MARX INDISPENSABILE

PER CAPIRE IL FUNZIONAMENTO

CAPITALISTICO, LE SUE CONTRADDIZIONI, 

E COME ARRIVARE AL SUO SUPERAMENTO 

 

La ricorrenza dei 200 anni dalla nascita di Marx è stata una grande occasione per gli organi della borghesia per screditarne la grandezza e l’importanza scientifica del suo pensiero.

Marx è il rivoluzionario scienziato che per primo ha individuato e evidenziato fino in fondo il funzionamento del sistema capitalistico, il suo ruolo storico, le sue fasi di sviluppo ma anche le contraddizioni e i suoi punti deboli. Ci ha mostrato poi con la 1° Internazionale e i Socialdemocratici rivoluzionari tedeschi i sistemi organizzativi di cui dotarsi per il suo superamento. Un grande nemico quindi per i capitalisti e tutti coloro che ci gravitano attorno.

Per cui si è scatenata una gara tra gli organi borghesi per decantarlo da una parte, ma poi per passare a criticarlo, deformarlo, denigrarlo. Per chi ha letto i vari articoli giornalistici, visto i filmati e i documentari, non ha potuto non osservare come Marx venga presentato all’inizio come un grande personaggio, un maestro, successivamente, ma inevitabilmente, si passa poi alle critiche, alle distorsioni, alle manipolazioni.   

Non potendo citare tanti articoli, per ragioni di spazio, riportiamo come esempio caratterizzante di impostazione e deformazione di Marx da parte dell’establishment, un articolo di ‘Handelsblatt’. Ma come detto, sono infiniti gli articoli e i filmati che con questa caratterizzazione deformata sono stati e vengono proposti. 

Interessante è come l’articolo viene presentato. All’inizio, dopo aver dato un’introduzione con un titolo altisonante e avvincente: ”PERCHE’ KARL MARX E’ ANCORA ATTUALE’’, per la descrizione e illustrazione del grande scienziato vengono intervistati e riportati i pareri di professori, scrittori, sociologi di varie nazioni che si proclamano essere ‘marxisti’. I quali però non descrivono (e questo accade esattamente anche negli altri film, documentari o articoli) i concetti fondamentali della teoria marxiana, ma si dilungano copiosamente a critiche su vari dettagli delle idee di Marx, citandole come superate, non più attuali, teorie di altri tempi, ecc. Al contrario viene invece elogiato il capitalismo come società del benessere, dove anche il proletario, che ai tempi di Marx era povero, adesso sia benestante, si parla dell’integrazione operaia nella società e cose di questo genere. Leggendo l’articolo si capisce chiaramente che i cosiddetti intervistati ‘marxisti’, di Marx non conoscono quasi niente, ma solo per sentito dire. Persone colte ma che non hanno la minima idea di come il grande rivoluzionario abbia descritto il funzionamento della società, come essa si muova e sviluppi a cicli, con momenti di relativo benessere ma sempre con l’obbiettivo del profitto ad ogni costo e la relativa catastrofica concorrenza, lo sfruttamento, gli scontri, le crisi e le guerre. 

Questi scrittori persone colte, che vivendo attualmente in una fase di sviluppo capitalistico con un certo benessere per le masse criticano il marxismo, non si accorgono che le loro critiche -oltre che corrispondere agli stessi giudizi negativi che i ricchi capitalisti portano su Marx- sono le stesse a fotocopia fatte a Marx all’inizio del ‘900 dai famosi revisionisti Bernstein e Kautsky. E che anche allora (come adesso) vivendo Bernstein e Kautsky in una fase espansiva pacifica e di progresso, sostenevano -prendendo ovviamente un grande abbaglio- che Marx si era sbagliato nel valutare il capitalismo. Perché grazie allo sviluppo, affermavano, che le crisi capitaliste pronosticate da Marx non sarebbero più sopraggiunte. Ripetevano che il capitalismo era diventato più maturo e saggio rispetto ai tempi del grande rivoluzionario, e che il capitalista grazie allo sviluppo, all’esperienza e le capacità poteva gestire e superare le contraddizioni e le crisi. Quindi non bisognava aver paura. Per cui il proletariato si era adeguato e adagiato alla società capitalistica, aveva abbandonato la lotta di classe, pensava solo ai soldi, ecc. ecc. 

In sostanza le banalità di allora vengono ripetute oggi nell’articolo di Handelsblatt da questi signori considerati ‘marxisti’ (Starreder Thomas Piketty scrittore, Jonathan Haskel professore all’Imperial College a Londra, Craig Calhoum, Nick Smicek, Streek Entwicklungen sociologo). Intellettuali che comodamente seduti nelle loro poltrone, senza nessuna esperienza pratica, scrivono saggi e libri su Marx, organizzano seminari e conferenze. 

Noi pensiamo che l’articolista dell’Handelsblatt per questo suo importante articolo ‘‘PERCHE’ KARL MARX E’ ANCORA ATTUALE’’ avrebbe dovuto intervistare attivisti, militanti o dirigenti delle numerose organizzazioni marxiste antistaliniste -che si richiamano a Lenin o a Trotzkij- esistenti in Europa ed altrove. Le quali avrebbero potuto portare un’opinione e dare una spiegazione diversa e concreta del ‘‘PERCHE’ KARL MARX E’ ANCORA ATTUALE’’. E che, da competenti sull’argomento quali sono, scrivono libri e articoli, organizzano seminari e conferenze.  Sarebbero fiere e disponibili di contribuire all’articolo di Handelsblatt con temi interessanti e coerenti, essendo organizzazioni che vivono in prima persona e giorno per giorno il marxismo, lottano e combattono il capitalismo e toccano con mano la veridicità delle tesi di Marx. Ma il giornale Handelsblatt, come del resto tutti i mezzi di opinione dell’establishment borghese, preferisce intervistare intellettuali inesperti critici a Marx, che fantasticando un mondo buono, con qualche contraddizione certo, ma benigno, sostengono (non avendo la minima idea in che mondo viviamo, come i vari Bernstein e Kautsky all’inizio del ‘900) che il capitalismo può portare solo pace e benessere.   

L’INTERVENTO MILITARE DELLA GROβE KOALITION

IN MALI 

 

 

Anche il governo di Groβe Koalition di Berlino ha deciso di inserirsi nella guerra in Mali. L’esercito tedesco ha preso posizione nel paese africano per sostenere il governo in carica -supportato già dai militari francesi- contro le minoranze etniche soprattutto tuareg, che si oppongono al regime. Un contesto, dicono le fonti, dove la guerra potrebbe velocemente subire un’escalation, come accaduto in Afghanistan (dove l’esercito tedesco ha recentemente aumentato le sue truppe).   

L’intervento militare viene giustificato con “la lotta al terrorismo”, ma in realtà il Mali è ricco di“giacimenti di fosfati, oro, uranio, ferro, bauxite, manganese e sale … Molto più modesti sono i giacimenti diamantiferi situati nel sud-ovest del paese” (Wikipedia), quindi un buon bocconcino per le potenze imperialiste. Perciò anche la borghesia tedesca ha deciso di inserirsi nel gioco. Come tutte le borghesie sta cercando zone nel mondo dove espandersi, sia militarmente che affaristicamente. Un’esperienza imperialista di espansione estera che i ricchi tedeschi conoscono bene, avendola già vissuta nel passato e che ha portato alle note conseguenze catastrofiche hitleriane.

I governi di Groβe Koalition al servizio della propria borghesia, non solo si sono introdotti militarmente in Mali, ma intervengono già attivamente anche in Siria, Afghanistan e nei Balcani. Una presenza militare che sta aumentando progressivamente e in zone anche molto rischiose.  

