SISTEMATICA DEFORMAZIONE DA PARTE BORGHESE DEI COMUNISTI MARX, LENIN, LUXEMBURG. 

-MARX OSANNATO MA DEFINITO SUPERATO- 

-LENIN COSTANTEMENTE DENIGRATO (temuto per aver condotto rivoluzione)-

  

Ovviamente il sistema borghese in tutte le sue forme e componenti combatte senza pausa il comunismo, lo fa sistematicamente e con i diversi strumenti e metodi che ritiene più appropriati. Ogni grande comunista viene trattato, descritto, deformato, denigrato, a seconda della sua importanza politica, e della sua ritenuta pericolosità e notorietà.

Quindi le componenti della borghesia usano pesi diversi, diverse misure, concetti contradditori a volte assurdi, nella loro costante lotta contro le figure del comunismo: Marx viene ritenuto un grande, però superato; Lenin responsabile di tutte le disgrazie dell’ex Unione Sovietica e padre politico di Stalin; Trotzkij un sanguinario; Rosa Luxemburg viene rappresentata come grande combattente contro Lenin; Gramsci il padre del moderno riformismo; Engels lo sconosciuto.

Tutte queste fantasiose descrizioni dei grandi comunisti appaiono barzellette per chi è esperto in materia di marxismo, è come dire che la terra è piatta ed è stata fatta da Dio. Ma il continuo martellare da parte dei media, dei politici, dei professori, ecc. convince milioni di persone inesperte che queste cose siano vere. Queste sono le deformazioni che vengono diffuse in Germania. C’è da tener presente che in Francia, Inghilterra, Italia ecc. i grandi comunisti vengono screditati diversamente a secondo delle situazioni.  Ma andiamole a vedere queste incredibili deformazioni, distorsioni, denigrazioni portate dalla borghesia.

Marx è osannato qui in Germania. Qui è nato, ha studiato all’Humbolt, i professori lo adorano. Ma … “è una figura del passato” si dice, … “è superato”. La sua analisi sul capitalismo (capitale, profitto, sfruttamento) viene ritenuta corretta dai professori, ma … “è passato del tempo da quando ha condotto il suo studio e descritto le contraddizioni del sistema, la società nel frattempo si è modificata, quindi le sue analisi devono essere ritenute non più attuali”, aggiungono. Naturalmente non si fa cenno alle profonde cause delle problematiche esistenti nell’attuale sistema, cause ed effetti oggi così ben presenti e a suo tempo così ben analizzate e descritte da Marx. I disastri nel mondo del giorno d’oggi, si afferma siano problemi di percorso, però in via di superamento (sich!). Se andiamo ad approfondire troviamo che queste valutazioni contro Marx in realtà sono le stesse critiche sostenute già all’inizio del ‘900 dai revisionisti tedeschi come Bernstein e Kautsky, oggi riprese dai professori e ripetute. 

Lenin. Se Marx subisce un trattamento deformato, ma diciamo “decente” da parte borghese, Lenin e Trotzkij nella versione qui in Germania, non hanno scampo. La denigrazione e la deformazione contro di loro è potente, continua. Vengono descritti come le persone più negative possibili. Lenin viene fatto apparire come il dittatore senza scrupoli che ha soggiogato autoritariamente sia i bolscevichi che la Russia rivoluzionaria. Dei fatti storici rivoluzionari, eccezionalmente progressivi e positivi avvenuti, gli intellettuali borghesi ne richiamano strumentalmente contro di lui solo gli aspetti personali, inutili, (per es che Lenin veniva mantenuto dalla famiglia; che se ne stava comodo all’estero, ecc), martellando negativamente su questi aspetti, così da aver il pretesto per poterlo denigrare. Nessuna parola sul fatto straordinario di aver fermato una guerra, di aver portato il proletariato russo al potere, di aver fatto il primo passo verso la rivoluzione internazionale. Si può ben capire il terrore della borghesia di fronte a questa imponente figura: ha condotto la rivoluzione, ha sconquassato il sistema intero, ha dimostrato che una rivoluzione è possibile, come bisogna fare per condurla e come si può arrivare ad una società superiore, e non ultimo, come esso sia un esempio da seguire. La critica borghese contro questo grande comunista è quindi spietata, senza limiti.  

Trotzkij, viene presentato come il complice dei misfatti di Lenin. Ha diretto l’armata rossa e come tale viene fatto apparire come il responsabile sanguinario che ha fatto trucidare migliaia, centinaia di migliaia, milioni (la cifra sale o scende a seconda del professore) di persone. Nessun accenno al fatto che la guerra civile russa post rivoluzione è stata voluta dai controrivoluzionari menscevichi diretti dalle borghesie di tutto il mondo che tentando di rovesciare il governo rivoluzionario operaio e dei contadini ha causato un’infinità di vittime.

Rosa Luxemburg.  In Germania le correnti della borghesia la fanno apparire incredibilmente l’eroina anti Lenin. Si strumentalizza e enfatizza il fatto che la Luxemburg ha criticato il sistema organizzativo bolscevico. Per noi comunisti le critiche organizzative tra comunisti sono una cosa del tutto normale, poiché ogni organizzazione rivoluzionaria sperimenta e agisce secondo criteri diversi. Ma queste critiche o osservazioni della Luxemburg su Lenin servono alla borghesia per farla apparire democratica contro il despota capo bolscevico. Insomma per porla come l’eroina martire difensore dei metodi democratici, umani, contro i sanguinari bolscevichi. Non una parola sul fatto che condivideva con Lenin praticamente tutto: l’obbiettivo della rivoluzione comunista e della dittatura del proletariato, l’abbattimento violento della società borghese e la presa del potere da parte proletaria, la fine dello sfruttamento, delle guerre, ecc. Non una parola che l’idea organizzativa della Luxemburg diversa dai bolscevichi si è poi rivelata sbagliata, fatale, con la conseguenza di non poter arrivare alla rivoluzione e che questo sbaglio, assieme a Liebknecht gli è costata la vita. Infine non una parola che è stata proprio la democrazia a reprimere la rivoluzione spartachista in Germania e ad assassinare la Luxemburg.

Per chi è esperto di marxismo le deformazioni, le denigrazioni, le distorsioni borghesi dei grandi comunisti sono lampanti. Altra invece è la situazione per chi non è esperto. Si deve subire tutti i giorni le deformazioni, l’insistenza, il martellamento dei grandi giornali, tv, dei politici, e non ultimo dei professori, tutti al servizio della società capitalista. 

NUOVO GOVERNO:

SARA’ -COME SEMPRE- L’IMPRENDITORIA EUROPEA

(la UE) A DETTARNE LA POLITICA.

 

COME IN FRANCIA, GRECIA, SPAGNA, ITALIA, ecc.

 

E’ la grande imprenditoria che dirige la politica dei governi in Europa, indipendentemente da chi vince le elezioni. Questa unitaria azione borghese è stata definita dai marxisti “La politica imperialistica europea contro i salari”, cioè una politica dove la borghesia europea unita sotto sigla UE, ben organizzata si sta muovendo all’unisono contro i lavoratori europei. Si coordina nel Parlamento Europeo, nella Banca Centrale Europea, nella Commissione Europea, per, attraverso i governi, sferrare il suo attacco continuo contro i salariati. 

