IL MARXISMO, L’UTILE CHIAVE PER CAPIRE COME FUNZIONA LA SOCIETA’.

-LA VERITA’ DEI RICCHI E LA VERITA’ DEL PROLETARIATO-

 

G. V. è una nostra attivista internazionalista. Nel suo lavoro politico quotidiano si è fatta molta esperienza nella diffusione del giornale marxista e nel formare e organizzare persone interessate alla società superiore.

Le chiediamo come reagiscono i giovani quando gli si chiede se capiscono come funziona la società in cui viviamo.

Dom: – I giovani sono interessati a capire il funzionamento della società?

Risp: – “Una parte di giovani sono certamente interessati a capire o sono incuriositi. Capire come funziona la società però non è una cosa semplice. I meccanismi che la regolano sono complessi e intricati. E’ un po’ come capire come funziona il corpo umano. Con un po’ di interesse e pazienza però si può arrivare a capire bene”.

Dom: - E i giovani che si fermano dimostrano già di sapere qualcosa di questo argomento?

Risp: - “Molti naturalmente pensano già di sapere, ma poi discutendo si accorgono che le idee proprio chiare non le hanno, che a loro alcuni concetti fondamentali mancano. Li vedi in forte imbarazzo dopo un po’ che si discute. In realtà la gente comune e i giovani, senza saperlo, ripetono quello che sentono alla tv o quello che leggono sui giornali. Inconsapevolmente ripetono quelle notizie e quei ragionamenti  che i ricchi attraverso i loro media –tv, giornali, politici ecc. hanno interesse che vengano diffusi”.

Dom: - Vuoi dire che i giornali e le tv non dicono tutta la verità e che esiste un’altra verità?

Risp: - “Certamente! Le tv e i giornali non dicono tutto ed esiste un’altra realtà. Bisogna però approfondire e essere abbastanza esperti per trovarla, realtà che è poi quella del proletariato, quella che i lavoratori dipendenti vivono tutti i giorni. Se ci pensiamo bene, i ricchi che sono una minuscola parte della popolazione non possono dire alla stragrande maggioranza che loro la sfruttano regolarmente, che grazie a questo sfruttamento guadagnano montagne di soldi, che le crisi e le guerre sono la causate dagli affari nell’intento di arrivare a guadagnare sempre di più”.

Dom: - Puoi essere più chiara in proposito?

Risp: - “Certo! Sulla montagna di soli che i ricchi guadagnano: il PIL, cioè la ricchezza nazionale, l’anno scorso nel 2015 è cresciuta del 1,7%, nel 2014 del 1,6%, nel 2013 dello 0,3% ecc. (fonte: Statistisches Bundesamt), questo significa che le imprese e le banche stanno guadagnando moltissimi soldi. Ma dove vanno a finire questi soldi prodotti dai lavoratori? Ne usufruiscono i lavoratori? Visto la ricchezza prodotta i salari dovrebbero di conseguenza salire, invece i dati e le statistiche (che naturalmente non vengono diffuse dai grandi media, ma rimangono nelle piccole riviste specializzate) dicono e dimostrano che addirittura il salario reale dei lavoratori da parecchi anni  non copre, nonostante i numerosi e duri scioperi, nemmeno l’aumento dell’inflazione (fonte: Statistisches Bundesamt), cioè non copre nemmeno l’aumento dei prezzi! Incredibile! Questo vuol dire che i lavoratori e le loro famiglie di questi guadagni, che non sono pochi, non beccano assolutamente niente, ma tutto rimane nelle tasche degli impresari e delle banche. Questo i politici, le tv e i media non lo dicono assolutamente! Ma questa è la vera realtà, la realtà che rimane nascosta. E sta succedendo addirittura che gli impresari e le banche sulle loro tv, giornali ecc. si lamentano perché le cose a loro non vanno “proprio” così bene come vorrebbero,  avrebbero bisogno di guadagnare ancor di più! Pazzesco! … Sulle guerre: nella loro verità i ricchi attraverso i loro media ci dicono che le guerre sono causate da nemici cattivi, persone malvagie che vogliono farci del male. Ci dicono che l’uomo è fatto anche di una parte cattiva e che quindi ci dobbiamo difendere da queste persone nemici cattivi, li dobbiamo sconfiggere, eliminare. Se si va all’approfondimento si scopre un’altra verità. Si scopre che è esattamente come diceva il famoso generale von Clausewitz e cioè che le guerre sono ‘la continuazione della politica con altri mezzi’.  Vale a dire che i ricchi non si fanno nessun scrupolo, quando gli affari non vanno bene, a passare dalla politica di pace alle guerre per eliminare la concorrenza e così continuare ad ottenere guadagni. Ma nessun commentatore, giornalista o politico, ma proprio nessuno, dice questo, solo noi marxisti!  ! La malvagità e la cattiveria delle persone con le guerre non ha assolutamente niente a che fare, è solo una invenzione dei ricchi per coinvolgerci, trascinarci a sacrificarci ancora una volta per i loro interessi. La realtà è, che è il sistema ad essere perverso, malvagio, da cambiare!”

Dom: - Quindi dici, si può arrivare bene a capire?