Ovviamente la Groβe Koalition sostenuta dall’entourage politico, giornalistico, economico, chiesa e quant’altro, non paleserà mai, come sempre in questi casi, che l’intervento militare estero è dovuto per ragioni affaristiche, che andranno solo ad uso e beneficio di banche e ricchi industriali. No. La storia insegna e dimostra, che l’establishment trova sempre un “nobile” motivo per giustificare l’intervento militare e poter così coinvolgere l’intera popolazione nell’azione. Possiamo portare diversi pretesti di motivi “civili” usati per ‘coprire’ le varie guerre: la guerra degli Usa in Viet-Nam era per portare le pace (nel paese esisteva uno conflitto tra nord e sud); l’intervento militare europeo in Jugoslavia nel ‘91 era per difendere la “civile” regione Croazia che si stava staccando militarmente dal resto della “barbara” Jugoslavia (sotto influenza russa), per passare in quella occidentale. La nota guerra Usa in Iraq era per distruggere il gas nervino (mai ritrovato); la recente guerra per l’indipendenza in Crimea è stata giustificata dai russi per difendersi dall’espansionismo occidentale; e così via. E’ proprio compito dei governi inventare le false giustificazioni. Fasulle certo, ma che devono apparire “civili”, “umanitarie”, “nobili”, per motivare poi i morti, i disastri, le stragi che ne conseguiranno.

Adesso la nuova cinica moda per andare in guerra è “la lotta ai terroristi”. Tutte le guerre adesso sono contro i fondamentalisti islamici. Per motivare le azioni militari vengono mostrate le foto delle loro crudeltà  (tenendo però naturalmente ben nascoste le proprie – i bambini, le donne e vecchi, che a centinaia di migliaia muoiono sotto le bombe). Una diversa motivazione di intervento militare è stata invece recentemente portata dal governo italiano, che l’anno scorso (2017) in un ipotetica azione militare in Nigeria motivava l’azione bellica con la lotta contro i “trafficanti di droga”. 

 

NATURALMENTE PIU’ INTERVENTI MILITARI RICHIEDONO PIU’ SOLDI 

Per la legislatura in corso il ministro delle finanze Olaf Scholz aveva “pianificato nel suo Programma di Bilancio solo 5,5 miliardi in più per la difesa” riporta il ‘Tagesschau’ del 29 aprile. Per il ministro della difesa Von der Leyen questa cifra era assolutamente insufficiente: “Esige altri 12 miliardi in aggiunta”..“più del doppio di quello che il ministro delle finanze Olaf Scholz prevedeva nel Progetto”  continua il ‘Tagesschau’. In pratica nel bilancio del 2019 “Le spese per la difesa devono salire da 42,4 miliardi di euro a 45” (Ibidem). Sono i fondi necessari di cui l’imperialismo tedesco attraverso il governo di Grosse Koalition ha bisogno per svolgere i compiti militari e sostenere le piccole  guerre estere in cui è impegnato.

I soldi per l’aiuto ai giovani, alle famiglie, agli anziani, il governo non riesce mai a trovarli, ma per le spese militari, per i conflitti, quelli si trovano sempre e subito.  Anche l’imperialismo tedesco, dopo una lunga pausa, si sta ributtando nella mischia guerrafondaia.


 

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Sondaggio condotto da Civery riporta:

I LAVORATORI E I GIOVANI TEDESCHI NON VOGLIONO L’HARTZ IV

PADRONI E PADRONCINI (ovviamente) INVECE SI

 

 

 

Solo il 31% dei tedeschi si esprime a favore dell’Hartz IV riporta l’agenzia di indagine sociale ‘Civery’.  Scrive “Der Spiegel” il 4 aprile:“poiché un’indagine rappresentativa dell’Istituto di Ricerca di Opinione ‘Civery’ commissionata da ‘Spiegel’, dice chiaramente: 6 su 10 degli intervistati vogliono delle modificazioni sostanziali all’attuale sistema Hartz IV, solo il 31,4% lo vogliono mantenere”. In altre parole, solo 1 persona su 3 è d’accordo con la legge, la maggioranza della popolazione o la vuole togliere definitivamente, o è negativa nei suoi confronti.

L’indagine per “Der Spiegel” prosegue anche nell’analizzare come l’Hartz IV (un sistema di regole che si occupa di disoccupati a lungo termine, sottoccupati, lavoratori stagionali, precari) sia rifiutata della maggioranza degli elettori di tutti i partiti ad eccezione nella CDU, CSU e FDP, dove una stretta maggioranza ne è a favore. Prosegue ‘Der Spiegel’:“Tuttavia l’Hartz IV non viene rifiutato dalla maggioranza dei sostenitori di tutti i partiti. Si presenta un chiaro dispiegamento: relativamente gli elettori della CDU, CSU e FDP vogliono in stretta maggioranza attenersi all ‘Arbeitslosengelts 2‘ [nome di legge dell’Hartz IV], tuttavia anche qui il 40% è per modificazioni sostanziali. I sostenitori di tutti gli altri partiti, più o meno, sono per la fine dell’Hartz IV”. 

Non solo le masse lavoratrici si dicono contrarie alla legge, ma anche alcuni dirigenti dell’SPD (socialdemocratici), dei Grünen (Verdi) e della Linke (la Sinistra) si contrappongono. Continua ‘Der Spiegel’: “Chiudere con l’Hartz IV’, esige il capo del governo regionale di Berlino Michael Müller. ‘Abbiamo bisogno di un’alternativa all’Hartz IV’ sostiene Ralf Stegner, vicecapo SPD. Anche il capo dei Grȕnen Robert Habeck dice: ‘Il tempo dell’Hartz IV è passato‘. E la Linke è in ogni caso per l’abolizione dell’ Arbeitslosengelts 2 denominata Hartz IV”.   

I dirigenti SPD che oggi criticano gli effetti negativi dell’Hartz IV dimenticano di chiarire che proprio l’SPD l’ha voluta con forza, con l’allora (2005) capo di governo SPD Schröder. Una legge molto peggiorativa per i lavoratori, ma che avvantaggia non poco il padronato tedesco. Anche nella recente campagna elettorale il candidato SPD Schulz, nel tentativo opportunistico di recuperare voti, aveva criticato gli effetti dell’Hartz IV, ma le modificazioni che assieme ai vertici SPD aveva proposto erano talmente banali, inconsistenti e di facciata, che nessuno gli ha creduto.

 

 

Molti giornali hanno riportato l’esito dell’indagine. Ma nessuno è entrato nei contenuti, spiegando come mai la popolazione ne sia così contraria, sia così ostile all’Hartz IV. Nell’indagine, chi ne è fortemente opposto risultano esserne naturalmente proprio i lavoratori, i giovani e anche, a sorpresa, una parte consistente di pensionati e professionisti che lavorano in proprio. Non è un caso che siano proprio queste categorie ad opporsi, poichè quella che viene definita la famigerata legge Hartz (dal nome del suo ideatore, Peter Hartz) ha avuto il compito di dilatare a dismisura il lavoro precario, rimuovendo la limitazione della durata del lavoro interinale (lavoro a chiamata) che prima aveva un limite massimo di 2 anni, aumentare la quantità e l’accettazione del lavoro temporaneo, aumentare i posti di praticantato e apprendistato, ecc. E’ ovvio che padroni e padroncini sono andati a nozze con questa legge.

