

 

     La controrivoluzione

Sarà Stalin e la sua cricca ad incarnare la controrivoluzione in Russia, poco dopo la morte di Lenin.  Attraverso lo slogan “ La costruzione del socialismo in un paese solo” verrà abbandonato il concetto di rivoluzione russa come inizio della  rivoluzione internazionale (così da arrivare alla società superiore),  per dichiarare la falsità che il “socialismo” o il “comunismo” già esiste in Russia e che bisognava rafforzarlo. Verrà abbandonato  di conseguenza l’obbiettivo primario di favorire le rivoluzioni proletarie nelle altre nazioni e lentamente verrà sciolta l’Internazionale Comunista.

Togliendo questi punti fondamentali alla politica comunista, di fatto la politica di Stalin e della sua cricca diventa apertamente borghese, in questo caso chiaramente controrivoluzionaria. Dalla gestione proletaria rivoluzionaria temporanea a capitalismo di stato  dell’economa russa di Lenin si passa alla gestione definitiva borghese a capitalismo di stato di Stalin.  In altre parole,  Stalin e suoi seguaci nascondendosi dietro lo slogan del “Socialismo in un paese solo” diventano i nuovi gestori borghesi statali dell’economia russa,  sostituendosi ai capitalisti privati nella direzione degli affari, abbandonando definitivamente l’obbiettivo  di arrivare alla società superiore.   

 

Stalin:

“Teoria del socialismo in un paese solo”

« Prima si considerava impossibile la vittoria della rivoluzione in un solo paese, perché si riteneva che per vincere la borghesia fosse necessaria l’azione comune del proletariato di tutti i paesi avanzati o almeno della maggior parte di essi. Oggi questo punto di vista non corrisponde più alla realtà. Oggi bisogna ammettere la possibilità di una tale vittoria, perché il carattere ineguale, a sbalzi, dello sviluppo dei diversi paesi capitalistici nel periodo dell’imperialismo, lo sviluppo delle catastrofiche contraddizioni interne dell’imperialismo, che generano delle guerre inevitabili, lo sviluppo del movimento rivoluzionario in tutti i paesi del mondo, tutto ciò determina non solo la possibilità, ma l’inevitabilità della vittoria del proletariato in singoli paesi.»

                                                                                                            Stalin   1925

 

Però la mistificazione, l’imbroglio del “ socialismo in un paese solo” non può cambiare  la realtà delle cose  e cioè che nella Russia  di Stalin tutte le caratteristiche capitalistiche rimangono: il lavoro salariato, lo sfruttamento, i borghesi incarnati nei burocrati del partito finto “comunista”, la concorrenza, il commercio, le banche, gli interessi, i guadagni e non ultimo e meno importante le politiche di espansione e aggressione imperialistica staliniste (con le alleanze con il nazista Hitler prima e le alleanze con le potenze “imperialistiche” nemiche  dopo).

Molti grandi dirigenti bolscevichi, conseguenti nel proseguire sulla via internazionalista comunista (di Lenin)  perderanno la vita nel contrastare la politica controrivoluzionaria borghese di Stalin: da Zinov’ev a Kamenev, da Bucharin a Trockij.

 

 

Ma l’esperienza bolscevica e il sacrificio dei dirigenti bolscevichi antistalinisti non sono stati vani.

L’esperienza bolscevica con Lenin ha per noi un incalcolabile valore: ci ha mostrato e ci mostra la via maestra su cui ci dobbiamo dirigere e su cui dobbiamo proseguire. Il sacrificio dei dirigenti bolscevichi antistalinisti è un enorme insegnamento di come noi dobbiamo evitare che un altro Stalin sorga. 

Dobbiamo impedire che nelle nostre fila personaggi come Mao o Castro spaccino “il comunismo o socialismo in un paese solo” cioè il capitalismo di Stato borghese per società superiore cioè per il vero comunismo. Ormai l’esperienza accumulata è enorme e come comunisti scientifici abbiamo chiaro come procedere e cosa bisogna fare e cosa bisogna evitare. Adesso deve essere l’impegno  quotidiano che ci deve far giungere all’obbiettivo.