 

Risp: - “Ma certamente! Però non bisogna fermarsi ad ascoltare le tv, i giornali, ecc. cioè i cosiddetti mezzi di informazione e i politici ecc. Bisogna aver chiaro che sono i portavoce del padronato, cioè dei ricchi. Bisogna andare oltre. Noi come proletariato che miriamo al superamento di questa società piena di contraddizioni abbiamo assolutamente bisogno DI CAPIRE! Capire come funziona il sistema! E il marxismo è senz’altro la chiave d’interpretazione, l’ottimo e adatto strumento per questo scopo.  Di conseguenza abbiamo la possibilità di capire come poi ci dobbiamo organizzare per arrivare alla società superiore. Noi come proletariato possiamo arrivare ad avere la verità reale, la NOSTRA verità!

 

  

ELEZIONI AMERICANE:

HILLARY CLINTON E DONALD TRUMP

 

- LA GRANDE BORGHESIA AMERICANA SCEGLIE IL SUO TIMONIERE POLITICO-

 

 

Si è svolta sia nel partito democratico che nel partito repubblicano la campagna per le primarie dove sono stati scelti  i candidati che poi si scontreranno nella campagna elettorale ufficiale per la presidenza degli Stati Uniti .

I prescelti com’è noto sono per i democratici Hillary Clinton e per i repubblicani Donald Trump.

E’ sempre bene precisare e ricordare che nella nostra visuale marxista i governi, i parlamenti , i presidenti non rappresentano mai gli interessi dei lavoratori, anche se i lavoratori li votano, ma quelli del padronato. E i presidenti degli Stati Uniti non fanno eccezione.

Interessante è vedere con  quali  caratteristiche i due candidati si presentano per la corsa alla presidenza Usa.

HILLARY CLINTON: è una persona definita dell’establishment politico, con esperienza di governo. Inserita da sempre nel partito democratico, è cresciuta nel partito e ora appartiene alla dirigenza del partito stesso. E’ super esperta in politica e ha le idee molto chiare in politica interna, ma soprattutto in politica estera, che è quella poi che essenzialmente viene richiesta ad un presidente americano. L’alta professionalità della Clinton come futuro presidente rappresenta una garanzia per i grandi gruppi industriali-bancari americani che devono far affari dentro gli Usa, ma anche e soprattutto in giro per il mondo.

DONALD TRUMP: ha già tentato la corsa presidenziale nel 2000 (16 anni fa). Si era presentato come candidato nel partito Reform Party di Ross Perot.  Ma allora fu un flop totale. In seguito ha sostenuto e finanziato ufficialmente il partito democratico. Adesso, dopo essersi iscritto al partito repubblicano (gli statuti prevedono che chiunque può  partecipare alla corsa presidenziale, purchè sia iscritto ad un partito) tenta di nuovo l’avventura. Nei repubblicani si presenta come “outside”, cioè come esterno, vale a dire un uomo che non fa parte della nomenclatura del partito.

Nella campagna per le primarie repubblicane si è presentato con una notevole connotazione populista, non molto rara nella storia delle campagne elettorali americane. Facendo leva sui sentimenti bassi della popolazione ha sostenuto una forte politica razzista e nazionalista con il suo slogan “Make America Great Again” (facciamo di nuovo l’America grande) e punta molto sui difetti degli altri candidati. Ma Trump esprime anche un populismo di sinistra  sostenuto dai democratici quando dice di voler difendere il sistema delle pensioni federale e il sistema sanitario universale (quest’ultimo, in questa campagna per le primarie, portato avanti dal candidato democratico Berni Sanders). Insomma Trump cerca di raccattare voti in tutte le direzioni senza porsi il minimo problema. Però in politica estera, che, come detto, è quella che soprattutto interessa ai grandi gruppi industriali-bancari americani, per il momento non si esprime, oppure dice molto poco.

Nelle primarie repubblicane è riuscito ad eliminare uomini di partito molto influenti come Jeb Bush, Ted Cruz e Marco Rubio , uomini pragmatici con molta esperienza.

Adesso che si dovrà scontrare con la super esperta Hillary Clinton la musica però cambierà, le cose si complicheranno non poco per lui.

Sicuramente, come detto, si dovrà pronunciare chiaramente sul fattore politica estera e sarà soprattutto su questo punto nodale che si vedrà lo spessore politico di Trump. Perché sarà su questo argomento essenziale che i grandi ricchi americani decideranno a chi dare i loro cospicui finanziamenti privati e come, sui loro media, tv, giornali, rimarcare e ampliare i difetti e gli scandali di un candidato, anziché l’altro, tutte cose che saranno determinanti per la vincita delle elezioni.

Essendo Trump nel partito repubblicano un “outside”, un esterno, che non ha fatto nessun preaccordo politico elettorale con le alte dirigenze del partito repubblicano,  la domanda che più frequentemente viene posta è: il partito repubblicano lo sosterrà in questa campagna presidenziale? Già la potente e influente famiglia Bush, che ha dato all’America ben due presidenti repubblicani, ha affermato pubblicamente e decisamente che non lo sosterrà.

E su come questo problematico rapporto tra Trump e i dirigenti repubblicani proseguirà in campagna elettorale possiamo fare, tentare delle ipotesi.  