Ed è anche ovvio e comprensibile perché i giornali non riportano le forti motivazioni della contrarietà dei lavoratori e dei giovani alla legge: perché i giornali appartengono alla grande imprenditoria, che ovviamente è a favore dell’Hartz IV. Quindi i giornali non sono e non possono essere imparziali, ma sempre di parte, dalla parte appunto dei loro ricchi proprietari.

I salariati e giovani che sono fermamente contrari a questa legge, non possono, ovviamente sperare che i partiti la possano modificare o togliere. I partiti difendono gli interessi della borghesia, e il gioco consiste che quando sono all’opposizione la criticano severamente, ma quando poi arrivano al governo la sostengono senza indugio (come accade in tutta Europa).

Per cambiarla veramente o toglierla, se ne devono prendere in carico direttamente il sindacato e le organizzazioni giovanili e combatterla. L’esperienza dimostra che solo forti, continue, ed estese lotte sindacali e sociali sono in grado di eliminare o modificare leggi volute fortemente dal padronato, non i partiti. Su questo ci si deve indirizzare, ed è su questo che come comunisti operiamo.

-SCONTRO TRA BORGHESIE-

LITE  TRUMP-MERKEL

Trump minaccia di alzare i dazi alle importazioni europee in Usa. Contesta a Berlino di non pagare per intero le quote delle spese NATO e critica la Germania per il legame troppo stretto con la Russia di Putin

 

15 maggio 2018

 

Così il ‘Tagesschau’ del 20 aprile 2018 nel sottotitolo ‘LITE CONTINUA CON GLI USA”:“Il tema delle spese per la difesa non minaccia solo di diventare lite nella Groβe Koalition. La politica estera offre sempre soprattutto agli USA il pretesto di critica alla politica tedesca. Prima ancora che la cancelliera Angela Merkel fosse accolta alla Casa Bianca il presidente degli Usa Donald Trump ha punzecchiato: la Germania paga per la difesa solo l’1% del Pil, l’America paga quasi il 4%. Gli Stati Uniti sopportano 80% dei costi NATO. Dal punto di vista del presidente Usa un ingiusto fardello. Il tema suonava uguale nell’incontro di Trump con la Merkel lo scorso anno: in quell’occasione Trump accusava la Germania di essere debitrice alla NATO di enormi somme”.   

L’evidenza dimostra che negli ultimi mesi l’attività in politica estera del presidente Trump ha subito una notevole accelerazione: innalzamenti dei dazi doganali alla Cina per centinaia di miliardi, bombardamento missilistico sulla Siria, minaccia di aumento dei dazi doganali per l’Europa, uscita dall’accordo sull’atomico con L’Iran.

Nel recente documento di gennaio, il “National Defense Strategy”  (il documento di Difesa Strategica Nazionale americano) l’Amministrazione Trump dichiara apertamente Russia e Cina come “primo pericolo” per gli Stati Uniti. Non era mai avvenuto prima. L’innalzamento dei dazi contro la Cina quindi, il bombardamento contro la Siria come avvertimento alla Russia e la rottura dell’accordo sull’atomico con l’Iran - paese sotto protettorato russo, vengono interpretati in questa prospettiva di Cina e Russia come “primo ostacolo”. Ma la minaccia di alzare i dazi contro l’Europa sembra non aver alcun senso in questo schema, essendo gli europei alleati degli Usa.

Sono sorte quindi le interpretazioni. 

E’ nei fatti che Trump sta alzando lo scontro contro Russia e Cina. Questo spiega l’aumento considerevole della spesa militare dell’Amministrazione Usa già messa in programma. In contemporanea si assiste alla chiamata di Trump ai paesi aderenti NATO per una maggiore coesione e unità militare. Lo scopo del presidente è coalizzare un forte blocco anti cinese-russo. Su questo obbiettivo Trump sta premendo perchè tutti gli alleati NATO aumentino le loro spese militari, spingendo perfino il Giappone a riarmarsi permettendo al governo di Tokio di modificare la Costituzione che, dopo aver perso la 2° guerra mondiale, su imposizione Usa prevede il divieto di riarmo. 

La polemica e la pressione di Trump contro la Germania, che si dimostra indecisa nell’aumento della spesa militare sul Pil e di coprire le quote di spese NATO (come riporta il ‘Tagesschau’), rientra senz’altro in questa logica di stringere il blocco anticinese-russo. E in questo contesto la minaccia dell’aumento dei dazi Usa contro l’Europa, ma soprattutto contro la Germania, viene usata da Trump, come gli esperti ritengono, come strategia, sistema di ricatto, per indurre l’imperialismo tedesco a seguire senza esitazione le pressioni Usa di riamo nazionale e gli obbiettivi americani.

 

MA UN FORTE OSTACOLO ALLA STRATEGIA TRUMP ANTI-CINA E RUSSIA E’ IL LEGAME DI FAVORE ECONOMICO-POLITICO ESISTENTE TRA I GRANDI GRUPPI ECONOMICI-FINANZIARI TEDESCHI E LA RUSSIA. 

 

E’ stato per questo motivo, per non incrinare il vantaggioso rapporto con la Russia e i grassi affari che ne derivano, che i governi tedeschi si sono astenuti di seguire l’America nell’invasione dell’Iraq nel 2003, essendo allora Saddam Hussein grande amico e ben collegato ai russi. Così come durante la guerra civile in Ucraina nel 2016, il governo tedesco, pur appartenendo allo schieramento degli occidentali, si è opposto decisamente, fermandolo, all’intervento militare Nato a fianco del governo ucraino di Kiev filoccidentale, contro i separatisti ucraini della regione del Donbass, essendo i separatisti sostenuti dai russi. Anche recentemente il governo di Berlino, all’inizio della guerra in Siria, si è astenuto dall’intervenire a fianco degli Usa e occidentali, i quali con il pretesto di combattere gli jihadisti in realtà combattevano contro il governo siriano di Damasco sostenuto apertamente dai russi. Solo quando Russia e Stati Uniti si sono accordati per la spartizione della Siria, solo allora la Groβe Koalition di Berlino ha dato il via libera al proprio intervento militare in Siria. 

In sostanza, ogni qualvolta in una guerra, direttamente o indirettamente, la NATO combatte contro la Russia, i governi tedeschi si sono sempre opposti ad intervenire militarmente contro Mosca.

Come prima Obama, adesso anche Trump prova a incrinare il forte rapporto Germania-Russia. Trump è senz’altro più motivato rispetto Obama in questo obiettivo, visto che adesso gli Usa hanno dichiarato apertamente Russia e Cina come “pericolo principale” per gli interessi americani nel mondo.

Le tensioni tra gli imperialismi si stanno chiaramente accrescendo. Anche i marxisti devono intensificare la formazione delle organizzazioni rivoluzionarie per prepararsi ai momenti catastrofici che inevitabilmente le sfide tra imperialismi causeranno.


 

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-SCONTRO TRA BORGHESIE-

CINA E PAESI BRICS ESIGONO:

IL POSTO CHE ASPETTA LORO NEL MONDO

 

 

Il presidente cinese Xi Jinping non perde occasione nei vertici nazionali e internazionali per decantare lo sviluppo, i successi, la grandezza della Cina e di conseguenza esigerne lo spazio politico che le aspetta nel mondo.

La Cina è diventata un colosso economico. Si è evoluta a potenza imperialista. E come tale, come tutte le potenze imperialiste emergenti (come nel passato Germania, Giappone, Stati Uniti) comincia a sgomitare per cercare maggiore ruolo e dominio sul pianeta per la realizzazione del profitto. Sgomitare nel mondo significa inevitabilmente urtare gli interessi degli imperialismi concorrenti già esistenti. E porsi in un gioco di scontro. I vertici cinesi questo lo sanno.