Il “Bollettino Europeo”  (EZB Wirtschaftsbulletin) della BCE (Banca Centrale Europea) che abbiamo illustrato su questo giornale di novembre ci descrive il procedere di questo attacco, vale a dire come il lavoro precario deve aumentare, mentre invece deve diminuire il costo del lavoro nelle fabbriche e le spese sociali statali. Si loda i governi che più hanno ottenuto, mentre si sprona quelli che sono sulla strada, si richiamano quelli che sono in ritardo. E sempre senza distinzione di partito al governo.

Si può datare l’inizio delle “politica imperialista europea contro i salari” con il primo governo Schröder in Germania nel 2002, per poi estendersi a tutte le altre nazioni come in Grecia nel 2011, Portogallo, Spagna, Italia, ecc poi, e attualmente in Francia. Sembra quasi che la borghesia europea abbia voluto iniziare proprio in Germania per dare l’esempio alle altre imprenditorie, per indicare quale sia la strada da perseguire. L’effetto sui lavoratori e sui giovani europei è di notevole negatività.

Il nome ufficiale borghese con cui questa politica contro gli stipendiati si è presentata sulla scena è stato il famoso“contenimento del debito pubblico al 3%” per tutti i paesi aderenti alla UE, che ha trovato attuazione su due linee fondamentali: la prima, il taglio delle cosiddette “spese sociali statali”, che nella pratica si è trasformato in enormi tagli alla spesa pubblica con riduzioni consistenti di personale del settore pubblico (soprattutto in alcune nazioni come ora in Francia), con forti tagli ai servizi sociali, il posticipare la data dei pensionamenti e con tagli alle pensioni stesse.

L’altro aspetto ha preso invece il nome di “aumento della produttività”. Ossia nell’accrescere lo sfruttamento nei luoghi di lavoro con forte aumento del lavoro precario, contenimento dei salari, ritmi di lavoro più intensivi, spostamento delle tasse dalle aziende verso la tassazione generale (in pratica quello che sta avvenendo oggi in tutta Europa senza eccezione).

Come attori ben addestrati i governi europei senza distinzione di colore hanno eseguito ed eseguono. Ovviamente la politica del“Contenimento del Debito Pubblico al 3%” non prevede il toccare gli enormi guadagni bancari e industriali, che al contrario, grazie al ridotto servizio pubblico e alla più alta produttività in fabbrica (sfruttamento) possono denunciare guadagni record.

Sarà quindi logico, non ci sarà alcun dubbio, che anche il nuovo governo tedesco indipendentemente da chi ne parteciperà seguirà questa direttiva padronale economica, come gli esecutivi precedenti. Aggravamenti che andranno avanti al di la degli aspetti secondari di facciata politica che verranno presentati, come la regolamentazione degli immigrati reclamata dalla CDU-CSU, o  diversivi come i miglioramenti sociali (di stampo SPD). Aspetti di facciata che in tutti i paesi UE trovano grande eco, e che vengono palesemente messi in risalto dai vari governi con lo scopo, appunto, di nascondere la vera politica comune UE di continuo attacco delle condizioni generali e aumento dello sfruttamento dei salariati e dei giovani. 


 

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SCONTRO TRA GRANDE IMPRENDITORIA E TRUMP

E LA QUESTIONE DEI DIRITTI

-CIO’ CHE CARATTERIZZA LA POLITICA AMERICANA OGGI- 

I DIRITTI DELLE PERSONE PRESI A PRETESTO PER COMBATTERLO

 

 

Martin Ganslmeier l’8 nov. sul Tagesschau attacca il presidente americano Trump:“Le uniche linee fin qui riconoscibili sono ‘l’America per prima!‘ e ‘Via dall’eredità di Obama!’. Tutto quello che Obama aveva costruito Trump lo abbatte, indifferentemente se è ’L’accordo di Parigi sul Clima’, o ‘L’accordo sul nucleare con l’Iran’, o il ‘Programma per la protezione dei bambini degli immigrati illegali”. Non sono solo i grandi agglomerati finanzial-industriali americani che continuano nell’attacco a Trump suoi loro grandi mezzi di informazione e non lo tollerano come guida al governo americano (il loro governo) nonostante lui stesso sia un grande impresario e possegga patrimoni ingenti, ma anche la stampa europea lo disapprova costantemente. E’ la politica estera che persegue che non trova il loro consenso. Prosegue Ganslmeier: “In politica estera Trump non ha una chiara strategia. In Asia lascia la Cina andare avanti. Vuole rigettare il NAFTA (l’Accordo Nordamericano di Libero Scambio) se il Canada e il Messico non si piegano alle sue condizioni. L’Europa è più fortunata. I consiglieri di buonsenso che stanno dietro a Trump gli hanno detto chiaramente come la NATO sia importante. Trump d’istinto è meno legato all’Accordo Transatlantico e ancor meno all’Unione Europea. E il rapporto con la Russia, diversamente da come Putin auspicava, è peggio che mai, visto che l’inchiesta Mueller fa ombra sulla Casa Bianca”  Ripetutamente, Trump viene considerato dai vertici capitalisti un non esperto, un populista, imprevedibile e non consono per i loro interessi strategici internazionali. In altre parole Trump fa perdere loro soldi. L’attacco contro di lui perpetrato da i loro enormi media, tv e giornali è perciò continuo, implacabile, mettendolo in cattiva luce su qualsiasi cosa egli dica o faccia. E’ questo il tratto caratteristico che imprime oggigiorno il ciclo politico americano con questo presidente, non altro.  

La risposta di Trump alle accuse dei suoi colleghi-nemici imprenditori è che le notizie diffuse dai  mezzi di informazione sono “fake news” (“fake news: notizia falsa o bufala, indica articoli redatti con informazioni inventate, ingannevoli o distorte, resi pubblici nel deliberato intento di disinformare o diffondere bufale attraverso i mezzi di informazione tradizionali o via internet, per mezzo dei media sociali” – Wikipedia), quindi notizie false, ingannevoli, costruite apposta per screditarlo. Controbatte portando a suo favore i dati economici positivi che gli Usa stanno godendo dopo la sua elezione: un Pil in forte crescita e diminuzione della disoccupazione e ripete il suo operato mostrando le promesse elettorali mantenute, come la lotta contro l’immigrazione illegale, le vittorie sull’Is, la nuova riforma fiscale, l’accordo bilaterale con la Cina, ecc. Fa parte del suo gioco, per accreditarsi davanti al mondo, ma soprattutto verso i suoi elettori interni ( “Mi darei un 10”  aveva affermato durante l’occasione dei festeggiamenti dei suoi primi 100 giorni di governo).

Nella sua visuale Trump è super convinto che la sua politica sia un vantaggio per l’America, e soprattutto per i profitti dei grandi gruppi imperialisti americani. Ma quest’ultimi non sono di questo parere, come i loro media dimostrano. Per loro è senz’altro la politica perseguita dei precedenti presidenti Bush e Obama la più conveniente e più efficace, politica che corrispondeva alle posizioni tenute in campagna elettorale dalla Clinton e che praticamente tutti i grandi gruppi economici avevano supportato. Trump per dimostrare il suo interesse e attirare il consenso dei suoi oppositori-colleghi industrial-bancari ha varato anche la riforma fiscale che regala loro molti miliardi. Il mondo impresario ha apprezzato. A conferma di ciò, sia i Democratici che i Repubblicani non hanno posto nessuna grande opposizione alla nuova legge che è perciò passata. Ma questo però non ha cambiato la loro posizione sulla sua politica estera e l’attacco mediatico contro di lui sui più svariati pretesti è proseguito. Anche la questione delle molestie sessuali dei grandi personaggi dello spettacolo contro le donne, partita proprio dagli Stati Uniti e poi estesasi in tutta Europa, potrebbe essere alla fine indirizzata a colpire lui, il presidente, visto che diverse donne dichiarano di essere state molestate in passato da Trump, per farlo dimettere. 