Domanda: Trump concorderà adesso la sua politica con i vertici repubblicani? I vertici del partito lo sosterranno in campagna elettorale oppure lo rigetteranno sperando in una sua debacle politica in modo da liberarsene definitivamente?

Oppure: i vertici repubblicani si asterranno dal pronunciarsi pubblicamente su di lui e lasceranno i propri iscritti liberi di scegliere di votare o non votare come meglio credono?

 

Avendo ben chiaro che l’elezione di un presidente non ha assolutamente niente a che fare con gli interessi dei lavoratori, ma riguarda la grande borghesia, vale a dire come i grandi imprenditori divisi nelle loro varie componenti e fazioni economiche–finanziarie si muovono e si scontrano tra di loro per dare al futuro governo l’indirizzo che a loro è più conveniente, per noi è interessante e fondamentale osservare e seguire questo aspetto del meccanismo capitalistico, come si manifesta e si sviluppa e chiarirlo con i lavoratori. 


__________________________________________________________________________________________________-

 

 

 

-SCONTRO TRA BORGHESIE-

RIFLESSIONI SULLA POLITICA ESTERA DI OBAMA,

PRESIDENTE A FINE MANDATO.

 

Da che cosa bisogna partire per capire la politica di una potente borghesia imperialistica come quella americana?

Il dominante padronato americano, che ha praticamente vinto da solo la 2° guerra mondiale, dopo 60anni da quell’evento, cioè al giorno d’oggi, si trova in una situazione molto diversa. Adesso stanno emergendo nel mondo altre potenti borghesie: stiamo chiaramente parlando della Cina. Ma altri potenti padronati sono all’orizzonte: l’India con 1 miliardo e 300 milioni di abitanti, il Brasile con 300 milioni di abitanti, l’Indonesia con 200 milioni, ecc.    Perciò è su questa nuova realtà che si dovrà misurare.

La forte borghesia americana quindi si trova di fronte ad un dilemma: com’è possibile salvaguardare i propri interessi, gli affari, i guadagni nel mondo, di fronte a questa nuova situazione?

Questo problema, che ai ricchi americani adesso si pone, in realtà non è una novità nella storia. E’ un po’ il quesito che si presentava  all’imperialismo inglese all’inizio del ‘900, quando allora la Gran Bretagna era la superpotenza del pianeta e anche allora era in atto l’emergere delle nuove potenti borghesie dell’epoca:  tedesca, francese, americana, giapponese. E anche allora il dilemma che si poneva  agli straricchi inglesi era:  con quale di queste nuove borghesie emergenti  bisogna allearsi, con quali scontrarsi, cos’è più conveniente? 

E questo è appunto il contesto in cui adesso si trovano gli imprenditori americani. E muovono tutti i loro presidenti per cercare in questa situazione di trarne il massimo vantaggio o il minimo svantaggio.

Al di la della visione ingenua,in cui si crede che il presidente di una nazione rappresenti gli intessi della popolazione, perché è stato votato dalla popolazione stessa, concetto diffuso a piene mani dai media che appartengono alla borghesia. Il presidente di una nazione, o i governi, sono sempre l’espressione dei ricchi della nazione a cui appartengono e agiscono per perseguire gli interessi di questi. Osservando un presidente o un governo con questa visuale, al di la di tutto quello che viene detto,  si riesce finalmente a capire quello che realmente fa, la logica che segue. 

Obama va visto pienamente in questa visuale.

In America le riviste specializzate riportano  due modi di interpretare e perseguire la politica estera americana: una del presidente Obama e un’altra dell’NSC (Consiglio di Sicurezza Nazionale) che su questa interpretazione concorda pienamente con l’Establishment  di politica estera di Washington di cui fa parte anche Hillary Clinton.

Il NSC e l’Establishment di Washington vedrebbero, nel non forte impegno militare Usa in Medio Oriente diretto da Obama, una caduta di potenza americana, un segnale di debolezza che verrebbe dato ai concorrenti. In pratica l’NSC e l’Establishment propugnerebbero una politica estera Usa più aggressiva nelle “aree di crisi” come il Medio Oriente o l’Ucraina, con maggiore intervento  militare.

Obama non è di questo parere.

Obama, che sulle pagine di “The Atlantic” si definisce un “realista”, pensa invece al contrario dell’NSC  che nell’attuale situazione generale il Golfo Persico non rivesta una così grande importanza per gli interessi vitali futuri americani (cioè dell’imperialismo americano). E’ del parere che è più conveniente concentrarsi e raddoppiare gli sforzi in quei punti del mondo da lui definiti “sensibili”, vale a dire in quelle zone che caratterizzeranno il futuro: l’Asia, la Cina, l’America Latina, l’Africa.

In altre parole la politica imperialistica estera di Obama è nella visuale definita di “più ampio respiro”, cioè rivolta al futuro, rispetto invece a quella dell’NSC e dell’Establishment di politica estera, che sono invece concentrati più su piccoli punti specifici di crisi negli scontri con le altre borghesie.