In marzo, a Pechino, nel discorso di chiusura all’Assemblea nazionale del Popolo che lo ha rieletto per la seconda volta presidente, Xi Jinping ha elencato le diverse fasi economiche che il gigante asiatico ha dovuto attraversare nel suo sviluppo, definendole “un miracolo dopo l’altro”.  L’Assemblea del Popolo è stata anche l’occasione per riaffermare e ribadire il prossimo obiettivo, il prossimo “miracolo” cinese: “entro il 2035 dovrebbe portare il dragone nella modernità compiuta, a livelli di benessere comparabili a quelli degli Stati Uniti” (Repubblica – 20 marzo 2018). Ma, spiega Xi, per ottenere questo successivo “miracolo” il paese [ cioè, l’imperialismo cinese] ha bisogno chiaramente di più spazio nel globo, perciò rivendica ed esige “il posto che alla Cina spetta nel mondo”. Ovviamente, com’è prassi, “il posto che spetta” si afferma volerlo raggiungere con metodi “pacifici” e senza “cercare espansioni o egemonia” verso le altre nazioni. Però, precisa Xi, se fosse necessario “siamo decisi a portare anche battaglie sanguinose contro i nostri nemici” (Die Zeit - 20 marzo 2018). 

Sono frasi che l’umanità conosce molto bene nello scontro tra imperialismi: ipocrisie su dichiarazioni di pace, ma concrete attuazioni pratiche con interventi militari e disastri senza limiti.  

Possiamo addirittura già registrare oggi, a pochissimi mesi dalle solenni dichiarazioni pronunciate al congresso cinese di marzo, che il governo imperialista del dragone ha già modificato alcune sue affermazioni di non aggressività. Ci riferiamo agli intenti del primo ministro cinese Li Keqiang, che in chiusura dell’importate riunione aveva affermato: “Non è nostra intenzione avere un surplus o una guerra commerciale con gli Stati Uniti” e poi aggiunto“ridurremo le tasse sulle importazioni straniere” (Repubblica –ibidem), ma che oggi invece, come risposta ai dazi Usa, si assiste altrettanto da parte di Pechino, al forte aumento dei dazi su merci importate dall’America.

 

VERTICE BRICS a XIAMEN – sett. 2017

(BRICS:  Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa)

 

Vertice di Xiamen: il brasiliano Michel Temer, il russo Vladimir Putin, Il cinese Xi Jinping, il sudafricano Jacob Zuma e l'indiano Narendra Modi (Lapresse)
Vertice di Xiamen: il brasiliano Michel Temer, il russo Vladimir Putin, Il cinese Xi Jinping, il sudafricano Jacob Zuma e l'indiano Narendra Modi (Lapresse)

 

Le dichiarazioni e le intenzioni del presidente cinese di marzo riprendono in realtà e perseguono la politica e gli obbiettivi di quanto dichiarato dai presidenti dei paesi BRICS al vertice di settembre 2017 a Xiamen in Cina.   I giornali internazionali hanno parlato molto dell’evento e alle dichiarazioni dei partecipanti: “Brics, via al vertice. Cina e India si candidano a guidare la globalizzazione” titola il giornale “Il Messaggero” il 2 sett. 2017. Altre giornali riportano i punti salienti del discorso di apertura del presidente cinese, ossia che i paesi Brics auspicano ad “una partnership più forte per un futuro più brillante”, vogliono un “ordine mondiale più giusto”, affermano che “dobbiamo lavorare assieme per affrontare le sfide globali” ed si esige di “contare di più nelle istituzioni internazionali”. Sono dichiarazioni e sfide lanciate, senza mai menzionarli, a Stati Uniti e paesi europei, che attualmente dominano l’ordine mondiale. Sfide e affermazioni che non sono rimaste semplici parole, ma che nei primi mesi di quest’anno hanno visto il suo primo passaggio a fatti concreti.

Ci riferiamo, com’è noto, al 26 marzo, dove gli imperialismi cinese e russo hanno lanciato sul mercato internazionale il petro-yuan, una valuta commerciale cinese con l’intenzione dichiarata di sostituire i petro-dollari nel pagamento del petrolio grezzo, competendo e sfidando apertamente Washington. Una provocazione senza precedenti e inaccettabile agli occhi Usa.

La reazione dell’Amministrazione Trump è stata subito immediata e decisa: alzata considerevole dei dazi doganali sull’import cinese per il valore di parecchie centinaia di miliardi di dollari; attacco missilistico contro la Siria come avvertimento alla Russia.

La controrisposta cinese non si è fatta però attendere, a sua volta alzando, come detto, i dazi sulle importazioni americane.  

Una nuova e feroce lotta tra due schieramenti imperialisti è perciò cominciata.  E’ cominciata … ma nessuno sa a che sviluppi potrà arrivare. 

YEMEN:

UNA GUERRA ANCORA

 

Guerre in Siria, Iraq, Libia, per non parlare di Afghanistan e  Yemen appunto, Sudan, Ucraina, Mali, ecc. volute e cercate dai paesi “civili” occidentali per allargare le loro “sfere di influenza” e spartirsi i lucrosi mercati di nazioni periferiche, prendendo a pretesto “la lotta contro il terrorismo”.

 

Lo scontro tra le ricche borghesie per la spartizione del mondo è incessante. Mentre all’interno dei propri paesi i vari governi imperialisti propagandano concetti di democrazia, giustizia, uguaglianza, civiltà, ecc. all’estero nei paesi in via di sviluppo conducono, su commissione dei capitalisti per favorirne gli interessi, a secondo del momento e dell’interesse,  atti di inciviltà inauditi, fomentando guerre civili tra etnie e religioni con lo scopo di accaparrarsi, portare nella propria zona di influenza più nazioni possibili. E’ la natura della violenta società capitalista, anche se si vuol far credere il contrario. Ed è nella natura del controverso capitalismo che prima o poi anche le nazioni imperialiste “civili” avanzate saranno coinvolte e trascinate nel vortice bellico, come già due guerre mondiali ci stanno a dimostrare.

Ovviamente i ricchi imprenditori e banchieri di ogni nazione che dietro alle scene dirigono i governi non possono sbattere in faccia alla popolazione proletaria questa terribile e angosciosa verità. Devono come sempre, trovare delle motivazioni, delle scuse che giustifichi il loro comportamento bellico e crudele all’estero, devono costruire sempre un “cattivo” da innalzare, che giustifichi i massacri da loro condotti.  La ricerca evidenzia però che sono proprio le borghesie più potenti che si inseriscono di proposito nelle contraddizioni dei paesi periferici per trovare il pretesto di entrare in guerra e portarseli militarmente nella propria sfera di influenza.

Oggi coprono i loro veri scopi di conquista con la motivazione della guerra “contro il terrorismo”,ma nel passato le scuse per entrare in un conflitto sono state anche tra le più assurde e ridicole, come far la guerra “per portare la pace”, o sconvolgere una nazione per “portare la democrazia” o“la civiltà”, “i valori superiori” ecc. come tutti sappiamo.  

Nello scorso numero abbiamo trattato l’Afghanistan.Oggi ecco l’ennesima guerra: lo Yemen. Wikipedia riporta essere iniziata nel 2015, fonti russe (Sputnik) dicono nel 2014.

Come altre guerre in corso – Siria, Iraq, Afghanistan, Libia, Sudan, Mali, ecc. - anche il conflitto in Yemen è il riflesso dello scontro –ovviamente non apertamente dichiarato- tra la sempre più potente borghesia cinese in forte ascesa che cerca nuovi mercati di sbocco e le potenze occidentali coalizzate che cercano in tutti i modi di ostacolare l’espansionismo cinese.