In questa contesa tra grande borghesia (e i suoi media) contro il loro non accettato presidente, le masse proletarie continuano ad essere coinvolte, manovrate, sospinte, accese e anche divise. Tematiche sensibili usate contro di lui come gli immigrati, i diritti (donne, minoranze, gay) infiammano quella parte di popolazione che non tollerano queste discriminazioni, mentre l’altra parte di elettorato concorda con lui e lo applaude.

Mentre regala miliardi ai ricchi banchieri e imprenditori non si registra invece nessuna reazione e contestazione contro l’Amministrazione da parte delle masse e dei sindacati su tematiche di classe come i salari, dove in Usa sono molto bassi, o sul lavoro precario soprattutto giovanile, che è alle stelle. Anche contro le guerre assistiamo alla mancanza di contrapposizione politica proletaria. Le proteste seguono fedelmente le contestazioni che i grandi media muovono contro il presidente a conferma dell’influenza e dell’influsso potente che i mezzi di informazione svolgono.

Diventa quindi evidente come le giuste tematiche sui diritti siano solo usati, strumentalizzati, presi come pretesti pubblici per far dimettere il presidente. I grandi gruppi economici, prenderebbero ad appiglio senza scrupoli qualsiasi cosa pur di far dimettere il presidente non voluto. Vedremo poi alla fine come andrà a finire.  

Ai borghesi, nel gioco capitalistico, poco importa se la politica dei (loro) governi nel paese siano razzisti o a favore dei diritti. Non ha nessuna importanza. Fondamentale per i loro interessi è che le masse lavoratrici vengano controllate dai partiti (destra, centro, populisti o di sinistra) a seconda del vento politico che tira, e che continui alla meglio il meccanismo dello sfruttamento, per far profitto.  

I marxisti naturalmente sono a favore dei diritti. E’ però chiaro che i diritti delle persone potranno trovare la loro piena realizzazione solo in una società diversa, superiore, socialista,  non certo nella società capitalista. Nell’attuale società i diritti delle persone potranno trovare solo una situazione instabile e venir regolarmente utilizzati dai partiti, chi a favore o chi contrario, solo per opportunità, per raccogliere voti nella corsa per il governo, dove una volta giunti immancabilmente lavoreranno, come la quotidianità ci dimostra, a favore dei capitalisti per lo sfruttamento dei lavoratori stessi. 

RIAMMODERNAMENTO ECONOMICO

E FORTE RIARMO

PER L’IMPERIALISMO CINESE,

PER UN FUTURO DI SFIDE 

 

LA BORGHESIA INDUSTRIAL-STATALE AL GOVERNO IN CINA SI PREPARA PER I PROSSIMI SCONTRI INTERIMPERIALITI.

 

 

Il 19° Congresso del cosiddetto “Partito Comunista Cinese” (PCC) lascerà certamente un segno nella storia cinese. E non solo in Cina.

Nella sessione i suoi esponenti guidati dal presidente Xi Jinping hanno ufficializzato il cambio di rotta della politica del dragone: sarà “Il socialismo che imprimerà una nuova era”. Viene così abbandonata definitivamente la politica del cosiddetto “basso profilo”, cioè del “tao wang yang hui” 韬光养晦 (nascondi la luce, nutri il buio) fin qui perseguita, adottata a metà anni ’90 da Deng Xiaoping, “basso profilo politico” tenuto per non allarmare i concorrenti. 

Xi, a nome del congresso ha esposto sia il prossimo piano quinquennale che la politica dei prossimi 25 anni, con un’estensione ai 35. Un vero evento.

“Xi mette sull’avviso il suo partito  di fronte a ‘sfide serie.”  titola Der Spiegel il 18 ottobre. “…Mentre gli Usa si chiudono dietro la politica ‘America First’ del presidente Trump, Xi si è presentato come difensore della globalizzazione”prosegue il giornale. Precisa poi il quotidiano “Die Zeit” il 24 ott.:“Per la realizzazione del ‘Sogno cinese’ [Xi Jinping] mira ad una Cina forte sul piano economico e militare con un ruolo potente nel mondo”. Per ottenere questo, prosegue Die Zeit“… come previsto, il partito ha deliberato nel Rapporto della Commissione di Disciplina la sua lotta contro la corruzione, molto popolare tra la gente. Con questa misura Xi Jinping procede non solo contro la corruzione nel partito, ma anche contro i rivali, assicurandosi così la lealtà”. 

L’industria cinese ha vissuto 40anni di fortissimo sviluppo. Dopo 40anni il paese si trova completamente trasformato. Il livello di vita si è notevolmente alzato ed enormi gruppi industrial-finanziari capitalisti si sono formati primeggiando nel mondo. Adesso è il momento del prossimo salto, del pieno passaggio alla fase imperialista.   

Come successo prima in Germania, Francia, Italia, Giappone, dopo i primi decenni di forte sviluppo seguenti il dopoguerra, oggi anche in Cina si è creata una situazione dove la vendita dei prodotti diventa per banche e impresari non più conveniente nel proprio mercato interno per far rendere i grandi capitali accumulati nella nazione (ottenuti naturalmente sullo sfruttamento dei lavoratori). Per continuare ad assicurarsi un buon profitto adesso hanno bisogno di vendere massicciamente all’estero. Ma in questa nuova situazione, come già accaduto prima per le nazioni avanzate occidentali, per essere competitivi, una parte dell’economia deve essere rinnovata, ristrutturata. Vale a dire che le industrie a bassa tecnologia che adesso producono in Cina, cioè i settori del vestiario, mobili, elettrodomestici, ecc. si devono trasformare in industrie che producono alta tecnologia, come impianti completi per industrie, centrali elettriche, treni e impianti ferroviari, aeroporti e aerei, (non ultimo, armamenti specializzati come navi, aerei, ecc.).  Perché è questo adesso che i paesi in via di sviluppo nel mondo richiedono, e solo la vendita di questa alta tecnologia può garantire ora ai capitalisti cinesi  ottimi guadagni.   

Ed ecco la prima grande “sfida seria” di “innovazione tecnologica” a cui si riferisce Xi.

Poi “il completo riarmo cinese” per “un ruolo potente nel mondo” è l’altra “sfida seria” a cui il presidente chiama. Per questo obbiettivo il Congresso si fissa dei tempi e prevede il completo armamento militare cinese verso il 2035. Fra 20anni la borghesia impresar-statale del dragone  deve essere così ben armata da poter sfidare militarmente senza alcun problema i forti concorrenti nel mondo. “Una forza militare è costituita per combattere” afferma risolutamente Xi Jinping.  

“Guerra e pace appartengono al sistema del profitto” affermiamo noi marxisti, “appartengono al capitalismo, si interscambiano l’un l’altro. Le guerre si eliminano solo eliminando il sistema stesso”.