Il recente accordo TTP (Trans-Pacific Partnership) che comprende Stati Uniti e Giappone e poi Australia, Canada, Cile Malesia, Messico, Vietnam, Singapore, Perù, Nuova Zelanda e Brunei  e il futuro trattato TTIP (Trattato Transatlantico per il Commercio  gli Investimenti)  che abbraccia gli Usa e l’Unione europea,  sono nella politica estera di Obama le vie maestre da sviluppare nell’intento di contrastare e isolare il concorrente asiatico Cina, assieme ai suoi alleati  Brics (Brasile, Russia, India e Sud Africa). Cina, che a sua volta non se ne sta inerme e sigla accordi come il APTA  (Accordo Commerciale Asia Pacifico) con l’India , il Nord Corea, Bangladesh, Laos e Sri Lanka.

Anche le recenti costosissime nuove mega basi militari che gli Usa stanno costruendo in tutta l’Asia  perseguono l’intento del contenimento militare del futuro potente concorrente asiatico cinese. Così descrive la situazione  Marc  Vandepitte sul Le Grand Soir del 22 dic. 2013: “Non si tratta solo di parole. Tutto intorno alla Cina gli USA hanno dislocato truppe, basi militari, punti di appoggio o centri di addestramento in 17 paesi o territori marittimi: Tajiikistan, Kirghizistan, Afganistan, Pakistan, Mare d’Arabia, Oceano Indiano, Stretto di Malacca, Australia, Filippine, Oceano Pacifico, Taiwan, Crea del Sud, India, Bangladesh, Nepal e Malesia. Nuove basi  sono previste in Thailandia, Vietnam e nelle Filippine. Vi è una collaborazione militare con la Mongolia, Uzbekistan, Indonesia e recentemente con la Birmania. Entro il 2020 il 60% della flotta stazionerà nella regione. Se si esamina la cartina geografica non è esagerato dire che la Cina è militarmente accerchiata”.

Dopo le prossime elezioni in novembre vedremo quale sarà la politica estera del nuovo presidente dell’imperialismo americano, se proseguirà sulla filosofia Obama o se perseguirà altre politiche estere.

 

Ma per noi, la pratica della politica estera del presidente uscente Obama, ci dice una cosa estremamente importante: che il futuro è già contrassegnato: si prospetta uno scontro tra titani predoni imperialisti.

-lotta di classe operaia sindacale-

 

 

FORTI PROTESTE OPERAIE IN FRANCIA E BELGIO

 

 

 

La classe operaia di numerosi paesi europei è da tempo sottoposta ad attacco pesante da parte dell’Unione Europea che attraverso i governi che aderiscono all’euro sta introducendo misure peggiorative di notevole portata alle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori. Un attacco così esteso e organizzato a livello continentale contro i lavoratori non lo si è mai visto nella storia operaia europea.

Quando noi marxisti parliamo di Unione Europea intendiamo sempre gli impresari europei, le banche, i ricchi, che sotto la copertura di sigle come “Commissione Europea”, “Banca Centrale Europea”, “Parlamento Europeo”  perseguono i loro interessi.  Non siamo d’accordo con chi sostiene esista un’Europa dei popoli o  un’Europa dei lavoratori. Secondo noi questa è un’idea non reale, smentita ogni giorno dai fatti concreti.  Siamo con Marx quando afferma: ”Il potere politico moderno è solo un comitato che amministra gli affari dell’intera classe borghese”. E gli attuali vertici europei: la “Commissione Europea”, il “Parlamento Europeo”, il “Consiglio Europeo”,  sono “i comitati moderni” con cui gli attuali ricchi europei “ amministrano gli affari”.

Com’è noto, i primi ad essere colpiti  dalle dure misure UE sono stati i lavoratori greci con le loro famiglie. Poi è  toccato a quelli spagnoli, agli italiani e poi ai lavoratori portoghesi. Adesso è il turno dei francesi e dei belgi. Lo scopo della borghesia Ue attraverso i suoi governi è arrivare a modificare in peggio per gli operai il sistema di contrattazione cercando di demolire i contratti nazionali per arrivare a frenare gli aumenti degli stipendi e aumentare i ritmi di lavoro; poi molto pesante è l’attacco alle pensioni e spinge per l’aumento delle tasse sui lavoratori dipendenti con il fine poi di detassare le imprese. Tutto questo, è chiaro, porterà nelle tasche dei già straricchi affaristi europei ulteriori enormi somme di denaro.

Ricchi europei (con i tedeschi in testa) che naturalmente non si fanno nessun problema se con queste misure milioni di famiglie operaie andranno in rovina. Importante per loro è che “Il pareggio di bilancio”, “il contenimento dei debiti statali”, “la riduzione del debito pubblico” ecc. si trasformi nei loro bilanci aziendali in aumenti di miliardi e miliardi di euro, denaro che a loro per vivere  non servirà assolutamente a niente, ne tantomeno per il bene comune!

E’ opinione diffusa che siano i governi di destra che peggiorano le condizioni di vita dei lavoratori, quelli di sinistra no. La realtà ci dice però che non è affatto così! Noi marxisti, che approfondiamo, abbiamo sempre affermato e sottolineato che nel mondo capitalistico-affaristico non esiste nessuna differenza tra governi di destra, centro o sinistra, che la differenza sta solo nel nome e tutti sono al servizio del padronato. Adesso anche i lavoratori europei toccano con mano la dura realtà che i governi sono tutti uguali e contro i lavoratori, perciò lottano aspramente contro qualsiasi forma e colore governativo per difendere i loro interessi.