Lo scontro militare in Yemen infatti si presenta un po’ a copia della guerra in Siria. Anche in Yemen difatti troviamo la contrapposizione dei due schieramenti: da una parte gli occidentali con a capo gli Usa che usano l’Arabia Saudita come grimaldello per finanziare, armare, usare nello scontro l’etnia yemenita sunnita del presidente Hadi. Dall’altra la borghesia russa, sostenuta dalla Cina, che usano gli iraniani per fomentare, finanziare, armare l’altra grande etnia, gli Huti-sciiti. Si noti che entrambi i due gruppi etnici che vivono da sempre in Yemen e si stanno trucidando per il controllo del territorio, sono musulmani, entrambi di fede fondamentalista islamica, con lo stesso Dio che, si dice, predichi l’amore, il rispetto, la fratellanza, la tolleranza.   

Fino ad oggi, fini agli ultimi decenni, i vari gruppi etnici yemeniti hanno vissuto relativamente in pace, con scarsi scontri reciproci, trovando alla fine sempre accordi sulla gestione del paese. Ma con l’intervento delle grandi potenze tutto è improvvisamente cambiato. In pratica la guerra che ha imperversato per spartirsi la Siria e l’Iraq, adesso si è estesa allo Yemen.

La storia del conflitto. Riportiamo quanto viene presentato da Wikipedia:

In pratica, ad un dato momento del 2014, l’etnia sciita Huti sostenuta dagli iraniani, non ha più riconosciuto il governo ufficiale del presidente sunnita Hadi, involvendo la situazione in una cruenta guerra civile. La forte opposizione all’insurrezione da parte del presidente Hadi e dei suoi sunniti con l’appoggio dell’Arabia Saudita ha provocato di conseguenza la spaccatura del paese in due, con l’instaurazione di due capitali. Lo scontro armato è poi proseguito con fasi alterne, fino ad oggi dove si è insabbiato in una empasse di stallo. 

Le accuse reciproche di interferenze esterne, massacri, soprusi, com’è uso purtroppo in queste situazioni non si contano. Ogni borghesia cerca di nascondere i propri orrori e di mostrare quegli altrui. Il capitalismo funziona così. Nella società dominata dai capitalisti la pace è solo uno dei momenti dell’andamento. Nel naturale ciclo capitalista per la ricerca del profitto anche le guerre sono una costante.


 

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-STUDIO SULLA SITUAZIONE NELLA CHIESA CATTOLICA-

GUERRA PER BANDE IN VATICANO 

 

USO DEGLI SCANDALI SUI PRETI PEDOFILI COME LOTTA POLITICA TRA LE FAZIONI DI CARDINALI PER ELIMINARSI A VICENDA

                                                                                                                                                                      20 gennaio 2018

 

 

“Dio è amore, fratellanza, tolleranza, giustizia, povertà”. E’ “l’oppio per i popoli” così ben citato da Marx. La realtà: nelle organizzazioni religiose, tutte senza esclusione di sorta, che con tanta veemenza distribuiscono “l’oppio dei popoli”, vige da sempre una lotta senza quartiere per la gestione delle finanze, il controllo del potere, la direzione dell’organizzazione. La chiesa cattolica non fa eccezione.    

Mentre le chiese musulmane si stanno trucidando sanguinosamente tra di loro in Medio Oriente con centinaia di migliaia di vittime, in Vaticano si sta attraversando ormai da decenni una crisi profonda di notevoli proporzioni, causa la forte diminuzione di partecipazione dei fedeli e il crollo di vocazioni di preti. In questa rovinosa situazione solo i vescovi se la passano comodamente bene, mentre i preti sono sovraccarichi di lavoro dovendo occuparsi di più parrocchie contemporaneamente con orari senza fine. L’andamento nettamente negativo della partecipazione comporta come logica conseguenza una riduzione di entrate finanziarie non trascurabile per le casse vaticane. La  risposta dei vertici cattolici a questa crisi, su come arginare il problema e attirare di nuovo i fedeli, è cercare il trasformismo, cioè un adeguamento religioso ai tempi, con “aperture religiose e sociali” anche clamorose. Si può osservare che questa crisi non è altro che una delle tante crisi che tutte le religioni nei diversi secoli o millenni hanno attraversato e dovuto superare per adeguarsi ai vari mutamenti delle società, a volte anche epocali.    

Prima Wojtyla, poi Ratzinger e adesso Bergoglio, tutti gli ultimi papi stanno cercando di traghettare l’organizzazione religiosa cattolica (venditrice del niente come le altre, o di fumo, come preferiscono dire molti) ma sempre con un ruolo forte nella società, a passo con i tempi sociali. Ma come tutti i trasformismi, i mutamenti, anche questo per il Vaticano comporta scontro all’interno della chiesa stessa, con componenti cattoliche anche estese, fermamente contrarie ai “cambiamenti”.

Sull’ obbiettivo ”rinnovamento”, la nuova (chiamiamola così) presidenza Bergoglio dall’inizio del suo mandato ha impostato il suo programma “politico” su tre punti: “Riforma finanziaria”, “Apertura ai nuovi soggetti sociali”, “Lotta ai preti e vescovi pedofili”.    

 

LA RIFORMA FINANZIARIA.  Nonostante le enormi entrate finanziarie di più di 1 miliardo che giungono dall’8 per mille, più le numerose donazioni e gli sconti fiscali, ecc. le casse vaticane piangono. Le spese per “La Santa Sede” sembrano essere un pozzo senza fondo. La gestione è costantemente in perdita in tutte le sue componenti, non solo per il Vaticano come Palazzo, ma anche i grandi ospedali romani a direzione cattolica come l’Idi, il nosocomio dermatologico più grande d’Europa e l’altro grande ospedale del Vaticano, il Bambin Gesù, accusano centinaia di milioni di rosso, per non parlare degli innumerevoli immobili in possesso della curia. Il compito di coprire questi non trascurabili buchi spetta alla maggiore delle due banche vaticane, lo IOR, l’Istituto Opere Religiose (l’altra banca è il Banco di Santo Spirito).  

Lo scopo dichiarato della governance Bergoglio è di metter fine a questa rovinosa conduzione finanziaria. A tal proposito, per far quadrare i conti, nel 2014, poco dopo l’elezione del nuovo papa, in Vaticano è stato istituito un nuovo ministero: il “Superorganismo della Segreteria e del Consiglio dell’Economia”, diretto da un quadrunvirato: il cardinale australiano George Pellcoadiuvato dal suo segretario Danny Casey, dal presidente dello IOR de Franssu, e da Joseph Zahra, finanziere maltese membro del Consiglio dell’Economia vaticana.

Ma la situazione di far rientrare i conti si è presentata da subito più problematica del previsto. La gestione molto severa per ridurre le perdite da parte di Pell e del suo entourage, provocando il rischio di far chiudere l’Idi, il nosocomio dermatologico romano con 1500 dipendenti, ha coagulato immediatamente la reazione fragorosa di tutti i cardinali che a questi istituti in perdita sono collegati, fermando il processo in corso. A tre anni dall’inizio del “risanamento” e dallo scontro che ne è scaturito, la situazione in perdita sembra non aver avuto alcun miglioramento, si sia impantanata in una fase di stallo, con ancora un nulla di fatto. Con l’aggravante per i vertici vaticani, che il direttore del superorganismo, il cardinale Pell, è dovuto rientrare di fretta in Australia perché indagato per pedofilia dalla procura del paese.   