E’ evidente che il PC cinese, il partito che dirige l’economia e la società cinese (dove alcuni suoi membri sono milionari)  non ha assolutamente niente a che fare con il socialismo. “La politica di stato cinese è la politica di una società organizzata secondo modi di produzione capitalistici, di un capitalismo di stato”  scrivevano i militanti internazionalisti di Lotta Comunista nell’articolo “Ne Washington ne Pechino” nel 1966. Allora bisognava essere degli specialisti per capirlo, adesso è sotto gli occhi di tutti.


 

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IL TORMENTO DEI CONFLITTI MILITARI

AFGHANISTAN

UNA GUERRA SENZA FINE

-LA GUERRA QUASI DIMENTICATA-

 

FINITA UNA GUERRA ( SIRIA , IRAQ) CONTINUANO LE ALTRE. 

E’ LA NATURA DEL PROFITTO

 

 

Lo scontro tra capitalisti è incessante, continuo. Certamente è economico e finanziario, ma anche militare. L’obiettivo è sempre quello: il profitto, il guadagno.

La guerra in Afghanistan viene definita da molti “la guerra interminabile” o “la guerra invisibile”. E’ iniziata nel lontano 2001 quando le borghesie americana con al seguito quelle europee hanno invaso il paese. Più di un decennio prima, nel 1989 l’esercito dell’imperialismo sovietico si era ritirato dalla nazione dopo averla occupata militarmente nel 1979, permettendo così ai talebani qualche anno dopo, nel 1992, di prenderne il potere. I “talebani” طالبان come forma  di fondamentalista islamico provengono dai più noti “Mujaheddin” مجاهدين‎.  Entrambi hanno avuto origine dalle scuole coraniche istituite dall’Arabia Saudita in Afghanistan proprio durante l’occupazione russa su commissione Usa, perchè i giovani religiosi combattessero gli invasori russi concorrenti degli americani.

Nella lotta tra imperialismi, l’Afghanistan rappresenta nella visione dell’imprenditoria americana (e degli europei) un zona strategica, cruciale, da contrapporre alla futura potente emergente borghesia cinese, un bastione da erigere contro il temibile concorrente asiatico, dove insediare un governo-protettorato filoamericano fedele e costruire grandi basi militari anticinesi. L’occupazione dell’Afghanistan, è stata definita dai capitalisti la “guerra preventiva”, che assieme all’aizzare etnie o religioni o partiti (anche finti comunisti) perché combattano per abbattere governi “non amici” o “nemici”  è la normalità per le dirigenze del mondo borghese, non una rarità.   

Seguendo questa logica di importanza strategica di un Afghanistan anticinese, nel 2001 l’imperialismo americano ne ha appunto decisa l’invasione. Da allora come effetto ne è sorto un susseguirsi di guerra civile, con scontri militari, guerriglia, di battaglie definite “di bassa intensità” che perdurano  tutt’ora, visto che i talebani, ovvero gli studenti coranici voluti proprio dagli Usa per combattere i russi invasori, non si arrendono neanche al vecchio amico e finanziatore americano, adesso nuovo invasore.     

Nel nuovo governo afgano imposto da Washington come protettorato siedono adesso i componenti dei famosi “Signori della guerra”, cioè i comandanti delle etnie Tagiki, Hazara, Uzbeki che riuniti nell’“Alleanza del nord”  si sono sempre contrapposti ai talebani (etnia pashtum), e i vari presidenti che si sono poi susseguiti provengono appunto da questo ambito. E’ attraverso il nuovo governo che la borghesia americana tenta adesso di controllare la nazione e di usarlo come forza per sconfiggere la resistenza talebana. Il nuovo esercito afgano viene perciò istruito ed addestrato dalle nuove forze di occupazione occidentale perché arrivi a combattere del tutto autonomamente e consentire così  il ritiro delle truppe americane e alleati. Su questo progetto di futura totale autonomia militare afghana Obama nel 2015 aveva annunciato il ritiro graduale delle truppe americane.

Ma la resistenza di guerriglia talebana si è dimostra più forte del previsto, tanto che nel 2016 i governi Usa, Germania e Italia coinvolti nella guerra hanno deciso di aumentare di nuovo le diminuite truppe stanziate sul territorio. In questa situazione di forte instabilità e ostilità talebana l’anno scorso Trump ha fatto sganciare la famosa bomba “superbomba”. Sembra che i cunicoli su cui la bomba è esplosa siano le stesse gallerie che a suo tempo gli studenti delle scuole coraniche con l’aiuto degli americani avevano costruito, appunto per combattere i russi.

 

Negli ultimi anni non solo la situazione afgana non si è rappacificata, ma in questa lotta tra borghesie altri attori si sono aggiunti. Nel 2015 anche i fondamentalisti dell’Is si sono inseriti nell’area combattendo anch’essi contro il governo filoamericano di Kabul e tutt’ora controllano una parte del territorio orientale afgano. Nell’insieme i rivoltosi – talebani e Is – padroneggiano, secondo le fonti, circa il 40% del paese, e sembra essere in continuo aumento.  

Pure l’imperialismo cinese (finto paese comunista) approfittando della situazione caotica è riuscito ad inserirsi economicamente, non militarmente. Le aziende cinesi posseggono tutt’ora una quota rilevante delle miniere di estrazione di metalli afgane, minerali di base utili per il poderoso sviluppo dell’industria del capitalismo cinese.

Vista la situazione, la guerra in Afghanistan si presenta perciò ancora molto distante dall’essere conclusa, a meno che le parti in causa non trovino un accordo, un compromesso, che possa andar bene a tutti. Questa guerra afgana, definita dalla borghesia  “preventiva”, conta un costo in vittime umane che è da stimarsi secondo Wikipedia, dai 140.000 ai 350.000 (senza parlare dei costi economici). Un massacro destinato purtroppo tragicamente a salire, massacro di vite che non crea però nessun problema alle borghesie coinvolte nel conflitto.    

Conflitti, conquiste, scontri, interessi, tutto questo appartiene al controverso sistema capitalistico. Le guerre sono la mano armata dei capitalisti per raggiungere i loro interessi. Per loro sono normalità, per le masse lavorative tragedie.

Pensare che tutto questo possa finire o risolversi spontaneamente è pura utopia. Solo un altro tipo di società può portare il cambiamento.

I PILOTI SI RIFIUTANO DI RIPORTARE I PROFUGHI POLITICI IN AFGHANISTAN

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Esempio di solidarietà di classe 

 

 

Mentre la notizia ha fatto il giro d’Europa, la grande stampa tedesca ha preferito parlarne molto poco. I piloti di diverse compagnie aeree in diversi aeroporti tedeschi si sono rifiutati di rimpatriare, contravvenendo all’ordine del governo tedesco, rifugiati politici in Afghanistan. La rivista “Stern“ riporta così i dati dei rifiuti nel 2017: “Il caso ha riguardato 107 volte l’aeroporto di Francoforte am Main, 40 volte Düsseldorf, 32 Amburgo. I piloti della compagnia multinazionale aerea Lufthansa si sono rifiutati in 108 casi su 222, così suddivisi: Lufthansa 63, Eurowings 22, Germanwings 15 e Austrian Airlines 8”.    