  

“Der kommunistische Kampf” – aprile  2015 


 

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ALLEGATO

 

LA STAMPA UFFICIALE RIPORTA CHE NELL’EX DDR ESISTEVA IL “SOCIALISMO”. IL SISTEMA SOCIALE CHE REGNAVA NELL’EX DDR NON AVEVA NIENTE A CHE FARE CON IL SOCIALISMO O COMUNISMO, MA ERA UN SISTEMA CAPITALISTICO, NELLA FORMA DEL CAPITALISMO DI STATO.  PER APPROFONDIRE LA TEMATICA PORTIAMO ALLA RIFLESSIONE DEL LETTORE QUESTO ARTICOLO DEL SETTEMBRE 2014.

 

 

Punti fermi della scienza marxista

NELL’EX  DDR NON C’ERA IL SOCIALISMO

“LE TESI DEL ‘57”

Negli anni ’50, nell’immediato dopoguerra, quando imperava la guerra fredda tra borghesia americana e borghesia russa, dove la convinzione generale era che lo scontro fosse tra capitalismo e “socialismo”, un piccolo gruppo di comunisti scientifici, che poi fonderanno il partito internazionalista “Lotta Comunista”, mettono a punto e chiariscono scientificamente che cosa esisteva veramente in Russia e nei suoi Paesi satelliti di allora (perciò anche nell’ex DDR), paesi che venivano definiti  pubblicamente “socialisti o comunisti”.

Nelle “Tesi del ‘57”, pietra miliare per la ripresa del movimento comunista rivoluzionario internazionale, Cervetto e Parodi scrivono: “Nell’attuale fase – e particolarmente in determinati Paesi – si sta sviluppando la tendenza al “Capitalismo di Stato”, tendenza già prevista da Engels nell’ “Anti-Dühring” e studiata da Lenin ne “L’imperialismo” e in altre opere e consiste nella concentrazione delle leve direttive dell’apparato economico nelle istituzioni statali. Tale sviluppo economico, che lascia inalterati i rapporti di produzione (capitale e salario, circolazione mercantile sulla base della legge del valore ecc.) è accompagnato dal passaggio giuridico della proprietà privata alla proprietà statale. Economicamente non si ha alcun mutamento dei caratteri fondamentali del capitalismo, tanto che il “Capitalismo di Stato” non rappresenta alcuna “novità” qualitativa nei confronti del capitalismo classico. Socialmente non si ha alcuna modifica essenziale nella società divisa in due classi antagoniste, le quali conservano le loro fondamentali posizioni nel processo produttivo.

Lo sviluppo economico del “Capitalismo di stato” – diffusosi in generale nel mondo e parzialmente in tutti i paesi progrediti industrialmente – ha avuto una particolare ampiezza nell’Unione Sovietica, in seguito alla straordinaria formazione di fattori favorevoli e di necessità storiche. Le imprescindibili esigenze economiche che si presentarono alla Russia, dopo che la grandiosa Rivoluzione d’Ottobre tentò di aprire

l’era della rivoluzione socialista internazionale senza riuscirvi e senza avere le basi 

materiali d’avvio all’economia socialista, necessitarono lo sviluppo del capitalismo di Stato.

Fuori da ogni giudizio moralistico, i caratteri dello sviluppo economico sovietico confermano la teoria marxista sullo sviluppo capitalistico. Sono perciò da scartare i giudizi che, attingendo a teorie staliniane o trotzkiste, definiscono la società sovietica “socialista” o società fondamentalmente socialista”.

Queste le posizioni chiare, categoriche, del comunismo scientifico negli anni ’50 e di adesso.

Al contrario i ricchi con i loro giornali, con i loro partiti, con gli economisti, i sociologi,  i mass media  ecc. tutti insomma, sostenevano con grande enfasi la tesi che in Russia e nei suoi paesi affiliati vi era il “socialismo”, cioè sostenevano non una contrapposizione tra predoni imperialisti, ma una contrapposizione tra capitalismo e “socialismo”.

Se ne guardavano bene di chiarire i criteri scientifici per identificare il capitalismo di stato come falso socialismo. Lo scopo era creare un’enorme confusione tra i lavoratori,  coloro che in realtà sono gli unici a essere sfruttati e gli unici che producono l’enorme ricchezza esistente.

Non parliamo poi dell’occultare la verità da parte delle chiese, oppio dei popoli,   mistificatrici per natura e parti integranti del capitalismo da cui traggono soldi a palate.

Chi non ha interesse, ieri come oggi, a mistificare è solo il partito rivoluzionario, che vede la possibilità e la necessità di arrivare ad una società superiore  e che si batte determinatamente e strenuamente per questo.

 

 

“Der kommunistische Kampf” – settembre  2014



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