 

APERTURA AI NUOVI SOGGETTI SOCIALI   (comunione ai divorziati e risposati, apertura ai gay, apertura al tema ‘fine vita’, agli immigrati musulmani, e non ultimo l’apertura ai preti sposati) -   La rivista vaticana “La Civiltà Cattolica” scrive nel gennaio 2014 come per Bergoglio sia prioritario che l’educatore  «deve interrogarsi su come annunciare Gesù Cristo ad una generazione che cambia». Sono parole rivolte ai cardinali, che hanno il significato di una chiesa che non si può estraniare ad una società in mutamento dove il numero dei preti crolla, i  divorziati aumentano a dismisura e sono destinati a diventare la maggioranza della popolazione, dove gli omosessuali trovano il loro spazio nella collettività, dove si dibatte sull’eutanasia e dove gli immigrati musulmani arrivano a centinaia di migliaia. Il papa ritiene le aperture su queste tematiche sociali fondamentali per la sopravivenza della chiesa cattolica stessa. Saranno però anche il vero e grandissimo problema per il Vaticano, poichè sono il vero osso duro da far accettare a tutte le componenti rissose di cardinali. Perché aperture di questa portata cozzano contro i principi basilari su cui la religione cattolica stessa è fondata e questo molti prelati (tra cui lo stesso superministro Pell) non lo possono accettare.

Nonostante il problema sia fortemente avversato e gli ostacoli di resistenza siano notevoli, il vertice del Vaticano diretto da Bergoglio sta procedendo.

Il modificare una religione in realtà non pone grandi problemi ai suoi fautori, poiché in una religione fondata sulla fantasia com’è, si può cambiare tutto e il contrario di tutto, senza che assolutamente nulla nella quotidianità cambi.   

Ma l’insistere sul proseguimento alle “aperture” e i pronunciamenti continui ufficiali al proposito da parte di Bergoglio, ha visto come reazione il coalizzarsi della vasta schiera di porporati assolutamente decisi ad ostacolare il processo. Questa opposizione ha preso poi anche una sua vera forma politica concretizzatasi in un documento ufficiale firmato da 62 cardinali, il“DUBIA”, sottoscritto anche da prelati di primo piano come i cardinali Bürke, Brandmueller, Caffarra e Meisner. Documento che naturalmente è stato presentato al papa come proposta alternativa alle sue aperture.

La controreazione dei vertici Bergoglio-vaticani al “movimento” avverso d’opposizione è stata non di discussione e confronto ma di far cadere più teste possibili sul fronte avverso, tra cui l’esponente più autorevole, il cardinale tedesco Müller.    

In un’intervista di chiarimento al giornale “Corriere della Sera” del 26 nov 2017 dal titolo: «Mi vogliono guida di un gruppo contro il Papa» Müller afferma che come controreazione al comportamento di Bergoglio «si rischia una separazione che potrebbe sfociare in uno scisma».

Altre fonti sostengono che in Vaticano si stia costituendo una fronda di cardinali piuttosto vasta il cui intento sarebbe far dimettere anche questo papa.

 

LOTTA AI PRETI PEDOFILI.  Se la questione “aperture” verso le nuove figure sociali è il punto più importante per i vertici vaticani, il problema “preti pedofili” è quello più delicato. Gli scandali sui preti pedofili vengono usati in Vaticano senza riserve e limiti nello scontro tra le varie fazioni di cardinali (che potremmo definirle anche ‘bande’) nelle loro divergenze sia sul tema “finanza” che sul problema “aperture”, per eliminarsi a vicenda ed indebolire i fronti avversari. In altre parole, visto la cospicua presenza all’interno della chiesa di preti e vescovi pedofili, molestatori, corrotti ed altro, e di cardinali che li coprono (una vera “associazione a delinquere” direbbe un magistrato) ogni gruppo o fazione di cardinali denuncia nascostamente, fa arrivare ai mezzi di informazione pubblici più o meno segretamente, chi del fronte avversario è coinvolto in questi crimini e da chi ne viene protetto, in modo che sia i preti, ma soprattutto i vescovi e cardinali responsabili siano costretti a dimettersi.

E’ così che attualmente si svolge la lotta in San Pietro.

Sul problema pedofilia, prima Ratzinger e adesso il governo Bergoglio ne hanno fatto una “vergogna” da combattere. 

La rivista “L’Espresso” dell 11 luglio 2017 nell’articolo «Pedofilia, finanza, dottrina: ecco cosa sta frenando la rivoluzione di Bergoglio»,  riporta che i sostenitori del papa affermano, per dimostrare la sua determinazione nel combattere la piaga dei preti pedofili, che Bergoglio all’inizio del suo mandato «ha fatto cose rivoluzionarie, creando la Commissione per la tutela dei minori, il tribunale per i vescovi insabbiatori rei dei “reato d’abuso episcopale” e firmando il motu proprio “Come madre amorevole”».  Ma la stessa rivista nelle righe successive riporta sconsolata come i risultati pratici che le leggi fin qui hanno prodotto siano stati … zero: «… Il tribunale contro i vescovi che coprono i maniaci, annunciato nel giugno 2015, a oggi non ha mai visto la luce. Nel 2016 il ‘motu proprio’ “Come una madre amorevole” dedicato al tema della pedofilia, non ne fa alcun cenno». In breve, accusa la rivista, queste misure non sarebbero nient’’altro che provvedimenti “di facciata”, che realisticamente non possono avere nessun effetto. 

Il papa ha subito dure contestazioni di massa nella sua visita di gennaio in Cile (è stato colpito anche da un oggetto in testa). I giornali europei ne hanno parlato sottovoce. Il motivo delle contestazioni sempre lo stesso: preti e vescovi pedofili che sarebbero stati coperti dalle massime autorità ecclesiastiche cilene, ma non solo cilene, si ritiene anche dal Vaticano, Bergoglio compreso. Infatti i massimi prelati cileni sembrano godere un’estrema fiducia da parte del nuovo papa, tanto che Bergoglio li ha difesi fino allo stremo dalle accuse e che addirittura 2 di loro, l’arcivescovo Ricardo Ezzati e il suo predecessore Francisco Javier Errazuriz, li ha voluti nel famoso c 9, l’esecutivo vaticano che dirige l’estesa chiesa cattolica nel mondo (di cui anche il cardinale Pell ne fa parte).     

 

RIUSCIRA’ IL NUOVO GOVERNO BERGOGLIO nel suo intento di traghettare la chiesa cattolica nel “risanamento finanziario”, nel “rinnovamento sociale” e nel debellare “la piaga della pedofilia”?

Tutt’ora gli specialisti in materia esprimono in merito grosse perplessità.

-          - Il risanamento finanziario sembra essersi arenato e il suo dirigente è dovuto volare in                 Australia per difendersi dall’accusa di pedofilia.

-          - Contro le aperture del papa su divorziati, gay, ecc. si è formata e si sta rafforzando                    un’ampia opposizione che minaccia addirittura uno scisma.

-          - Sulla lotta contro i preti pedofili e i cardinali che li proteggono la battaglia sembra già persa        in partenza, visto che se dovesse veramente procedere il Vaticano rimarrebbe quasi senza        preti e cardinali. 

 

Che dire?  

Anche le organizzazioni religiose al servizio dei ricchi capitalisti hanno le loro difficoltà e problemi. Noi non possiamo che gioire.