I rifiuti, dove questo è accaduto si sono svolti con questo criterio: dove i piloti all’imbarco chiedevano ai profughi accompagnati dalla polizia per essere riportati in Afghanistan, se arrivati nel loro paese sarebbero stati in pericolo di vita, e la risposta era affermativa, i piloti non eseguivano il trasporto lasciando gli interessati a terra, portando come motivazione problemi di sicurezza, in quanto anche sull’aereo i rifugiati potevano subire attentati. Quando invece i profughi esprimevano il desiderio di tornare, i piloti eseguivano allora il rimpatrio. Il rifiuto non è stata l’iniziativa di singoli, ma una cosa organizzata. Il sito dell’emittente televisiva “rbb 24“  il 6 dic. così spiegava il comportamento dei piloti: “Il sindacato dei piloti Cockpit è sempre stato favorevole nel passato verso i propri capitani per il rifiuto per motivi di sicurezza”. Con questa ufficiale dichiarazione sindacale il dissenso ha assunto quindi il connotato di una vera e propria lotta politico-sindacale.  

A fornire i dati pubblicati dai giornali è stato lo stesso governo federale tedesco, dati che evidenziano anche come quest’anno i non rimpatriati, essendo più di 200 a settembre, siano in netto rialzo rispetto all’anno scorso, dove” tra gennaio 2015 e giugno 2016  i piloti che si erano rifiutati di dare corso ai fogli di via erano stati solo 160” (“Corriere della Sera” 6 dic).  

 

 

Quest’anno il governo tedesco ha intensificato le espulsioni forzate verso l’Afghanistan motivando che il paese adesso è sicuro per la popolazione e che per i rifugiati politici non esiste alcun pericolo. In realtà la guerra civile iniziata con l’invasione dell’Afghanistan nel 2001 non è mai terminata e sta proseguendo ininterrottamente. L’ipocrisia del governo tedesco sull’Afghanistan si evince consultando semplicemente il sito del ministero degli Esteri, dove ai tedeschi viene caldamente sconsigliato di viaggiare in certe aree del Paese a causa della forte presenza dei talebani e dei fondamentalisti dell’Isis” (“Repubblica” 5 dic), prosegue il giornale aggiungendo che il governo tedesco raccomanda di “non viaggiare nel Paese - dove a maggio c’è stato l’ultimo attentato all’ambasciata tedesca con morti e feriti“.  Specifica Ursula von der Leyen, ministro della Difesa tedesco il 22 agosto 2017 riguardante la sicurezza in Afghanistan: "Lo scorso anno le nostre capacità militari sono cresciute del 18%”,  causa la guerra in corso.

 

 

Di fronte alla presa di posizione del governo tedesco, la solidarietà dei piloti tedeschi si evidenzia perciò straordinaria, stupefacente, sostenuta anche da manifestazioni politiche nei vari aeroporti.

Michael Lamberty membro della direzione della Lufthansa, afferma che“Le motivazioni umanitarie, con tutto questo, realisticamente, non hanno niente a che fare” (“Stern”). Ha ragione, questa lotta non ha motivazioni“umanitarie“, ma è una lotta di classe contro classe. Della classe dei lavoratori contro la classe dei ricchi borghesi,  per i quali le guerre servono per guadagnare più soldi e la vita delle persone non ha nessuna importanza.

Anche i medici tedeschi si sono uniti alla lotta: “ Da mesi i giornali tedeschi riportano anche notizie di un’ondata di solidarietà che starebbe spingendo moltissimi medici ad aiutare i profughi attestando loro l’impossibilità di viaggiare per malattie varie” (“Repubblica”).

LA LOTTA DEI PILOTI E DEI MEDICI TEDESCHI DOVREBBE ESSERE PRESA IN CARICO DA TUTTO IL SINDACATO EUROPEO, E OLTRE.  


 

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 GIOVANI – EUROPA

MIGRAZIONI DALL’EST EUROPA,

CROLLO DEI MITI E  

SFRUTTAMENTO SENZA FRONTIERE

 

I dati sono sorprendenti.

Tutta una serie di fonti, tra cui il F.M.I. (Fondo Monetario Internazionale) riportano gli effetti delle migrazioni che dai paesi dell’Est europeo si riversano nelle nazioni ricche dell’Unione Europea. 

E’ dopo la caduta del Muro di Berlino e del crollo dell’Unione Sovietica, dopo questi due eventi eccezionali, riportano le fonti, che si è innescato il meccanismo dello spostamento di enormi masse di persone dai paesi dell’ex Patto di Varsavia verso le nazioni della ricca Europa occidentale industrializzata, in cerca di una vita migliore. Il FMI stima che in questi 25 anni quasi 20 milioni di persone, essenzialmente giovani, hanno varcato le frontiere. 

Federico Fubini nel suo articolo “Europa dell’Est e migrazioni: partono i giovani restano i nazionalisti” spiega che in questo periodo la Bulgaria ha perso il 21% della popolazione, l’Ungheria circa il dieci per cento, la Lituania il 24%, la Lettonia un terzo degli abitanti e l’Estonia oltre un sesto. Lungo la dorsale che corre dal Mar Baltico all’Adriatico oggi esistono sette milioni di persone in meno rispetto al giorno del 1991 in cui Boris Eltsin sancì la disintegrazione dell’Unione Sovietica (...) L’Europa di mezzo, un territorio di poco più di cento milioni di abitanti, ha visto emigrare verso le regioni ricche della Ue oltre 20 milioni dei suoi figli. Il Fmi stima che fino al 2012 quasi la metà di questi migranti si sia recata in Germania (...) Nazioni come la stessa Bulgaria o le orgogliose repubbliche baltiche, quelle che per prime sfidarono Mosca, oggi si dibattono in una crisi non più solo demografica. È fiscale, perché diventa impossibile finanziare le pensioni quando si perde un terzo della forza-lavoro. Ed è esistenziale, perché una certa opinione pubblica vede il proprio popolo minacciato di estinzione in un’Unione Europea di quasi mezzo miliardo di persone.”

Sono proprio i giovani che emigrano. Nei propri paesi poco industrializzati, gli stipendi bassissimi, il lavoro estremamente precario, uno sfruttamento senza limiti e nessuna certezza sociale li fa fuggire.

Nei paesi ricchi dell’Unione Europea dove approdano, dove il basso tasso di natalità sta riducendo sensibilmente la percentuale di giovani nella popolazione e dove i giovani locali rifiutano i posti di lavoro più pesanti, trovano imprenditori che li accolgono a braccia aperte, vedendo nello sfruttamento di questi immigrati la realizzazione di un profitto succulento.

Calo delle nascite, giovani poveri che si spostano, capitalisti assetati di guadagno pronti ad approfittarne e sfruttarli, appartengono al ferreo funzionamento capitalistico, che ovviamente non conosce ne frontiere ne freni, nonostante che nella storia un’infinità di governi borghesi abbiano tentato di frenare l’immigrazione o tentino di farlo. Un fenomeno, i migranti, già conosciuto dagli albori  dello sviluppo capitalistico, come descritto da Engels nel suo noto libro “La situazione della classe operaia in Inghilterra” della metà dell’800.

Il lettore di mezz’età ricorderà certamente come all’inizio degli anni ’90 con la caduta del Muro e il crollo Urss si fosse ampiamente diffuso dai media la speranza che si fosse aperta una nuova epoca di benessere per il mondo intero. E soprattutto per l’Europa. Allora, l’establishment politico, i giornalisti, i preti, si erano addirittura spinti a sostenere che l’epoca delle tensioni e delle guerre fosse addirittura terminata. … Un forte abbaglio.

La realtà capitalista li ha ovviamente inevitabilmente contraddetti e ha confermato, senza alcun problema, il suo carattere problematico.     