Interessante è appunto osservare, con quali variegate sigle politiche i governi dell’Europa unita si presentano per far accettare o imporre ai lavoratori la stessa, uguale, politica, delle gravi misure UE:

 

- in Francia:  governo Hollande, sinistra.

- in Belgio:  governo Michel di destra.

- in Grecia:  governo Syriza, estrema sinistra.

- in Italia:  governo Renzi, di sinistra.

- in Spagna: ex governo Rajoy, di destra. (adesso si è in attesa di nuovo governo).

- in Portogallo: Costa al governo, socialista.

 

Osservando questo, è chiaramente confermato che il colore o la sigla governativa non esprime nessuna rilevanza nella battaglia che viene condotta contro i lavoratori. E che il padronato europeo sta usando tutto il possibile per raggiungere i suoi fini di guadagno.

A questo punto è doveroso fare alcune considerazioni: viviamo in un sistema perverso, dove una piccolissima minoranza di ultraricchi ha la possibilità di mandare in miseria milioni di famiglie di lavoratori. Ultraricchi strapieni di soldi che mai sazi sono alla continua e costante ricerca di farne sempre di più, in un ciclo perverso senza fine.

Siamo a fianco dei lavoratori francesi e belgi nelle loro dure proteste e scioperi. Come siamo a fianco dei lavoratori greci, italiani, spagnoli e portoghesi.

 

Però una cosa sta diventando sempre più chiara, evidente: di fronte all’attacco dell’Europa unita contro i lavorati europei si alza la necessità di una difesa sindacale unita europea. Se i sindacati europei vogliono essere incisivi contro il padronato europeo devono unirsi a livello continentale (con i sindacati tedeschi in testa)  e porre una dura e strenua difesa sindacale degli interessi dei lavoratori europei. Rimanendo divisi per nazione, come sta avvenendo adesso, le possibilità di fermare l’attacco UE diventa  estremamente difficile se non impossibile, come purtroppo i lavoratori greci, spagnoli, italiani e portoghesi constatano.


_________________________________________________________________________________________________

 

 

 

 

L’ILLUSIONE DI UN’EUROPA BUONA, PACIFICA,

 

DIVERSA DAGLI ALTRI STATI

 

 

I politici, i giornali e le tv diffondono copiosamente la loro idea di Europa: - in un mondo dove insorgono in continuazione crisi e guerre, fame e povertà, l’Europa è il continente della pace, della civilizzazione, dell’alta cultura-. (se si parla poi con gli americani o con i cinesi si scopre che la stessa cosa viene detta dei loro rispettivi paesi, Usa e Cina!) .

In tutte le drammatiche vicende che attanagliano il mondo –tensioni e scontri tra stati, terrorismo, distruzioni ecologiche, corruzioni, dispotismi, emigrazioni, ecc.-  le tv e i giornali e i politici, innalzano l’Europa a paladina della difesa e della diffusione dei “veri valori” a cui tutti i paesi del mondo si dovrebbero attenere: pace, democrazia, tolleranza, libertà di stampa, di pensiero, di religione, ecc. Non un’Europa dello scontro, ma del dialogo, del senso di responsabilità, della comprensione, il tutto che possa colmare quel vuoto di “valori” di cui il mondo ha bisogno.

Insomma, Europa come panacea del mondo.

Queste litanie vengono ripetute in continuazione.

Anche il papa Bergoglio, argentino, in maggio, nella cerimonia in Vaticano del “Premio internazionale Carlo Magno”, dove per l’occasione erano presenti numerosi capi di governo tra cui la Merkel e Juncker,  si è speso ardentemente a favore del ruolo conduttore dell’ “Europa dei valori”: invitandola a svolgere con più determinazione il compito di guida, di “guida buona”, a “fare di più”, in questo mondo pieno di problemi.

Il papa potrebbe astenersi dall’esprimersi su questi argomenti e invitare i fedeli a dedicarsi solo alla preghiera per guadagnarsi la salvezza dell’anima.

Invece come religione (oppio dei popoli) si pone sempre e ancora una volta pubblicamente al servizio del sistema capitalistico e invita tutti i credenti a schierarsi su queste concezioni.

Se noi osserviamo, in questo richiamo continuo a stringersi attorno a questa Europa “buona”, “dei valori”, questo insieme di soggetti e forze rimarcano per comodo e strumentalmente solo gli aspetti positivi riguardanti l’argomento e tutti i vantaggi che questo processo europeo potrebbe portare.

Nessuna parola sugli aspetti negativi! Non vengono ne accennati ne tantomeno evidenziati! Li tralasciano di proposito, naturalmente. Gli aspetti negativi sono sempre sgradevoli e poco piacevoli da diffondere tra la popolazione.

Ma è bene, realisticamente, andarli a vedere, evidenziarli:

 

-  alle spalle l’Europa ha già due guerre mondiali e di un’infinità di guerre locali.

-  poi la guerra in Yugoslavia del 1995, dove tutte le nazioni (borghesie) europee hanno  partecipato, causando innumerevoli vittime e distruzioni.

-  partecipazione alle guerre in Afghanistan – Iraq. Anche qui con centinaia di migliaia di morti civili e devastazioni.

-  attuale partecipazione nella guerra civile in Siria dove i “buoni” europei assieme ai “potenti” americani e ai   “cattivi” russi bombardano regolarmente, anche qui con causa infinita di vittime civili come “effetti collaterali”.