Nonostante che i mezzi di informazione li sostengano senza riserve, nonostante che già dalle scuole d’infanzia ai bambini venga fatto il lavaggio del cervello che Dio è buono e i preti sono i suoi santi servitori, nonostante tutto questo sempre più masse proletarie si allontanano dalle chiese. Da tutte indistintamente e in tutto il mondo. E’ l’effetto naturale e inevitabile dello sviluppo sociale capitalistico. Il lavoratore diventando salariato, il suo più grande problema non è più Dio, ma diventa il salario, lo stipendio. Tutto nella sua situazione di dipendente ruota adesso attorno a questo fatto oggettivo: più salario significa più vita, più benessere per la famiglia e così via. Quindi per ottenere più salario il proletario deve occuparsi di socialità, politica, economia e dei suoi interessi, e Dio passa in second’ordine e le chiese si svuotano.

Naturalmente la borghesia cerca di colmare questo allontanamento sociale dalle religioni, che per essa significa calo del controllo sulle masse sfruttate, con altre ideologie borghesi altrettanto dannose per la classe proletaria, come aver fiducia nella “nuova Europa buona”, o difendersi dal nuovo pericolo “dell’estremismo islamico” (che nella pratica si traduce tenere le distanze dagli immigrati)  o diffidare del “comunismo”, e così via.

Le religioni servono ai capitalisti per controllare politicamente i lavoratori. Nel socialismo le chiese scompariranno, definitivamente.    


 

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-RICORRENZA DEI 200 ANNI DELLA NASCITA DI MARX-

E’ ERRONEO ASSOCIARE MARX ALL’EX DDR

L’ex DDR non aveva nulla a che fare con il socialismo, era una nazione capitalista, stalinista.

 

 

Il socialismo è una società diversa da quella attuale, è superiore. Una società dove i prodotti vengono distribuiti equamente tra la popolazione per il bene di tutti e non più venduti per trarne un profitto.

Si può facilmente constatare e verificare come nell’ex DDR, anche se definita “socialista” tutto funzionava capitalisticamente: vi erano le industrie e le banche gestite dai capitalisti di stato, cioè da un partito stalinista (che falsamente si definiva “comunista”) che sfruttava gli operai come in occidente; vi era la vendita delle merci ottenendo profitti; esisteva la concorrenza come nei paesi occidentali (concorrenza che nel socialismo non esiste); i prezzi (che sempre nel socialismo non esistono) aumentavano e scendevano; ogni tanto arrivavano le crisi (come in qualsiasi altro paese capitalista), poi le guerre, ecc. ecc. Tutto funzionava senza ombra di dubbio capitalisticamente. 

Anche se nell’ex Ddr, o nell’ex Unione Sovietica, le fabbriche e le banche erano statali e i servizi pubblici sociali erano molto espansi, questo non significa ancora socialismo, come qualcuno erroneamente sostiene, ma ci troviamo ancora (esattamente per il fatto della vendita, dei profitti, sfruttamento, ecc.) in una delle forme del capitalismo: IL CAPITALISMO DI STATO per l’appunto.

Niente a che vedere quindi con una società socialista, diversa, superiore.

Allora perché tutto il mondo (a parte i marxisti antistalinisti) la definiva “socialista”?

L’ex Ddr come tanti altri paesi (Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Albania, ecc.) era finita dopo il 2° conflitto mondiale nella spartizione tra Usa e Urss nell’area sotto direzione dell’Unione Sovietica stalinista. La quale Unione Sovietica si definiva “socialista” e che statalizzando le economie di tutti i paesi conquistati e sottomessi dopo la guerra, a sua volta li aveva denominati anch’essi “socialisti”. Per questo motivo poi tutto il mondo ha continuato erroneamente a definire l’ex DDR (come gli altri paesi sotto controllo Urss) “socialista”.

Erroneamente, perché l’Unione Sovietica non era “socialista” come si voleva far credere, ma capitalista. Esattamente come le sue sottomesse Ddr, Polonia, ecc. era un capitalismo stalinista di stato, una imprenditoria statale diretta dal partito stalinista che ha poi replicato il sistema di governo Urss nelle nazioni soggiogate dell’est Europa.

Tutta questa confusione e truffa sul “socialismo” era iniziata in verità con Stalin nel 1925, il quale, dopo la morte di Lenin, arrivando al potere nella Russia rivoluzionaria, tradendo spudoratamente la rivoluzione internazionale, aveva dichiarato la fase di transizione rivoluzionaria russa come “socialismo”. La fase di transizione del governo operaio rivoluzionario con le fabbriche statalizzate, come avvenuto in Russia dopo la rivoluzione, è una fase in cui l’economia diretta dal proletariato è ancora capitalista, come ben spiegato e ripetuto da Lenin. 

 

Nella strategia rivoluzionaria, essendo il socialismo realisticamente non possibile in un solo paese, lo scopo della prima rivoluzione (in questo caso in Russia) è arrivare al potere in una nazione e aspettare lo scoppio di altre rivoluzioni per allargare il mercato e così giungere al socialismo economico. Stalin che all’inizio era consapevole e compartecipe con i bolscevichi di questo progetto e conosceva il ruolo della fase transitoria dopo la prima rivoluzione, affermando una volta giunto al potere che la fase transitoria era già “il socialismo” e che il socialismo economico era possibile adesso anche “in un paese solo”, intenzionalmente mentiva disonestamente e imbrogliava. Dopo aver fatto uccidere praticamente quasi tutti i dirigenti bolscevichi, veri rivoluzionari e suoi avversari, Stalin avrebbe dovuto chiamare la Russia sotto sua direzione “Repubblica Russa” come qualsiasi altro paese capitalista, anziché “Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche”. 

Questo spiega il proliferarsi della menzogna del finto “socialismo” stalinista trasferito appunto poi anche alla DDR.

E’ quindi lampante, Marx con il capitalismo statale dell’ex DDR non ha proprio nulla a che spartire. La società socialista a cui il rivoluzionario Marx e tutti i comunisti antistalinisti fanno riferimento è tutta un’altra società. E’ bene ribadire in continuazione queste verità, per chiarire e contrastare le menzogne borghesi e staliniste.

IL NAZIONALISMO E’  

NEMICO DEL COMUNISMO 

QUESTIONE PALESTINESI – CURDI – CATALANI

 

 

Quando discutiamo con i nostri lettori sui palestinesi, curdi, catalani, molti sono convinti istintivamente che queste etnie lottino per il comunismo. Si pensa, dato il fatto che si definiscono “comunisti” e che combattano dal basso per la loro indipendenza contro i regimi nazionali, stiano lottando per il “comunismo”.

Ma non è così. Per capire, per inquadrare la lotta e aver chiaro in che cosa consiste la situazione, si deve sempre considerare qual è l’obiettivo reale al quale queste etnie e i loro partiti mirano e quale sarà il risultato pratico al quale queste organizzazioni etniche arriveranno, indipendentemente dal nome “comunista” o “rivoluzionario” con il quale si denominano.

Per il marxismo, il nazionalismo a cui queste etnie si ispirano, non ha assolutamente niente a che fare con il socialismo, anzi, addirittura è nemico del comunismo.

Samyr è un nostro compagno arabo. Non è un nazionalista, ma un internazionalista, cioè lotta per una società superiore socialista. Lo intervistiamo affinchè ci spieghi perché il nazionalismo è nemico del socialismo.

Dom -  Samyr, cos’è per te il socialismo?

Risp – “Premetto che, come attivista internazionalista, io non mi sento tunisino o arabo quale sono. Mi sento un lavoratore del mondo e come tale lotto per la rivoluzione internazionale, in qualsiasi paese mi posso trovare. Il socialismo è ovviamente una società dove non esiste più il capitalismo. E’ una società diversa da quella attuale, è un sistema sociale dove viene eliminata la compravendita di quanto le industrie producono per ricavarne un profitto-guadagno. E’ il profitto la causa di tutti i problemi che esistono in questa società capitalista – guerre, sfruttamento, crisi, povertà, ecc.-  Io lotto per l’obiettivo di una società dove la produzione industriale venga distribuita secondo “da ogn’uno secondo le sue capacità, ad ogn’uno secondo le sue necessità”. Per ottenere questo è necessario che la compravendita delle merci venga sostituita con la suddivisione equa dei prodotti tra la popolazione”

Dom – Tu pensi sia questo l’obiettivo dei palestinesi, dei curdi, dei catalani, che lottano per la loro indipendenza?