L’allora entusiasta illusione di una nuova era, che aveva pervaso anche i giovani dell’est, ha dovuto lasciar presto posto alla dura e deludente realtà, Le industrie arretrate di quei paesi, obsolete e non più concorrenziali, o furono ristrutturate o sono state chiuse, portando alla miseria milioni di famiglie. Non rimaneva che emigrare. Le dolci pillole di abbellimento sociale che erano state diffuse, avevano subito perso il loro effetto. Ed ecco i dati impressionanti dello spostamento di ben 20 milioni di giovani dai paesi ex Patto di Varsavia, mentre gli anziani rimangono sopravvivendo con le rimesse dei figli lavoranti all’estero.

Come i capitali nella società borghese si spostano velocemente tra nazioni alla ricerca del massimo profitto, altrettanto velocemente si spostano le masse lavoratrici inseguendo la sopravvivenza e il desiderio di una vita migliore. Sia il capitale che i lavoratori, non hanno patria, ne barriere nazionali.

Il capitale cerca il profitto, a noi marxisti il compito di organizzare i lavoratori in qualsiasi parte del globo essi si trovino, ovunque si spostino. Per porre fine ad una società di sfruttamento, barriere, guerre. Per una società migliore, superiore.

PARLAMENTO,

TANTE SQUADRE (PARTITI)

TUTTE GIOCANO PER IL PROFITTO DELL’IMPRENDITORIA

  

SE SI OSSERVA, I PARLAMENTI PORTANO SEMPRE PRETESTI, SCUSE PER PEGGIORARE LE CONDIZIONI DEI LAVORATORI, MAI DEI PADRONI.

 ANZI, I PADRONI VENGONO SEMPRE FAVORITI.

 

 

SPD, CDU-CSU, LINKE, FDP, GRÜNE, AfD, partiti parlamentari che si offrono, litigano l’un l’altro per (così appare) rappresentare la società, le masse lavoratrici.

Ma che ne sanno in fondo i lavoratori di queste organizzazioni? Conoscono bene questi partiti che promettono di rappresentare i loro interessi? La domanda che poi tutti si pongono è: saranno corretti e onesti come affermano e garantiscono di essere?

La quotidianità ci dice però che le preferenze elettorali delle masse lavoratrici cambiano in continuazione. I lavoratori non sono propriamente soddisfatti di chi votano. Evidentemente trovano che qualcosa non funziona nei politici. E questo naturalmente non riguarda solo la Germania, ma  tutti i parlamenti. Qualcosa quindi non torna nel sistema.

Il fatto è che i politici dicono tante cose, promettono, ma il comportamento poi è tutto diverso. Quando sono all’opposizione dichiarano con forza che vogliono cambiare tutto, ma quando poi arrivano al potere agiscono esattamente come i governi precedenti, governi che fino a poco prima avevano aspramente criticato. I politici si giustificano (naturalmente) per questo comportamento non conseguente, scorretto.  Oppure nascondono qualcosa?    

Affermano che la causa del mancato rispetto delle promesse elettorali risiede nell’inaspettata grave situazione in cui adesso, arrivati all’esecutivo, si trovano ad operare. Il nuovo contesto è adesso così grave e inaspettatamente complicato, ci sono i debiti, i problemi e così via, per cui non è possibile essere coerenti fino in fondo con le promesse fatte. Aggiungono, che ci stanno provando ad essere coerenti, e che prima o poi ci riusciranno, ma che per il momento questo non è ancora possibile.  

Per il marxismo esiste però un’altra spiegazione, non viene detta la tutta la verità. Si ritiene che tutte queste  spiegazioni politiche appartengano ad un sistematico trucchetto borghese. 

E’ senz’altro da escludere che i dirigenti di un partito che concorre per vincere le elezioni in una nazione siano così ingenui da non sapere cosa troveranno quando arriveranno all’esecutivo. Ma anche se così fosse - che all’improvviso si vengano a trovare in una situazione così inaspettatamente catastrofica, diversa - verrebbe logico pensare, se volessero essere coerentemente onesti fini in fondo con gli interessi dei lavoratori come affermano, che come conseguenza, dovrebbero dimettersi e lasciare il posto a qualcuno più corrotto. Ma questo, com’è noto, regolarmente non avviene mai.  

Esistono certamente altre possibilità, altre soluzioni, se un politico vuole essere di parola, vuole essere veramente dalla parte dei lavoratori sfruttati e perseguire senza indugio i loro interessi quando si rende conto che in parlamento questo non è possibile. E queste possibilità si trovano senz’altro all’infuori dalle aule parlamentari. 

I benefici che le masse lavoratrici e giovanili attualmente usufruiscono non sono l’effetto di leggi che le assemblee legislative nel passato o oggigiorno hanno emanato. Assolutamente no!  Sono il frutto delle fortissime lotte che i lavoratori hanno condotto negli anni ’60 e dei continui scioperi sindacali che si sono poi succeduti e proseguono fino ad oggi.  Le lotte hanno prodotto il tenore di vita che i lavoratori oggi usufruiscono. Non certo i parlamenti, che con tutto ciò non hanno assolutamente nulla a che fare. 

Anzi, il parlamento, che apparentemente sembra essere sopra le parti, ha sempre agito e opera costantemente perché i benefici ottenuti dai lavoratori con gli scioperi vengano lentamente rimossi, con vari trucchetti, pretesti e scuse. Sono note a tutti le misure disastrosamente negative dell’HARTZ IV, quelle contro le pensioni, l’aumento della tassazione sugli stipendi e così via. Tutte misure senza dubbio volute dai governi e che incidono non poco negativamente nella vita dei lavoratori e dei giovani.

Si può dire che è questo è il sistema che il padronato usa per contendere i lavoratori.

E si può dire che il padronato ha proprio bisogno del parlamento per recuperare i vantaggi che i salariati hanno ottenuto lottando. Senza questo mezzo parlamentare, che ancora gode la fiducia dei lavoratori, il padronato sarebbe in forte difficoltà. 

Il meccanismo parlamentare consiste nel presentare alle masse più partiti, più squadre, con diverse sigle e colori, che simulano il litigio tra di loro. Lo scopo di tutto ciò è: quando il partito più votato giunto al potere, viste le leggi peggiorative emanate, perde la fiducia degli elettori (lavoratori), questo partito può essere sostituito dal nuovo più votato che prima era all’opposizione e criticava il governo. Nuovo partito all’esecutivo che naturalmente continuerà con la politica perseguita da quello precedente, indipendentemente da quanto promesso in campagna elettorale. Con questo sistema il padronato nascosto dietro le quinte, apparirà non aver svolto nessun ruolo nel peggioramento dei lavoratori, che naturalmente incolperanno delle misure negative il partito al governo. Un padronato che così può rimanere invisibile. E la storia può ripetersi all’infinito.  

Questo spiega perché i politici dicono una cosa e poi ne fanno un’altra. E spiega anche perché al governo si alternano un’infinità di partiti ma la politica contro i lavoratori e a favore degli imprenditori si perpetua. Per il padronato un grosso vantaggio, per i lavoratori un grande problema.

Ma questo contrasto - il parlamento che opera costantemente contro i lavoratori - non è senza conseguenze per la ricca borghesia. Il padronato ne paga un prezzo. In tutte le nazioni avanzate sta aumentando l’astensionismo al voto. Le masse salariate percepiscono che qualcosa non va, la delusione aumenta e il lavoratore non va più a votare. Questo calo di fiducia crea il terreno per future lotte sindacali all’infuori del parlamento.