-  fornitura di armi in tutto il mondo, anche e soprattutto a quei paesi arabi come l’Arabia Saudita dove esiste una dittatura bestiale, con repressioni politiche sanguinosissime e decapitazioni in pubblico.

 

A ben vedere, gli aspetti negativi di questa “Europa dei valori” non sono ne pochi e neanche di poco conto.

Sono forse questi i “valori” a cui i politici, i media, le religioni si richiamano?

Aspetti reali sicuramente da non tacere, nascondere e sottovalutare, ma da analizzare, capire bene e evidenziare.

Ed è sempre bene ripetere e sottolineare, che in questa società, ai politici e ai media, alle tv e ai giornali, ai preti ecc., compete sempre il ruolo di far apparire solo una parte di verità che più fa comodo al sistema, sistema condotto e governato dai ricchi.

Però è chiaro: un’Europa buona non esiste e non potrà mai esistere! 

In un mondo dove chi dirige il tutto è il guadagno, la concorrenza, gli affari, dove esiste il megaricco e l’ultrapovero, (cioè la realtà) non può esistere una nazione “buona”. Non è mai esistita e mai esisterà. Questo è certo! Ci vogliono convincere del contrario, ma la realtà parla così!

Il futuro europeo, cioè il futuro delle borghesie europee, è facile da prevedere. Sarà uno scontro continuo contro  altre borghesie nel mondo, uno scontro senza sosta tra predoni imperialisti per rubarsi l’un l’altro nazioni, cioè fette di mercato, dove svolgere i propri lucrosi affari, dove ottenere lauti guadagni. E questo significherà certo momenti di relativa tranquillità, ma anche come sappiamo produrrà nuove crisi, come sempre anche nuove guerre, esattamente come sta succedendo adesso in Siria, Afghanistan, Iraq, Libia, Yemen. Oppure sarà il continuo scontro degli ultraricchi contro il proletariato, come sta avvenendo in Grecia, Spagna, Italia, Portogallo.

Altro che ruolo guida di “pace”, “civilizzazione”, “cultura”, “tolleranza”! Queste sono le favolette per gli ingenui!

 

La realtà va guardata in faccia, va compresa e ci si organizza di conseguenza. 

MA CHE COS’E’ VERAMENTE  LA DEMOCRAZIA NELLA NOSTRA SOCIETA’?

 

Le persone sono sempre contente quando si parla di democrazia. Appare subito che non esiste nessuna dittatura, ma esiste la libertà: libertà di parola, di voto, di stampa, libertà di associazione, elezioni, parlamenti, esistenza di più partiti, ecc.

Appare tutto come positivo. Ma la democrazia non è solo questo.

La realtà va osservata in tutti i suoi aspetti per poi non rimanere delusi. Quando si affronta un tema importante come la “democrazia” bisogna innanzi tutto aver chiaro il contesto in cui si vive, vale a dire il tipo di società in cui si vive, che per noi significa sistema capitalistico. E sappiamo che capitalismo non significa solo e sempre benessere e cose positive.

Ma per prima cosa, andiamo a vedere da dove proviene la “democrazia”, questo particolare sistema di organizzazione politico-sociale.

E’ ampiamente noto che le prime forme di democrazia (600 a.C.) provengono dall’’antica Grecia e soprattutto dalla città di Atene. Quello che forse è meno noto è che nell’allora forma elettiva democratica, coloro che avevano diritto al voto erano solo un piccola minoranza della popolazione:  potevano votare solo gli uomini in età adulta  con cittadinanza e ne erano esclusi i minori, le donne, la servitù e gli schiavi. Escludendo questi ultimi al diritto di voto, ne risulta che alla fine gli uomini adulti con cittadinanza che potevano votare era “una percentuale oscillante tra il 10 e il 20% dell’intera popolazione” (Wikipedia).

Ma qual’era lo scopo del votare?

Le città greche erano divise in “fazioni Aristocratiche”, le quali si scontravano duramente e sanguinosamente tra di loro per il dominio politico e organizzativo delle città. Dominio che poi veniva mantenuto con dittature molto dure e severe.

Eleggere dei rappresentanti (senatori) appartenenti alle varie fazioni aristocratiche aveva lo scopo di “prevenire le lotte per il potere tra queste diverse fazioni” (Wikipedia), di trovare dei rappresentanti che ottenessero un equilibrio, un compromesso tra i diversi interessi delle fazioni in lotta, senza che una fazione avesse il soppravvento sull’altra e senza il ricorso continuo a scontri armati sanguinosi.

Questo era precisamente lo scopo della forma politico-statale chiamata poi (nel 440 a.C.) “democrazia”, in contrapposizione alle forme dittatoriali.

E questo preciso motivo spiega il perché la servitù, gli schiavi, i minori e le donne erano esclusi dal votare. Perché come componenti sociali non avevano niente a che fare con lo scontro di interessi per la lotta del potere che muovevano le varie “fazioni Aristocratiche” delle città.

E veniamo ai giorni nostri.

Dopo più di 2000 anni la forma politico-statale “democrazia” viene ripresa dal sistema capitalistico.