Risp – “No, Assolutamente no! Anche se i palestinesi, i curdi, ecc. si definiscono “combattenti per il comunismo” perché combattono con le armi contro i governi oppressori, il loro scopo non è l’eliminazione del sistema capitalistico, ma l’indipendenza della loro etnia. Il che non significa assolutamente comunismo. Per es. i palestinesi che si sono separati da Israele e hanno costituito il proprio stato Palestinese (La Striscia di Gaza), questo stato è inevitabilmente del tutto capitalista, con padroni e lavoratori, sfruttatori e sfruttati, compravendita delle merci con relativi profitti, banche, ecc.  In questo nuovo stato tutto è rimasto esattamente uguale come il paese contro cui hanno combattuto, con la sola differenza che il nuovo stato si chiama ‘Palestina’, (e che per i curdi si chiamerà ‘Kurdistan’, o ‘Catalogna’ per i catalani e così via)”. 

 

Dom -  Quindi ritieni non esisti nessuna “lotta per il comunismo” da parte palestinese, curda, catalana, ecc?

Risp – “No, certamente nessuna ‘lotta per il comunismo’, bensì una lotta nazionalista capitalistico-borghese”.

Dom - Spiegati meglio.

Risp – “Se i palestinesi, i curdi o i catalani, volessero veramente combattere per il socialismo dovrebbero cambiare totalmente la loro strategia politica. Comunismo significa unione dei lavoratori, non separazione. Per es. nella lotta per il socialismo i lavoratori palestinesi dovrebbero unirsi ai lavoratori israeliani e ai lavoratori arabi degli altri stati e tutti assieme, come stanno facendo i rivoluzionari europei, organizzarsi, e nel momento rivoluzionario, quando arriverà, e solo allora, come per gli europei, sferrare l’attacco rivoluzionario contro l’insieme degli stati borghesi. Solo così il proletariato palestinese – israeliano – arabo uniti potranno giungere alla rivoluzione e unirsi poi al proletariato europeo, asiatico, americano, ecc. per una società superiore non più capitalista”.

Dom – Ritieni che i palestinesi, ecc. non stiano facendo questo?

Risp – “No affatto. Si stanno muovendo invece tutto al contrario. Sempre definendosi ‘combattenti comunisti’ si stanno isolando sempre più dai loro compagni israeliani e arabi, europei ecc. per costruirsi un loro stato indipendente che sarà capitalista. Tutto questo non ha alcun senso nella logica comunista. Anzi, lo ritengo addirittura dannoso per la lotta del proletariato internazionale”.

 

Grazie compagno


 

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STALIN E’ STATO LA CONTINUAZIONE DI LENIN?

 

Lenin rivoluzionario,

Stalin controrivoluzionario.

 

Volutamente, dai mass media, dagli intellettuali borghesi, dagli esperti politici, dai professori nelle università e nelle scuole, ecc. Stalin viene presentato come naturale prosecuzione di Lenin.

Assolutamente non vero!

Totale è la differenza tra la politica internazionalista rivoluzionaria di Lenin e quella nazionalista borghese controrivoluzionaria di Stalin.

Per Lenin e i bolscevichi la rivoluzione russa dell’ottobre doveva essere l’inizio di una rivoluzione mondiale per poi giungere al comunismo. Per Stalin con la sua teoria del “socialismo in un paese solo” la rivoluzione d’ottobre era già il comunismo. Un grande imbroglio e una grande menzogna da parte di Stalin , come ripetutamente scriviamo sul nostro giornale, perché se in Russia dopo la rivoluzione ci fosse stato il socialismo, i prodotti sarebbero stati  suddivisi tra la popolazione anziché venir venduti come avveniva. Come giustamente e ripetutamente Lenin affermava, in  Russia dopo la rivoluzione il proletariato al potere si trovava in una fase di transizione, che aspettando le altre rivoluzioni.  gestiva un momentaneo capitalismo di stato.

Il padronato, i ricchi, con i loro servitori, non hanno interesse a chiarire questi semplici, chiari, realistici concetti basilari.

Il padronato ha tutto l’interesse invece a creare confusione, in modo che il lavoratore non capisca come  funzioni la società capitalistica e arrivi alla sua emancipazione e poter così  lottare per spezzare le sue catene per giungere  alla sua liberazione.

E per ottenere questa confusione politica i ricchi si fanno aiutare da politici, giornalisti, economisti, intellettuali, professori, preti, ecc.

Molto strano che queste persone, che si definiscono di grande e alta cultura e onestà, si definiscono al di sopra delle parti, non riescano  nei loro studi, nelle loro ricerche a vedere e trovare cose sul funzionamento della società capitalistica che invece migliaia e migliaia di attivisti normali operai marxisti, lavoratori dipendenti, con impegno, con ricerca e approfondimento riescono a trovare. Si, molto strano!

 

 

 

 

L’EX UNIONE SOVIETICA E ADESSO LA CINA, CUBA, LA COREA DEL NORD, SONO PAESI SOCIALISTI?

 

 

Il falso socialismo dei paesi dell’ex Urss, ex DDr, ecc, Cina, Cuba, Corea del Nord: paesi a capitalismo di stato. La differenza tra comunismo e cap. di stato.

 

Per gli stalinisti la statalizzazione dell’economia significa socialismo, comunismo. Per cui per loro nell’ex Urss e suoi paesi satelliti e adesso in Cina,  Cuba e Corea del Nord vige il comunismo.

Per i marxisti la statalizzazione dell’economia significa solo capitalismo di stato, perché in questo tipo di economia sono operanti tutte le leggi del capitale: classe operaia e borghesia statale, sfruttati e sfruttatori statali, stipendi e profitti, commercio delle merci con conseguente guadagno, banche che percepiscono interessi, ecc. Per cui per i marxisti nell’ex Urss, ex DDR, ecc. non esisteva nessun socialismo, comunismo, tantomeno adesso in Cina, Cuba, Corea del Nord.

Indipendentemente da come una nazione si autodefinisce, che si definisca socialista o comunista, esiste un metodo scientifico semplice, riconosciuto in tutto il mondo, infallibile, per capire se in quel paese esiste veramente il socialismo o no. E il metodo consiste in questo: SE I PRODOTTI VENGONO VENDUTI PER TRARNE UN GUADAGNO allora siamo regime di  capitalismo, SE INVECE I PRODOTTI NON VENGONO VENDUTI, MA SUDDIVISI EQUAMENTE TRA LA POPOLAZIONE allora si parla di socialismo, comunismo. Perciò nell’ex Urss, ex DDr, ecc. e adesso Cina, Cuba ecc. dove i prodotti vengono venduti per trarne un guadagno, si parla, senza ombra di dubbio, di capitalismo.

Perciò il crollo dell’ex Urss e dei suoi paesi satelliti non è stato il crollo del socialismo, perché in quelle nazioni non esisteva nessun socialismo, ma il crollo di alcuni paesi capitalistici, a capitalismo di stato per l’appunto.

Si può senz’altro affermare che il “Socialismo in un paese solo” stalinista non è altro che una delle tante forme di “Nazionalismo borghese” .

 



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