E’ SOLO SU QUESTO TERRENO SINDACALE, STORICO, CHE LA CLASSE SALARIATA PUO’ ESSERE VINCENTE.  Ed è su questo terreno che noi marxisti operiamo costantemente.


 

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PERCHE’ NEGLI ANNI ’60

L’UNIONE SOVIETICA E LA CINA SI COMBATTEVANO PUR DICHIARANDOSI ENTRAMBE “SOCIALISTE”? 

 

BOMBARDAMENTI E GUERRE ANZICHE’ INTERNAZIONALISMO PROLETARIO

 

 

Sembra un paradosso: due paesi che si autodefiniscono “comunisti” si fanno la guerra l’un l’altro. Dovrebbe essere il contrario: dovrebbero unirsi per arrivare al socialismo e combattere il capitalismo.

La risposta a questa insolita e imbarazzante situazione è molto semplice nella sua cruda realtà: NON ERANO PAESI SOCIALISTI (e non lo è per quanto riguarda l’attuale Cina). I partiti che li dirigevano, il partito stalinista in ex Unione Sovietica, e il partito maoista in Cina erano partiti nazionalisti borghesi con lo scopo, per noi molto chiaro fin dall’inizio come documentato a fianco, di sviluppare il capitalismo nei due paesi, con relativi profitti, guadagni, sfruttamento, ecc. In questo contesto di paesi capitalisti in concorrenza tra di loro è scaturita in una guerra aperta per difendere i reciprochi interessi affaristici, la cosa più normale in un sistema borghese basato sul profitto. In realtà quindi, niente di così anomalo quanto successo.

Adesso, a distanza di diversi decenni, visti gli sviluppi e gli effetti pratici che queste due economie hanno avuto, è facile individuare nella Cina un paese capitalista anche se il partito che la dirige si definisce “comunista”. Com’è altrettanto facile adesso dubitare che nell’ex Unione Sovietica esistesse il “socialismo reale”, e capire come tutto questo fosse una mistificazione.

Ma naturalmente non è sempre stato così semplice.

Negli anni ’50, ’60, ’70, quando imperava la guerra fredda, la concezione soffocante diffusa era che tra America e Russia esistesse uno scontro tra “capitalismo e socialismo”, e pochi, ma molto pochi all’epoca mettevano in dubbio questa “verità” affermando il contrario. Vale a dire che in realtà lo scontro era tra due blocchi capitalistici, cioè tra capitalisti occidentali liberisti contro paesi a capitalismo di stato falsamente definiti comunisti.

Solo avendo chiaro, solo possedendo i criteri per distinguere cosa sia il socialismo e il capitalismo era possibile capire cosa stava succedendo.

“Il lavoratore soggiogato non ha patria”. “La sua situazione di sfruttamento è uguale in qualsiasi zona del pianeta, in qualsiasi nazione esso si trovi essa non cambia”. “Se vuole cambiare questa situazione borghese il lavoratore deve eliminare il profitto, la concorrenza”. “Per arrivare a questo deve procedere attraverso rivoluzioni unendo il mercato rivoluzionario in modo da divenire così esteso da essere mondiale, planetario”. Queste erano le concezioni di base che guidavano i veri socialisti, i rivoluzionari di ieri, e naturalmente di oggi. Queste erano le concezioni che potevano far aprire la mente e far capire il processo in corso senza farsi condizionare dall’imponente fuorviante propaganda borghese.

Se i due partiti che dirigevano le due nazioni fossero stati veramente comunisti come affermavano, avrebbero unito, fuso i due paesi e assieme avrebbero promosso e sostenuto una Internazionale Comunista, esattamente come avevano fatto Marx prima e Lenin dopo, così da favorire ulteriori rivoluzioni quando le situazioni economiche rivoluzionarie lo avrebbero permesso.

Al contrario lo scopo del partito stalinista russo e quello maoista cinese era tutt’altro. Il fine evidente era nazionalista, capitalista.

I giornali dell’epoca riportano che il motivo dello scontro armato tra le due nazioni erano i territori limitrofi al nord della Cina, contesi ancora dall’800 quando i due paesi ancora erano medioevali. Così descrive la situazione Wikipedia in  Zwischenfall am Ussuri“ (Incidente sull’Ussuri)

 

In sintesi, la disputa era “… tra due stati che di comunista hanno solo il nome. Il contrasto è uno scontro di fondo tra la politica imperialistica dell’Urss e le esigenze di sviluppo di un paese come la Cina” (Azione Comunista aprile ’64).

Ancora oggi il partito politico-borghese che dirige la Cina insiste nel farsi chiamare “comunista”, anche se mille fatti concreti comprovano in continuazione il contrario, dimostrano la mistificazione, la truffa. Prima o poi probabilmente cambierà anch’esso il nome, per non apparire così ridicolo.

Anche molte organizzazioni staliniste continuano ad accreditare l’ex Unione Sovietica come “socialista”. I fatti concreti imperialisti che si sono susseguiti non bastano a queste organizzazioni che si proclamano marxiste per vedere che tutto questo è in contrasto con gli interessi socialisti dei lavoratori.

Per noi da sempre è chiaro: Cina e ex Urss sono e restano paesi borghesi.  

Più di tante parole valgono i fatti.

Ecco la posizione aperta, chiara degli internazionalisti di Lotta Comunista in un articolo apparso sul giornale nel febbraio-marzo 1969.

 

 

RUSSIA E CINA

UN CONFLITTO CAPITALISTICO

 

La controrivoluzione staliniana è partita dalla teoria del “socialismo in un solo paese”. E’ arrivata là dove non poteva che arrivare: al conflitto armato tra due paesi che si proclamano “socialisti”. Si è smascherata nel solo modo in cui si doveva smascherare: a colpi di cannoni più che a colpi di parole.

La storia, che è storia di classi e di lotta di classi, ha più ironia e più testardaggine che qualsiasi individuo, grande o piccolo che sia.  L’individuo è frazione di tempo, è mortale, non può attendere e perciò è ingannato. La storia è il tempo, può attendere e non si lascia ingannare. Sa che verrà il giorno in cui si vendicherà stabilendo la sua verità. Questa è la sua ironia.

Non è un’ironia della storia che siano i cannoni russi e cinesi a dover dire la verità sul fiume Ussuri? Non è un’ironia della storia che siano essi, prodotto dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, a parlare più chiaramente di qualsiasi bocca d’uomo? Non si può ingannare la storia, non si può dire che si costituisce il socialismo quando si costruisce capitalismo.

Quello che si è costruito dimostrerà un giorno la sua natura e lo farà con violenza. In Urss si è costruito capitalismo, in Cina si è costruito capitalismo. Il risultato è dato dai fatti: la concorrenza tra due capitalismi. Questi sono i fattori delle ideologie del “socialismo russo e cinese”.

E più i fatti vengono avanti, più queste ideologie sono costrette a mettere a nudo tutta la loro essenza nazionalista, cioè a dimostrare il loro carattere di sovrastruttura di capitalismi nazionali. Sui confini asiatici si stanno affrontando, infatti, i due più potenti capitalismi sviluppatosi nel nostro secolo e la loro spinta è tanto più forte quanto più hanno fatto del nazionalismo la rozza ideologia mobilitante centinaia di milioni di contadini.