Le borghesie (i ricchi) che dominano il sistema, all’inizio del sorgere del capitalismo sperimentano le forme “dittatoriali”. Ad un certo punto però, quasi tutte si orientano verso la forma democratica. E’ evidente quindi che per loro la “democrazia” diventa la forma statale più idonea, la migliore, dove perseguire e condurre i propri affari. Già all’inizio del ‘900 Lenin, acutamente e lungimirante, vedeva la democrazia come “il miglior involucro per il capitalismo”. 

Ma perché è la forma statale “più idonea”, il “miglior involucro” e tutte le borghesie adottano questo sistema?

Innanzi tutto bisogna chiarire e precisare che nel sistema capitalistico, cioè nella nostra società, sono le borghesie dominanti che scelgono le forme statali. E’ esattamente come dice Engels nell’Antidühring:  “Lo stato moderno, qualunque ne sia la forma, è essenzialmente una macchina capitalistica, uno Stato dei capitalisti, il capitalista collettivo ideale”.

Quasi tutti pensano che sia la popolazione, il proletariato, a scegliere la forma statale di una nazione. Non è così! Viene fatto apparire così, ma non è così! A determinare le forme statali sono sempre e comunque le borghesie. Prima il padronato decide che forma di stato è più adatta per i suoi interessi, poi la popolazione, cioè il proletariato, viene portato, condotto, convinto attraverso i sistemi di persuasione che le borghesie hanno a disposizione, -media, tv, giornali, politici, esperti, università, scuole, preti, ecc.- ad accettare inconsapevolmente quello che loro hanno già deciso e predisposto.

Prendiamo l’esempio interessante di Hitler! La politica aggressiva di Hitler serviva ai ricchi tedeschi in quel particolare momento per portare la nazione allo scontro, duro, armato contro le altre borghesie. Lui era un pittore sconosciuto, disoccupato e squattrinato, nonostante questo i media dell’epoca – i giornali, radio (naturalmente di possesso delle grandi banche e dei grandi industriali), gli intellettuali,  il clero, ecc. riuscirono facilmente a farlo  accettare alla popolazione come eroe e portarlo poi fino all’osannazione nazionale! (Per poi a guerra perduta mollarlo e screditarlo brutalmente!).

Perché allora la forma “democratica”?

Anche oggi i grandi complessi industriali-bancari che compongono e governano una nazione hanno bisogno di trovare il giusto equilibrio, compromesso, senza doversi in continuazione scontrare tra di loro, anche militarmente. E hanno bisogno che non ci sia sopraffazione di un gruppo sull’altro. Esattamente come avveniva tra le “fazioni Aristocratiche” nell’ antica Grecia e Roma. E la forma democratica è la forma più adatta, la migliore per ottenere questo.

Poi, ai giorni nostri, i grandi padronati, cioè i ricchi, che sono una minuscola minoranza della popolazione (2-3%) hanno anche un altro enorme problema: dominare il proletariato sfruttato, che è l’80-85-90% della popolazione! Lo devono, per i propri interessi, condurre e gestire nei lunghi  momenti di espansione economica, ma anche e soprattutto nei terribili momenti delle crisi economiche e delle guerre causate dagli affari.

E per questo la “democrazia” dimostra funzionare ottimamente! Con il sistema collaudato delle elezioni viene data l’impressione ai lavoratori di essere loro a scegliere le forme di governo, di essere loro a dirigere la società. In realtà è tutta un’illusione! Dopo il voto, il lavoratore che ha dato la sua preferenza, non ha più la possibilità di controllare, gestire, fermare il politico o il partito che ha votato, per cui queste persone sono libere di agire come meglio credono, anche facendo il contrario di quanto promesso in campagna elettorale. E nei lunghi 4-5 anni di legislatura possono così senza tanti problemi seguire le indicazioni e gli interessi degli imprenditori e delle banche, i quali attraversi i loro media (tv, giornali, ecc.) giustificano e fanno accettare alla popolazione quello che i vari governi decidono.

Da questi approfondimenti e considerazioni diventa estremamente chiaro che con le forme “democratiche” i vari padronati hanno ampiamente in mano la società e la conducono a seconda dei loro bisogni.

 

Sarà solo nella società superiore comunista, dove i prodotti saranno suddivisi tra la popolazione e non più venduti per trarne un guadagno (vendita dei prodotti che è la causa delle crisi, delle guerre, dello sfruttamento di una minuscola minoranza sull’enorme maggioranza), che si potrà finalmente trovare quella vera libertà, quella pace a cui tutti aspiriamo: non più sfruttamento, uguaglianza economica, sociale, “vero” voto, sparizione delle crisi, delle guerre.


_________________________________________________________________________________________________

 

 

 

 

Punti fermi della scienza marxista

 

-Riproponiamo qui al lettore un articolo tratto dalle dispense “Teoria e pratica del marxismo” edito da “Lotta Comunista” nel 1996. –

 

 

LA DETERMINAZIONE ECONOMICA SULLA  POLITICA

 

 

Il materialismo dialettico rappresenta la concezione di fondo con la quale affrontare la analisi della società; applicandolo si può ricostituire il meccanismo della determinazione economica della politica.

(…) Alla base di ogni forma di società ci sono gli uomini reali, i quali per vivere devono agire sulla natura per ricavare i mezzi di sostentamento; il modo con cui fanno questo non è sempre lo stesso, anzi, possiamo dire che lo sviluppo della capacità umane nel corso dei millenni è regolato dalla evoluzione degli strumenti di lavoro, dallo sviluppo delle forze produttive del lavoro che passano dall’arco e la freccia  primitivi alla grande industria odierna. Il fine è sempre lo stesso: soddisfare i bisogni degli uomini: diversi sono gli strumenti oltre che, ovviamente, il grado di soddisfacimento dei bisogni.

Queste forze produttive non sono frutto della libera volontà dell’uomo, ma dipendono dalla natura (i materiali con cui si possono costruire gli strumenti) e dal lavoro delle generazioni umane precedenti.

“… gli uomini non sono liberi di scegliere le proprie forze produttive – che sono la base di tutta la loro storia – perché ogni forma produttiva è una forma acquisita, il prodotto dell’attività anteriore. Le forze produttive sono dunque il risultato dell’energia umana pratica; ma questa energia è essa stessa condizionata dalle circostanze in cui gli uomini si trovano, dalle forze produttive già conquistate, dalla forma sociale preesistente, che essi non creano e che è il prodotto della generazione precedente”(Marx, Lettera ad Annenkov, 1846).

Gli uomini trasformano quindi la natura, ma non a proprio piacimento; nel farlo sono condizionati dalla realtà materiale esterna. Inoltre essi non agiscono isolatamente, ma, da sempre, in società, cioè assieme ad altri uomini; quindi, per produrre gli uomini entrano in rapporto tra di loro.

 

“Nella produzione sociale della propria esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti d produzione che corrispondono ad un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali” (K. Marx, Prefazione a  “Per la critica dell’economia politica” – 1859)

Punti fermi della scienza marxista

- Proseguiamo qui nell’approfondimento del falso socialismo,

cioè del capitalismo di stato camuffato da “socialismo”-

 

EX URSS, EX DDR: NESSUN SOCIALISMO DEGENERATO! PERCHE’ IN QUESTI PAESI NON ESISTEVA NESSUN SOCIALISMO!

MA SEMPLICEMENTE CAPITALISMO DI STATO.

 

 

Cosa si intende per “socialismo degenerato”?

Chi ha coniato questa espressione, è noto, è stato Trotskij.

Questo termine è stato poi sostenuto dai trotzkisti, cioè i seguaci di Trotskij.

Per “socialismo degenerato” nell’ex Urss Trotskij intendeva che nella Russia sotto Stalin esisteva  il “socialismo”, ma che una burocrazia altamente corrotta, un estremo accentramento del potere da parte di Stalin con esclusione del proletariato, una gestione dello stato e dell’economia totalmente disastrosa, aveva fatto si che il “socialismo” si “degenerasse”.

Quando si parla di Trotskij si parla senz’altro di un grande comunista, di un grande rivoluzionario. Ha contrastato con tutte le sue forze, fino a rimetterci la vita, la truffa  del “socialismo in un paese solo”  di Stalin. “Socialismo in un paese solo” che, assolutamente irrealizzabile, era solo un  inganno, inventato da Stalin solo per imbrogliare i lavoratori, come la storia dimostra .

Ma proseguiamo nel nostro ragionamento sul “socialismo degenerato”.

E’ ultra noto e universalmente ufficiale che socialismo o comunismo ha un significato ben preciso:  i prodotti non vengono più venduti per trarne un guadagno, ma vengono suddivisi equamente tra la popolazione.

Nella Russia rivoluzionaria, in fase di transizione aspettando le altre rivoluzioni, è noto che i prodotti non venivano ancora suddivisi tra la popolazione, ma  commercializzati, venduti. Quindi economicamente non si poteva parlare di socialismo. In quella situazione il proletariato rivoluzionario era si al potere, ma ancora costretto a gestire un momentaneo capitalismo, capitalismo di stato per l’appunto. 

 

Perché allora Trotskij parla di “socialismo”, “degenerato”,  se nella Russia rivoluzionaria non esisteva nessun socialismo?

A questo punto, con tutto il rispetto che si deve a Trotskij, diventa  evidente che Trotskij non aveva proprio così chiaro cosa fosse il socialismo e quale tipo di economia un proletariato dopo la rivoluzione, giunto al potere, nella fase transitoria, dovesse condurre.

Noi siamo del parere che, senza ombra di dubbio, nella Russia stalinista, dove i prodotti venivano commercializzati, venduti, non esisteva nessun “socialismo”!  Perciò non poteva esistere un “socialismo degenerato”.

Stalin e lo stalinismo rappresentavano la controrivoluzione.  Un cambio di politica radicale, da rivoluzionaria a borghese.                       

Vale a dire da una politica rivoluzionaria internazionale per arrivare alla società superiore senza classi, cioè  quella condotta da Lenin, ad una  politica nazionalistica borghese a capitalismo di stato, quella condotta da Stalin.

Questi punti di cos’è il socialismo o cosa non è il socialismo sono punti fondamentali. Non si possono sottovalutare!

 

Ignorarli significherebbe non capire niente di quello che sta succedendo ed essere in balia di tutte le stupidaggini che vengono dette in giro per il mondo.



Email

Visits

Social

Blog

Home