Il grandioso tentativo di Lenin di rompere l’anello più debole della catena imperialista in Russia, doveva dare uno dei risultati previsti da Lenin stesso: o la rivoluzione proletaria in occidente o un balzo capitalistico in oriente.

La controrivoluzione staliniana, contraccolpo della controrivoluzione socialdemocratica e fascista in occidente, aprì la strada alla seconda soluzione. Lo scontro tra imperialismo russo e il capitalismo cinese non significa altro che Lenin aveva visto giusto. Lo sviluppo del capitalismo in Oriente comincia a pagare le prime scadenze. Da un lato, lo sviluppo del capitalismo di Stato russo da un contenuto industriale alle tradizionali correnti espansionistiche dell’imperialismo in Asia. Dall’altro lo sviluppo del capitalismo di stato cinese permette oggi una maggiore resistenza alla penetrazione russa, anche se non è in grado di arrestarla.

Nella prospettiva, l’imperialismo russo ha le possibilità di portare avanti l’industrializzazione della Siberia e dell’Estremo Oriente incluso nell’Urss: su questo cammino dell’industrializzazione in quella zona, marcia la spinta militare russa sui confini asiatici e la sua capacità offensiva. Lo sviluppo dell’industrializzazione cinese non è in grado di invertire questa marcia e più passa il tempo più aumenta lo svantaggio della Cina. Però la Cina non è più il paese semifeudale che nel passato doveva assistere passivamente all’espansione russa.

Se in Russia un enorme Stato ha raccolto tutte le tendenze dello sviluppo capitalistico, in Cina un altro Stato ha compiuto l’unificazione de ha avviato il processo dell’industrializzazione capitalista. Per la prima volta nella storia, i confini asiatici che avevano visto innumerevoli conflitti di Stati feudali, vedono adesso ergersi in contrapposizione due enormi Stati capitalisti che hanno moltiplicato per cento la loro forza, la loro concorrenza e la loro rivalità.

Il gioco infernale del turbine capitalistico trascina ormai le immense steppe nella sua corsa costellata di sangue e di fuoco. Il circolo è completo ed avvolge tutti i paralleli. La talpa capitalistica scava ormai le piste sabbiose dei deserti e quelle ghiacciate dei fiumi dell’Estremo Oriente e sta facendo a pezzi le false bandiere del socialismo. Si avvicina l’ora in cui la bandiera rossa dell’internazionalismo sarà la bandiera della riscossa dei lavoratori russi e cinesi che rapidamente consumeranno l’infame esperienza di massacrarsi in nome del “socialismo nazionale”.

 


 

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LE DOMANDE CHE PIU’ SPESSO CI VENGONO RIVOLTE

 

 MA CHE COS’E’ IN REALTA’ L’UNIONE         EUROPEA?

 

 

Europa:  unione  delle borghesie europee.

 

L’Unione Europea viene presentata come l’unione dei popoli europei: niente di più falso!

L’Unione europea è la necessità dei padronati europei di unirsi tra di loro per tener testa alla concorrenza di altre grandi potenti borghesie. Nel ’51 quando in Europa si forma la “CECA”, cioè il trattato che istituisce “La Comunità europea del carbone e dell’acciaio” lo scopo del padronato europeo era di essere concorrenziale contro gli Stati Uniti. Nel frattempo le cose sono notevolmente cambiate ed oggi le borghesie europee si trovano di fronte anche altri giganti economici da battere: la Cina. E altre grandi imprenditorie si stanno profilando all’orizzonte: India, Brasile, Indonesia, ecc. 

In queste operazioni borghesi di unione (e scontro)  i lavoratori (che non hanno patria) ne vengono inevitabilmente trascinati, coinvolti: pro o contro. Ieri in ben 2 guerre mondiali di scontro, oggi per l’unione.

La fase di Unione Europea, dopo il trattato costitutivo di unione siglato a Maastricht 25 anni fa, è ancora in forte rallentamento e il suo compimento definitivo sembra essere ancora molto lontano.

Il motivo di questo non completamento EU è, a nostro avviso, perché la potente borghesia americana, che ha vinto la 2° guerra mondiale, non lo permette. Nello scontro tra potenti borghesie sul pianeta, in quello che si sta profilando il futuro scontro contro la potentissima borghesia cinese e i suoi alleati nei BRICS (Brasile, india, Russia e Sud Africa), il padronato americano ha sicuramente bisogno di alleati come gli europei e i giapponesi (già suoi alleati nella NATO).  Ma gli americani, a nostro avviso, nell’organizzandosi per il futuro scontro,  in questa alleanza con le borghesie europee e giapponese vogliono mantenere un ruolo dirigenziale, trainante, come già dal dopoguerra nella NATO hanno. E un’Unione Europea definitivamente unita, forte, con un proprio governo e un proprio esercito unito metterebbe sicuramente in discussione il ruolo di dirigenza/direzione Usa nella coalizione. Perciò la borghesia americana sta permettendo un’Unione Europea “debole”, con solo un’unione monetaria e finanziaria (che più di tanto non la disturba), ma senz’altro non permette (almeno per il momento) un’unione politica e tantomeno militare.

 

 

LE LOTTE DEI PALESTINESI, CURDI, CATALANI  ecc. SONO LOTTE PER IL COMUNISMO?

 

Le lotte nazionaliste borghesi dei palestinesi, curdi, baschi, ecc. 

 

Alcuni partiti marxisti vedono una corretta politica comunista nel sostegno a rivendicazioni nazionalistiche di alcune etnie sottomesse  (che poi sul pianeta sono numerosissime).

Se nel passato, quando le potenze imperialistiche adottavano politiche colonialiste nella conquista di zone precapitalistiche, occupandole, super sfruttandole e impedendo a loro uno sviluppo capitalistico, queste lotte nazionalistiche avevano un senso marxista, comunista, in quanto queste nazioni dovevano liberarsi del giogo colonialista per poter sviluppare le leggi capitalistiche e così porre le basi per lo sviluppo  del proletariato, oggi, che il capitalismo è sviluppato su tutto il pianeta e il colonialismo non esiste più, le lotte tra i predoni imperialisti sul pianeta si sono trasformate in lotte per l’accaparramento di “zone di influenza”, cioè in lotte tra potenti borghesie per la conquista di paesi che sono già capitalisti e in fase di sviluppo, dove il proletariato è già notevolmente esteso.

Perciò lo scontro oggi, non è più come in passato tra borghesie imperialiste e paesi precapitalistici, ma è diventato un puro scontro tra padronati, cioè tra borghesie potenti contro altre meno potenti.

In altre parole, al giorno d’oggi le cosiddette “lotte o guerre di liberazione nazionale” non sono altro che lotte di padronati nazionalisti di etnie “deboli” che bramano a diventare più “indipendenti” da altre borghesie che li sottomettono, per poter arrivare a guadagnare di più.

E’ il solito meccanismo di scontro tra borghesie per l’accaparramento del plusvalore sul proletariato.

Per i lavoratori, in queste cosiddette  “lotte di liberazione nazionale”, che vinca la borghesia nazionale o straniera non cambia assolutamente nulla: sarà sempre sfruttamento, lavoro salariato, lotta contro i padroni sia nazionali che stranieri.

In questa realtà perciò la politica comunista di “liberazione nazionale” non ha più senso di esistere.

Oggi che il proletariato è diffuso in ogni anglo del pianeta, che è internazionale e non ha patria, la lotta all’ordine del giorno è la lotta per il superamento di questa società capitalistica, per una società superiore.

 



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